CONTENUTO
Dopo il discorso del 3 gennaio 1925, inizia una diversa fase nella storia del fascismo: la liquidazione del modello liberal-parlamentare e l’instaurazione di un regime pienamente autoritario.
L’adozione delle leggi fascistissime, ovvero quei provvedimenti che portano alla progressiva sovrapposizione tra movimento fascista e Stato italiano, segue il periodo di maggiore crisi nella fase iniziale del governo Mussolini, ossia il rapimento e l’uccisione del deputato socialista riformista Giacomo Matteotti, seguiti dalla cosiddetta secessione dell’Aventino dell’opposizione parlamentare.
Il governo Mussolini sfrutta abilmente il fallimentare attentato progettato dal deputato socialista Tito Zaniboni (4 novembre 1925) per sostituire, con norme ad hoc, il principio democratico con quello autoritario a tutti i livelli e per sferrare, con norme e interventi squadristi, violenti colpi ai partiti di opposizione e all’antifascismo presente nella società civile.
Mussolini scioglie il Partito Socialista Unitario e ne sopprime il quotidiano “La Giustizia”, scioglie centinaia di associazioni di cittadini, in base alla legge 20 novembre 1925 n. 2029 che restringe il diritto di associazione, sottopone le associazioni al controllo della polizia, adotta misure repressive più severe.
Le leggi sull’apparato statale
Legge 24 dicembre 1925, n. 2300 (“Dispensa dal servizio dei funzionari dello Stato”) prevede la facoltà da parte del governo,
“fino al 31 dicembre 1926, di dispensare dal servizio, anche all’infuori dei casi preveduti dalle leggi vigenti, i funzionari, impiegati ed agenti di ogni ordine e grado civili e militari, dipendenti da qualsiasi Amministrazione dello Stato, che, per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori di ufficio, non diano piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si pongano in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo”.
Il governo può dispensare dal servizio funzionari, impiegati e agenti pubblici le cui opinioni siano contrarie al regime e alla politica generale del governo.
La legge n. 2263 del 24 dicembre 1925 che definisce le attribuzioni e le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri il cui nome muta in Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato. Gli affida la totalità del potere esecutivo, stabilendo una responsabilità dello stesso solo nei confronti del re non più al parlamento. Inoltre, in virtù di tale legge ciascun ministro o sottosegretario di Stato è responsabile davanti al capo del governo e al re, ma non al parlamento. Inoltre, il capo del governo decide sugli argomenti in discussione in Parlamento.
La successiva legge n. 100 del 31 gennaio 1926, dà facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche, tramite decreti legge immediatamente esecutivi. In tal modo il Consiglio dei ministri e in particolare il Capo del governo esercita anche il potere legislativo, svuotando il parlamento della sua reale funzione. La funzione del parlamento è così ridotta a semplice luogo di riflessione e ratifica degli atti adottati dal potere esecutivo, perdendo la sua funzione legislativa e di rappresentanza. “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato” diventa il nuovo principio del potere fascista.
La legge 4 febbraio 1926, n. 237 (“Istituzione del Podestà e della Consulta municipale nei comuni con popolazione non eccedente i 5000 abitanti”) istituisce la figura del podestà nei comuni con popolazione fino a 5000 abitanti. Il podestà esercita le funzioni svolte in precedenza dal Consiglio comunale (elettivo dal 1848), dal sindaco (carica elettiva dal 1890) e dalla Giunta comunale. Nominato con decreto reale, il podestà rimane in carica cinque anni con possibilità di rimozione da parte del prefetto oppure di riconferma oltre i cinque anni.
Il Decreto regio 3 settembre 1926, n. 1910 (“Estensione dell’ordinamento podestarile a tutti i comuni del regno”) estende tale normativa a tutti i comuni d’Italia, che sono privati del carattere elettivo. La giunta comunale di Roma viene sostituita da un governatore, anch’esso nominato dal governo. Contestualmente, sono estesi i poteri del prefetto, che diventa la figura di vigilanza politica più importante e l’occhio dello Stato sul dissenso politico e sociale.
La legge sulla stampa e l’abolizione del diritto di sciopero
Il 20 gennaio 1926 entra in vigore le nuove disposizioni sulla stampa: la legge sulla stampa (legge 31 dicembre 1925, n. 2307) dispone che i giornali possono essere diretti, scritti e stampati solo se hanno un direttore responsabile riconosciuto dal procuratore generale presso la Corte di appello della giurisdizione dove è stampato il periodico.
Il regolamento attuativo dell’11 marzo 1926 precisa che il procuratore è tenuto a sentire il prefetto, quindi il direttore di qualunque giornale deve essere persona non sgradita al governo, pena l’impossibilità a pubblicare. Si introduce la responsabilità civile dei proprietari rispetto ai reati a mezzo stampa, viene istituito l’Ordine dei giornalisti, al quale non possono iscriversi le persone sospettate di dedicarsi a qualsiasi “pubblica attività in contraddizione con gli interessi della nazione”. La formulazione è vaga e perentoria allo stesso tempo, consentendo, così, di impedire di scrivere sui giornali a chi avesse un pensiero difforme dai dettami del fascismo.
La legge n. 563 del 3 aprile 1926 proibisce lo sciopero e stabilisce che soltanto i sindacati “legalmente riconosciuti”, ossia quelli fascisti (che già detengono praticamente il monopolio della rappresentanza sindacale dopo la conclusione del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 fra la Confindustria e la Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali), possono stipulare contratti collettivi. Si realizza, dunque, l’istituzionalizzazione dei sindacati fascisti ed è legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei lavoratori con la nascita della contrattazione collettiva del lavoro.
Le leggi di Pubblica Sicurezza e per la difesa dello Stato
L’attentato del 31 ottobre 1926 a Bologna, attribuito al giovane Anteo Zamboni e subito presentato come un complotto ordito dagli antifascisti, costituisce il pretesto di cui Mussolini ha bisogno per sviluppare l’apparato repressivo progettato. Ancor prima di imboccare la via legislativa, però, il governo ordina ai prefetti di sopprimere gli ultimi organi di stampa dell’opposizione e Mussolini lascia che i fascisti devastino i loro locali.
Dopo il 5 novembre iniziano gli atti di intimidazione violenta, gli arresti e si ha la soppressione delle libertà costituzionali dando vita alla dittatura. Agli oppositori non rimane che l’esilio. Il Regio decreto 6 novembre 1926 n. 1848 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza): riforma le norme di pubblica sicurezza in senso repressivo; introduce il confino di polizia contro i dissidenti; estende i poteri dei prefetti dando loro facoltà di sciogliere associazioni, enti, istituti, partiti, gruppi e organizzazioni politiche che esplicano azione contraria al regime (rendendo legale soltanto quello fascista); abolisce tutti i partiti e dichiara decaduti i deputati “aventiniani”.
Il Partito Nazionale Fascista diventa l’unico partito ammesso; istituisce il confino di polizia per coloro che abbiano “commesso o manifestato il deliberato proposito di commettere atti diretti a sovvertire violentemente gli ordinamenti sociali, economici o nazionali”; la revoca dei gestori di tutti i giornali e periodici antifascisti e la soppressione di tali giornali; crea gli Uffici politici investigativi (UPI) della MVSN; altre norme contro l’espatrio clandestino per fini politici: annullati tutti i passaporti e gravi sanzioni agli emigrati clandestini. Inoltre, infligge lunghe pene detentive a chi ricostituisce le organizzazioni disciolte o si affilia ad esse.
Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati, riaperta per ratificare il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, delibera anche la decadenza dei 123 deputati aventiniani accusati di aver disertato i lavori parlamentari, compresi però i comunisti che a Montecitorio sono rientrati tentando di far sentire la loro voce di opposizione.
Poco dopo il governo vara un duro giro di vite con la promulgazione Legge 25 novembre 1926 n. 2008 (Provvedimenti per la difesa dello Stato) che:
- istituisce il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, composto da un presidente scelto tra gli ufficiali generali delle forze armate e da 5 giudici membri della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale aventi grado di console. È competente per i reati contro la sicurezza dello Stato. Segue una procedura rapida, severissima, da stato di guerra, pronuncia sentenze inappellabili e non è vincolato dal principio di irretroattività, tanto che giudica e condanna delle persone che hanno realizzato dei comportamenti prima dell’entrata in vigore delle leggi, elaborate dal ministro Rocco, che le vieta e punisce.
- reintroduce la pena di morte per chiunque commette un atto diretto contro la vita, l’integrità fisica o la libertà personale del re, della regina, del principe erede o del capo del governo, nonché per chi rivela segreti militari, attenta all’indipendenza della patria, promuove l’insurrezione contro i poteri dello Stato o istigato la guerra civile.
Il primo nucleo dell’OVRA, la polizia politica segreta, è istituito con Regio Decreto n. 1904 (il significato della sigla non è mai stato del tutto chiaro, né era spiegato dalla norma che la introduce: poteva stare per Organizzazione di Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo oppure per Opera Volontaria di Repressione Antifascista che nel 1930 diventerà l’OVRA) alle dirette dipendenze del regime.
Ad appena due settimane di distanza dall’approvazione delle leggi liberticide, arresta un gran numero di persone, soprattutto, tra i membri della cosiddetta «centrale comunista», molti dei quali sono mandati al confino. Durissime condanne sono comminate agli oppositori (da 20 a 23 anni di carcere a Gramsci, Terracini, Scoccimarro, ma sono centinaia gli antifascisti che riempiono le carceri).
L’attività poliziesca è affiancata dalla repressione giuridica dei tribunali ordinari. Si consolida inoltre l’epurazione amministrativa di quanti, negli organi dello Stato, sono considerati in odore di dissenso. Si prendono misure contro i “fuoriusciti”, con sequestro e confisca dei beni, e si procede alla revisione di tutti i passaporti per l’estero. La forza politica maggiormente perseguitata proprio perché considerata più pericolosa, è il Partito comunista. Nel corso del ’28 si svolge il cosiddetto “processone” contro il Comitato centrale del Partito comunista: tutti arrestati o costretti a riparare all’estero.
Il Gran Consiglio del Fascismo organo supremo dello Stato ed elezioni plebiscitarie del 1929
Con la legge 17 maggio 1928 n. 1029 ed il Testo Unico 2 settembre 1928, n. 1993 è introdotto un nuovo sistema elettorale di tipo “plebiscitario”. La nuova legge elettorale prevedeva un Collegio unico nazionale chiamato a votare o a respingere una lista precostituita di 400 deputati, lista formata dal Gran Consiglio del Fascismo a partire da una rosa di 850 candidati proposti dalle confederazioni corporative nazionali, 200 candidati proposti da associazioni ed enti culturali ed assistenziali ed ulteriori candidati scelti dal Gran Consiglio stesso.
Prevede un’unica domanda sulla scheda: “Approvate voi la lista scelta dal Gran consiglio nazionale del fascismo?”. È ufficiosamente permesso votare solo per il “Sì”, in un clima di intimidazioni e di strumento di propaganda e assume le caratteristiche di un plebiscito verso il regime.
Con la Legge 9 dicembre 1928 n. 2693 il Gran Consiglio del Fascismo, organo direttivo del PNF, diviene il massimo organo costituzionale dello Stato. Il Gran Consiglio del Fascismo è presieduto dal capo del governo e composto da membri di diritto a vita o per la durata di specifiche funzioni e da membri nominati dal capo del governo per un triennio.
Esso ha il compito di: formare una lista di possibili successori al capo del governo in carica, interferendo con la regia prerogativa; redigere la lista unica elettorale; delibera sugli statuti, gli ordinamenti e le direttive politiche del Partito Nazionale Fascista; ha funzioni consultive (la legge 2693/1928 lo definiva “consulente ordinario del Governo in materia politica”); deve essere sentito su “tutte le questioni aventi carattere costituzionale” (tra le quali la legge include: successione al Trono; attribuzioni e prerogative della Corona; composizione e funzionamento del Gran consiglio e delle due Camere del Parlamento; attribuzioni e prerogative del capo del Governo; facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche; ordinamento corporativo e sindacale; rapporti fra lo Stato e la Santa Sede; trattati internazionali che importino variazioni al territorio dello Stato e delle colonie). Questo provvedimento rappresenta il culmine dell’occupazione autoritaria dello Stato da parte del fascismo.
Conclusioni
Se l’attentato di Bologna abbia o meno svolto un ruolo paragonabile a quello che ha l’incendio del Reichstag per il regime hitleriano, resta il fatto che le leggi fascistissime, un mese dopo quel colpo di pistola che sfiora Mussolini, sono una tappa fondamentale per instaurare la dittatura in Italia e “fecero scuola” per molti altri aspiranti dittatori in Europa e altrove.
Infatti, con le leggi fascistissime sono totalmente soppresse la libertà di stampa, la libertà della persona, del pensiero, dell’espressione e della parola. E il Partito Nazionale Fascista diviene l’unico partito ammesso essendo stati sciolti tutti i partiti, le associazioni e le organizzazioni volte ad esplicare un’azione contraria al regime.
Nel novembre 1926 si può dire che si abbia in Italia la fine di ogni vita politica e l’inizio del “regime”. Comincia la “fascistizzazione” di tutte le istituzioni e di tutti i settori dell’attività nazionale: stampa, scuola, magistratura, diplomazia, esercito, organizzazioni giovanili e professionali. La soppressione di libere elezioni completa l’opera. Il regime parlamentare non esiste più sostituito da un regime autoritario a partito unico, incentrato sull’autorità del capo del governo e basato sul terrore poliziesco.
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- Mussolini il fascista II. L’organizzazione dello Stato fascista (1925-1929) di Renzo De Felice