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Il 23 marzo 1919, presso il Circolo per gli interessi industriali e commerciali in piazza San Sepolcro a Milano, Benito Mussolini fonda i Fasci di combattimento.
Cosa sono i Fasci di combattimento?
Dalle pagine del suo quotidiano “il Popolo d’Italia” il futuro duce annuncia così la nascita dei fasci di combattimento:
“Il fascismo è un movimento di realtà, di verità di vita che aderisce alla vita. È pragmatista. Non ha apriorismi. Né finalità remote. Non promette i soliti paradisi dell’ideale. Lascia queste ciarlatanerie alle tribù della tessera. Non presume di vivere sempre e molto. Vivrà sino a quando non avrà compiuto l’opera che si è prefissa. Raggiunta la soluzione nel nostro senso dei fondamentali problemi che oggi travagliano la nazione italiana, il fascismo non si ostinerà a vivere, come un anacronistica superfetazione di professionisti di una data politica, ma saprà brillantemente morire senza smorfie solenni”.
Con i Fasci di combattimento, Mussolini vuole creare “l’antipartito”: un movimento che polemizza con l’istituzione partitica in sé e rompe con la politica tradizionale, in grado di compiere la rivoluzione.
Il manifesto dei Fasci di combattimento
Il Manifesto dei Fasci di combattimento fu pubblicato su Il Popolo d’Italia tre mesi dopo, il 6 giugno 1919. Qui vengono avanzate numerose proposte di riforma politica e sociale, per far “fronte contro due pericoli: quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra”, rappresentando la “terza via” tra i due opposti poli e sviluppandosi nell’ambito delle teorie moderniste sull'”Uomo nuovo”. Solo parte di queste vennero realizzate durante il periodo del regime (1922-1943), e che pur riprese successivamente durante la Repubblica Sociale Italiana come la socializzazione delle imprese e dei mezzi di produzione rimasero sostanzialmente inapplicate a causa degli eventi bellici.
Dal biennio rosso alle prime elezioni
Ai suoi esordi il fascismo raccoglie uno scarso consenso, ma si fa subito notare per il suo stile politico aggressivo e violento. Non a caso i fascisti sono protagonisti del primo grave episodio di guerra civile dell’Italia postbellica: lo scontro con un corteo socialista avvenuto a Milano il 15 aprile 1919 e conclusosi con l’incendio della sede del giornale socialista l’”Avanti!”. E’ il segno di un clima di violenza e di intolleranza destinato ad aggravarsi col passare dei mesi, a causa delle polemiche provocate dall’andamento della conferenza di pace e dell’inasprimento delle tensioni sociali.
Nel novembre 1919 si presentano alle elezioni politiche nel collegio di Milano con capilista Mussolini, Toscanini e Marinetti, ma nessuno viene eletto.
Giovanni Giolitti, come aveva fatto nei suoi due precedenti governi, decide di non reprimere le rivolte, anzi dà piena libertà di azione ai Fasci di combattimento, per riportare alla calma la situazione italiana (questo incoraggiamento sarebbe poi stato determinante per l’ascesa in Italia di Mussolini e del fascismo).
Alle elezioni politiche del maggio 1921 esponenti fascisti si candidano nelle liste dei Blocchi Nazionali, eleggendo 35 deputati, tra cui lo stesso Mussolini, mentre due vengono eletti in liste dei Fasci.
Dai Fasci di combattimento al Partito Nazionale Fascista
Nel novembre 1921 al terzo congresso di Roma, si decide lo scioglimento del movimento che contava già 312.000 iscritti, e si crea il Partito Nazionale Fascista.
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