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Chi guida la marcia su Roma? Il piano di Benito Mussolini
Nella celebrazione, il 20 settembre 1922, del cinquantaduesimo anniversario della Breccia di Porta Pia, Benito Mussolini a metà del suo discorso si rivolge ai suoi camerati dicendo:
“Pensiamo di fare di Roma la città del nostro spirito, una città cioè depurata, disinfettata da tutti gli elementi che la corrompono; pensiamo di fare di Roma il cuore pulsante, lo spirito alacre dell’Italia imperiale che sogniamo”.
E’ il primo chiaro segnale delle intenzioni del leader del Partito Nazionale Fascista (PNF). Passano due settimane e sul quotidiano Popolo d’Italia viene pubblicato un emblematico discorso pronunciato da Mussolini:
Ormai lo Stato liberale è una maschera dietro la quale non c’è nessuna faccia, è un’impalcatura, ma dietro non c’è nessun edificio. Ci sono delle forze, ma dietro di esse non c’è più lo spirito. Tutti quelli che dovrebbero essere a sostegno di questo Stato sentono che esso sta toccando gli estremi limiti della vergogna, dell’impotenza e del ridicolo. Non abbiamo grandi ostacoli da superare perché la Nazione è con noi. La Nazione si sente rappresentata da noi. Certamente non possiamo promettere l’albero delle libertà sulle pubbliche piazze, non possiamo dare la libertà a coloro che ne profitterebbero per assassinarci. Qui è la stoltezza dello Stato liberale, che da la libertà a tutti, anche a coloro che se ne servono per abbatterlo. Noi non daremo questa libertà. (…) Dividiamo gli italiani in tre categorie: gli italiani indifferenti che rimarranno nelle loro case ad attendere; i simpatizzanti che potranno circolare; e finalmente gli italiani nemici, e questi non circoleranno.
Il 16 ottobre Mussolini convoca nella sede del fascio milanese i maggiori esponenti del partito: la seduta è a porte chiuse. I presenti all’incontro sono: Michele Bianchi, segretario del partito, Italo Balbo, capo dei fascisti ferraresi, il monarchico Cesare Mattia De Vecchi e l’anziano generale Emilio De Bono. Mussolini li nomina quadrunviri poiché diventano da quel momento i responsabili organizzativi e operativi della Marcia su Roma, la cui realizzazione è prevista nel giro di quindici giorni.
Il Consiglio nazionale fascista di Napoli
Il 24 del mese ha luogo a Napoli l’adunata fascista che apre i lavori del consiglio nazionale del PNF. Alle dieci tre squilli di tromba accolgono tra l’entusiasmo dei presenti Benito Mussolini all’ingresso del teatro San Carlo di Napoli. Sono presenti autorità civili e politiche, intellettuali come Benedetto Croce e una fitta schiera di giornalisti delle varie testate. Il capo del PNF si dimostra, anche in questa occasione, abile nell’adottare una tattica volta a confondere i propri interlocutori.
Il suo discorso stupisce i presenti per i toni moderati tanto da spingere l’inviato del quotidiano socialista Avanti a scrivere nel suo articolo che “Napoli è stata la Canossa del fascismo” poichè “Mussolini anziché minacciare s’è rassegnato a tendere la mano“. Anche il Prefetto di Napoli Angelo Pesce rassicura le autorità governative telegrafando “Manifestazione fascista si è svolta nell’ordine. Nulla da segnalare” e il Presidente del Consiglio Luigi Facta può tirare un sospiro di sollievo: “Credo ormai tramontato progetto di marcia su Roma”.
Nel pomeriggio, però, dopo che già i giornalisti hanno spedito i propri tranquillizzanti resoconti alle rispettive redazioni, Mussolini pronuncia in piazza Plebiscito, da un palco ornato di palme davanti la chiesa di San Francesco di Paola, un secondo discorso nel quale utilizza un tono più aggressivo rispetto a quello adottato in mattinata. Il comizio si conclude con le seguenti parole: “Camicie nere di Napoli e di tutta Italia! Oggi, senza colpo ferire, abbiamo conquistato l’anima vibrante di Napoli, l’anima ardente di tutto il Mezzogiorno d’Italia. Ma io vi dico, con tutta la solennità che il momento impone: o ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma. Ormai si tratta di giorni, forse di ore. E io vi dico e vi giuro che gli ordini, se sarà necessario, verranno!”
La sera stessa convoca nella sua stanza all’Hotel Vesuvio i quadrunviri e ordina loro l’azione insurrezionale per la notte tra il 27 e il 28, giorno in cui le forze fasciste dovrebbero convergere su Roma, pronte, se necessario, a conquistarla con la forza delle armi. I quadrunviri, non del tutto convinti di questo anticipo, si recano a quel punto, a Perugia, per organizzare dalla città umbra l’intera manifestazione armata.
Stando al piano l’avanzata verso Roma si sarebbe svolta seguendo tre direzioni: da Monterotondo, da Tivoli e da Santa Marinella, per convergere sulla capitale da nord, da est e da ovest. Quanto a Mussolini, egli torna a Milano, da dove coordina l’intera mobilitazione. Il 25 ottobre si svolge a Napoli, nella sala Maddaloni, il Consiglio nazionale del Partito fascista; i lavori durano solo poche ore poichè la decisione importante relativa all’azione sovversiva è stata già presa la sera prima.
Nel corso del pomeriggio, mentre in città i fascisti continuano ad inviare segnali contraddittori sulle reali intenzioni della loro azione, la principale preoccupazione del dimissionario Presidente del Consiglio Luigi Facta sono le beghe ministeriali per la costituzione di un nuovo governo. “Credo che nota calata a Roma sia definitivamente tramontata”: con questo telegramma al Re Vittorio Emanuele III il Presidente del Consiglio liquida la possibilità di un golpe fascista nella capitale. Tuttavia il proverbiale ottimismo dell’onorevole piemontese è destinato a tramontare nel giro di pochissime ore.
Le posizioni del re d’Italia Vittorio Emanuele III e del Presidente del Consiglio Luigi Facta al momento della Marcia su Roma
Il 26 ottobre il Congresso fascista di Napoli prosegue ufficialmente nelle prime ore della giornata fino a quando il segretario del partito Michele Bianchi conclude i lavori con una frase ritenuta storica dai seguaci e che rappresenta l’ordine in codice per dare avvio alla marcia: «Fascisti, a Napoli piove, che ci state a fare?».
Nelle sedi governative di Roma nel frattempo la situazione è caotica. Il Presidente del Consiglio Luigi Facta, che nella tarda sera del 25 ottobre ha ricevuto da fonti segrete provenienti da Milano conferme sull’intenzione di un colpo di mano fascista tra il 27 e il 28 ottobre, pensa già alle dimissioni e contemporaneamente telegrafa al sovrano Vittorio Emanuele III, in villeggiatura a San Rossore, chiedendogli di tornare subito nella capitale.
Cresce nel corso della giornata l’ipotesi Antonio Salandra come Presidente del consiglio di un governo con nazionalisti e fascisti legalitari, contrari alla Marcia: le trattative sono condotte dal quadrumviro Cesare De Vecchi e da Costanzo Ciano. Parallelamente le prefetture ricevono sempre più notizie di imminenti azioni fasciste in varie città.
Le trattative politiche in queste ore frenetiche si infittiscono, tutti trattano con tutti per diversi scopi: i fascisti per mostrare la buona fede nel restare nei binari della legalità mentre si prepara il golpe, Facta per garantire una successione ordinata, altri possibili governanti per tornare in pista con nuove forze popolari. Bianchi, invece, rivendica come unica opzione il governo Mussolini, anche con la forza, e convince il suo capo a non rinviare la Marcia.
Il 27 ottobre è tutto pronto per l’inizio delle operazioni che, però, incominciano con qualche ora di anticipo rispetto alle disposizioni date da Mussolini. Roberto Farinacci, infatti, lancia la prima insurrezione a Cremona nel tardo pomeriggio, occupando con la sua squadra d’assalto i punti nevralgici del comune. Anche a Pisa e Firenze i fascisti si muovono in anticipo rispetto ai piani; tutto ciò mentre Mussolini si reca al Teatro Manzoni a vedere Il Cigno di Molnar. Una mossa politica astuta e ben ponderata la sua.
Il re Vittorio Emanuele III rientra a Roma alle ore 20.00 e trova ad aspettarlo alla stazione il Presidente del Consiglio Luigi Facta, che lo informa immediatamente della situazione, presentando contemporaneamente le proprie dimissioni. Il sovrano però le rigetta senza neanche pensarci un secondo: “Dal momento che c’è un governo, tocca al governo sanare la situazione”.
Due ore dopo il re e il Presidente del Consiglio hanno un altro colloquio a Villa Savoia. Vittorio Emanuele III sfoglia e legge i vari telegrammi inviati dalle prefetture dove sono scoppiati i disordini e Facta propone di dichiarare lo stato d’assedio. Il re sembra accettare la proposta ma sottolinea l’importanza che tutti i ministri siano d’accordo su questa soluzione. I due si congedano così.
Facta viene svegliato in piena notte da un sottosegretario che lo informa del fatto che la marcia fascista verso Roma è già in corso e che la situazione sta precipitando. Il presidente del Consiglio, allora, convoca immediatamente il Consiglio dei ministri, che si riunisce al Viminale alle cinque. La riunione che si svolge è caotica e grottesca. Tutti i ministri concordano sul fatto di dichiarare lo stato d’assedio, ma paradossalmente, nessuno dei presenti conosce precisamente le procedure da seguire per compilare il decreto in questione.
Dopo aver superato l’impasse il governo dirama l’ordine di stato d’assedio all’esercito e ne dispone l’invio alle Prefetture. La marcia su Roma, così, sembra fallire prima ancora di essere realmente iniziata. Verso le 9 però si verifica un colpo di scena: Facta rientra pallido dal Quirinale e annuncia ai colleghi che Vittorio Emanuele III ha rifiutato di firmare il testo e gli ha impartito anche una bella ramanzina per aver disposto l’affissione del testo nella capitale senza prima aver ottenuto la sua approvazione.
Facta, poche ore dopo, fa un secondo tentativo ma il re resta fermo sulla sua posizione strappando in due il foglio del decreto. Questa decisione di Vittorio Emanuele III rappresenta il mistero centrale dell’evento, su cui gli storici ancora oggi discutono. Alcuni tirano in ballo la simpatia di molti esponenti dell’esercito verso il movimento fascista, anche se nulla fa supporre che l’esercito avrebbe mai osato spingersi sulla via della ribellione di fronte ad un ordine chiaro del sovrano.
La tesi più diffusa, punta, invece, verso una scelta autonoma del re, persuaso forse dal fatto che una repressione armata della sedizione fascista non sarebbe valsa a ripristinare un clima sereno e pacifico all’interno del Paese. Proprio il sovrano, a distanza di anni dall’evento, giustificherà questa decisione affermando di avere agito nell’interesse comune, affinché “gli italiani non si ammazzassero tra di loro“.
Vittorio Emanuele III e Luigi Facta sullo stato d’assedio
Facta: “Ecco il decreto di stato d’assedio, Maestà”
Re: “Mi dispiace Facta ma non lo firmo, è un provvedimento troppo grande”
Facta: “Veramente dopo i colloqui di stanotte…”
Re: “Stanotte non conoscevo con esattezza la situazione, caro Facta”
Facta: “Ma io.. ho meditato molto prima di proporlo e anche adesso lo propongo con dolore grandissimo…”
Re: “E chi lo obbliga a farlo? Lo ritiri”
Facta: “Ma è già agli atti del Consiglio dei Ministri, non posso più ritirarlo”
Re: “In ogni caso sia ben chiaro che io non lo firmo”
Facta: “Maestà, lo stato d’assedio è stato già preannunciato a tutte le autorità civili e militari”
Re: “Che cosa ha detto?”
Facta: “I telegrammi sono partiti 2 ore fa”
Re: “Molto male! .. Senza la mia firma lei non poteva farlo, nel modo più assoluto!”
Facta: “E adesso come facciamo?”
Re: “Semplicissimo: facciamo spedire il contrordine in cui si annuncia che il decreto non entrerà in vigore”
Facta: “vado subito al Viminale a dare disposizioni”
La marcia su Roma, da Salandra a Mussolini
Revocando lo stato d’assedio Vittorio Emanuele III affida inizialmente l’incarico di formare il nuovo governo ad Antonio Salandra. Questa sembrerebbe essere la scelta migliore poiché Salandra, oltre ad essere da tempo molto apprezzato da Mussolini, è stato in quelle ore l’interlocutore privilegiato del quadrumviro De Vecchi in vista di una possibile alleanza di governo.
Mussolini si trova però, in questo momento, in una posizione di forza e se solo qualche ora prima era favorevole a questa soluzione, adesso alza la voce, abbandonando qualsiasi ipotesi di mediazione:
“Il governo deve essere nettamente fascista. Ogni altra soluzione è da respingere. Comprendano gli uomini di Roma che è ora di finirla con i vuoti formalismi. Il fascismo vuole il potere e l’avrà”.
La mattina del 29 ottobre Cesare Maria De Vecchi, Costanzo Ciano e Italo Balbo bussano all’abitazione di Antonio Salandra, virtualmente già Presidente del Consiglio. Dopo brevi convenevoli lo informano che Benito Mussolini è contrario a questa soluzione politica; Salandra fa buon viso a cattivo gioco esclamando: “Meno male, alla mia età il peso di un governo mi sarebbe diventato insopportabile“. Il politico di lungo corso si reca allora dal sovrano per rinunciare all’incarico.
A Vittorio Emanuele III, il quale non nasconde una certa irritazione per l’evolversi della vicenda, non resta che convocare il capo del Partito nazionale fascista per un colloquio. Quest’ultimo, però, si rifiuta di muoversi prima di aver ricevuto ufficialmente per iscritto l’incarico di formare il nuovo gabinetto. Il telegramma tanto atteso arriva in città, nella redazione del quotidiano Il Popolo d’Italia, qualche ora dopo, nel tardo pomeriggio. Il nuovo capo del governo rifiuta il treno speciale. “Cominciamo a farlo risparmiare un pò questo Stato“, sentenzia, e prenota immediatamente un posto nel vagone letto del direttissimo destinazione Roma in partenza dalla stazione di Milano alle ore 20,30.
Alle 10,50 il treno con a bordo Benito Mussolini arriva alla stazione Termini di Roma. Sono ad attenderlo poche camicie nere bagnate e sporche di fango. Il resto della sua milizia armata sta bivaccando nei dintorni della capitale, ancora in attesa del via libera da parte dei quadrunviri non arrivato fino a quel momento. Dopo una breve sosta in albergo Mussolini viene ricevuto al Quirinale dal sovrano, al quale (secondo la versione fascista) rivolge queste prime parole:
“Chiedo perdono a Vostra Maestà se sono costretto a presentarmi ancora in camicia nera, reduce dalla battaglia fortunatamente incruenta che si è dovuta impegnare. Porto a Vostra Maestà l’Italia di Vittorio Veneto, riconsacrata dalla vittoria, e sono di vostra maestà il fedele servitore”.
30 ottobre 1922: Mussolini diventa capo del governo
Ottenuto ufficialmente da Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il nuovo governo Mussolini si adopera per costruire, sin da subito, il mito della marcia su Roma, facendola passare come una vera e propria Rivoluzione fascista. Convince, infatti, il re a far entrare il 31 ottobre gli squadristi nella capitale e fa immortalare la sfilata delle camicie nere, durata cinque ore, con filmati e fotografie.
Ai giornalisti del quotidiano Corriere della Sera che lo intervistano per primi nelle sue nuove vesti di presidente del Consiglio, il 39enne Mussolini rivendica il carattere originale della marcia su Roma, dove non è stato necessario l’utilizzo di armi né si sono verificati spargimenti di sangue: “Dite la verità che abbiamo fatto una rivoluzione unica al mondo. In quale epoca della storia, in quale paese mai si è fatta una rivoluzione così? Abbiamo portato a termine la rivoluzione mentre i servizi funzionavano, i commerci continuavano, gli impiegati erano al loro posto, gli operai nelle officine e i contadini nei campi attendevano pacificamente al loro lavoro. E’ una rivoluzione di stile nuovo!“.
Cesare Rossi, ex socialista e fascista della prima ora, così commenterà successivamente la prese del potere da parte dei fascisti: “In quei venti giorni Mussolini fu veramente grande nell’arte di muovere i fili; fece tutti fessi, per dirla volgarmente“.
Emilio Gentile racconta la marcia su Roma del fascismo
Anniversario della marcia su Roma, 28 ottobre 1939
Foto scattata a Piazza Venezia, il 28 ottobre del 1939, in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della Marcia su Roma del 1922. Sullo sfondo, alla fine di “Via dell’Impero” (odierna Via dei Fori Imperiali), è ben visibile anche il Colosseo.
I libri consigliati da Fatti per la Storia
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- Gianpasquale Santomassimo, La marcia su Roma, Giunti Editore, 2000.
- Giulia Albanese, La marcia su Roma, Laterza, 2006.
- Emilio Gentile, E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma, Laterza, 2014.
- Marco Mondini, Roma 1922, Il Mulino, 2022.
- Mauro Canali, Clemente Volpini, Gli uomini della marcia su Roma. Mussolini e i quadrumviri, Mondadori, 2022.