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Camillo Benso conte di Cavour è senza dubbio uno dei personaggi più significativi dell’Unità d’Italia. Uomo politico che, attraverso diversificate e ricche esperienze in Europa, riesce a capire la necessità prioritaria di arrivare all’unificazione di un paese diviso e afflitto da problemi economici e sociali.
Cavour, riassunto
Camillo Benso (Torino 1810-1861), secondogenito dei nobili marchesi di Cavour da generazioni radicati a Torino, è figlio di un importante proprietario terriero che ricopre periodicamente anche funzioni pubbliche. Entusiasta sostenitore della rivoluzione parigina del 1830 viene sospettato anche di appartenere alla Carboneria e dalla guarnigione di Genova viene trasferito in Val d’Aosta. Il giovane Camillo abbandona di lì a poco la carriera militare alla quale inizialmente viene destinato dalla famiglia per dedicarsi agli studi, agli amori e alle speculazioni e occuparsi dell’azienda paterna, approfondendo contemporaneamente le proprie conoscenze di economia e politica. La formazione culturale, insieme ai viaggi che compie in Europa, gli conferiscono competenze moderne e all’avanguardia che lo rendono uno statista unico all’interno della penisola.
Interessato alle svariate questioni economiche e sociali, introduce riforme agrarie nelle proprietà di famiglia e partecipa attivamente a vari circoli intellettuali. Dopo una breve esperienza come giornalista del quotidiano “Il Risorgimento”, da lui fondato insieme ad altri amici intellettuali, Cavour a partire dal 1850 domina incontrastato la politica del Piemonte, prima come Ministro dell’Agricoltura e delle Finanze nel governo presieduto da Massimo d’Azeglio e, dal novembre 1852, come Primo Ministro del re Vittorio Emanuele II di Savoia.
Con qualità politiche e diplomatiche fuori dal comune lo statista tesse le fila che portano all’insperata unificazione dell’Italia, alla quale dedica la sua intera esistenza. Il suo capolavoro diplomatico avviene con la guerra contro l’Austria nel 1859, che porta alla liberazione del nord Italia. Sebbene inizialmente scettico sul possibile raggiungimento in tempi brevi dell’unità nazionale dell’intera penisola, sfrutta abilmente e saggiamente le vittorie militari di Giuseppe Garibaldi per completare il processo di unificazione. Parallelamente ai successi politici Cavour vive anche alcuni momenti di difficoltà e fragilità che lo portano più volte a pensare al suicidio. La sua prematura scomparsa, il 6 giugno 1861, a poche settimane di distanza dalla proclamazione del Regno d’Italia, lascia un vuoto difficilmente colmabile nel Parlamento nazionale appena eletto e nel paese unificato.
Il pensiero politico di Cavour
Convinto ammiratore, sin dagli anni della giovinezza, del liberismo economico e politico diffuso nei paesi europei più avanzati, Camillo Benso conte di Cavour si ispira nella sua attività di uomo di Stato principalmente al modello inglese. Nei suoi viaggi giovanili a Parigi, Bruxelles e Londra, Camillo ha modo di misurarsi con le realtà dei governi costituzionali e con il processo di industrializzazione in corso.
Oltre ad osservare da vicino le attività parlamentari dei vari paesi il giovane si infervora per i dibattiti sui trasporti, sulla libertà di scambio e sul ruolo dell’opinione pubblica. Assume da quel momento una posizione politica liberale e moderata diffusa tra la moderna borghesia che sosterrà per tutta la sua esistenza, distaccandosi fermamente da qualsiasi forma di assolutismo e rivoluzionarismo.
Il liberalismo di Cavour si contraddistingue principalmente per il suo pragmatismo che si allontana da quello eccessivamente teorico del suo amico Cesare Balbo. In politica esso si traduce in una vasta opera di ammodernamento del paese che va dalla liberalizzazione degli scambi con l’estero, all’abolizione del dazio sul grano, fino ad arrivare al potenziamento del sistema stradale e ferroviario.
L’obiettivo iniziale seguito da Cavour è quello di far raggiungere al Piemonte un progresso economico e civile per trasformarlo in uno Stato moderno e inserirlo nel gioco diplomatico delle grandi potenze europee. Solo seguendo questa direzione è possibile secondo lo statista piemontese raggiungere il traguardo che egli si prefigge: “fare l’Italia”.
In un discorso pronunciato alla Camera il 15 aprile 1851 Cavour presenta il suo programma liberal moderato mostrando già in questa occasione tutta la propria lungimiranza politica:
“La storia moderna dimostra evidentemente essere la società spinta fatalmente nella via del progresso. L’umanità è diretta verso due scopi, l’uno politico l’altro economico. Nell’ordine politico essa tende a modificare le proprie istituzioni in modo da chiamare sempre un numero maggiore di cittadini alla partecipazione del potere politico. Nell’ordine economico essa mira al miglioramento delle classi inferiori, ad un miglior riparto dei prodotti della terra e dei capitali.”
La giovinezza e il carattere di Camillo Benso conte di Cavour
Camillo Benso conte di Cavour nasce a Torino il 10 agosto 1810 da una famiglia benestante, di origine ugonotta e convertitasi successivamente al cattolicesimo. Il bambino viene battezzato da Paolina Borghese, sorella di Napoleone Bonaparte, e dal marito di quest’ultima Camillo Borghese. Dei due figli maschi di casa Cavour il primogenito Gustavo è quello che sembra dare maggiore affidamento.
Camillo, invece, dà subito prova del suo carattere orgoglioso e ribelle già nell’età della giovinezza; i litigi con il padre Michele sono frequentissimi. Essendo figlio cadetto di una famiglia aristocratica il ragazzo è consapevole del fatto che deve farsi strada da solo costruendosi il proprio futuro poiché i beni di famiglia spettano di diritto al fratello maggiore Gustavo.
A dieci anni viene mandato all’Accademia militare di Torino dalla quale esce con il grado di luogotenente del Genio. Nel 1831, dopo aver trascorso qualche anno a Genova dove intrattiene una relazione semi clandestina con la marchesa Anna Giustiniani e entra in contatto con le correnti democratiche del luogo, sempre più insofferente alla vita di corte del regno Sabaudo, lascia l’Italia e inizia a viaggiare per l’Europa.
Visita la Svizzera, la Francia e l’Inghilterra e ne frequenta i salotti, le aule parlamentari, e i circoli politici così da rafforzare le sue idee liberali-moderate e fare propria la formula del politico francese François Giuzot del “juste milieu” (giusto mezzo) che successivamente applicherà in modo personale in Parlamento. Questi soggiorni all’estero, dunque, hanno un’importanza cruciale per la formazione di Cavour anche perché servono a mostrargli la situazione di evoluzione e progresso in cui si trova l’Europa e ad introdurlo nel mondo degli affari e dell’economia, dando un impulso importante alle sua vocazione imprenditoriale.
Una curiosità su Camillo Benso Cavour: il periodo delle speculazioni in Borsa
Rientrato in Italia il giovane si lancia in molte iniziative finanziarie; inoltre, il padre Michele, dopo essere stato eletto sindaco di Torino, gli affida la gestione della tenuta agricola di famiglia a Leri (ottenuta durante il periodo Napoleonico in seguito alle confische della Chiesa). Camillo avverte che è arrivato il momento di dare prova concreta delle sue qualità mettendo in pratica tutto ciò che ha appreso a livello teorico. Si getta a capofitto nella nuova attività con l’intento di trasformare la tenuta in un’azienda moderna attraverso l’impiego delle più avanzate tecniche agricole.
Per realizzare i progetti che ha in mente necessita di grossi capitali e per procurarseli ricorre a speculazioni in Borsa. Fa alcuni buoni colpi e visto che l’appetito vien mangiando ne tenta di più consistenti. Arriva allora la volta in cui l’investimento gli va male e Cavour ci rimette ben 45 mila scudi. Deve intervenire personalmente il padre a ricoprire il buco, non senza prima aver rivolto un duro rimprovero al figlio che in questa situazione ha manifestato un eccesso di sicurezza sconsiderato.
Cavour si preoccupa anche di studiare le condizioni del mercato nel quale i suoi prodotti possono trovare spazio. Le sue iniziative in campo imprenditoriale e finanziario contribuiscono ad accreditare negli ambienti più influenti del Piemonte sabaudo l’immagine di un uomo con le idee moderne e avanzate.
Il Risorgimento e l’ingresso in politica di Camillo Benso Cavour
Dopo essersi dedicato per qualche anno agli affari, decide di entrare in politica nel 1847, collaborando con l’amico moderato Cesare Balbo alla fondazione del quotidiano “Il Risorgimento”, di cui diviene subito il direttore. Da quel momento la sua carriera di politico lo porta a diventare, nel giro di pochi anni, prima parlamentare, poi ministro ed infine capo del governo.
Nell’editoriale che appare sul primo numero del nuovo giornale Cavour afferma di intravedere nella politica riformista intrapresa da alcuni sovrani della penisola il preannuncio di un generale Risorgimento nazionale:
“Il popolo italiano si è alzato come un sol uomo, non a rivoluzione ma a riforme, non ad ostilità ma ad unione, non a pretese e a fazioni e violenze, ma a forte e ordinata moderazione”.
C’è qualcuno che ironizza sulla capacità di Cavour di scrivere e parlare correttamente l’italiano; egli, infatti, ha sempre praticato più il francese che l’italiano, soprattutto in ambito privato. Nonostante ciò il suo stile scarno e essenziale, seppur distante dal linguaggio altolocato assai diffuso, porta una bella ventata di concretezza e novità.
Durante gli anni 1848-49, da direttore del quotidiano, assume sempre più popolarità e radicalizza le sue posizioni liberal-moderate al punto da provocare le ostilità di molti esponenti democratici che fanno di tutto per ostacolare il suo ingresso in politica.
Tutto questo non ferma Cavour che viene eletto nelle elezioni per la IV legislatura. Nel marzo del 1850 pronuncia alla Camera di Torino un vigoroso discorso nel quale sostiene la necessità di una politica riformatrice che ponga il Piemonte alla testa di “tutte le forze vive d’Italia”, anche per togliere spazio ai mazziniani e alle loro tesi repubblicane.
Il 12 ottobre di quello stesso anno viene nominato ministro dell’Agricoltura e Commercio nel governo di Massimo D’Azeglio. All’inizio la sintonia politica tra i due è ottima ma, con il passare del tempo, meno buoni diventano i rapporti personali a causa dell’invadenza di Cavour, che si comporta come se sia lui il capo di governo, fin quando non lo diventa realmente, nel novembre del 1852, in seguito alle dimissioni di D’Azeglio.
Il Connubio Cavour-Rattazzi
Lo statista piemontese si rende subito protagonista di una rivoluzione parlamentare, che alcuni storici interpretano come il primo esempio di trasformismo nella storia politica italiana e a cui viene dato il nome di Connubio. Grazie a questo accordo tra il centro-destra, di cui lui stesso è il leader, e il centro-sinistra, capeggiato da Urbano Rattazzi, si costruisce una nuova maggioranza moderata che relega all’opposizione i clericali-conservatori e i democratici.
Il Connubio segna una svolta decisiva e un segno di rottura con il passato anche sul piano istituzionale, in quanto da un’interpretazione costituzionale dello Statuto Albertino, che riserva solo al re il potere esecutivo, si passa a far dipendere la vita del governo non solo dalla fiducia del sovrano, ma soprattutto dal sostegno di una maggioranza in parlamento.
Oltre a rafforzare le istituzioni liberali l’accordo tra Cavour e Rattazzi avvia il paese verso il progresso civile e politico. “Io penso“, scrive Cavour qualche anno dopo, “di aver reso con ciò un servizio al nostro paese, perché stimo di avere così innalzata una barriera abbastanza alta onde la reazione non venga mai a superarla“. Per parte sua, in una lettera del 1870, Urbano Rattazzi scriverà:
“I principi che dovevano ispirare il nuovo partito (il raggruppamento parlamentare Rattazzi-Cavour) erano principalmente due, cioè resistere a qualsiasi tendenza reazionaria e nello stesso tempo promuovere, per quanto le circostanze lo permettessero, un continuo e progressivo svolgimento delle libertà consentite dal nostro Statuto, nell’ordine politico come in quello economico e amministrativo”.
Il programma politico di Cavour
Le grandi riforme in politica interna del nuovo governo, sono realizzate su due campi: i privilegi della Chiesa e la politica economica. Nel 1850 vengono promulgate le leggi Siccardi che provocano una frattura tra Stato e Chiesa e che hanno come obiettivo:
- l’espropriazione dei beni ecclesiastici,
- la riduzione delle feste religiose,
- la fine dell’insegnamento da parte dei religiosi.
Per quel che riguarda la politica economica, Cavour adotta da subito una linea liberoscambista in ambito commerciale che mira: all’aumento della produzione agricola e industriale, allo sviluppo di opere pubbliche con la costruzione di strade, ponti, canali e ferrovie e all’intensificazione degli scambi con i paesi esteri.
Anche in politica estera la strategia dell’aristocratico piemontese è ben chiara e mira all’avvicinamento del Piemonte all’Europa più moderna e sviluppata e al suo passaggio dal rango di Stato regionale a Stato nazionale. Un passo importante verso questa direzione è compiuto nel 1855, quando il regno Sabaudo entra nella Guerra di Crimea a fianco di Francia ed Inghilterra, contro la Russia.
Al Piemonte viene così concesso di partecipare alla conferenza di pace di Parigi del 1856 e Cavour, in tale occasione, può presentare la delicata questione italiana davanti a tutte le altre potenze europee.
Lo statista riesce anche nell’impresa di riunire tutti i partiti politici, che hanno partecipato ai moti del 1848, fondando nel 1857 la Società Nazionale Italiana, che rappresenta una grande convergenza tra monarchia Sabauda e movimento nazionale; ad essa aderiscono tra gli altri anche Daniele Manin e Giuseppe Garibaldi: tutto ciò implica la subordinazione della politica insurrezionale a quella diplomatica.
Cavour: dagli accordi di Plombiéres all’armistizio di Villafranca
A questo punto, Cavour, dopo aver strappato al partito rivoluzionario l’iniziativa ed il consenso di cui gode presso la popolazione, senza tuttavia eliminarne totalmente l’azione, sfrutta a sua vantaggio il fallito attentato compiuto a Parigi dal mazziniano romagnolo Felice Orsini contro Napoleone III.
L’evento viene utilizzato dal primo ministro come la prova che la situazione esplosiva italiana costituisca un pericolo per l’ordine europeo. La sua strategia risulta essere vincente: il 20 luglio 1858 stringe un’alleanza militare con Napoleone III , gli accordi di Plombiéres , che impegnano la Francia ad entrare nella Seconda Guerra d’Indipendenza al fianco del Piemonte contro l’Austria.
Il punto più oscuro e doloroso della sua carriera politica, è rappresentato senza dubbio dall’Armistizio di Villafranca; in quell’occasione il sovrano Vittorio Emanuele II e Napoleone III firmano un disonorevole trattato di pace con il governo austriaco, senza neanche avvertirlo. Ha luogo tra lo statista e il sovrano sabaudo un durissimo scontro verbale; i testimoni affermano che Cavour fosse completamente fuori di testa tanto da mettersi a tirare calci alle sedie per la furia.
Tutto ciò lo spinge a dimettersi ma, sentendo ormai totalmente propria la causa italiana, inizia a prendere contatti con i governi provvisori dell’Italia centrale per esortarli a non mollare e a continuare a credere nella lotta per l’indipendenza.
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Il ruolo di Cavour per l’Unità d’Italia
Quando Cavour viene richiamato da Vittorio Emanuele II al governo il 21 gennaio del 1860 ha le idee chiare su ciò che va fatto; in cambio del via libera francese all’annessione di Emilia-Romagna e Toscana al Regno sabaudo, il conte cede alla Francia a malincuore, Nizza e Savoia.
Per quanto riguarda, invece, l’Italia meridionale, Cavour non gioca alcun ruolo nella preparazione della spedizione dei mille, ma non impedisce in alcun modo la sua realizzazione. Egli adotta una tattica attendista, osservando l’evolversi degli eventi, e interviene direttamente soltanto verso la fine della spedizione: nonostante le rassicurazioni di Giuseppe Garibaldi circa la sua fedeltà al programma monarchico, lo statista piemontese teme che possa realizzarsi il sogno mazziniano di un’assemblea costituente e che il generale, puntando verso Roma, possa provocare l’intervento delle potenze straniere in difesa dello Stato pontificio.
Per questo motivo Cavour invia nell’Italia centrale un corpo di spedizione che invade lo Stato pontificio, occupa Marche e Umbria, e si dirige verso Napoli. A questo punto il primo ministro piemontese richiede che nei territori occupati da Garibaldi siano convocati plebisciti per ratificare l’annessione al Piemonte.
Il generale è costretto a cedere e così tra ottobre e novembre le Marche, l’Umbria, la Sicilia e tutto il Mezzogiorno votano in larghissima maggioranza l’annessione al regno di Sardegna. Nello storico incontro di Teano, il 26 ottobre 1860, Garibaldi conclude la sua celebre impresa consegnando formalmente il potere al re Vittorio Emanuele II di Savoia.
La morte di Camillo Benso Cavour
Camillo Benso conte di Cavour intrattiene nel corso della sua vita alcune relazioni sentimentali ma non si sposa e non ha figli. Egli dedica gran parte della propria esistenza al sogno di “fare l’Italia” e cerca di realizzare questo sogno principalmente dominando in maniera incontrastata l’aula parlamentare.
Cavour, infatti, concepisce il Parlamento come una superba arma politica per l’uomo di Stato che voglia e sappia servirsene. Pur essendo dichiaratamente un liberale moderato, a differenza del politico francese Guizot, lo statista piemontese interpreta il “giusto mezzo” in maniera personale, concependolo come una posizione da definire dentro l’aula parlamentare di volta in volta e da mantenere nonostante l’evolvere degli eventi storici.
Dopo essere stato protagonista anche nelle giornate dell’inaugurazione del Parlamento e della proclamazione del Regno d’Italia, il principale artefice dell’unificazione italiana si ammala alla fine di maggio di malaria. Le sue condizioni di salute, che inizialmente non sembrano essere precarie, peggiorano sensibilmente nel giro di pochi giorni, anche grazie all’incompetenza dei medici che effettuano troppi salassi. Nelle ultime ore di vita assalito dalla febbre delira, pronunciando frasi confuse sul futuro dell’Italia:
“L’Italia nel settentrione è fatta, ma vi sono ancora i napoletani, bisogna moralizzare il paese. Tutti sono buoni a governare il paese con lo stato d’assedio. Io, invece, li governerò con la libertà“.
Camillo Benso conte di Cavour si spegne precocemente a Torino la mattina del 6 giugno del 1861, all’età di cinquant’anni. La salma viene tumulata a Santena nella cappella di famiglia e sulla tomba, per sua volontà, viene scritta l’epigrafe: “Sono figlio della libertà, ad essa debbo tutto quel che sono”.
La scomparsa di Cavour suscita in Italia e all’estero un’enorme emozione, anche tra i suoi avversari politici più decisi. A rendergli omaggio, in un’aula parlamentare dove a regnare è la commozione tra tutti i presenti, sono Rattazzi e il deputato repubblicano e democratico Giuseppe Ferrari che pronuncia un sincero elogio funebre per l’avversario appena scomparso:
“Inchiniamoci davanti alla tomba sulla quale piangono popoli e re e imperatori. L’ingegno suo altro non lasci che la rimembranza della magica sicurezza con cui prontissimo afferrava ogni questione e dominava il complicatissimo labirinto degli equivoci italiani. Chi non ammira quell’insigne italiano, quel coraggio senza spada, che trionfava dei generali e dei tribuni e sembrava quasi egualmente signoreggiare le falangi rivoluzionarie di Garibaldi nel Mezzodì e quelle regolari della Francia nel Nord? No, voi non sentirete da me in questo recinto una parola contraria al Conte di Cavour, che ha compiuto l’opera sua, che ci ha vinti, e la cui morte nella vittoria può essere augurata al migliore dei nostri amici”.
Per la ricostruzione dettagliata degli ultimi giorni di vita del primo Presidente del Consiglio del Regno d’Italia Camillo Benso conte di Cavour leggi l’articolo “La morte di Cavour, 6 giugno 1861: gli ultimi giorni di vita del conte“.
L’eredità storica di Camillo Benso conte di Cavour
Con la scomparsa di Cavour l’Italia perde molto, perché sicuramente un personaggio di tale calibro e carisma avrebbe fatto comodo alla nazione; la classe dirigente che viene a succedergli, figlia della rivoluzione politica da lui effettuata, cerca, per risolvere gli infiniti problemi che affliggono il nuovo stato, di seguire per quanto sia possibile le indicazioni ed i consigli che egli ha tracciato nei suoi ultimi discorsi parlamentari.
Come ha sottolineato lo storico Luciano Cafagna uno dei maggiori paradossi è che il primo ministro piemontese sia stato culturalmente poco italiano. Egli, infatti, al tempo del suo ingresso in politica, parla e scrive in francese e conosce poco sia l’italiano che l’Italia, tanto che in tutta la sua vita non mette mai piede al di sotto di Firenze e Bologna. La fortuna del Piemonte e dell’Italia è stata quella di aver trovato la persona giusta nel momento di maggior necessità, in quanto, per la buona riuscita della causa nazionale serviva qualcuno che, come Cavour, aveva la passione per l’economia e l’amministrazione e aveva fatto del cosmopolitismo culturale e dell’intraprendenza borghese due componenti importanti e fondamentali della sua formazione.
Egli apparteneva a quella categoria di uomini dotati di infinite virtù tra cui: l’intuito, la prontezza, il coraggio, la capacità di adattarsi e di saper controllare con tenacia e pragmatismo qualsiasi situazione gli si presentasse davanti, convinto del fatto che “la miglior politica fosse quella delle risoluzioni audaci”. I meriti e i successi che Cavour ottiene e le innovazioni che introduce in politica lo rendono un personaggio davvero unico e singolare. Lo storico inglese Denis Mack Smith ha scritto di lui: “Nessun uomo politico del secolo seppe realizzare tanto partendo da così poco”.
Alessandro Barbero racconta Cavour
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- Denis Mack Smith – Cavour: Il grande Tessitore dell’Unità d’Italia
- Luciano Cafagna – Cavour
- Rosario Romeo – Vita di Cavour
- Camillo Benso Cavour, Autoritratto. Lettere, diari, scritti e discorsi, BUR Biblioteca Universitaria Rizzoli, 2010.
- Camillo Benso Cavour, Amami e credimi. Lettere a Bianca Ronzani (1856-1861), Archinto, 2011.
- Adriano Viarengo, Cavour, Salerno Editore, 2009.