CONTENUTO
Nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1860, poco più di mille volontari, guidati da Giuseppe Garibaldi, si imbarcano a Quarto, presso Genova. Pochi giorni dopo sbarcano a Marsala. E’ la spedizione dei Mille che porterà all’unificazione dell’Italia.
L’insurrezione in Sicilia
Francesco Crispi e Rosolino Pilo, due mazziniani siciliani esuli in Piemonte, concepiscono il progetto di una spedizione in Sicilia come prima tappa di un movimento insurrezionale da estendere alla penisola. Diversamente da quanto fatto da Pisacane nel 1857, Crispi e Pilo cercano, da una parte, di organizzare una rivolta locale prima dello sbarco dei Volontari. Dall’altra, di assicurare alla spedizione un’efficiente guida politica e militare e di garantirsi nel contempo un qualche appoggio del governo piemontese.
Ai primi di aprile del 1860, un’insurrezione popolare scoppia a Palermo. Pilo accorre in Sicilia per assumere la direzione del moto, sanguinosamente represso nel capoluogo ma estesosi alle campagne dando luogo ad una diffusa e ostinata guerriglia. Crispi si adopera per convincere Giuseppe Garibaldi ad assumere la guida della spedizione. Egli è l’unico fra i leader democratici che appare in grado di assicurare qualche possibilità di riuscita all’impresa, ritenuta da tutti estremamente rischiosa.
Cavour avversa la spedizione pur senza far nulla per impedirla. Teme le complicazioni internazionali e vede nell’impresa un’occasione di rilancio per i mazziniani. Vittorio Emanuele II guarda invece con malcelato favore al tentativo di Garibaldi, ma non può intervenire concretamente in suo aiuto. La spedizione è così preparata in fretta e con pochi mezzi finanziari, con scarso equipaggiamento e pessimo armamento.
La spedizione dei Mille
Nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1860, poco più di mille volontari provenienti da diverse regioni e di varia estrazione sociale, in larga parte veterani delle campagne del 1848 e del 1859, prendono il mare a Quarto presso Genova, dopo essersi impadroniti di due navi a vapore, il Piemonte e il Lombardo. Pochi giorni dopo, eludendo la sorveglianza della flotta borbonica, i volontari sbarcano a Marsala.
Il 15 maggio, a Calatafimi, le colonne garibaldine, ingrossate da poche centinaia di insorti siciliani, si scontrano con un contingente borbonico. Nonostante l’inferiorità numerica, riescono a metterlo in fuga. All’arrivo delle avanguardie garibaldine, Palermo insorge.
Alla fine di maggio, dopo tre giorni di duri combattimenti, i contingenti governativi abbandonano il capoluogo. Qui Garibaldi, che appena sbarcato in Sicilia ha assunto la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II, proclama la decadenza della monarchia borbonica.
Nell’isola si forma un governo civile provvisorio sotto la guida di Crispi. Nell’Italia settentrionale una organizzazione guidata Agostino Bertani raccoglie uomini e mezzi da inviare in Sicilia. Fra giugno e luglio sbarcano a Palermo quasi 15 mila volontari. Con il loro apporto, Garibaldi può muovere all’attacco delle truppe borboniche. Il 20 luglio riesce a sconfiggerle a Milazzo, costringendole a rifugiarsi sul continente.
Le agitazioni contadine in Sicilia
Il clima di entusiastica concordia che ha accolto i garibaldini al loro sbarco in Sicilia, si è ben presto dissolto. Quando i contadini intravedono la possibilità di liberarsi non solo dal malgoverno borbonico, ma anche dal secolare sfruttamento cui li condanna una struttura sociale arcaica e semifeudale, danno vita a una serie di violente agitazioni.
Garibaldi e i suoi collaboratori cercano di andare incontro alle esigenze dei contadini, ma senza mettere in discussione la proprietà privata. Infatti le assegnazioni decise ai primi di giugno riguardano solo i terreni demaniali, perché non si vuole alienare l’appoggio della borghesia locale. Altro motivo di insoddisfazione è la coscrizione obbligatoria, fino a quel momento sconosciuta nell’isola. Il fine della coscrizione è quello di raccogliere sul posto un esercito capace di condurre a termine la lotta contro il governo borbonico.
I patrioti giunti dal nord mirano a una meta essenzialmente politica. I contadini insorti si preoccupano di raggiungere i propri obiettivi, quali lotta contro le tasse e contro i signori e la conquista della terra, disinteressandosi dei fini generali della guerra. Nasce così un contrasto insanabile, sfociato in episodi di dura repressione. Il più noto si verifica ai primi di agosto a Bronte, ai piedi dell’Etna. dove alcuni contadini sono fucilati per ordine di Nino Bixio.
L’intervento piemontese
Fino a tutta l’estate del 1860, l’iniziativa resta nelle mani di Garibaldi. Il 20 agosto, profittando della benevola neutralità della flotta inglese, riesce a sbarcare in Calabria e a risalire rapidamente la penisola senza che l’esercito borbonico sia capace di opporgli un’efficace resistenza. Il 6 settembre Francesco II re delle Due Sicilie, abbandona Napoli per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta. Il giorno dopo Garibaldi fa il suo trionfale ingresso nella capitale borbonica.
Cavour teme che Napoli possa diventare la base per una spedizione nello Stato pontificio. Un’impresa che provocherebbe l’intervento francese e la messa in discussione dello status quo. Il governo piemontese decide di prevenire l’iniziativa garibaldina con un intervento militare. Cavour ottiene l’assenso di Napoleone III a varcare i confini dello Stato della Chiesa, impegnandosi a non minacciare Roma e il Lazio. In settembre le truppe regie invadono l’Umbria e le Marche e sconfiggono l’esercito pontificio nella battaglia di Castelfidardo. Il 2 ottobre Garibaldi batte i borbonici nella battaglia del Volturno.
I plebisciti
Pochi giorni dopo il parlamento piemontese approva una legge proposta da Cavour, che autorizza il governo a decretare l’annessione di altre regioni italiane allo Stato sabaudo. Le popolazioni interessate devono però esprimere la loro volontà mediante plebisciti. L’iniziativa torna così nelle mani di Cavour.
Il 21 ottobre in tutte le province meridionali e in Sicilia, e due settimane dopo anche nelle Marche e in Umbria, si tengono i plebisciti. Schiacciante è la maggioranza dei sì all’annessione allo Stato sabaudo.
Il 25 ottobre avviene lo storico incontro a Teano, presso Caserta, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Il generale cede al re ogni responsabilità nel governo delle nuove province e si ritira a Caprera.
Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento nazionale proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia.