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10 giugno 1940: per l’Italia giunge “l’ora delle decisioni irrevocabili“. Alle ore 18.15 Benito Mussolini, dal balcone di Palazzo Venezia, pronuncia il famoso discorso con il quale annuncia l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazionalsocialista di Adolf Hitler. Il duce del fascismo è pienamente consapevole della parziale impreparazione delle proprie forze armate, tuttavia vince le proprie titubanze poiché è convinto che la guerra si concluderà molto presto visto lo schiacciante predominio tedesco. Inizia, invece, da quel momento per il Paese una lunga e tragica avventura che finirà soltanto dopo quattro anni, dieci mesi e ventitré giorni.
Dalla “non belligeranza” verso l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale
In seguito alla firma del Patto d’acciaio del 22 maggio 1939 Mussolini segue con crescente preoccupazione le iniziative dell’alleato tedesco. Quando nell’agosto di quello stesso anno il ministro degli esteri Galeazzo Ciano viene a sapere da Hitler che la Germania aprirà presto le ostilità, la reazione di Mussolini è spaesata e contraddittoria.
Il dittatore italiano è a conoscenza del fatto che le scorte militari sono state impoverite dalla guerra coloniale in Etiopia e dalla guerra civile in Spagna, che le mitragliatrici e le armi leggere sono obsolete, e che i carri armati e gli aerei sono pochi e tecnicamente superati. L’unico orgoglio delle Forze armate è rappresentato in quel momento dalla Marina, l’unica con un discreto livello di efficienza.
Quando la Germania invade la Polonia il 1 settembre del 1939, dando il via alla seconda guerra mondiale, Mussolini, consapevole dell’inadeguatezza delle forze armate, dichiara la “non belligeranza“, una formula assai ambigua con la quale prende del tempo e lascia le porte aperte ad un futuro coinvolgimento nel conflitto.
Dopo qualche mese di tentennamento, di fronte ai clamorosi successi della guerra lampo tedesca e alla crescente paura di arrivare troppo tardi e restare a mani vuote, il duce, alla fine del marzo 1940, prende la decisione di entrare in guerra e confida ai suoi più stretti collaboratori:
“In settembre tutto sarà finito e io ho bisogno di qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo della pace”.
Ai primi di aprile il leader del fascismo consegna al maresciallo Pietro Badoglio un documento dove si legge:
“Premesso che la guerra è inevitabile e che non possiamo marciare contro la Germania, si tratta di fissare sin da questo momento le linee della nostra strategia“.
Le direttive sull’atteggiamento che l’esercito italiano dovrà seguire una volta entrato nel conflitto vengono chiarite da Mussolini sin da quel momento e possono essere così riassunte:
- difensiva sulle Alpi francesi;
- attesa in Albania;
- difensiva in Egeo e in Libia;
- osservazione diffidente verso la Jugoslavia;
- offensiva sul Cassala.
Quanto alla Marina, per essa si prevede una “guerra offensiva su tutti i mari”, mentre per l’aeronautica una “cooperazione” con le forze alleate. Il 10 aprile Mussolini pronuncia le seguenti parole in presenza dei direttori dei giornali che riceve in udienza:
“Il nostro intervento sarà inevitabile perché siamo in mezzo al continente e in mezzo al mare…noi siamo alleati di una grande, potentissima nazione militare; e la nostra non belligeranza è data anche dal fatto che questa grande nazione non ha ancora avuto bisogno di noi, non ci ha ancora chiesto nulla.
Mentre se fossimo schierati dall’altra parte ci avrebbero già chiesto di intervenire e di morire a larghe schiere per il trionfo degli immortali principi. Non ci muoveremo se non avremo l’assoluta certezza di vittoria. Intendiamoci, non la certezza al cento per cento, ma quella che lascia il minimo margine agli imprevisti. Sono sicuro che voi saprete portare il popolo al clima voluto.”
La riunione dei capi di Stato Maggiore il 5 giugno 1940
Il 5 giugno il maresciallo Pietro Badoglio presiede una riunione straordinaria dei Capi di Stato Maggiore per discutere sulla situazione militare in vista dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Badoglio è stato chiarissimo con Mussolini sul fatto che l’esercito non è in grado di affrontare una guerra, ma di fronte alla decisione politica presa dal dittatore non può che chinare il capo. Dopo aver riferito a tutti i presenti la scelta del duce di entrare in guerra a fianco dell’alleato tedesco, Badoglio prosegue il suo intervento:
“Il duce ha detto che è sua intenzione, con la dichiarazione di guerra, di cambiare lo stato di fatto in stato di diritto, ma che intende riservare le forze armate, e specialmente l’esercito e l’aeronautica, per avvenimenti futuri. Quindi stretta difensiva per terra e per aria, in tutti i settori. L’ambasciatore francese ha consegnato una lettera al duce con la quale garantisce che la Francia non ha alcuna intenzione di compiere un attacco contro l’Italia, come correva voce. La Francia si è trovata nell’improvvisa necessità di tamponare alcune falle e l’ha fatto indebolendo lo schieramento sulla frontiera italiana, ma chiede, anzi implora gli italiani di non attaccare né sulle Alpi, né in Corsica, né in Libia”.
Letta questa lettera pare che Mussolini si sia convinto ancora di più della necessità di dichiarare guerra senza però avere l’intenzione di combatterla, almeno nell’immediato. Badoglio, infatti, conferma anche questo particolare:
“Il duce mi ha detto: non invento nulla di nuovo. Faccio come i francesi e i tedeschi, che sono stati di fronte sei mesi senza fare niente”.
La riunione del 5 giugno produce l’ordine 847 diffuso dallo Stato Maggiore dell’esercito due giorni dopo e con il quale si emanano le seguenti disposizioni:
“In caso di ostilità non dovrà essere intrapresa alcuna azione oltre frontiera, nessun reparto o nucleo dovrà varcare materialmente la linea di confine, le nostre truppe e artiglierie non dovranno aprire per prime il fuoco su truppe e posizioni francesi“.
10 giugno 1940: la dichiarazione di guerra di Mussolini e l’entrata in guerra dell’Italia
Il 10 giugno del 1940 cade di lunedì e potrebbe essere un giorno come un altro per gli italiani, nonostante sia anche l’anniversario di due loschi delitti: l’uccisione di Matteotti del 1924 e quella dei fratelli Rosselli del 1937.
Nel primo pomeriggio, mentre per strada gli auto-parlanti ricordano agli italiani che alle sei il duce terrà un importante discorso, il Ministro della cultura popolare Alessandro Pavolini convoca i direttori dei principali quotidiani raccomandando che nel dare notizia dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale “non si svaluti facilmente l’avversario e non ci si abbandoni ad eccessivi ottimismi“.
Verso le 16 a Roma una folla composta prevalentemente da studenti, avanguardisti e balilla comincia a radunarsi in piazza Venezia. Circa mezz’ora dopo il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano convoca gli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna ai quali legge la dichiarazione di guerra; subito dopo il ministro degli esteri sale in macchina e si reca dal suocero per essergli accanto nel momento del discorso.
Alle 18.15 la finestra del balcone di Palazzo Venezia si spalanca e appare Mussolini che indossa l’uniforme di caporale d’onore della Milizia; appena dietro di lui si intravedono Alessandro Pavolini e il Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, mentre tra la folla in fermento si individuano cartelli con slogan del tipo: “Mare nostrum“, “duce, grazie“, “Vogliamo Tunisi, Gibuti e Suez“.
Cambiando in modo lieve il testo originale stilato tre giorni prima e sul quale è scritta la data inizialmente scelta per l’entrata in guerra, quella dell’11 giugno, Mussolini pronuncia un discorso abbastanza conciso e lungo circa settecento parole. Appena conclusa la dichiarazione di guerra la folla abbandona rapidamente la piazza forse conscia del fatto che sta per iniziare un periodo di lutti e sofferenze.
Nel corso della serata Galeazzo Ciano confessa ad alcune persone fidate:
“Sono triste, molto triste. L’avventura comincia. Che Dio assista l’Italia!“
Dichiarazione di guerra di Mussolini a piazza Venezia: l’ora delle decisioni irrevocabili
L’incipit e la chiusura della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940:
«Combattenti di terra, di mare, dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania. Ascoltate! Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.
La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo. Popolo italiano! Corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!»
10 giugno 1940: il telegramma di Hitler a Mussolini
Duce, la decisione storica che Voi avete oggi proclamato mi ha commosso profondamente. Tutto il popolo tedesco pensa in questo momento a Voi e al vostro Paese. Le forze armate germaniche gioiscono di poter essere in lotta al lato dei camerati italiani. Nel settembre dell’anno scorso i dirigenti britannici dichiararono al Reich la guerra senza un motivo. Essi respinsero ogni offerta di un regolamento pacifico. Anche la Vostra proposta di mediazione si ebbe una risposta negativa. Il crescente sprezzo dei diritti nazionali dell’Italia da parte dei dirigenti di Londra e di Parigi ha condotto noi, che siamo stati sempre legati nel modo più stretto attraverso le nostre Rivoluzioni e politicamente per mezzo dei trattati, a questa grande lotta per la libertà e per l’avvenire dei nostri popoli.
10 giugno 1940: il telegramma di Hitler a Vittorio Emanuele III
La provvidenza ha voluto che noi fossimo costretti contro i nostri stessi propositi a difendere la libertà e l’avvenire dei nostri popoli in combattimento contro Inghilterra e Francia. In quest’ora storica nella quale i nostri eserciti si uniscono in fedele fratellanza d’armi, sento il bisogno d’inviare a Vostra Maestà i miei più cordiali saluti. Io sono della ferma convinzione che la potente forza dell’Italia e della Germania otterrà la vittoria sui nostri nemici. I diritti di vita dei nostri due popoli saranno quindi assicurati per tutti i tempi.