Il fascismo è stato un movimento politico che ha avuto un’ampia diffusione in Europa tra il primo e secondo conflitto mondiale. In Italia, il fascismo è stato il regime politico al potere dal 1922 al 1943, periodo durante il quale il paese è stato guidato dal leader del Partito Nazionale Fascista, Benito Mussolini. Le radici del fenomeno possono essere individuate nei profondi cambiamenti sociali, economici e culturali che hanno caratterizzato l’Europa del primo Novecento.
In Italia esso ha trovato terreno fertile soprattutto per i cambiamenti profondi, sia sociali che economici, provocati dalla prima guerra mondiale. Il clima di insicurezza e di incertezza ha favorito l’ascesa di movimenti populisti e radicali che hanno proposto soluzioni semplicistiche ai complessi problemi del paese. Il fascismo ha avuto alcune figure di spicco che hanno influenzato in modo determinante il suo sviluppo e il suo operato. Ecco alcune delle persone più importanti:
San Sepolcro, Milano, 23 marzo 1919: Benito Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento, un movimento che raccoglie reduci di guerra, interventisti, futuristi con un programma politico a tratti confuso e contraddittorio. Il termine “fascio” rimanda al fascio littorio (l’insegna del potere nell’antica Roma), scelto da Mussolini come simbolo del Fascismo. Il fondatore di questo movimento dagli esordi incerti che darà vita a una dittatura longeva (il “ventennio fascista” 1922-1943) è Benito Mussolini (1883-1945): ex direttore dell’Avanti, ex appartenente al Partito socialista italiano, espulso per essersi dichiarato favorevole all’entrata dell’Italia nella Grande Guerra.
Voglia di emergere nella vita politica del Paese, elementi socialisti (si chiedono paghe minime, voto alle donne) ai quali, però, si aggiunge anche nazionalismo (una maggiore rappresentazione dell’Italia all’estero), elementi antimonarchici e anti-bolscevismo (la paura di una rivoluzione russa in Italia). È comunque un ingresso tiepido quello di Mussolini nella scena politica italiana. Un programma confuso e risultati deludenti alle elezioni del novembre del 1919: i fascisti non ottengono alcun seggio.
Le conseguenze della guerra, il fatto che l’Italia sieda al tavolo dei vincitori ma le clausole del Patto di Londra non vengano interamente rispettate: questo ha portato l’Italia a tramutare il sentimento irredentista nel sentimento della “vittoria mutilata” giacché le sono state negate alcune terre promesse. Lo stato liberale, allora incarnato nella figura di Giovanni Giolitti, non riesce a gestire il presente. Un altro evento contribuisce a rendere vulnerabile lo Stato liberale: gli scioperi in fabbrica avvenuti tra il 1919-1920 (“biennio rosso”).
L’assonanza con la rivoluzione russa è evidente e i timori per l’occupazione delle fabbriche e una virata rivoluzionaria degli operai fanno tremare la borghesia, assieme all’attendismo di Giolitti. Mussolini sa raccogliere dunque queste incertezze e profilarsi come un restauratore dell’ordine sociale e insieme una forza rivoluzionaria in grado di cambiare le sorti del Paese; accanto a ciò, la cifra che contraddistingue il neonato movimento fascista: le violenze delle squadre d’azione (squadrismo) contro ogni avversario politico. Giolitti però, credendo di poterlo in fondo “addomesticare”, accoglie il Fascismo nelle liste dei “blocchi nazionali” in vista delle elezioni del 1921 e i fascisti entrano in Parlamento con 35 deputati.
Nel frattempo Mussolini decide di fondare il Partito nazionale fascista (PNF) che certamente porta maggiore disciplina all’interno del partito. Rivede alcune linee interne al programma iniziale, soprattutto in vista di una rimodulazione dei favori: mitiga l’anticlericalismo e le velleità repubblicane per compiacere rispettivamente Chiesa e re Vittorio Emanuele III.
Mussolini decide allora di forzare la mano. Viene organizzata quella che passa alla Storia come la “Marcia su Roma”: il 28 ottobre 1922 un quadrumvirato (Balbo, Bianchi, De Bono, De Vecchi) e altri fascisti occupano prefetture e linee ferroviarie romane; il governo liberale chiede al re di firmare lo stato d’assedio ma egli rifiuta e il 30 ottobre convoca Mussolini per conferirgli la guida del governo.
È un governo di coalizione ma Mussolini è ben deciso a trasformare lo Stato in una dittatura, muovendosi nel solco dello Statuto Albertino, di fatto ancora in vigore. Nel 1924 promuove la Legge elettorale Acerbo, che prevede un andamento maggioritario per il quale i fascisti ottengono la maggioranza parlamentare grazie a un “listone”. Il 30 maggio il deputato socialista Giacomo Matteotti denuncia i brogli elettorali e le violenze fasciste e per tale ragione viene rapito e ritrovato cadavere poco dopo. Il Parlamento decide allora di protestare trasferendosi fisicamente sul colle Aventino e chiede al re il ripristino della legalità (27 giugno, “Secessione dell’Aventino”). Mussolini vacilla, ma il re non agisce. Passata la criticità, Mussolini si assume le responsabilità di quanto accaduto. È l’inizio della dittatura.
Il Fascismo sta dunque livellando la sua fisionomia. Uno Stato autoritario incentrato sul partito fascista, teso verso l’autoritarismo e il nazionalismo. Il nuovo Stato totalitario elimina ogni spazio di libertà e accentra su di sé il potere, cercando di controllare e gestire tutti gli aspetti della società (attraverso la Riforma Gentile, ad esempio, riforma la scuola) fino a plasmarla nella perfetta società fascista.
Il tratto autoritario è subito evidente nella figura del suo leader, il Duce, che incarna egli stesso l’ideologia di cui lo Stato si fa portatore: la devozione per la Patria, per la famiglia; “credere, obbedire, combattere” il motto del Regine. Non c’è spazio per l’opposizione che viene repressa, esiliata, condannata, costretta alla fuga. Il Regime avrebbe provveduto a tutto e l’immagine che lo Stato deve restituire, anche all’estero, è quella di una Nazione forte e coesa, prestigiosa, come risulta dai film propagandistici dell’Istituto Luce. Grandi parate militari, comizi e adunate oceaniche devono dimostrare alle masse l’adesione dell’intera Italia ai programmi di Mussolini.
Il Duce, superata la crisi post delitto Matteotti, riesce a esautorare il Parlamento e impone una serie di leggi che avrebbero in breve tempo trasformato l’Italia in un regime dittatoriale fortemente autoritario. Con le Leggi fascistissime del 1926 sopprime la libertà di stampa, la libertà sindacale (esiste un solo sindacato, quello fascista), scioglie i partiti di opposizione, crea una polizia segreta, l’Ovra.
Egli istituisce quindi un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, viene reintrodotta la pena di morte. Gli altri due organi che, dal 1923, contribuiscono a rendere ancor più netta la sovrapposizione tra Stato e partito sono il Gran consiglio del Fascismo (un organismo parallelo al governo) e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (un esercito parallelo). Parole d’ordine diventano censura, repressione del dissenso e controllo dell’intera società.
Il Regime prende corpo attorno alla figura di Mussolini, il quale però deve “fare i conti” con il re, che sembra avallare l’intento mussoliniano fintanto esso lo tutela; e la Chiesa cattolica, con la quale il Duce firma i Patti lateranensi (febbraio 1929): la Chiesa riconosce per la prima volta l’ufficialità dello Stato italiano e il papa, Pio XI, si vede riconosciuta la sovranità sulla Città del Vaticano; il Cattolicesimo diventa religione di Stato.
L’economia fascista vive una fase liberista atta a ripristinare il potere delle forze borghesi dopo il biennio rosso, fino al 1925; successivamente si passa a una linea dirigista, nella quale troviamo la cosiddetta battaglia del grano (una campagna per l’autosufficienza italiana nella produzione del grano, mai davvero raggiunta) e il cambio lira-sterlina fissato a “quota 90”. Il vero obiettivo del Fascismo è senz’altro l’autarchia, ovvero il raggiungimento della piena indipendenza economica, anch’essa non raggiunta. Nel 1939 nasce persino la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, a sostituzione della Camera dei deputati, tentativo estremo di rendere l’Italia uno Stato corporativo.
Particolare importanza viene data dal Duce alla politica estera e alle relazioni internazionali. Dapprima con il ruolo di mediatore (Conferenza di Locarno, 1925 per dirimere le tensioni franco-tedesche) poi in primo piano: l’Italia entra subito in contrasto con Francia e Gran Bretagna per la spartizione del mondo. Le sue mire sono l’Africa e i Balcani. La Guerra d’Etiopia (1935-36) e l’uso di gas chimici sulla popolazione costano a Mussolini una condanna dalla Società delle Nazioni; Mussolini non si ferma e fonda l’Africa orientale italiana.
Da qui, l’avvicinamento con la Germania, gli obiettivi ideologici comuni (l’emanazione nel 1938 delle leggi razziali), l’ostilità per le potenze democratiche e verso il bolscevismo. Questa unione viene sancita dall’Asse Roma-Berlino nel 1936, con conseguente aiuto ai militari spagnoli; poi il Patto d’acciaio del 1939 (l’anno dopo esteso al Giappone).
Hitler, intanto, preme per invadere territori a est alla ricerca dello “spazio vitale”. Si rende necessaria una conferenza internazionale in cui Mussolini è in parte mediatore: la conferenza di Monaco (1938). Essa, vista da Inghilterra e Francia come una tregua alle minacce di Hitler (politica dell’appeasment: gli viene concesso il territorio dei Sudeti, in Cecoslovacchia), viene da quest’ultimo percepita come un’ammissione di debolezza delle potenze democratiche e un avvio alla guerra.
Mentre Hitler brama la guerra e si è ad essa preparato, Mussolini rimane inizialmente a guardare. Ma, quando l’alleato entra trionfalmente in Francia, a Mussolini sembra il momento giusto per sedersi al tavolo dei vincitori. Una mossa azzardata, perché l’Italia non è militarmente pronta. Il 10 giugno 1940 l’Italia dichiara guerra alla Francia e alla Gran Bretagna.
Il ruolo dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale non è incisivo, il contrario. Mussolini, senza avvisare l’alleato tedesco, invade la Grecia (Paese di orientamento filo-fascista). I greci resistono, riuscendo a strappare all’Italia anche parte del territorio albanese (protettorato italiano dal 1939). Hitler, seccato dalla mossa avventata dell’alleato, deve intervenire per reprimere i greci e ciò provoca un ritardo nella partenza delle truppe italo-tedesche verso la Russia (Operazione Barbarossa, giugno 1941). Ciò avrebbe contribuito alla disfatta delle truppe in territorio sovietico.
Ma l’epilogo per il Duce sarebbe giunto tra il 9 e il 10 luglio 1943, quando gli Alleati angloamericani sbarcano in Sicilia (Operazione Husky). Il 24 luglio è indetta una riunione del Gran Consiglio del Fascismo: il Duce viene deposto e arrestato. L’Italia, guidata dal re e da Badoglio, firma la resa, armistizio di Cassibile (8 settembre 1943).
Il 12 settembre 1943 Mussolini viene prelevato da Hitler e condotto a Monaco di Baviera, da lì sarebbe tornato in Italia e posto alla guida di uno Stato sotto il controllo tedesco nel nord Italia: la Repubblica sociale italiana (RSI, o Repubblica di Salò). La Penisola si trasforma in un teatro di guerra civile (1943-1945): gli Alleati che risalgono da Sud, i nazifascisti che combattono a Nord con i gruppi partigiani.
Il Fascismo di Salò è particolarmente brutale nel cercare di fermare la Resistenza, ma subordinato ai tedeschi nonostante Mussolini abbia cercato di reimpostare la “socializzazione” della neonata Repubblica fascista. Dopo mesi di duri scontri, gli anglo-americani sfondano la Linea gotica (Pisa-Rimini) e tra il 25 e il 28 aprile 1945 il nord Italia viene liberato: è la fine dell’occupazione nazista e della RSI. Il 28 aprile Mussolini viene catturato mentre tenta la fuga in Svizzera e fucilato; il corpo appeso in piazzale Loreto, a Milano.
A cura di Giulia Boccardi, Docente di Storia e Filosofia
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