CONTENUTO
di Anna Dunia Carrozza
Quali sono le ragioni che hanno portato una nazione a perseguitare un popolo intero, come ha fatto a guadagnare il consenso dell’opinione pubblica e quali altri gruppi hanno dovuto subire discriminazioni e la conseguente deportazione nei campi di concentramento?
Le antiche radici dell’antisemitismo
Nell’immaginario collettivo, quando si fa riferimento all’antisemitismo, il collegamento ai crimini perpetrati dai nazisti nei confronti della comunità ebraica è pressoché immediato, così come si dà per scontato che questo fenomeno sia nato pochi anni prima dello scoppio ufficiale della Seconda Guerra Mondiale. L’antisemitismo, in realtà, ha origini più antiche e radici ben piantate nella tradizione dalla religione cristiana.
Siamo nel 33 d.C. quando, stando ai racconti evangelici, la popolazione ebraica si macchia della così detta colpa collettiva: la decisione di mandare a morire in croce Gesù, il figlio di Dio, invece di un ladro come Barabba, ha ripercussioni infauste per decine di migliaia di ebrei nei secoli a venire. Questo avvenimento fornisce, in una società in cui la chiesa punta all’egemonia non solo religiosa, ma anche politica e culturale, un movente valido per fare pressioni e costruire pregiudizi sulla comunità ebraica sparsa in tutta l’Europa.
Vedremo poi nel 1215 durante il Concilio Lateranense IV, presieduto da Papa Innocenzo III, riaffermate vecchie e redatte nuove disposizioni nei confronti degli ebrei, molte delle quali verranno abilmente utilizzate successivamente come base di partenza per la stesura delle future leggi razziali. Tra queste si ricordano le seguenti:
- ai cristiani era vietato il prestito a interesse che veniva permesso, invece, agli ebrei;
- gli ebrei dovevano essere ben distinti e riconoscibili rispetto al resto della popolazione, onde evitare unioni promiscue con cristiani;
- agli ebrei era vietato rivestire uffici pubblici.
La conseguenza di queste prescrizioni ecclesiastiche è che quasi tutte le associazioni professionali non accettano collaboratori di razza ebraica, costringendoli a prestare servizio esclusivamente come cambiamonete o prestasoldi e ad attirarsi l’odio dei ceti sociali più bassi.
Tutti avrebbero dovuto rivolgersi prima o poi ad un ebreo per cercare un prestito – che spesse volte rischiava di venire negato, o peggio, non saldato, il che portava l’ebreo esattore pronto a riscuotere il debito a rendersi ancora più detestabile- e ciò non faceva altro che alimentare un odio feroce e letale. Nasce così la figura dell’ebreo usuraio che con le dita lunghe e bitorzolute, un ghigno sul viso e il naso adunco, stringe avidamente il suo denaro.
Un’altra leggenda voleva gli ebrei come portatori di sciagure, motivo per cui nel Medioevo, periodo in cui la peste faceva da padrona mietendo decine di migliaia di vittime, spopolando intere regioni e seminando il terrore, vennero considerati colpevoli di aver attirato sulla popolazione cristiana la punizione divina, di aver avvelenato i pozzi ed anche di agire da untori contagiando la brava gente cristiana. Ogni volta che il flagello della peste colpì l’Europa aumentarono le sommosse popolari antisemite, i massacri e saccheggi, spesso appoggiate e promosse dalle stesse autorità.
Un esempio tra tutti è il “Massacro di San Valentino” episodio in cui, il 14 febbraio 1349, a Strasburgo si diede il via alla “caccia all’ebreo”: in questa circostanza gli ebrei vengono perseguitati, massacrati e, i poveri sventurati ancora vivi, raggruppati e bruciati vivi.
Perché i nazisti scelgono proprio gli ebrei?
Il risentimento verso la razza ebraica viene efficacemente e subdolamente diffuso da Adolf Hitler e i suoi sostenitori, i quali cercano in un primo momento di individuare un capro espiatorio a cui attribuire la colpa di tutte le disgrazie ricadute sulla Germania, ormai piegata in due a causa delle pesanti sanzioni stabilite dal Trattato di Versailles dopo la Prima Guerra Mondiale.
All’epoca Hitler sfrutta a vantaggio della sua ideologia la figura dell’ebreo usuraio e avido accusando la loro comunità di aver accumulato in massa i soldi nazionali contribuendo alla gravissima crisi economica con cui la Repubblica di Weimar si ritrova a fare i conti, indicandoli causa diretta di tutti i problemi economici del paese.
Invece di cercare le cause della disfatta in guerra nella scarsa preparazione e organizzazione delle risorse, i nazionalisti e gli ex capi militari cercano di addossare la colpa ad altri, e chi meglio di un popolo già noto per agire solo per il proprio tornaconto? Gli ebrei ora non solo sono colpevoli della condizione economica, ma anche criminali di guerra al pari di socialdemocratici e dei comunisti.
Vengono denominati criminali di novembre, accusati di aver pugnalato alle spalle l’esercito, agendo quindi sul fronte interno e tradendo così il popolo tedesco. Nella tradizione prende il nome di Dolchstoßlegende – ovvero leggenda della pugnalata alle spalle, e persuade i tedeschi che l’esercito e i capi militari non hanno colpe, che esiste un nemico che vuole il male della nazione e l’umiliazione della Germania. Inutile dire che questo mito sociale getta le basi del consenso alla successiva propaganda antisemita promossa dal partito.
L’antisemitismo nell’Italia Fascista: le leggi razziali
Il Führer tedesco trova terreno fertile per la semina dell’antisemitismo anche nell’Italia fascista. Il 14 luglio 1938 viene pubblicato il “Manifesto della Razza”, redatto quasi tutto da Benito Mussolini, ma sottoscritto da un gruppo di scienziati a confermare la veridicità di quanto riportato nel testo.
Dal 5 agosto 1938 viene stampato, con cadenza regolare fino al 1943 con la bellezza di ben 117 numeri pubblicati, “La difesa della razza” rivista quindicinale pubblicata per Editrice Tumminelli, sotto la direzione di Telesio Interlandi e la supervisione del segretario di redazione Giorgio Almirante. Gli articolisti incaricati scrivono di omosessualità, definendola un qualcosa che viola le leggi della natura, di comunismo, ritenuto una delle principali sciagure dell’umanità, ma anche di numerose teorie complottiste prive di fondamenta secondo cui russi, ebrei e massoni stessero tramando in gran segreto per il dominio del mondo.
A partire dal 5 settembre 1938 entrano poi in vigore le cosiddette “leggi razziali“, una serie di pesanti discriminazioni nei confronti degli ebrei che riprendono le leggi di Norimberga redatte dal Reichstag nel settembre di tre anni prima.
L’antisemitismo italiano si distingue da quello tedesco poiché ha una forte componente religiosa/spirituale: tende, in principio, a discriminare gli ebrei non convertiti. “Discriminazione non significa perseguitare” è la scritta che capeggia sul Corriere della Sera del 6 agosto 1938, citazione di un discorso tenuto da Mussolini, discorso che avrà vita breve: con l’avvento della Repubblica Sociale Italiana questa distinzione tra antiebraismo spirituale e biologico verrà completamente a cadere, e gli ebrei italiani verranno perseguitati alla pari di quelli tedeschi.
La questione della razza nella Germania nazista
I nazisti raggiungono grandi risultati grazie alla ferrea formazione impartita alla gioventù tedesca sull’orgoglio razziale. Si servono, manipolandoli, di concetti propri della biologia, riformulandoli in modo da determinare la superiorità della razza ariana. La “Nationalsozialistische Lehrerbund” (Lega nazionalsocialista degli insegnanti, NSLB) educa le scolaresche a essere orgogliose della propria razza superiore di appartenenza sin dalla tenera età, facendo pressioni, poi, sui più grandi affinché mantengano pura la loro discendenza, scegliendo solo donne ariane. Si predica che la segregazione razziale sia una cosa del tutto normale, proprio come le leggi vigenti in natura per cui specie separate non si uniscono tra loro.
E’ poi nel 1935, con la promulgazione delle leggi di Normberga, che la mancanza di rispetto verso la purezza del sangue diviene un crimine vero e proprio. Gli ariani che intraprendono relazioni sessuali con razze impure vengono accusati di “rassenschande”, ovvero marchiati di vergogna razziale, e rischiano di venire confinati nei campi di concentramento. Attraverso i libri di testo, i manifesti e, soprattutto, il cinema vengono dimostrate con concretezza le differenze esistenti tra ebrei e tedeschi, facendo intendere che i tedeschi rappresentano la razza madre ariana mentre gli ebrei sono semplicemente inferiori, parassiti e subumani- in tedesco “Untermenschen“, che si contrapponeva a “Ubermenschen“, Superumani, usato per descrivere i tedeschi.
Il più grande successo cinematografico della propaganda nazista è sicuramente la pellicola intitolata “Süss l’ebreo” (Jud Süß) distribuita nel 1940. Il film racconta, in maniera romanzata e faziosa, la vicenda storica del ministro delle finanze del Württemberg Joseph Süß Oppenheimer, durante il regno del duca Carlo I Alessandro. Viene mostrato chiaramente come le politiche adottate dall’ebreo Süss, mosso solo da ambizione personale e odio e desiderio di vendetta nei confronti dei tedeschi, abbiano portato a difficoltà economiche, sociali, politiche e morali nel Ducato, creando un forte un parallelo con la situazione della Germania post-Versailles.
Anche se la propaganda mirata alla conservazione razziale è rivolta soprattutto ai giovani, anche gli adulti ne sono soggetti a partire almeno dalla metà degli anni Trenta, instillando la convinzione che gli ebrei (comprese donne e bambini) siano pericolosi per la Germania. Prende piede l’ideologia del “Blut und Boden” ossia “sangue e suolo”, idea precedente al periodo nazista ma prontamente rispolverato da Adolf Hitler e Joseph Goebbels nei discorsi di propaganda alla nazione per fornire le direttive delle basi su cui avrebbe dovuto sorgere il corpus giuridico, sociale e razziale tedesco, ovvero su un rapporto armonioso tra il “volk”, popolo, tedesco e il suolo.
La razza ebraica non è l’unica ad essere disprezzata
Ormai è chiaro che a meritare l’odio e il disprezzo del nazismo non è solo colui che è ebreo, ma chi, in qualche modo, mina la perfezione e la purezza della razza ariana. Nonostante i campi di sterminio siano definiti la “Soluzione finale” della questione ebraica, gli ebrei non sono gli unici ad essere deportati ed eliminati.
Oltre al marchio sul braccio che va a sostituire l’identità di una persona con un numero (numero che poteva essere appuntato anche sulla divisa, scritto in nero su stoffa bianca, posto all’altezza del cuore e al centro della coscia destra, talvolta riportati su una placchetta di latta da portare al collo o al polso) ad ogni deportato viene assegnato un simbolo colorato – per tutti un triangolo, per gli ebrei una stella di David gialla – e il colore di questo simbolo va a determinare il motivo della detenzione, per semplificare il lavoro di ufficiali nazisti alla gestione dei campi.
Chi porta in petto un triangolo rosso è un prigioniero politico, nei cui confronti è stato emesso un mandato di arresto per motivi di sicurezza; chi ne ha uno verde è un criminale comune, solitamente di origine tedesca – era tra questi che si preferiva scegliere il capo blocco, il kapò, che faceva rapporto direttamente agli ufficiali nazisti-; il triangolo nero marchia, invece, un gruppo particolare, gli asociali, che raggruppa solitamente le prostitute e senza tetto, ritenuti esclusi dalla vita della società; un triangolo di colore rosa identifica gli omosessuali; chi porta un triangolo di colore blu è un emigrato, fuoriuscito dalla Germania in quanto oppositore antinazista; un triangolo di colore marrone identifica i prigionieri rom, infine un triangolo di colore viola identifica i testimoni di Geova. Sui triangoli viene anche segnato con una lettera il paese di provenienza del detenuto. Non viene risparmiato nessuno che sia considerato nemico della patria e della razza; ha così inizio l’orrore dell’Olocausto.
Film consigliati sull’antisemitismo:
- Il mercante di Venezia, 2004.
- American History X, 1998.
- Pecore in erba, 2015.
I libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i 4 libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia, clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
- George Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto, Laterza, 2003.
- Léon Poliakov, Storia dell’antisemitismo: Dalle origini del cristianesimo all’Europa del Cinquecento, BUR, 2013.
- Jon M. Sweeney, Gesù non fu ucciso dagli ebrei. Le radici cristiane dell’antisemitismo, Terra Santa, 2020.
Mi permetto di far notare che siamo nel 33 d.C. e non nel 33 a.C., “quando, stando ai racconti evangelici (mi sembra più corretto), la popolazione ebraica si macchia della così detta colpa collettiva: la decisione di mandare a morire in croce Gesù, il figlio di Dio…”
Cordialmente