Il Risorgimento italiano rappresenta un capitolo fondamentale nella storia del paese, segnato dalla lotta per l’unità nazionale e l’indipendenza. Esploreremo questo fenomeno dal 1830 al 1871, analizzando i protagonisti e gli eventi che hanno plasmato il destino d’Italia.
Giorgio Candeloro fa iniziare la sua Storia dell’Italia moderna con il «triennio giacobino» (1796-1799). L’eredità della Repubblica Cisalpina, prima ad adottare il tricolore verde-bianco-rosso, viene poi raccolta dalla Repubblica italiana (1802-1805) e dal Regno d’Italia napoleonico (1805-1814). Il Congresso di Vienna (1814-1815) ristabilisce lo status quo ante sotto l’influenza dell’impero asburgico. La penisola viene suddivisa in Regno di Sardegna, Regno lombardo-veneto, ducato di Parma, ducato di Modena, Granducato di Toscana, Stato della Chiesa e Regno delle Due Sicilie. Sono soppresse le repubbliche di Genova e di Venezia. Per il principe di Metternich, l’Italia rimane una mera espressione geografica.
Nei moti del ’20-’21 e del ’30-’31 al sentimento patriottico si unisce la voglia di rivalsa del ceto borghese formatosi nell’amministrazione napoleonica, le cui speranze sono state disattese dall’assolutismo restaurato. L’azione è portata avanti tramite società segrete come la Carboneria. Un ruolo importante hanno anche riviste come “Il Conciliatore”, gli “Annali universali di statistica” (in Lombardia) e “L’Antologia” (in Toscana). È l’epoca di autori fondamentali della letteratura italiana come Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni.
Nel pensiero politico si sviluppano tre filoni principali: liberal-moderati come Cesare Balbo e Massimo d’Azeglio, guardano a una monarchia costituzionale guidata da casa Savoia; cattolici come Antonio Rosmini, e Vincenzo Gioberti, ripongono le loro speranze in Pio IX (il “papa liberale” del 1946, ben presto trasformatosi nel più acerrimo rivale dello Stato unitario); repubblicani democratici come Carlo Cattaneo, direttore della rivista “Il Politecnico”, che propugna un federalismo diffuso, guardando alla città come principio ideale della storia italiana.
Tra i repubblicani c’è anche Giuseppe Mazzini (1805-1872). Egli fonda nel 1831 a Marsiglia la Giovine Italia, associazione segreta ma caratterizzata da un programma pubblico, il cui fine è costituire l’Italia «in una nazione una, indipendente, libera e repubblicana». Fallito un primo tentativo insurrezionale, Mazzini si rifugia prima in Svizzera, dove nel 1834 da vita alla Giovine Europa, poi a Londra (1837). Le idee mazziniane ispireranno nell’estate del 1844 la spedizione in Calabria in cui persero la vita i fratelli veneziani Attilio ed Emilio Bandiera. Simile sorte avrà il tentativo portato avanti da Carlo Pisacane e i suoi trecento nel 1857 a Sapri.
Nel 1849 Mazzini ha un ruolo da protagonista nelle vicende della Repubblica Romana, il cui fallimento chiude definitivamente gli spazi a opzioni diverse da un’unificazione politica sotto la Corona dei Savoia. Nonostante ciò nel 1853 egli fonda il Partito d’Azione, sciolto nel 1867. “Esule in patria” continua la sua azione fino alla morte, avvenuta a Pisa il 6 febbraio 1872.
Anche Giuseppe Garibaldi (1807-1882) milita tra le fila della Giovine Italia. Fuggito dall’Europa, l’“eroe dei due mondi” si rifugia in Sud America, dove si unisce ai ribelli del Rio Grande do Sul e partecipa alla guerra civile in Uruguay. A Montevideo sposa Anita. Tornato in patria, prende parte alla prima guerra d’indipendenza a fianco delle truppe sabaude, per poi fare rotta verso Roma a difendere la neonata Repubblica.
Nel 1857 entra a far parte della Società nazionale italiana, abbracciando il progetto sabaudo. Durante la campagna militare del 1859 contro gli austriaci è alla guida dei Cacciatori delle Alpi, per poi, nella primavera 1860, mettersi al comando della spedizione dei Mille in Sicilia. Dopo l’unificazione, Garibaldi porta avanti due tentativi per liberare Roma. Viene fermato una prima volta nel 1862 all’Aspromonte, dove è ferito ad una gamba; la seconda nel 1867 a Mentana. Nel 1866 ottiene in Trentino l’unica vittoria italiana nel corso della terza guerra d’indipendenza. Deputato del Regno d’Italia a più riprese dal 1861 al 1882, nel 1871 presta servizio nelle fila della Terza Repubblica francese nella fase finale della guerra franco-prussiana. Muore a Caprera il 2 giugno 1882.
Altro fondamentale protagonista del processo di unificazione è Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861). Fautore di una politica moderata, nel 1847 fonda il giornale “Il Risorgimento”, divenendo in seguito deputato nel primo Parlamento del Regno di Sardegna. Nel 1850 è ministro dell’Agricoltura e Commercio nel governo d’Azeglio, ottenendo nel 1851 anche il dicastero delle Finanze. Il “connubio” con il centro-sinistra di Urbano Rattazzi lo porta infine a diventare presidente del Consiglio nel 1852, carica che regge quasi ininterrottamente fino alla morte.
La politica economica portata avanti durante il suo governo, improntata al libero scambio, fa le fortune del Piemonte sabaudo, avviando un processo di modernizzazione. Sotto la sua leadership avviene anche un rafforzamento delle strutture parlamentari. In politica estera la partecipazione a fianco di Francia e Gran Bretagna alla spedizione in Crimea, gli permette nel corso dei trattati a Parigi nel 1856 di mettere sul tavolo la questione italiana, mentre i successivi accordi segreti di Plombières con Napoleone III (luglio 1858) assicurano, in caso di aggressione austriaca, la partecipazione francese alla guerra. La vittoria avrebbe portato alla costituzione di tre grandi regni italiani riuniti sotto una confederazione, la cui presidenza onoraria sarebbe andata al papa. La Francia avrebbe ottenuto Nizza e la Savoia. Figura centrale nel determinare il successo della seconda guerra d’indipendenza, si spegne il 6 giugno 1861 ad unificazione avvenuta.
Dopo il biennio riformatore 1846-1847 anche l’Italia diventa teatro dei moti del 1848. L’insurrezione scoppiata a Palermo in gennaio, costringe Ferdinando II di Borbone a concedere la Costituzione (11 febbraio). Seguono Firenze (17 febbraio), Torino (4 marzo) e Roma (14 marzo). Il 18 marzo hanno inizio le «Cinque giornate di Milano». L’esercito austriaco è costretto a rinchiudersi nel Quadrilatero (Mantova, Peschiera, Verona, Legnago). Insorge anche Venezia: Daniele Manin il 22 marzo proclama la rinascita della Repubblica di San Marco.
A questo punto Carlo Alberto, alla guida dell’esercito sabaudo, attraversa il Ticino il 25 marzo. Il 26 è a Milano. Dopo le prime vittorie a Curtatone e Montanara (29 maggio) e Goito (30 maggio), i piemontesi vengono però sconfitti dagli austriaci a Custoza e Sommacampagna (25-26 luglio). Il 9 agosto viene firmato l’armistizio di Salasco. Entrano quindi in scena i democratici. Dopo l’assassinio il 15 novembre di Pellegrino Rossi, nominato primo ministro da Pio IX, esplode l’insurrezione a Roma. In Toscana l’8 febbraio 1849 è nominato un triumvirato guidato da Guerrazzi, Montanelli e Giuseppe Mazzoni.
Carlo Alberto riapre improvvisamente le ostilità, ma subisce una cocente sconfitta a Novara (23 marzo). Dopo l’abdicazione in favore di Vittorio Emanuele II, cui seguirà il ritiro in esilio in Portogallo, segue la firma dell’armistizio di Vignale. Contemporaneamente si svolgono le «Dieci giornate» di Brescia (23 marzo-1° aprile) e l’insurrezione di Genova (31 marzo-9 aprile). La sconfitta piemontese spiana la strada a quella delle repubbliche. Gli austriaci occupano la Toscana, restaurando il granduca Leopoldo II, mentre i francesi muovono verso Roma. La difesa della città organizzata da Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini e condotta sul campo da Giuseppe Garibaldi, cade infine davanti all’assedio delle truppe di Oudinot. A seguito degli scontri perde la vita Goffredo Mameli, autore del Canto degli italiani. Ultima ad arrendersi è Venezia il 24 agosto. Anche a Napoli e in Sicilia l’insurrezione è stata domata.
Unica Carta costituzionale a resistere tra quelle concesse nel 1848 è lo Statuto Albertino. Il Regno di Sardegna, sotto la guida del nuovo re Vittorio Emanuele II si mette ben presto alla testa del processo di unificazione. Nonostante con il «proclama di Moncalieri» (20 novembre 1849) egli minacci la sospensione del regime parlamentare ‒ al fine di garantire una maggioranza favorevole alla firma del trattato di pace con l’Austria nella successiva tornata elettorale ‒ possibili derive autoritarie sono scongiurate dalla politica liberare portata avanti da d’Azeglio e Cavour. Il «decennio di preparazione» permette al Regno di Sardegna di arrivare pronto al confronto decisivo con l’impero asburgico.
Le ostilità si aprono in seguito al rifiuto dell’ultimatum lanciato dall’Austria, che intima di smobilitare le truppe dal confine lombardo. La vittoria dell’esercito franco-piemontese a Magenta (4 giugno 1859) apre la strada per Milano. Seguono le battaglie di Solferino e San Martino (24 giugno), che portano alla firma dell’armistizio di Villafranca l’11 luglio. Il colpo di mano di Napoleone III, timoroso della piega che stanno prendendo gli eventi in favore di uno Stato italiano unitario, determina la cessione della Lombardia al Regno di Sardegna per il tramite della Francia e la costituzione di una confederazione italiana.
Mentre Cavour si dimette, in protesta con la decisione del re di accettare l’armistizio, si formano governi provvisori in Toscana, nelle legazioni pontificie, in Emilia. Al suo ritorno nel gennaio 1860, il conte riesce a far accettare all’imperatore francese lo svolgimento dei plebisciti in quelle regioni in cambio della cessione di Nizza e della Savoia. A vincere il marzo successivo è la maggioranza favorevole all’annessione.
La spedizione garibaldina partita da Quarto sui vascelli «Piemonte» e «Lombardo», sbarca l’11 maggio a Marsala. Rafforzati dall’appoggio della popolazione locale e da successivi arrivi da Nord, i “Mille” penetrano all’interno dell’isola, sconfiggendo l’esercito borbonico prima a Calatafimi (15 maggio), poi a Milazzo (20 luglio). Palermo è occupata il 29 maggio. Conquistata l’isola, viene proclamata la «dittatura» e procede la risalita verso la penisola. Il 19 agosto Garibaldi sbarca in Calabria. Dopo la battaglia del Volturno, mentre Francesco II si rifugia a Gaeta, le camicie rosse fanno il loro ingresso a Napoli. È il 7 settembre.
Cavour a questo punto decide di prendere in mano la situazione. L’esercito piemontese invade lo Stato pontificio, occupando le Marche e l’Umbria e impartisce una sonora sconfitta alle forze papali a Castelfidardo il 18 settembre. Dopo che una nuova serie di plebisciti conferma l’annessione dei territori occupati nei mesi precedenti, Garibaldi, sconfitto definitivamente l’esercito borbonico, si ricongiunge con Vittorio Emanuele II a Teano il 26 ottobre. Il 17 marzo 1861 quest’ultimo è proclamato «re d’Italia». La tornata elettorale all’inizio del 1861, assicura un Parlamento al nuovo Stato unitario.
Il processo di unificazione non si conclude in realtà nel 1861. Nel 1866 l’Italia ottiene infatti l’annessione del Veneto in virtù della pace di Praga (23 agosto), firmata in seguito alla “terza guerra d’indipendenza” combattuta insieme alla Prussia contro l’Austria, nonostante le disfatte subite dall’Esercito guidato dal generale Alfonso La Marmora a Custoza (24 giugno) e dalla Marina dell’ammiraglio Persano a Lissa (20 luglio).
Segue poi la presa di Roma nel 1870. La caduta di Napoleone III dopo la sconfitta della Francia nel conflitto con la Prussia ‒ che sancisce l’unificazione della Germania al centro dell’Europa ‒ da infatti spazio di manovra all’esercito italiano, che il 20 settembre occupa Roma entrando dalla breccia aperta dall’artiglieria nelle mura vicino a Porta Pia. La capitale viene così definitivamente spostata nella città eterna, dopo che con la Convenzione di settembre del 1864 era passata da Torino a Firenze. Le provincie di Trento e Trieste sono annesse solamente in seguito alla fine del primo conflitto mondiale.
Il processo che porta a compimento l’avventura risorgimentale, vede la vittoria della componente moderata su quella democratica. Ciò si traduce nella costituzione di uno Stato unitario monarchico, la cui amministrazione viene «piemontesizzata». Tale scelta, vista come unico modo per tenere insieme un territorio caratterizzato da molteplici esperienze di governo diverse, produce notevoli resistenze. Nel Mezzogiorno, nei decenni immediatamente successivi all’unificazione si sviluppa il fenomeno del brigantaggio. Qui, inoltre, le classi dirigenti accolgono con un certo opportunismo il nascente Stato, come riassunto dalla formula «cambiare tutto per non cambiare niente» introdotta da Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo (1958).
Il Risorgimento è stato definito principalmente come una «rivoluzione borghese», che coinvolge attivamente per lo più gli strati medio-alti della popolazione ‒ infatti ad ottenere il diritto di voto è solo il 2% dei cittadini. Va specificato che alla base dell’unificazione è però il patto tra nuovi classi produttive e grande nobiltà agraria ‒ e soprattutto tra nuovi classi produttive e monarchia.
In ultimo va sottolineato come il 1871 segni l’inizio della «questione romana». Dopo aver rifiutato la soluzione prospettata dalla legge delle guarentigie, che avrebbe fissato i rapporti tra la Santa Sede e il Regno d’Italia, oltre ad alcune compensazioni per la perdita dei territori dello Stato pontificio, Pio IX lancia nel 1874 il non expedit, vietando ai cattolici italiani di prendere parte alla vita politica del nuovo Stato. Si infrange l’ideale cavouriano di una «libera Chiesa in libero Stato». La frattura verrà sanata solo con il Concordato del 1929.
A cura di Tommaso Cerutti, dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa
Fonti:
© 2019-2023 Fatti per la Storia - La Storia di Tutto, per tutti.
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