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Piani operativi e forze in campo nella Battaglia di Stalingrado
Dopo la fallita conquista di Mosca nel dicembre del 1941, Adolf Hitler ordina di riprendere l’offensiva contro i sovietici verso un nuovo obiettivo, il Caucaso. Questa regione è ricca di petrolio, materia prima di cui la Wehrmacht ha assoluto bisogno, ma per occuparla senza subire attacchi da nord è vitale conquistare Stalingrado.
Situata lungo le rive del Volga e poco distante dal fiume Don, la città ha un notevole valore strategico che le permette di essere la porta d’accesso al Caucaso in quanto posta nel punto di minima distanza tra i due grandi fiumi che collegano questa terra col resto della Russia. Essa è poi una grande città industriale e ha un influente valore propagandistico: un tempo nominata Caricyn, la città fu poi dedicata a Iosif Stalin, il quale era stato presidente del Comitato militare locale durante la guerra civile. L’offensiva in quel settore prevista per l’estate del 1942, fu denominata operazione Blu.
Il Gruppo di Armate A forte di circa un milione di soldati e supportato dagli alleati ungheresi, rumeni e italiani, al comando del generale Siegmund Wilhelm List ha come obiettivo Stalingrado e il bacino di Volga e Don mentre il Gruppo di Armate B al comando di Maximilian von Weichs punta diretto verso il Caucaso. Durante questa narrazione ci concentreremo sul primo settore.
L’inizio della battaglia di Stalingrado del 1942
Il 17 luglio 1942 la VI armata al comando del generale Friederich von Paulus, parte del Gruppo Armate A, entra in contatto con le tre malconce armate sovietiche (LXI, LXII, LXIII) nella regione del Don. Consapevole dell’importanza strategico-propagandistica di Stalingrado, Stalin emana l’ordine 227 “Non un passo indietro”, ordinando all’Armata Rossa di lottare fino alla morte e alle pattuglie dell’NKVD di sparare a chiunque tenti la ritirata.
Le armate del Don vengono però travolte ed entro gli inizi di settembre sono costrette ad asserragliarsi dentro la città. Tra tutte è la LXII armata sovietica, comandata da Vasilij Cuijkov a dover reggere l’urto maggiore dell’avanzata tedesca. Il 13 settembre inizia la guerriglia urbana e per la Wehrmacht si tratta di un tipo di guerra completamente nuovo: la superiorità della blitzkrieg tedesca era garantita dalla velocità delle sue forze corazzate, le quali una volta individuato il punto debole del nemico avanzavano in profondità, isolando intere armate dei loro centri di rifornimento e costringendole alla resa. Ora, con un nemico tenace e impossibilitati ad aggirare la città a causa del Volga in piena, i tedeschi sono costretti a combattere casa per casa una guerra di logoramento a cui non sono preparati.
La guerriglia urbana a Stalingrado
Le truppe di Paulus occupano presto la ferrovia e si avvicinano al centro della città, ma i russi resistono, contrattaccano e riconquistano vari salienti che vengono poi nuovamente occupati dal nemico. A fine settembre sulla piazza rossa sventola la bandiera nazista ma i sovietici resistono ancora grazie ai rifornimenti che tramite traghetti vengono trasportati dall’altra parte del Volga e all’artiglieria che spara dalla parte della città al di là del fiume.
I tedeschi hanno dalla loro parte la Luftwaffe che bombarda incessantemente case e palazzi. Nei mesi di ottobre e novembre la Wehrmacht avanza fino al cuore della città, fino ad occuparne il 90% e la lotta si sposta verso la zona industriale, la “fabbrica di trattori” in particolare è luogo di scontri cruenti. La guerra urbana è terribile: si combatte nelle case, nei palazzi, negli scantinati, nelle strade trasformate in trincee e persino nelle fogne, in quella che i tedeschi definiscono rattenkrieg (guerra dei topi).
Si combatte in piccole pattuglie, prediligendo l’uso di armi automatiche, bombe a mano e baionette, giungendo spesso al corpo a corpo. Fondamentale è il ruolo dei cecchini i quali uccidono gli ufficiali nemici creando il caos nelle truppe. In questo tipo di guerra i settori del fronte non sono ben delineati e un edificio può passare da una fazione all’altra più volte in un solo giorno.
La linea del fronte si alterna in maniera così repentina che spesso gruppi di soldati rimangono isolati dalle loro unità, come nel caso della “Casa di Pavlov” quando un gruppo di soldati sovietici isolati difese per cinquantotto giorni un palazzo circondato da forze tedesche. L’11 novembre, per ordine di Hitler, Paulus lancia l’ultimo attacco contro la zona industriale, ma i sovietici riescono ancora a resistere.
Assedio di Stalingrado
Il 19 novembre il destino della battaglia cambia. Il generale Georgij Konstantinovič Zukov al comando delle nove armate sovietiche al di là del Volga fa scattare l’operazione Urano. Con una manovra a tenaglia a nord e a sud della città, lancia le sue forze alle spalle del nemico, travolgendo i settori tenuti delle più deboli divisioni rumene, ungheresi e italiane, isolando la VI armata.
280.000 uomini erano ora circondati e isolati dalle loro linee di rifornimento. Paulus più propenso per una ritirata decide comunque di ubbidire agli ordini di Hitler e resiste. La battaglia continua per mesi, sempre più cruenta, ma i rifornimenti iniziano a scarseggiare. Il 12 dicembre, Von Manstein al comando di alcuni raggruppamenti corazzati va in soccorso alle truppe intrappolate, arrivando a quarantotto chilometri dalla città ma la VI armata non riesce a sganciarsi e resta sulla difensiva.
Il 16 dicembre Zukov lancia l’operazione Piccolo Saturno per circondare più a ovest i resti delle armate romene e italiane e il 24 dicembre un’ulteriore offensiva spinge verso Rostov il fronte sovietico: con queste manovre il grosso degli aeroporti venne occupato e rifornire la VI armata intrappolata diventa molto difficile.
La fine della Battaglia di Stalingrado il 2 febbraio
Il 10 gennaio 1943 inizia l’offensiva finale: dopo un intenso bombardamento d’artiglieria i sovietici assaltano la città riuscendo a ricongiungersi sulla collina di Mamaj Kurgan coi resti della LXII il 26 gennaio. con le truppe tedesche isolate in grandi sacche isolate l’una dall’altra all’interno della città, la battaglia si fa disperata e molti soldati a corto di cibo e oppressi dal gelo si arrendono. Il generale Paulus, nominato Feldmaresciallo il 29 gennaio si arrende ai sovietici il giorno seguente e l’ultima sacca a nord della città si arrende il 2 febbraio.
La battaglia di Stalingrado è finita. Costata più di un milione di morti per l’Asse e almeno altrettanti per l’Urss Stalingrado ha cambiato le sorti della Seconda Guerra Mondiale. Più di 90.000 tedeschi si arrendono ai sovietici e con la liberazione della città l’Armata Rossa passa all’offensiva. Da Stalingrado in poi il fronte orientale vedrà la Germania sulla difensiva, numericamente incapace di reggere l’urto sovietico.
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- Basil Liddle Hart, Storia militare della Seconda Guerra Mondiale, Mondadori, 1970.
- Martin Gilbert, La grande storia della Seconda Guerra Mondiale, Mondadori, 1990.
- Sergio Masini, Le battaglie che cambiarono il mondo, Mondadori, 1995.
- Giuseppe Rasolo, Le grandi battaglie della Seconda Guerra Mondiale, Newton Compton Editori, 2013.
- Vassili G. Zaitsev, Il nemico è alle porte: l’assedio di Stalingrado raccontato da un tiratore scelto dell’armata rossa, Red Star Press, 2018.