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I precedenti: Teheran e Yalta
Winston Churchill, Franklin D. Roosevelt e Iosif Stalin, i “Tre Grandi” Capi di Governo rispettivamente di Regno Unito, USA ed Unione Sovietica, si riuniscono per la prima volta a Teheran nel novembre del 1943. Gli accordi militari definiti nella capitale iraniana riguardano le azioni da intraprendere per annientare le forze armate della Germania nazista e dell’Impero giapponese; l’impegno di uno sbarco per il “secondo fronte” da effettuarsi entro il mese di maggio 1944 mentre Stalin promette l’apertura da parte sovietica di un fronte contro il Giappone. Sul piano politico i temi degli accordi convergono su argomenti quali pace, nascita delle Nazioni Unite e lotta contro il colonialismo.
“Quanto alla pace, è comune convinzione che vinceremo e che i nostri accordi renderanno la pace duratura. Noi sentiamo la suprema responsabilità, condivisa con tutte le Nazioni Unite, per ristabilire la pace e risparmiare alle future generazioni il flagello della guerra e del terrore”.
E’ a Teheran che Roosevelt delinea il suo progetto dei “four policeman”, i quattro Stati poliziotto (Usa, Urss, Regno Unito e Cina) che dovrebbero collaborare come garanti dell’ordine internazionale nel secondo dopoguerra. Ai quattro poliziotti spetta il mantenimento della pace nelle loro “sfere di influenza”: la Gran Bretagna nel suo impero e nell’Europa occidentale, l’Unione Sovietica nell’Europa orientale e l’Asia centrale, la Cina nell’Asia orientale e nel Pacifico occidentale e gli Stati Uniti nell’emisfero occidentale. Come misura preventiva contro nuove guerre, i Paesi diversi dalle quattro suindicate potenze devono essere disarmati.
La visione di Roosevelt è solo in piccola parte accolta con l’istituzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, dove i quattro governi poliziotto diventano membri permanenti ma con un potere significativamente inferiore a quello previsto dallo statista americano. Quando le Nazioni Unite saranno ufficialmente istituite nel 1945 (sulle ceneri della passata Società delle Nazioni), la Francia di De Gaulle verrà aggiunta come quinto membro permanente del Consiglio di sicurezza su pressioni insistenti di Churchill.
E’ tradizione diffusa, ma alquanto semplicistica, indicare la successiva Conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) come il luogo in cui viene decisa la spartizione del vecchio continente in due sfere d’influenza, l’Europa occidentale agli americani, quella orientale ai sovietici e dove si delinea dunque per la prima volta il sistema della Guerra Fredda.
In verità, come appena visto, è a Teheran che compare il concetto di sfere d’influenza, anche se in modo molto più pacifico rispetto a come si sviluppa dal 1946 in poi. Lo scopo dell’incontro di Yalta è principalmente quello di gettare le basi di un nuovo assetto politico nel sistema delle relazioni internazionali, in vista dell’ormai imminente fine della guerra in Europa (le forze sovietiche si trovano a meno di cento chilometri da Berlino).
A Yalta si decide il disarmo della Germania, la sua suddivisione in quattro zone d’occupazione (americana, britannica, francese e sovietica) nonché vengono presi importanti accordi su come gestire la situazione politica di alcuni territori (la Polonia in primis), sulla creazione della nuova organizzazione internazionale (ONU) e su come proseguire il conflitto contro l’Asse.
Gli obiettivi comuni dei tre grandi alleati sono sanciti in una “Dichiarazione sull’Europa liberata”, che ha tra i suoi punti fondamentali il ripristino dell’ordine e la ricostruzione della vita economica delle nazioni, da raggiungere attraverso processi intermedi che possano consentire ai popoli liberati di creare proprie istituzioni democratiche e di scegliere liberamente la forma di governo desiderata. Una visione utopistica, purtroppo, spazzata via negli anni a seguire nei paesi del blocco comunista sovietico.
Gli accordi di Potsdam e l’atomica
Nei cinque mesi che intercorrono tra la Conferenza di Yalta e quella di Potsdam si verificano numerosi cambiamenti che influenzano notevolmente i rapporti all’interno della Grande Alleanza. L’Armata Rossa ha da poco conquistato Berlino e determinato la disfatta della Germania nazista; Stalin controlla dunque l’Europa centrale ed anche gli Stati baltici, la Polonia (dove ha imposto un governo filosovietico), la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Bulgaria e la Romania.
Il dittatore sovietico insiste sul fatto che il suo controllo dell’Europa orientale è una misura difensiva contro possibili attacchi futuri e afferma che si tratta di una sfera legittima di influenza sovietica, un diritto morale giustificato dall’eccessivo prezzo pagato dall’URSS in termini di vite umane per sconfiggere Hitler. L’obiettivo di Stalin è chiaro: non gli interessa ristabilire un equilibrio di potere in Europa bensì arrivare a dominare il continente, venendo meno ad ogni promessa fatta a Yalta agli alleati britannici e americani.
Ma Roosevelt e Churchill, per cause diverse, non possono imporre la loro esperienza e abilità a Potsdam. Il presidente americano muore tre mesi prima dell’inizio della conferenza ed il suo decesso segna anche la fine del progetto dei four policemen, che non viene portato a termine dal suo successore Harry S. Truman; lo statista inglese, nonostante abbia guidato la nazione britannica alla vittoria, viene clamorosamente sconfitto alle elezioni politiche e deve lasciare il passo, a conferenza iniziata, al nuovo Primo Ministro Clement Attlee. L’Unione Sovietica, viceversa, è l’unica fra le potenze vincitrici ad avere la stessa guida politica, incontrastata da più di quindici anni.
La Conferenza di Potsdam, i cui lavori si inaugurano il 17 luglio 1945 presso il Palazzo Cecilienhof, si trasforma rapidamente in un dialogo tra sordi giacché gli alleati dei tempi di guerra si sono oramai trasformati in potenze concorrenti sull’ordine mondiale, nessuno vuole arretrare di un passo rispetto alle proprie convinzioni e posizioni e conseguentemente i negoziati producono risultati modesti.
L’ordine del giorno all’attenzione dei tre governanti è molto vasto e comprende i temi delle riparazioni di guerra, del futuro della Germania e dei suoi ex alleati, oltre alle richieste di carattere militare e strategico di Stalin, riguardanti il controllo degli Stretti sul Mar Nero (sostanzialmente le stesse richieste fatte a Hitler nel 1940).
Cosicché, considerato il breve tempo a disposizione, i leader politici decidono di limitarsi all’enunciazione dei principi generali e di istituire un Consiglio dei Ministri degli Esteri (esteso anche a Francia e Cina) che si deve occupare successivamente dell’elaborazione degli accordi di pace con Italia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Finlandia e di proporre soluzioni per le questioni territoriali emerse dopo la fine della guerra in Europa.
Un aspetto è però indubbiamente di ampia condivisione e riguarda i principi da adottare per governare il territorio tedesco durante il periodo del “Consiglio di Controllo Alleato”: la Germania deve essere “denazificata” e le residue strutture del nazismo proibite, così come è necessario sottoporre a processo i responsabili dei crimini contro l’umanità; l’amministrazione della Germania deve essere indirizzata verso la decentralizzazione delle strutture politiche e verso lo sviluppo di responsabilità periferiche, grazie al ripristino dei Governi locali eletti attraverso principi democratici.
Per azzerare definitivamente il potenziale bellico della Germania si proibisce la produzione di armi, munizioni, mezzi da guerra, aerei e navi di ogni tipo. La produzione metallurgica, chimica e impiantistica legata all’economia di guerra deve essere drasticamente ridotta e rigidamente controllata. Si definisce il meccanismo quadripartito per cui all’interno della propria zona di occupazione, ogni potenza (inclusa la Francia) può gestire in modo autonomo in merito all’entità dei risarcimenti di guerra.
A Potsdam i confini tra la Germania e la Polonia sono definitivamente tracciati lungo la linea dei fiumi Oder e Neisse, su richiesta dei sovietici, e si stabilisce che tutta la popolazione tedesca presente nel territorio polacco, cecoslovacco e ungherese sia espulsa e assorbita dalla Germania.
L’episodio più controverso e cruciale che si verifica nel corso della Conferenza di Potsdam riguarda però un argomento che non si trova all’ordine del giorno: la bomba atomica. Il giorno prima dell’inizio dei lavori, gli scienziati e i militari impegnati nel Progetto Manhattan portano a termine con successo il “Trinity Test”, ossia l’esplosione nel deserto del New Mexico presso Alamogordo del primo ordigno nucleare mai realizzato.
Per il Presidente americano Truman è l’occasione per lanciare l’ultimatum al Giappone, la minaccia di “un’immediata e completa distruzione” che viene inserita nei termini della resa giapponese a Potsdam (Dichiarazione del 26 luglio). Il successore di Roosevelt non sceglie le parole a caso: è a Potsdam che decide di utilizzare la bomba atomica contro il Giappone.
Epilogo
L’obiettivo militare del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki è la fine della guerra e la resa incondizionata del Giappone, cosa che avviene il 15 agosto del ’45. Prominenti storici revisionisti della guerra fredda vedono in realtà un uso strategico della bomba atomica, rivolto a fini intimidatori nei confronti dell’Unione Sovietica. Sono proprio le due devastazioni di Hiroshima e Nagasaki, a detta di questi studiosi, a generare quel gioco bipolare di “equilibrio del terrore” e la corsa agli armamenti che contrassegna i rapporti fra le due grandi potenze almeno fino agli anni settanta.
La Conferenza di Potsdam si chiude il 2 agosto 1945 con pochi stentati accordi ma sono le successive riunioni dei Ministri degli Esteri a concludersi con palesi fallimenti nelle trattative. La tremenda dimostrazione di potenza in Giappone non basta ad ammorbidire le posizioni dei delegati sovietici e il divario tra le posizioni di politica estera statunitense e sovietica, nonché l’intreccio di molteplici fattori di strategia militare e di sviluppo scientifico tecnologico trascinano il mondo verso la guerra fredda.
La responsabilità è di entrambe le superpotenze, nell’aver fallito il tentativo di conciliare obiettivi politici divergenti per preservare un assetto postbellico di alleanza. E’ in questo fallimento che vanno individuate le radici della guerra fredda, scaturita in buona parte dall’inconciliabilità delle ideologie poste alla base del sistema statunitense e di quello sovietico, con posizioni ed interessi geopolitici contrastanti.
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- Da Teheran a Yalta. Verbali delle conferenze dei capi di governo della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale, Editori Riuniti 1965.
- E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. Vol.I – Dalla pace di Versailles alla Conferenza di Potsdam (1919-1945), Laterza 2015.
- H. Kissinger, L’arte della diplomazia, Sperling & Kupfer 2004.
- J. Lewis Gaddis, La Guerra Fredda. Cinquant’anni di paura e di speranza, Mondadori 2007.
- G. Valdevit, L’Unione Sovietica, la bomba atomica e le origini della guerra fredda in Studi Storici, anno 37 n. 4, Istituto Gramsci 1996.