CONTENUTO
L’Italia dopo la Prima guerra mondiale
L’Italia esce dal primo conflitto mondiale, almeno sulla carta, da vincitrice. Tuttavia, la guerra porta con sé una serie di problematiche e cesure con il passato che risultano irrecuperabili. I lunghi anni del conflitto, preceduti dalla lotta tra interventisti e neutralisti, hanno, infatti, rotto un precario equilibrio e la classe dirigente liberale oltre che constatare l’impossibilità di tornare allo status quo ante dell’età giolittiana, non riesce a porvi concretamente alcun rimedio.
Gli eventi nazionali ed internazionali pongono la questione del rinnovamento politico e sociale dello Stato italiano. Coloro che erano parte del fronte interventista videro la guerra come un’opportunità per rigenerare la nazione ed il suo animo, tentando di dimostrare che essa non fosse semplicemente una mera espressione geografica. La vittoria li convince che per l’Italia sia arrivato il momento per imporre la propria volontà sul bacino Mediterraneo.
Parallelamente, buona parte degli ex neutralisti di fronte all’esperienza della Rivoluzione russa del 1918 si convincono che sia ora di agire, che sia il momento per instaurare un nuovo ordine, o che semplicemente gli eventi bellici e internazionali rendano questa svolta un obbligo per la politica italiana.
Le aspettative della popolazione, sia da una parte che dall’altra, vengono, tuttavia, tradite. La delegazione italiana a Versailles compie un abominio politico tirandosi la zappa sui piedi. La tattica di Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, che vogliono giocarsi sia la carta del Patto di Londra che quelli dei principi wilsoniani, è un completo disastro e le conseguenze non si fanno attendere. Il liberalismo viene colpito definitivamente perdendo credibilità davanti a quell’opinione pubblica che va al voto con la nuova legge elettorale proporzionale nel 1919.
Se a questo si somma anche l’entrata delle masse nella politica, che si appoggia ai partiti di massa, ovvero il Partito Socialista Italiano e il neonato Partito Popolare Italiano; l’istituzione del suffragio universale maschile allargato (rispetto a quello istituito da Giolitti nel 1913); l’idea che l’Italia sia una nazione ingrata nei confronti dei loro veterani, poiché qualsivoglia cosa gli sia promesso non viene mantenuto, allora si può capire quanto precaria sia la posizione della classe politica liberale poco tempo dopo la fine della guerra mondiale.
Il responso delle urne vede vincere i socialisti davanti ai popolari. Il tema della ‘grande paura’ per una eventuale rivoluzione rossa inizia a farsi strada tra l’opinione pubblica e si lega ad altre tematiche infuocate come il mito della vittoria mutilata. Scoppiano in quel momento quei conflitti civili che erano germinati negli anni Dieci del Novecento, che erano oltremodo cresciuti durante il conflitto bellico e che deflagrano definitivamente di fronte all’instabilità politica e sociale. Da questi anni esce un unico vincitore, sia sul campo che in politica: il movimento fascista.
Il Fascismo sansepolcrista
Il 23 marzo Benito Mussolini convoca un’assemblea in piazza San Sepolcro a Milano con i maggiori esponenti che hanno sostenuto l’interventismo e con coloro i quali si richiamano all’eredità della guerra come base per la rivoluzione nazionale. Quel giorno a Milano sono presenti alcune centinaia di persone, tra cui veterani di guerra, sindacalisti rivoluzionari, anarchici, arditi, ex interventisti, artisti, e intellettuali, tra cui i futuristi di Marinetti, curiosi e giornalisti.
La variopinta assemblea ha come risultato la fondazione del movimento dei Fasci italiani di combattimento. Il fascismo sansepolcrista nasce qui e si organizza come un’avanguardia politica capace di portare le masse in politica, nazionalizzandole, e di mettere al vertice di comando l’aristocrazia del combattentismo. Ciò che accomuna i vari esponenti è il rifiuto dell’ordine liberale e tradizionale e la volontà di imporne uno nuovo.
Il primo programma uscito su “Il Popolo d’Italia”, benché antibolscevico, è un impasto di rivendicazione socialiste e democratiche, repubblicane e risorgimentali. La vera proposta programmatica è la volontà di convocare un’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto far nascere il nuovo Stato italiano sulle macerie di quello liberale e della monarchia, proponendosi come successore legittimo.
L’azione del primo fascismo non si distingue da molti altri gruppi patriottici, se non per quanto riguarda l’assalto a “L’Avanti!”, e non è di certo a capo di un fronte rivoluzionario avanguardista che semmai vede in D’annunzio il proprio vate. La stessa leadership di Mussolini è tutt’altro che scontata. In questo momento il tratto fondamentale del fascismo per raccogliere proseliti è quello dell’anti-ideologia.
L’attivismo, il pragmatismo e la violenza superano la volontà di identificarsi in una ideologia geometrica che avrebbe condotto il movimento verso la forma-partito che loro disprezzano. L’antipartitismo rappresenta l’altra faccia della medaglia del rifiuto della realtà politica e sociale di quel momento storico. Presentatosi alle elezioni del 1919 in una lista presso il collegio di Milano, il fascismo, tuttavia, subisce una clamorosa sconfitta.
La svolta politica
La difficile situazione venutasi a creare dopo le elezioni del 1919 riporta al governo Giovanni Giolitti, al posto del dimissionario Nitti, poiché la classe politica è convinta che sia l’uomo giusto per riuscire a gestire il caos generato da quello che viene comunemente chiamato “biennio rosso“. Giolitti decide di non intervenire con una sistematica repressione dei disordini nelle campagna e nelle fabbriche, anzi cerca di far entrare in orbita governativa il PSI che, tuttavia, rimane su posizioni più massimaliste.
Ciò convince i ceti medi, i proprietari terrieri e molti membri dell’establishment, sia delle forze armate che di quella governativa, che sia necessario opporre una violenza armata patriottica a quella sovversiva diffusasi all’interno del Paese. Proprio in questa faglia si inserisce il movimento fascista ed è qui che trova il suo ruolo.
Sebbene il fenomeno fascista, all’inizio del 1920, sia un movimento che si consolida soprattutto nel nord-est, e soprattutto nella città di Trieste, in poco tempo l’efficienza delle azione squadriste porta il fascismo a giocare un ruolo principale nel clima da guerra civile che diffuso nella penisola. Dopo il battesimo del fuoco dello squadrismo delle camicie nere avvenuto con l’assalto e l’incendio della sede nazionalista slovena della Narodni Dom, il modello di azione fascista trova sempre più spazio.
Lo squadrismo diventa a questo punto centrale nel panorama politico-sociale italiano come mezzo per combattere il socialismo nelle campagne e nelle fabbriche soprattutto nel nord Italia. La benevola accettazione e i finanziamenti da parte delle forze borghesi permettono al fascismo di esportare sempre più il loro modello d’azione e di presentarsi come baluardo in funzione anti-socialista e gli eventi del novembre 1920 a Bologna con l’assalto di Palazzo d’Accursio sembrano dimostrarne la veridicità.
Il III Congresso nazionale fascista nel novembre 1921
Di fronte a questo mutamento, tuttavia, viene percepita la necessità, almeno da parte di Benito Mussolini e di altri vertici, di effettuare una istituzionalizzazione del fascismo, poiché, dopo l’ingresso nella lotta parlamentare, la sola azione violenta nelle piazze avrebbe potuto portare ad un isolamento del movimento.
Una riforma del movimento per Mussolini è una necessità impellente per diversi motivi: innanzitutto il fondatore non ha una leadership incontrastata e le difficoltà riscontrate nel controllo dei Ras nelle province ne sono la prova lampante (un contrasto peraltro che si estinguerà solamente dopo molti anni, ma che Mussolini riesce ad usare per i suoi scopi politici); secondariamente il successo elettorale del ’21 ha imposto una trasformazione del movimento da mera milizia patriottica in forza politica.
Il tentativo di istituzionalizzazione e di politicizzazione del fascismo nel primo semestre del ’21, con la conseguente centralizzazione del potere e dell’ideologia politica, portano ad un forte contrasto con i Ras provinciali, personaggi che rappresentano varie idee ed anime e di conseguenza il policentrismo di un movimento che non sembra voler cambiare.
La questione del “patto di pacificazione” con i socialisti, che avrebbe dovuto mettere fine a qualsiasi violenza, fa esplodere la contestazione dei provinciali contro Mussolini, che si dimette. La situazione dura poco tempo. Mussolini torna poco dopo e riesce a ricomporre la fronda interna, che di fatto ne riconosce, almeno al momento, l’autorità di guidare il movimento, anche se in cambio di fatto permette ad alcuni leader più prestigiosi un certo margine di autonomia nelle proprie zone.
A sancire la ricomposizione del movimento fascista in un nucleo compatto arriva il III Congresso nazionale svoltosi a Roma al teatro Augusteo dal 7 al 10 novembre 1921. Il fascismo si presenta al Congresso di Roma fortemente differente da due anni prima. È riuscito ad inserirsi nella lotta politica ed è riuscito a crearsi una base di massa, identificata nei ceti medi e parte della borghesia soprattutto agraria e soprattutto nell’Italia settentrionale, tanto che lo squadrismo può essere definito un massimalismo dei ceti medi. Il movimento entra ora in una nuova fase.
Fondazione del Partito Nazionale Fascista (PNF)
La riunione dell’Augusteo sancisce la riappacificazione tra Mussolini e i Ras provinciali e la trasformazione dei Fasci di combattimento in Partito Nazionale Fascista (PNF). Da un lato, Mussolini afferma la propria leadership, non ancora come duce del fascismo, ma come primus inter pares. D’altra parte la fondazione di un nuovo partito comporta un cambiamento organizzativo e gerarchico che non può passare in secondo piano: la direzione nazionale si sposta da Milano a Roma, sancendo l’avvicinamento del fascismo al centro del potere, e viene creata una catena di gerarchie stabili nelle quali tutto il movimento viene inquadrato.
Il PNF si definisce una milizia volontaria al servizio della nazione e basa la propria attività sui principi di gerarchia, disciplina ed ordine. La struttura e l’organizzazione territoriale è molto simile a quella degli altri partiti di massa: partendo dal basso, ci sono sezioni, federazioni provinciali e regionali, gruppo parlamentare, consiglio nazionale, direzione e segreteria generale. Alla carica di segretario generale venne eletto Michele Bianchi, che lo guida fino al 13 ottobre 1923.
L’aspetto più importante di questo passaggio tuttavia non è il superamento della logica antipartitica, ma la creazione di un organismo politico che si propone di confrontarsi politicamente, in Parlamento e al di fuori di esso, e che contemporaneamente non rinuncia all’utilizzo della forza, della violenza e dell’azione di una milizia privata, ufficialmente inquadrata nella struttura del partito. Il nuovo partito di massa del panorama politico italiano, per dirla con le parole di Mussolini, “non è soltanto una organizzazione politica, ma è anche una organizzazione, in un certo senso, militare”.
La costituzione del PNF rappresenta la volontà attiva del fascismo di concorrere alla presa del potere, sia con mezzi “legali”, sia con mezzi violenti e terroristici. In questo senso il partito rappresenta uno ‘anti-Stato’ nello Stato che il regime liberale non riesce da qui in avanti a contrastare in maniera energica, anche per una visione politica limitata del fenomeno che si trovano davanti, come dimostreranno le giornate dell’occupazione delle città di Trento e Bolzano del 1-2 ottobre 1922.
L’evoluzione del fascismo da movimento a partito si inserisce in una più vasta e sfaccettata realtà che è il panorama politico-sociale dell’Italia uscita dalla Grande Guerra. Restando nell’alveo delle interpretazioni storiografiche degli ultimi decenni, è oramai inutile identificare il fenomeno fascista come una parentesi sul cammino della democrazia, oppure come una reazione della borghesia alla crescita del potere delle sinistre e del proletariato, o come una semplice faccia di movimento politico conservatore e restauratore in atto nel Vecchio Continente.
Il fascismo, come fenomeno peculiare italiano, è parte della nostra storia perché fortemente connesso con idee, volontà e sentimenti di quel tempo. Rinnegare e nascondere questi fatti vorrebbe dire ignorare una verità storicamente consacrata.
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- E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Il Mulino, 2011.
- R. De Felice, Mussolini il fascista. (1921-1925), Torino, Einaudi, 2019.
- M. Mondini, Il difficile dopoguerra, in P. Pombeni, Storia dei partiti italiani, Bologna, Il Mulino, 2016.