Seconda guerra mondiale: riassunto in breve, articoli e timeline con date chiave

Leggi di più
01/09/1939
L'invasione nazista della Polonia
Invasione tedesca della Polonia ed inizio della seconda guerra mondiale
10/06/1940
L'ingresso dell'Italia nella guerra
Discorso di Mussolini e dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra
22/06/1941
L'inizio dell'Operazione Barbarossa
Violazione del patto Molotov-Ribbentrop e invasione tedesca dell'URSS
07/12/1941
L'attacco giapponese a Pearl Harbor
Bombardamento giapponese della flotta americana stanziata nelle Hawaii
02/02/1943
La resa tedesca a Stalingrado
Fine della battaglia per il controllo di Stalingrado con vittoria dei sovietici
06/08/1945
La bomba atomica su Hiroshima
Bombardamento atomico degli americani sulla città giapponese di Hiroshima
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Riparazioni di guerra e trattati di pace della prima guerra mondiale

La Prima guerra mondiale segna una svolta epocale per le innovazioni belliche (nuove armi e guerra di posizione), le nuove telecomunicazioni e la mobilitazione di massa. Definita quindi la prima “guerra totale” comporta però diverse conseguenze politiche, economiche, istituzionali e morali nel dopoguerra. Dopo gli armistizi del 1918 siglati dagli Alleati con la Bulgaria (Salonicco, 29 settembre) e con la Turchia (Mudros, 30 ottobre) e dall’Italia con l’Austria (Villa Giusti, 3 novembre), l’11 novembre ha luogo l’armistizio di Compiègne, tra le potenze alleate e l’impero tedesco, dopo l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II avvenuta il giorno precedente. Contemporaneamente abdica anche l’imperatore austriaco Carlo I e il 12 viene proclamata la repubblica in Austria, mentre il 16 in Ungheria.

Il 18 gennaio 1919 inizia la Conferenza di Parigi dove Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Italia avanzano i propri programmi di pace. Da questo incontro, conclusosi il 21 gennaio, scaturiscono i vari trattati di pace: Versailles con la Germania (28 giugno 1919), Saint-Germain con l’Austria (10 settembre 1919), Neuilly con la Bulgaria (27 novembre 1919), Trianon con l’Ungheria (4 giugno 1920) e Sèvres con la Turchia (10 agosto 1920), la quale in seguito firmerà il Trattato di Losanna (24 luglio 1923).

Le principali conseguenze sono la dissoluzione degli Imperi Russo, Tedesco, Austro-Ungarico e Ottomano e la nascita di nuovi Stati: Finlandia, Lituania, Lettonia, Estonia, Albania, Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia. Quest’ultime tre nazioni sono create dalla cessione obbligata dell’ex Impero Asburgico. Gli austriaci devono anche cedere all’Italia il Sud Tirolo, Trieste, il Trentino e Istria.

L’Articolo 231 del Trattato di Versailles, conosciuto come “clausola di colpevolezza”, obbliga la Germania ad assumersi la totale responsabilità dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e quindi dei danni causati. Per questo motivo l’esercito tedesco viene limitato a 100.000 unità e il servizio di leva eliminato. Inoltre, vengono posti limiti alla Marina Militare, viene vietata la creazione dell’aeronautica militare e viene imposto l’obbligo di cedere alcuni territori, tra cui l’Alsazia e la Lorena alla Francia.

La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, le condizioni di resa imposte alla Germania e l’impossibilità di unificazione tra austriaci e tedeschi creano diverse tensioni nazionali, preludio di ulteriori conflitti. Questa situazione mina quindi la cooperazione europea in quanto Germania, Austria, Ungheria e Bulgaria iniziano a violare i termini economici e militari imposti. I partiti di estrema destra costruiscono la propria credibilità sulla revisione dei trattati.

Ascesa dei partiti dittatoriali

Al termine del conflitto la cartina geopolitica europea è rinnovata e i nuovi stati indipendenti vengono fondati basandosi sul principio di nazionalità e sono dotati di istituzioni democratiche. L’unica eccezione nell’Europa postbellica è la Russia che nel 1922 diventa l’Urss. Le nuove democrazie però non godono del sostegno delle masse e questo comporta la diffusione di regimi autoritari di destra.

Nel 1919 prende il potere in Ungheria il regime di Miklós Horthy e nel 1922 Benito Mussolini e il fascismo si insediano in Italia. Lo stesso accade Polonia nel 1926 con Józef Piłsudski, in Jugoslavia con colpo di stato del 1929 dello stesso re Alessandro I, in Portogallo dal 1932 con la dittatura di Salazar, in Germania nel 1933 con Adolf Hitler e in Austria con Engelbert Dollfuss. Anche in Bulgaria dal 1934 sale al potere il governo Zveno, in Grecia dal 1936 il regime di Metaxas, in Romania nel 1938 la Guardia di Ferro e in Spagna nel 1939 Francisco Franco vince la guerra civile e prende il potere. Tra questi regimi di natura autoritaria e dittatoriale di estrema destra, alcuni assumono una deriva totalitaria: fascismo, stalinismo e nazismo.

Il Partito Nazionalsocialista di Hitler tra gli anni Venti e Trenta assume sempre più considerazione politica tramite le promesse di riarmo, di restituzione dei territori e di raffermazione del potere internazionale. I sentimenti ultranazionalisti emersi fanno in modo che gli elettori chiudano un occhio sull’estremismo dell’ideologia nazista. Tra il 1935 e il 1938 Hitler riesce a far revocare le limitazioni del trattato di Versailles, rimilitarizzare la Renania, annettere l’Austria e parte della Cecoslovacchia.

Inizio della seconda guerra mondiale

Per evitare l’intervento sovietico, Hitler negozia il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop con l’Unione Sovietica nell’agosto 1939. L’accordo stabilisce la spartizione della Polonia tra le due potenze. Il 1° settembre la Germania invade quindi la Polonia in un attacco a sorpresa con circa 2000 carrarmati, 900 bombardieri e 400 aerei da combattimento. La velocità e il dispiegamento delle forze impiegate fanno sì che venga coniato il termine Blitzkrieg in riferimento alla tattica tedesca della guerra-lampo. In seguito all’invasione, Gran Bretagna e Francia si rivelano fedeli agli accordi e dichiararono guerra alla Germania il 3 settembre 1939. In base al patto Molotov-Ribbentrop il 29 settembre 1939 la Germania e l’Unione Sovietica si spartiscono la Polonia, delineando la divisione lungo il fiume Bug. La Germania ottiene quindi la parte occidentale, mentre l’Urss quella orientale.

L’invasione tedesca dell’Unione Sovietica

La suddivisione rimane tale fino all’invasione tedesca dell’Urss del 22 giugno 1941. Inizia così l’Operazione Barbarossa che apre il fronte orientale, lungo 1800 km dal Mar Baltico al Mar Nero. L’Armata Rossa è colta impreparata e in due settimane l’esercito nazista giunge fino a Leningrado, ma i sovietici attuano un’efficace resistenza alle porte di Mosca e rallentano l’avanzata nemica.

La svolta della guerra a Stalingrado

Nonostante le ingenti perdite subite, l’Armata Rossa resiste, anche grazie all’arrivo del rigido inverno russo. La tattica tedesca della blitzkrieg, quindi, non funziona e a causa del prolungamento dei conflitti la Wehrmacht è costretta a dirigersi verso il Caucaso, situato nella zona meridionale dell’Unione Sovietica, perché ricco di risorse vitali e di bacini petroliferi.

Nel frattempo, però Hitler e i suoi comandanti decidono di conquistare Stalingrado sia per bloccare un’importante via di rifornimento sovietica, in quanto città industriale situata sul fiume Volga, sia per infliggere un’umiliazione diretta a Stalin perché è la città a lui intitolata. Tra luglio e settembre 1942 i tedeschi l’assaltano e in ottobre sembrano vicino alla vittoria, ma ancora una volta la tenace resistenza sovietica e l’arrivo dell’inverno rallentano le truppe della Wehrmacht. I sanguinosi combattimenti causano ingenti perdite all’esercito tedesco e i sovietici ne approfittano per accerchiarli. Dopo gli ultimi scontri avvenuti tra il 10 gennaio al 2 febbraio 1943 l’esercito nazista cede e questa si rivela la prima grande sconfitta politico-militare della Germania nazista e dei suoi alleati. È l’inizio della ritirata tedesca.

Il Pacifico: attacco a Pearl Harbor e ingresso in guerra degli Stati Uniti

Il 7 dicembre 1941 avviene l’attacco strategico giapponese al porto militare statunitense di Pearl Harbor, sull’isola di Oahu, nell’arcipelago delle Hawaii. Il giorno seguente gli Stati Uniti decidono di prendere parte al conflitto in corso e il Presidente Roosevelt dichiara guerra al Giappone, definendolo “codardo”, nel suo famoso discorso: «Ieri, 7 dicembre 1941 – una data che resterà segnata dall’infamia».

In seguito a questa dichiarazione, la maggioranza degli americani si rivela sostanzialmente favorevole all’ingresso in guerra del paese. L’acceso dibattito in vigore tra isolazionisti e internazionalisti cessa. Poco dopo, l’11 dicembre, Germania e Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti in quanto rimangono fedeli al Patto Tripartito (Asse Roma-Berlino-Tokyo), accordo sottoscritto il 27 settembre 1940. Nel novembre 1940, Ungheria, Romania e Slovacchia si uniscono all’Asse. Il 1° marzo 1941 anche la Bulgaria.

Attacco Pearl Harbor
La USS Arizona colpita dall’aviazione giapponese, 7 dicembre 1941

Le battaglie nell’oceano Pacifico e in Asia

Pearl Harbor si rivela essere solo l’inizio dell’offensiva giapponese nell’Oceano Pacifico. Nel corso del mese successivo, quindi tra l’8 dicembre 1941 e il 23 gennaio 1942 il Giappone invade Hong Kong, Guam e Wake, Singora, Singapore e la Birmania e costringe le forze americane a ritirarsi dalle Filippine. Dopo le numerose perdite subite, nella battaglia delle Midway (4-7 giugno 1942) la Marina degli Stati Uniti respinge l’attacco giapponese in quella che diventa la più grande vittoria navale statunitense della Seconda guerra mondiale. Gli americani affondano quattro grandi portaerei di squadra nemiche e segnano così un punto di svolta nella guerra del Pacifico arrestando l’avanzata nipponica.

Tra il 3 giugno 1942 e il 15 agosto 1943 avviene la campagna delle isole Aleutine, dove gli Alleati riescono a riconquistare le isole di Attu e Kiska, in mano ai giapponesi dal giugno 1942. Nel frattempo, si combatte anche la campagna di Guadalcanal (7 agosto 1942-9 febbraio 1943), isola delle Salomone meridionali. È la prima grande offensiva degli Alleati contro il Giappone e la loro prima grande vittoria strategica in quanto vengono ribaltati i ruoli. Gli americani, che fino a questo momento si erano difesi, iniziano così le operazioni offensive, mentre il Giappone è costretto alla difensiva.

In seguito, gli Stati Uniti, tra il 1943 e il 1944, attuano campagne sempre più efficaci nel Pacifico fino alle definitive battaglie di Iwo Jima (19 febbraio 1945-26 marzo 1945) e quella di Okinawa (1° aprile 1945-22 giugno 1945), la più grande operazione anfibia statunitense. Nonostante le ingenti perdite da ambo i lati, queste due battaglie vengono vinte dagli statunitensi, i quali però realizzano la violenza e le difficoltà di invadere via terra il Giappone e optano quindi per l’utilizzo delle bombe atomiche.

L’Italia nella seconda guerra mondiale

L’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940 al fianco della Germania nazista. Il 21 giugno invade il sud della Francia e inizia così la battaglia delle Alpi Occidentali, un attacco di dubbia moralità date le condizioni già precarie della Francia a causa della precedente invasione nazista. L’impegno maggiore di truppe da parte del Regno d’Italia avviene nella Campagna del Nord Africa e dell’Africa Orientale. All’entrata in guerra i suoi possedimenti erano Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia. Il 13 settembre 1940 gli italiani invadono l’Egitto, che era sotto il controllo della Gran Bretagna, ma i britannici li respingono e avanzano conquistando la Cirenaica. Nel febbraio del 1941 i britannici attaccano e occupano le colonie italiane di Eritrea e Somalia, per poi conquistare anche l’Etiopia, ponendo fine all’Africa Orientale italiana nel novembre 1941.

Nel frattempo, i tedeschi inviano l’Africakorps per supportare le armate italiane in difficoltà e tra il gennaio e marzo 1942 l’armata italo-tedesca vince la battaglia di Ain el-Gazala facendo ripiegare i britannici. Questo successo però dura poco e il 23-24 ottobre 1942 le truppe inglesi conseguono un’importante vittoria a El Alamein in Egitto, costringendo le forze dell’Asse alla ritirata dalla Libia al confine orientale della Tunisia. L’8 novembre 1942 le truppe americane e inglesi sbarcano in Algeria e Marocco nell’Africa del Nord francese. L’esercito francese del governo collaborazionista di Vichy non riesce a fermare l’invasione e gli Alleati occupano quindi la Tunisia. Il 13 maggio 1943 le forze dell’Asse in Tunisia si arrendono agli Alleati. Termina così la campagna dell’Africa del Nord.

Il 28 ottobre 1940 l’Italia invade la Grecia dall’Albania, ma fatica ad avere successo e viene respinta in territorio albanese fino al 23 aprile 1941, quando interviene la Germania che riesce a far capitolare la Grecia e la Jugoslavia, tra aprile e giugno, nella più generale campagna dei Balcani. Questi eventi dimostrano l’inefficacia bellica italiana e la sua incapacità di condurre operazioni autonome senza l’aiuto dei tedeschi.

Seconda guerra mondiale: mobilitazione di uomini e schieramenti in campo

Nel corso del conflitto dei 2,2 miliardi di abitanti della terra, ne vengono mobilitati circa 130 milioni appartenenti a trenta nazioni. In termini assoluti sono il Reich, gli USA, l’URSS e la Cina che impiegano i contingenti più numerosi. In Germania il reclutamento di massa degli uomini è possibile con il contributo di nove milioni di lavoratori stranieri, la maggior parte dei quali non sono volontari ma prigionieri di guerra e detenuti in campo di concentramento. In URSS il peso della mobilitazione rischia di far collassare l’intero apparato economico del paese anche perché nel 1942 circa 62 milioni di russi si trovano ancora sotto occupazione tedesca. Per quel che riguarda il Regno Unito, invece, il prelievo di preziose risorse dalla popolazione maschile viene limitato a partire dal 1942 per evitare la paralisi dell’economia e tale scelta ponderata si dimostrerà vincente alla lunga.

Nel complesso i paesi dell’Asse mobilitano 40 milioni e 480 mila persone mentre gli alleati ne impiegano all’incirca 86 milioni e 691 mila. Ad affiancare la Germania nazista nella sua titanica impresa di dominio globale, dando vita allo schieramento delle potenze dell’Asse sono paesi quali l’Italia, il Giappone, la Finlandia, la Romania, la Bulgaria, l’Ungheria, la Croazia, la Slovacchia e il Manchukuo. A comporre, invece, la coalizione degli Alleati sono URSS, USA, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Jugoslavia, Sudafrica, Grecia, Polonia, Belgio, Francia, Paesi Bassi, Norvegia, Cina e India.

Politiche razziali e Olocausto

Tra il 1933 e il 1939 il sentimento di contrarietà verso determinati gruppi sociali da parte dei nazionalisti tedeschi sfocia nelle politiche razziali del partito nazista, tali per cui le minoranze presenti in Germania vengono considerate “indesiderabili” e responsabili della negativa situazione tedesca. Tra questi vi sono gli zingari, i dissidenti politici, i malati mentali, i disabili, i sottogruppi sociali etnici e soprattutto gli ebrei. Quindi il sostegno della superiorità della “razza ariana”, considerata pura, crea diverse discriminazioni ai danni dei gruppi subordinati. Gli individui di origine ebraica vengono accusati di aver causato i maggiori problemi della Germania (povertà, disoccupazione e sconfitta nel primo conflitto).

L’antisemitismo, già esplicitato nel Mein Kampf, il saggio scritto da Hitler e pubblicato nel 1925, peggiora in seguito alla Notte dei lunghi coltelli (30 giugno-1° luglio 1934) in quanto le SS e la Gestapo supportano con la violenza le politica antisemita del Fuhrer. Questa ideologia prende forma con le Leggi di Norimberga proclamate il 15 settembre 1935 al Reichstag del partito nazista, basate sulla “purezza del sangue tedesco” e volte all’esclusione degli ebrei dalla vita sociale tedesca: la legge sulla cittadinanza del Reich nega agli ebrei la cittadinanza germanica e la legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco proibisce i matrimoni e le convivenze tra “ebrei” e tedeschi. Agli ebrei viene vietato l’ingresso in diversi luoghi pubblici e l’accesso alle professioni lavorative in modo tale da non poter influenzare in alcun modo la politica, l’economia e l’opinione pubblica. La situazione peggiora con la Notte dei cristalli (9-10 novembre 1938), l’ondata di pogrom antisemiti diffusi nell’intera nazione.

Per definire il genocidio attuato dai nazisti si utilizza il termine Olocausto, che comprende lo sterminio degli ebrei (Shoah) (circa 6 milioni), delle popolazioni slave (polacchi, ucraini, bielorussi, jugoslavi) (circa 4 milioni), dei prigionieri di guerra sovietici (3 milioni) e degli oppositori politici (circa 2 milioni). Anche altre categorie sociali come i massoni, le minoranze etniche (rom, sinti e jenisch), alcuni gruppi religiosi (Testimoni di Geova e pentecostali), gli omosessuali e le persone con disabilità mentali o fisiche ne sono ulteriori vittime (circa 1 milione). Il numero di morti dell’Olocausto tra il 1933 e il 1945 per mano del regime nazista ammonta a circa 16 milioni.

La conferenza di Jalta

Tra il 4 all’11 febbraio 1945 si tiene la conferenza di Jalta a Livadija, in Crimea, presieduta da Roosevelt, Churchill e Iosif Stalin, i quali dichiarano la liberazione dell’Europa, discutono l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e indicono le elezioni democratiche nei Paesi liberati. Le riparazioni per i danni di guerra dovuti alla Germania vengono fissati a 22 miliardi di dollari e viene decisa la necessità di organizzare il Processo di Norimberga per i crimini di guerra che inizierà il 20 novembre 1945. Inoltre, la Germania viene smilitarizzata e divisa in Est (Repubblica Democratica Tedesca) e Ovest (Repubblica Federale Tedesca) come rimarrà fino al 1990.

In marzo e aprile 1945 le truppe americane e sovietiche entrano in Germania. Inoltre, gli Alleati, che dal luglio 1943 avanzavano verso il Nord Italia dopo lo sbarco in Sicilia, vincono la lotta per la liberazione con l’aiuto della resistenza italiana il 25 aprile 1945. Tre giorni dopo viene ucciso Mussolini e il 30 aprile Hitler si suicida. L’8 maggio i tedeschi firmano la resa incondizionata con il generale Dwight D. Eisenhower.

Trattato di Potsdam

L’ultimo vertice della Seconda guerra mondiale si tiene tra il 17 luglio e il 2 agosto 1945. Questa volta la conferenza è presieduta dal presidente americano Harry S. Truman, succeduto alla morte di Roosevelt, e dal primo ministro inglese Clement Attlee, il quale vince le elezioni proprio durante la conferenza e sostituisce quindi Winston Churchill. Stalin permane come rappresentante dell’Urss. Viene concordato il confine tra Germania e Polonia sulla linea Oder-Neiße e viene ordinato ai tedeschi presenti in territorio polacco, cecoslovacco e ungherese di tornare nella Nazione tedesca. Inoltre, l’Austria e la Germania vengono divise in quattro zone d’occupazione (Urss, Usa, Inghilterra e Francia).

Potsdam è anche la sede dell’ultima intimidazione lanciata da Truman ai giapponesi. I giapponesi però proseguono la guerra e quindi gli statunitensi, già in possesso di Okinawa, sganciano le bombe nucleari su Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945). In seguito a questi tragici eventi la Seconda guerra mondiale termina il 2 settembre 1945 con la resa del Giappone.

Il secondo dopoguerra

La Seconda guerra mondiale modifica l’assetto internazionale. Il piano Marshall e l’ONU assicurano la ricostruzione e il mantenimento della pace in Europa. Nel 1949 nasce la NATO e nel 1955 il Patto di Varsavia, accentuando la divisione del mondo in due blocchi contrapposti (democrazia e comunismo) sotto il timore di un possibile conflitto nucleare. Le ostilità tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sono evidenti già nel dopoguerra e caratterizzeranno la seconda metà del Novecento fino a caduta del muro di Berlino (1989) e la disgregazione dell’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991.

A cura di Marco Speroni, laureato magistrale in Informazione, culture e organizzazione dei media