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La “via europea” per la creazione di un’alleanza occidentale dopo la II Guerra Mondiale
Il 4 aprile 1949 viene firmato da dodici paesi il Trattato dell’Atlantico Settentrionale, atto fondativo dell’odierna NATO (North Atlantic Treaty Organization). La nascita dell’Alleanza Atlantica prima e della NATO poi è punto di arrivo di una serie di direttrici di eventi e conseguenze derivanti direttamente dalla II Guerra Mondiale e dalla Guerra Fredda, allora ancora in fase embrionale.
Possiamo individuare due “vie” alla creazione di un’alleanza occidentale nel periodo immediatamente successivo alla fine della II Guerra Mondiale: la via inglese (o europea in generale) e la via statunitense 1. Partendo dall’analizzare quella britannica, già al tempo dello sbarco in Normandia il governo inglese avvia delle consultazioni informali con alcuni governi europei, alcuni dei quali in esilio proprio a Londra: l’obiettivo è iniziare a pianificare un sistema di alleanze continentali particolarmente strette, a scopo difensivo ma non solo, da implementare una volta terminato il conflitto.
Bisogna ricordare che in questo momento l’Inghilterra fa parte della Grande Alleanza con USA e URSS e, nonostante sia destinata a diventarne l’anello debole, ritiene ancora di poter esercitare una posizione di egemonia in Europa occidentale. Uno degli scopi principali del progetto britannico è prevenire il ritorno del “pericolo tedesco”: questa prospettiva non può che interessare la Francia, che, seppur in rapporti difficoltosi con l’Inghilterra, teme ancora particolarmente un eventuale minaccia proveniente dalla confinante Germania.
D’altra parte, è del tutto evidente a molti osservatori d’oltremanica che oltre che della Germania sarebbe necessario cominciare a preoccuparsi dell’Unione Sovietica, e che per far ciò sarebbe necessario un coinvolgimento degli Stati Uniti. In quel momento, tuttavia, quest’opzione appare impraticabile, e l’unico risultato a cui si arriva è la firma il 4 marzo 1947 a Dunkerque di un trattato di alleanza anglo-francese con esplicita funzione anti-tedesca.
Lo spettro della minaccia germanica, per quanto oggettivamente abbastanza superato dai fatti, appare comunque in quel momento la chiave per unire diversi paesi dell’Europa occidentale in un prototipo di alleanza coesa: è seguendo questo percorso che si arriva, nel marzo 1948, alla creazione dell’Unione occidentale tra Francia, Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
Il trattato istitutivo di quest’Unione è invero abbastanza particolare, per un’alleanza di stampo militare e difensivo: i primi articoli sono dedicati a sancire l’impegno per una collaborazione politica, economica e sociale tra le parti contraenti. È solo con l’art. 4 che entra in gioco il casus foederis, ovvero l’eventualità che fa scattare l’alleanza militare: nel caso in cui uno degli Stati membri dell’Unione occidentale fosse oggetto di un’aggressione in Europa, gli altri saranno impegnati a fornirgli ogni supporto possibile.
Da notare che non viene menzionato esplicitamente il caso di un attacco tedesco, la cui eventualità è contemplata solo alla fine del preambolo, segno di un mutato contesto internazionale che comincia a proiettarsi verso l’ingombrante presenza dell’URSS nello scacchiere globale.
L’Unione Occidentale rappresenta un passo importante per la “via europea” alla creazione di un’Alleanza Atlantica, che per essere realmente efficace necessita però della partecipazione della grande superpotenza occidentale emersa durante il conflitto mondiale, gli Stati Uniti.
La posizione degli USA: il containment, la Dottrina Truman e il piano Marshall
Gli Stati Uniti escono dalla II Guerra Mondiale con un ruolo di primissimo piano nello scenario internazionale, e cominciano a prendere coscienza del probabile profilarsi di una rivalità con l’Unione Sovietica. Fino all’ingresso alla Casa Bianca di Dwight Eisenhower nel 1953, la postura degli USA nei confronti dell’URSS si traduce soprattutto nel cosiddetto containment (contenimento), ovvero mettere in campo ogni sforzo per evitare che l’influenza sovietica si estenda ulteriormente.
Il containment è alla base della Dottrina Truman, che impegna gli Stati Uniti a difendere quei popoli che vedono messa in pericolo la loro libertà da forze esterne o minoranze sovversive (leggasi: dall’URSS o dalle forze comuniste interne). Una sorta di corollario economico alla Dottrina Truman è rappresentato dal celebre piano Marshall, volto a sovvenzionare generosamente i paesi europei distrutti dalla guerra per avviarli verso un’economia di mercato prospera, allontanandoli dall’ombrello sovietico e spingendoli verso quello statunitense.
La via americana all’Alleanza Atlantica, nel 1947-48 si articola dunque in azioni volte al contenimento dell’URSS e alla creazione di legami sia politici che economici con i paesi dell’Europa occidentale in funzione anti-sovietica. A questi aspetti generali vanno unite anche considerazioni più prettamente strategiche, come emergono dalle ”Direttive strategiche dei Capi di stato maggiore uniti” del 1 maggio 1948: viene rilevata un’oggettiva inferiorità dell’Occidente in un’eventuale guerra convenzionale successiva ad un’occupazione sovietica dell’Europa continentale.
In una simile evenienza, sarebbe cruciale per gli USA entrare in guerra in modo tempestivo, e premunirsi di garantire la sicurezza e la capacità degli Stati Uniti stessi, delle isole britanniche e delle linee di comunicazioni essenziali. Si noti che il riferimento alle linee di comunicazioni essenziali non riguarda necessariamente solo l’Atlantico settentrionale, ma potrebbe essere esteso anche all’area mediterranea: questa, infatti, potrebbe essere una base strategica per colpire al cuore il sistema produttivo sovietico mediante bombardamenti propedeutici ad una seconda fase di offensiva, che peraltro potrebbe partire sempre dalla medesima area 2.
La nascita dell’Alleanza Atlantica
Gli USA e diversi paesi europei, Inghilterra in testa, sembrano dunque convergere sulla necessità e opportunità di un’alleanza tra le due sponde dell’Atlantico, ma in un primo momento permangono differenze di approccio: pur appoggiando il trattato dell’Unione occidentale, gli statunitensi appaiono restii a prendere gli impegni precisi che sarebbero auspicati da inglesi e francesi per garantirsi un immediato intervento militare da Washington in caso di conflitto.
Il capo dell’Ufficio affari europei del Dipartimento di Stato americano Hickerson, infatti, sottolinea come sia necessario rifarsi al “linguaggio” del Patto di Rio del 1947: si tratta di un trattato tra diciannove repubbliche del continente americano, la cui prospettiva di accordo regionale e collettivo è richiamata dal funzionario statunitense, secondo l’interpretazione di Ottavio Barié, per puntualizzare la necessità di superare l’approccio caro agli europei basato su alleanze bilaterali da ampliarsi poi in un secondo tempo 3.
Pur con sfumature differenti e con notevole scetticismo a Washington, il processo prosegue e gli Stati Uniti avviano colloqui esplorativi per giungere ad un accordo che comprenda il Canada e i paesi firmatari del trattato dell’Unione occidentale. La prima fase dei colloqui è caratterizzata da un marcato sbilanciamento verso nord, con una forte influenza inglese e una Francia lasciata ai margini.
Con l’avvento di Robert Schumann al Ministero degli Esteri di Parigi, però, la Francia assume una posizione ben più decisa, in particolare sulla spinosa questione del coinvolgimento dell’Italia a cui la Francia guarda con favore. A complicare il quadro vi è la richiesta della Norvegia, confinante con l’URSS, di essere ammessa al progetto: questa prospettiva rafforza la posizione inglese, che voleva una proiezione prettamente settentrionale, ma irrigidisce anche la Francia nelle sue richieste, che miravano invece ad una strategia estesa da nord a sud.
Lo scontro tra le due concezioni dell’alleanza si risolve con la vittoria delle posizioni francesi, fatte proprie dagli Stati Uniti: l’Italia viene invitata a partecipare ai colloqui, insieme a Norvegia, Danimarca, Irlanda e Portogallo. Il 4 aprile 1949 viene firmato a Washington il Trattato dell’Atlantico Settentrionale.
Una delle caratteristiche principali del Trattato è l’approccio collettivo, come richiesto fin da subito dagli USA, con esplicito richiamo alla Carta ONU che ammette e incoraggia la stipula di accordi regionali. Di centrale importanza sono l’art. 5 e l’art. 6: il primo stabilisce che l’attacco contro una delle parti sarà considerato attacco collettivo contro tutti gli Stati contraenti, che eserciteranno quindi il diritto di legittima difesa collettiva (ex art. 51 della Carta ONU); il secondo individua la localizzazione geografica delle aree di intervento, e sarà oggetto di numerose modifiche negli anni a venire fino ad essere praticamente superato negli anni Novanta dal concetto di “impiego fuori area”, necessario per poter condurre operazioni umanitarie a migliaia di chilometri dal nucleo originario.
La trasformazione in NATO e l’ingresso della Germania occidentale
Negli anni successivi vengono a delinearsi due ulteriori snodi per l’Alleanza Atlantica: la guerra di Corea (1950-1951) e la questione della Germania ovest. La guerra di Corea, combattuta per parte occidentale soprattutto dagli Stati Uniti, rende notevolmente più allarmante agli occhi dei paesi atlantici la minaccia sovietica e comunista, soprattutto per la partecipazione della Cina a fianco dell’URSS e della Corea del Nord. Per far fronte a queste crescenti preoccupazioni, l’Alleanza Atlantica viene perfezionata e rafforzata trasformandosi in Organizzazione dell’Alleanza Atlantica (o NATO).
La principale novità è l’introduzione di uno strumento militare sovranazionale stabile, sancita ad Ottawa nel 1951. Il rafforzamento del livello di sicurezza in Europa rende indispensabile la difesa del territorio tedesco, e anche la necessità di dotarsi di un esercito il più numeroso possibile suggeriva l’ingresso nella NATO di un nuovo membro: la Germania ovest. La Repubblica Federale Tedesca viene così invitata nel 1954 ad entrare a far parte dell’Alleanza, mentre si sanciscono anche la fine del regime di occupazione sul suo territorio e il suo ingresso (insieme con l’Italia) nell’Unione occidentale, ora diventata Unione europea occidentale. L’inserimento della Germania occidentale nella NATO sarà ufficializzato nel 1955.
L’ingresso del nuovo membro provoca peraltro una forte reazione sovietica: viene annunciato che si considera conclusa la possibilità di una politica comune con USA, Inghilterra e Francia volta all’unificazione tedesca, ma soprattutto si reagisce al rafforzamento del sistema di difesa occidentale con la creazione, il 14 maggio 1955, del Trattato di Amicizia, Cooperazione e Assistenza reciproca, meglio noto come Patto di Varsavia, tra l’URSS e otto Stati dell’Europa dell’est.
Il trattato istitutivo del Patto di Varsavia cita esplicitamente la creazione della NATO e il riarmo tedesco conseguente l’ingresso della Germania occidentale nell’Alleanza Atlantica, e stabilisce anch’esso una clausola di difesa collettiva. Si delineano così i due blocchi che si confronteranno ancora per più di trent’anni nella Guerra Fredda.
1. O. Barié, Dal Sistema europeo alla Comunità mondiale, Vol.II tomo II, Celuc Libri, Milano 2017, p.704
2. O. Barié, Dal Sistema europeo alla Comunità mondiale, Vol. II tomo II, cit., p.703
3. Ivi, p. 705
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- Vittorio De Caprariis, Storia di un’Alleanza: genesi e significato del Patto Atlantico, Gangemi, Roma 2007
- Antonio Varsori, Il Patto di Bruxelles 1948: tra integrazione europea e alleanza atlantica, Bonacci 1988
- Marco Clementi, La NATO, Il Mulino, Bologna 2002
Oggi stiamo assistendo al risveglio di questo dinamico gioco di forze storiche. A distanza di settant’anni, ancora una volta la Nato continua la sua espansione verso Est risvegliando le forze di opposizione di Mosca. È una conferma di come alcuni fenomeni storici, che si pensa essere solo vecchie foto relegate in volumi di storia, siano in realtà forze vive ed operanti. Cambiano i nomi e le ragioni di superficie ma la dinamica fondamentale delle forze in campo sono sempre le stesse.