CONTENUTO
Verso la firma dello Statuto Albertino del 1848
“C’è dappertutto agitazione inconsueta, si parla, ci si agita, ci si incontra, ci si riunisce, si polemizza. Sono tutti quanti eccitati e di buon umore.”
In questo modo un acuto osservatore descrive il clima che si respira alla fine del 1847 nella capitale del Regno di Sardegna, proprio quella Torino solitamente tanto silenziosa e disciplinata. Tra la persone euforiche, nelle strade e nelle piazze, si intona a gran voce l’inno di Mameli e si pronuncia spesso la parola Costituzione, che da diverso tempo ormai accende gli animi di una parte della popolazione della penisola italiana.
Un susseguirsi di moti e rivolte negli anni passati ha contribuito a creare un’opinione pubblica attiva e cosciente di fronte alla quale i vari principi e sovrani si sono visti costretti a cedere alle pressioni concedendo alcune riforme. Le agitazioni diffuse portano il 12 gennaio 1848 prima i palermitani e poi i napoletani ad insorgere nuovamente per chiedere al sovrano Ferdinando II di Borbone la concessione di una Costituzione. Il re, messo alle strette dalla pressione popolare, decide di accontentare i propri sudditi.
Il 31 gennaio, alla notizia che il re di Napoli ha concesso la Costituzione, Genova esplode di entusiasmo; nella Chiesa dell’Annunciata si celebre solennemente il “Te Deum”, mentre i genovesi accolgono con calore e felicità i soldati dell’esercito inviati dal governatore nelle strade per presidiare alcune zone cittadine.
Carlo Alberto di Savoia, sovrano del Regno di Sardegna dal 27 aprile 1831, reagisce inizialmente con durezza una volta appresa la notizia, affrettandosi a riferire ai suoi più stretti collaboratori che non intende, in alcun modo, cedere ad una nuova richiesta insurrezionale. Tuttavia la situazione sociale nel regno sabaudo, a differenza degli eventi del passato, sembra essere diversa.
A chiedere a gran voce la Costituzione non sono più soltanto studenti e seguaci del patriota genovese Giuseppe Mazzini o esponenti delle correnti più radicali e intellettuali progressisti di Torino e provincia; a questi si aggiungono personalità del calibro del conte Camillo Benso di Cavour, il quale esterna il suo pensiero attraverso articoli pubblicati sul periodico Il Risorgimento, e diversi conservatori che razionalizzano l’idea dell’inevitabilità della concessione di una Costituzione, necessaria per non compromettere il prestigio e il buon nome che il re Carlo Alberto si è costruito grazie alle tante riforme attuate precedentemente.
L’esponente di casa Savoia sembra, però, intenzionato a restare fermo sulla propria posizione convinto del fatto che per poter assicurare il benessere e il progresso del suo popolo il re dovrebbe agire liberamente senza alcun vincolo; a chi provocatoriamente gli rinfaccia di non essere interessato a liberare la penisola dal giogo straniero il sovrano replica seccamente: “Io voglio come voi la liberazione dell’Italia. E per questo, ricordatelo, non darò mai una Costituzione al mio popolo!”
Carlo Alberto firma lo Statuto Albertino
Tuttavia gli eventi incalzano e le manifestazioni popolari non si interrompono. La mattina del 2 febbraio 1848 il primo ministro Giacinto Borelli ha un colloquio riservato con Carlo Alberto al quale rivolge un accorato appello affinché si convinca a soddisfare le richieste del popolo. Il giorno seguente il sovrano convoca il consiglio dei ministri e nel corso della riunione informa i suoi sudditi di voler abdicare poiché non si sente pronto a sconfessare il giuramento che aveva fatto nel lontano 1824 al proprio zio e sovrano Carlo Felice, con il quale si era impegnato a non rinunciare a nessuna delle prerogative regie.
I ministri, però, non vogliono prendere minimamente in considerazione tale ipotesi e a turno esprimono la propria fedeltà e devozione al re e alla casa Savoia; tra le dichiarazioni del momento una delle più risolute è quella pronunciata dal segretario privato di Carlo Alberto, Cesare Trabucco conte di Castagnetto:
“L’abdicazione di Vostra Maestà sarebbe per il Paese la peggiore delle disgrazie. Mai un sovrano è stato necessario al suo popolo quanto vostra maestà è ora necessaria alla Sardegna. Se Vostra Maestà si ritira, tutto sarà sconvolto, anche gli interessi della sua augusta famiglia!”
Prima di abbandonare la riunione Carlo Alberto, con tono sommesso, ordina ai ministri di preparare una bozza di Costituzione ammonendoli, allo stesso tempo, di non prendere spunto dalle carte costituzionali promulgate recentemente negli altri Paesi. Il Borelli si mette subito al lavoro e in soli tre giorni prepara una bozza che presenta ad un nuovo consiglio di Stato straordinario che si tiene il 7 febbraio.
Alla riunione prendono parte diciassette persone in tutto: oltre ai ministri sono infatti presenti gli alti dignitari dello Stato e i collari dell’Annunziata, ovvero i fedeli guardiani della monarchia sabauda. L’umore tra i presenti è tutt’altro che euforico; sanno tutti bene che si trovano di fronte ad un momento chiave per la storia del Regno di Sardegna, così come sono consci del fatto che sia necessario venire incontro alle richieste popolari.
La discussione dura per diverse ore fino a tarda sera quando viene approvata in linea di massima la bozza della nuova legge fondamentale dello Stato che per volontà di Carlo Alberto prenderà il nome di Statuto Albertino e non di Costituzione poiché alle orecchie del sovrano tale termine suona troppo di rivoluzione. Lo stesso Borelli prepara nella notte il manifesto in quattordici articoli che viene affisso alle 15,30 dell’8 febbraio per le strade di Torino, suscitando immediatamente l’entusiasmo della cittadinanza che comincia ad inneggiare il nome di Carlo Alberto attribuendogli l’appellativo di “Re magnanimo”.
Basta poco meno di un mese ai fedeli servitori di Carlo Alberto per preparare lo Statuto Albertino completo di tutti gli articoli che alla fine saranno totalmente ottantaquattro. Si arriva così alla mattina del 4 marzo 1848, la giornata tanto attesa per la firma del sovrano. I ministri del governo, tutti riuniti in una sala, assistono Carlo Alberto nel momento in cui legge e firma, un pò a malincuore ma con assoluta lealtà, la Carta Costituzionale che da quel giorno entra in vigore nel Regno di Sardegna e che costituirà la legge fondamentale anche del Regno d’Italia fino al 1 gennaio 1948.
Il primo governo costituzionale, presieduto da Cesare Balbo, si insedia il 16 marzo 1848, esattamente due giorni prima dell’inizio delle Cinque giornate di Milano.
Le caratteristiche dello Statuto Albertino del 1848
Lo Statuto Albertino del 1848 deve essere inteso in termini giuridici come una “Carta ottriata”, cioè concessa dal re volontariamente per porre alcuni limiti alla sua autorità in favore dei sudditi. Per espresso desiderio di Carlo Alberto si sceglie di utilizzare il termine “Statuto” invece di “Costituzione” per distaccarsi nettamente dai moti rivoluzionari del 1820 e dalla Costituzione spagnola del 1812 democratica e con un Parlamento unicamerale.
Con lo Statuto Albertino si passa da una monarchia assoluta ad una monarchia costituzionale caratterizzata da un sistema bicamerale nel quale un ramo del Parlamento, ovvero il Senato, è nominato direttamente dal sovrano fra le persone di sua fiducia, mentre la Camera è eletta con un suffragio ristretto basato sul censo.
Dagli ottantaquattro articoli che compongono la carta costituzionale emerge in modo chiaro una struttura di Stato nella quale all’apice del vertice vi è il sovrano che partecipa direttamente ai tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario: egli ha “l’iniziativa e la sanzione della legge, nomina il governo, amministra la giustizia, è sacro ed inviolabile, non ha responsabilità né civile, né penale, né politica.”(1)
Secondo lo spirito essenzialmente conservatore che anima lo Statuto “il re non aveva obbligo alcuno di seguire il Consiglio dei ministri essendo i poteri del governo molto vaghi. Dato che non era ben preciso a chi spettasse in primo luogo l’iniziativa legislativa, la via era libera per una trasformazione di fatto delle clausole costituzionali.”(2)
Di fatti il carattere flessibile ed elastico dello Statuto che riconosce, tra le varie cose, al Parlamento il diritto di introdurre tutte le leggi necessarie per lo sviluppo della Nazione, consente una progressiva valorizzazione della funzione del Parlamento: il governo, costituzionale secondo i principi dello Statuto, diventa a poco a poco parlamentare, nel senso che esso inizia a considerarsi a tutti gli effetti un’emanazione del Parlamento.
La flessibilità dello Statuto Albertino, che si manifesta soprattutto per il modo in cui protagonisti della vita politica del Paese lo interpretano, sembra condurre, negli tra il 1861 e il 1922, in una direzione favorevole ad una maggiore espressione della sovranità popolare.
Testo e articoli dello Statuto Albertino
Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri amatissimi sudditi col Nostro proclama dell’8 dell’ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare, in mezzo agli eventi straordinari che circondavano il Paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agl’interessi ed alla dignità della Nazione.
Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale come un mezzo il più sicuro di raddoppiare coi vincoli d’indissolubile affetto che stringono all’itala Nostra Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d’obbedienza e d’amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedirà le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell’antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge Fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue:
Art. 1 – La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.
Art. 2 – Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica.
Art. 3 – Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere; il Senato, e quella dei Deputati.
Art. 4 – La persona del Re è sacra ed inviolabile.
Art. 5 – Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare: dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere.
Art. 6 – Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato: e fa i decreti e regolamenti necessarii per l’esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza, o dispensarne.
Art. 7 – Il Re solo sanziona le leggi e le promulga.
Art. 8 – Il Re può far grazia e commutare le pene.
Art. 9 – Il Re convoca in ogni anno le due Camere: può prorogarne le sessioni, e disciogliere quella dei Deputati; ma in quest’ultimo caso ne convoca un’altra nel termine di quattro mesi.
Art. 10 – La proposizione delle leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato sarà presentata prima alla Camera dei Deputati.
Art. 11 – Il Re è maggiore all’età di diciotto anni compiti.
Art. 12 – Durante la minorità del Re, il Principe suo più prossimo parente nell’ordine della successione al Trono sarà Reggente del Regno, se ha compiti gli anni vent’uno.
Art. 13 – Se, per la minorità del Principe chiamato alla Reggenza, questa è devoluta ad un parente più lontano, il Reggente, che sarà entrato in esercizio, conserverà la Reggenza fino alla maggiorità del Re.
Art. 14 – In mancanza di parenti maschi, la Reggenza apparterrà alla Regina Madre.
Art. 15 – Se manca anche la Madre, le Camere, convocate fra dieci giorni dai Ministri, nomineranno il Reggente.
Art. 16 – Le disposizioni precedenti relative alla Reggenza sono applicabili al caso, in cui il Re maggiore si trovi nella fisica impossibilità di regnare. Però, se l’Erede presuntivo del Trono ha compiuti diciotto anni, egli sarà in tal caso di pieno diritto il Reggente.
Art. 17 – La Regina Madre è tutrice del Re finché egli abbia compiuta l’età di sette anni: da questo punto la tutela passa al Reggente.
Art. 18 – I diritti spettanti alla podestà civile in materia beneficiaria, o concernenti all’esecuzione delle Provvisioni d’ogni natura provenienti dall’estero, saranno esercitati dal Re.
Art. 19 – La dotazione della Corona è conservata durante il Regno attuale quale risulterà dalla media degli ultimi dieci anni. Il Re continuerà ad avere l’uso dei Reali palazzi, ville e giardini e dipendenze, non che di tutti indistintamente i beni mobili spettanti alla Corona, di cui sarà fatto inventario a diligenza di un Ministro responsabile. Per l’avvenire la dotazione predetta verrà stabilita per la durata di ogni Regno dalla prima legislatura, dopo l’avvenimento del Re al Trono.
Art. 20 – Oltre i beni, che il Re attualmente possiede in proprio, formeranno il privato suo patrimonio ancora quelli, che potesse in seguito acquistare a titolo oneroso o gratuito, durante il suo Regno. Il Re può disporre del suo patrimonio privato sia per atti fra vivi, sia per testamento, senza essere tenuto alle regole delle leggi civili, che limitano la quantità disponibile. Nel rimanente il patrimonio del Re è soggetto alle leggi che reggono le altre proprietà.
Art. 21 – Sarà provveduto per legge ad un assegnamento annuo pel Principe ereditario giunto alla maggiorità, od anche prima in occasione di matrimonio; all’appannaggio dei Principi della Famiglia e del Sangue Reale delle condizioni predette; alle doti delle Principesse; ed al dovario delle Regine.
Art. 22 – Il Re, salendo al trono, presta in presenza delle Camere riunite il giuramento di osservare lealmente il presente Statuto.
Art. 23 – Il Reggente prima d’entrare in funzioni, presta il giuramento di essere fedele al Re, e di osservare lealmente lo Statuto e le Leggi dello Stato.
Dei Diritti e dei doveri dei cittadini
Art. 24 – Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi.
Art. 25 – Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.
Art. 26 – La libertà individuale è garantita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch’essa prescrive.
Art. 27 – Il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme ch’essa prescrive.
Art. 28 – La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo.
Art. 29 – Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. Tuttavia, quando l’interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto od in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi.
Art. 30 – Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re.
Art. 31 – Il debito pubblico è guarentito. Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile.
Art. 32 – È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia.
Del Senato
Art. 33 – Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l’età di quarant’anni compiuti, e scelti nelle categorie seguenti:
1° Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato;
2° Il Presidente della Camera dei Deputati;
3° I Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio;
4° I Ministri di Stato;
5° I Ministri Segretarii di Stato;
6° Gli Ambasciatori;
7° Gli Inviati straordinarii, dopo tre anni di tali funzioni;
8° I Primi Presidenti e Presidenti del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti;
9° I Primi Presidenti dei Magistrati d’appello;
10° L’Avvocato Generale presso il Magistrato di Cassazione, ed il Procurator Generale, dopo cinque anni di funzioni;
11° I Presidenti di Classe dei Magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni;
12° I Consiglieri del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti, dopo cinque anni di funzioni;
13° Gli Avvocati Generali o Fiscali Generali presso i Magistrati d’appello, dopo cinque anni di funzioni;
14° Gli Uffiziali Generali di terra e di mare;
Tuttavia i Maggiori Generali e i Contr’Ammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività;
15° I Consiglieri di Stato, dopo cinque anni di funzioni;
16° I Membri dei Consigli di Divisione, dopo tre elezioni alla loro presidenza;
17° Gli Intendenti Generali, dopo sette anni di esercizio;
18° I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina;
19° I Membri ordinarii del Consiglio superiore d’Istruzione pubblica, dopo sette anni di esercizio;
20° Coloro che con servizii o meriti eminenti avranno illustrata la Patria;
21° Le persone, che da tre anni pagano tre mila lire d’imposizione diretta in ragione de’ loro beni, o della loro industria.
Art. 34 – I Principi della Famiglia Reale fanno di pien diritto parte del Senato. Essi seggono immediatamente dopo il Presidente. Entrano in Senato a vent’un anno, ed hanno voto a venticinque.
Art. 35 – Il Presidente e i Vice Presidenti del Senato sono nominati dal Re. Il Senato nomina nel proprio seno i suoi Segretarii.
Art. 36 – Il Senato è costituito in Alta Corte di Giustizia con decreto del Re per giudicare dei crimini di alto tradimento, e di attentato alla sicurezza dello Stato, e per giudicare i Ministri accusati dalla Camera dei Deputati. In questi casi il Senato non è Corpo politico. Esso non può occuparsi se non degli affari giudiziarii, per cui fu convocato, sotto pena di nullità.
Art. 37 – Fuori del caso di flagrante delitto, niun Senatore può essere arrestato se non in forza di un ordine del Senato. Esso è solo competente per giudicare dei reati imputati ai suoi membri.
Art. 38 – Gli atti, coi quali si accertano legalmente le nascite, i matrimonii e le morti dei Membri della Famiglia Reale, sono presentati al Senato, che ne ordina il deposito ne’ suoi archivi.
Della Camera dei deputati
Art. 39 – La Camera elettiva è composta di Deputati scelti dai Collegii Elettorali conformemente alla legge.
Art. 40 – Nessun Deputato può essere ammesso alla Camera, se non è suddito del Re, non ha compiuta l’età di trent’anni, non gode i diritti civili e politici, e non riunisce in sé gli altri requisiti voluti dalla legge.
Art. 41 – I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.
Art. 42 – I Deputati sono eletti per cinque anni: il loro mandato cessa di pien diritto alla spirazione di questo termine.
Art. 43 – Il Presidente, i Vice Presidenti e i Segretarii della Camera dei Deputati sono da essa stessa nominati nel proprio seno al principio d’ogni sessione per tutta la sua durata.
Art. 44 – Se un Deputato cessa, per qualunque motivo, dalle sue funzioni, il Collegio che l’aveva eletto sarà tosto convocato per fare una nuova elezione.
Art. 45 – Nessun Deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto, nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio in materia criminale, senza il previo consenso della Camera.
Art. 46 – Non può eseguirsi alcun mandato di cattura per debiti contro di un Deputato durante la sessione della Camera, come neppure nelle tre settimane precedenti e susseguenti alla medesima.
Art. 47 – La Camera dei Deputati ha il diritto di accusare i Ministri del Re, e di tradurli dinanzi all’Alta Corte di Giustizia.
Disposizioni comuni alle due Camere
Art. 48 – Le sessioni del Senato e della Camera dei Deputati cominciano e finiscono nello stesso tempo. Ogni riunione di una Camera fuori del tempo della sessione dell’altra è illegale, e gli atti ne sono intieramente nulli.
Art. 49 – I Senatori ed i Deputati prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni prestano il giuramento di essere fedeli al Re, di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato, e di esercitare le loro funzioni col solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria.
Art. 50 – Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità.
Art. 51 – I Senatori ed i Deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere.
Art. 52 – Le sedute delle Camere sono pubbliche. Ma, quando dieci membri ne facciano per iscritto la domanda, esse possono deliberare in segreto.
Art. 53 – Le sedute e le deliberazioni delle Camere non sono legali né valide, se la maggiorità assoluta dei loro membri non è presente.
Art. 54 – Le deliberazioni non possono essere prese se non alla maggiorità de’ voti.
Art. 55 – Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo.
Art. 56 – Se un progetto di legge è stato rigettato da uno dei tre poteri legislativi, non potrà essere più riprodotto nella stessa sessione.
Art. 57 – Ognuno che sia maggiore di età ha il diritto di mandare petizioni alle Camere, le quali debbono farle esaminare da una Giunta, e, dopo la relazione della medesima, deliberare se debbano essere prese in considerazione, ed, in caso affermativo, mandarsi al Ministro competente, o depositarsi negli uffizi per gli opportuni riguardi.
Art. 58 – Nissuna petizione può essere presentata personalmente alle Camere. Le Autorità costituite hanno sole il diritto di indirizzar petizioni in nome collettivo.
Art. 59 – Le Camere non possono ricevere alcuna deputazione, né sentire altri, fuori dei proprii membri, dei Ministri, e dei Commissarii del Governo.
Art. 60 – Ognuna delle Camere è sola competente per giudicare della validità, dei titoli di ammessione dei proprii membri.
Art. 61 – Così il Senato, come la Camera dei Deputati, determina, per mezzo d’un suo Regolamento interno, il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni.
Art. 62 – La lingua italiana è la lingua officiale delle Camere. È però facoltativo di servirsi della francese ai membri, che appartengono ai paesi, in cui questa è in uso, od in risposta ai medesimi.
Art. 63 – Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione, e per isquittinio segreto. Quest’ultimo mezzo sarà sempre impiegato per la votazione del complesso di una legge, e per ciò che concerne al personale.
Art. 64 – Nessuno può essere ad un tempo Senatore e Deputato.
Dei Ministri
Art. 65 – Il Re nomina e revoca i suoi Ministri.
Art. 66 – I Ministri non hanno voto deliberativo nell’uno o nell’altra Camera se non quando ne sono membri. Essi vi hanno sempre l’ingresso, e debbono essere sentiti sempre che lo richieggano.
Art. 67 – I Ministri sono risponsabili. Le Leggi e gli Atti del Governo non hanno vigore, se non sono muniti della firma di un Ministro.
Dell’ordine giudiziario
Art. 68 – La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce.
Art. 69 – I Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio.
Art. 70 – I Magistrati, Tribunali, e Giudici attualmente esistenti sono conservati. Non si potrà derogare all’organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge.
Art. 71 – Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie.
Art. 72 – Le udienze dei Tribunali in materia civile, e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi.
Art. 73 – L’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo.
Disposizioni generali
Art. 74 – Le istituzioni comunali e provinciali, e la circoscrizione dei comuni e delle provincie sono regolati dalla legge.
Art. 75 – La Leva militare è regolata dalla legge.
Art. 76 – È istituita una Milizia Comunale sovra basi fissate dalla legge.
Art. 77 – Lo Stato conserva la sua bandiera: e la coccarda azzurra è la sola nazionale.
Art. 78 – Gli Ordini Cavallereschi ora esistenti sono mantenuti con le loro dotazioni. Queste non possono essere impiegate in altro uso fuorché in quello prefisso dalla propria istituzione. Il Re può creare altri Ordini, e prescriverne gli statuti.
Art. 79 – I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro, che vi hanno diritto. Il Re può conferirne dei nuovi.
Art. 80 – Niuno può ricevere decorazioni, titoli, o pensioni da una potenza estera senza l’autorizzazione del Re.
Art. 81 – Ogni legge contraria al presente Statuto è abrogata.
Disposizioni transitorie
Art. 82 – Il presente Statuto avrà il pieno suo effetto dal giorno della prima riunione delle due Camere, la quale avrà luogo appena compiute le elezioni. Fino a quel punto sarà provveduto al pubblico servizio di urgenza con Sovrane disposizioni, secondo i modi e le forme sin qui seguite, ommesse tuttavia le interinazioni e registrazioni dei Magistrati, che sono fin d’ora abolite.
Art. 83 – Per l’esecuzione del presente Statuto il Re si riserva di fare le leggi sulla Stampa, sulle Elezioni, sulla Milizia Comunale, e sul riordinamento del Consiglio di Stato. Sino alla pubblicazione della legge sulla Stampa rimarranno in vigore gli ordini vigenti a quella relativi.
Art. 84 – I Ministri sono incaricati e responsabili della esecuzione e della piena osservanza delle presenti disposizioni transitorie.
Dato in Torino addì quattro del mese di marzo l’anno del Signore mille ottocento quarantotto, e del Regno Nostro il decimo ottavo.
(1) Carmelo Bonanno, I problemi del Risorgimento nei consensi e nei dissensi dei protagonisti e degli storici, Liviana Editrice, 1965, pp. 164.
(2) Denis Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1969, Laterza, 1975, pp. 49.
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- Francesco Cognasso, I Savoia, Il Corbaccio, 1994.
- Francesco Cognasso, Storia di Torino, Giunti, Firenze, 2002.