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La figura di Cavour nella cultura di massa: il libro “Cuore” di Edmondo De Amicis
Una volta conclusosi il processo risorgimentale con l’unificazione territoriale della penisola italiana diventa prioritario per il nuovo Regno pianificare un’educazione a livello nazionale che riesca a formare i cittadini italiani; soprattutto alla scuola e, più in generale, al sistema scolastico la classe dirigente italiana rivolge la propria attenzione.
Un ruolo fondamentale svolge in quegli anni la letteratura per ragazzi che vede come suoi massimi rappresentanti gli scrittori Edmondo De Amicis e Carlo Collodi che pubblicano a distanza di tre anni l’uno dall’altro due opere destinate a diventare dei capolavori assoluti della letteratura per l’infanzia: “Cuore” nel 1886 e “Le avventure di Pinocchio” del 1883.
Cuore è un racconto sotto forma di diario scritto da un bambino di famiglia borghese che frequenta la terza elementare. Per il suo intento pedagogico e per l’ideologia di cui si fa espressione, l’opera di De Amicis è stata definita dalla critica letteraria come un vero e proprio “codice della morale laica e progressista della borghesia umbertina“.
Nel diario del protagonista Enrico Bottini i suoi compagni della scuola Moncenisio rappresentano uno spaccato vivido della nuova società italiana. Non è un caso che questi rappresentanti delle diverse classi sociali si incontrino e si relazionino proprio a scuola, il luogo per eccellenza dell’iniziativa educativa. Alle pagine scritte da Enrico si alternano i racconti edificanti che il maestro Perboni mensilmente propone ai suoi alunni e i messaggi educativi che i genitori e la sorella del giovane lasciano nel suo diario.
Tra questi è presente il contributo del padre di Bottini che rappresenta una delle pagine più belle di tutta l’opera; si tratta dell’omaggio a Camillo Benso Conte di Cavour nel quale l’intento pedagogico che guida De Amicis sembra raggiungere una delle sue massime espressioni.
È la descrizione del monumento al conte Cavour che tu devi fare. Puoi farla. Ma chi sia stato il conte Cavour non lo puoi capire per ora. Per ora sappi questo soltanto, egli fu per molti anni il primo ministro del Piemonte; è lui che mandò l’esercito piemontese in Crimea a rialzare con la vittoria della Cernaia la nostra gloria militare caduta con la sconfitta di Novara; è lui che fece calare dalle Alpi centocinquantamila Francesi a cacciar gli Austriaci dalla Lombardia; è lui che governò l’Italia nel periodo più solenne della nostra rivoluzione, che diede in quegli anni il più potente impulso alla santa impresa dell’unificazione della patria, lui con l’ingegno luminoso, con la costanza invincibile, con l’operosità più che umana.
Molti generali passarono ore terribili sul campo di battaglia; ma egli ne passò di più di più terribili nel suo gabinetto, quando l’enorme opera sua poteva rovinare di momento in momento come un fragile edifizio a un crollo di terremoto; ore, notti di lotta e d’angoscia passò, da uscirne con la ragione stravolta o con la morte nel cuore. E fu questo gigantesco e tempestoso lavoro, che gli accorciò di vent’anni la vita. Eppure, divorato dalla febbre che lo doveva gettar nella fossa, egli lottava ancora disperatamente con la malattia, per far qualche cosa per il suo paese. – È strano, diceva con dolore dal suo letto di morte, – non so più leggere, non posso più leggere. – Mentre gli cavavan sangue e la febbre aumentava, pensava alla sua patria, diceva imperiosamente: – Guaritemi, la mia mente s’oscura, ho bisogno di tutte le mie facoltà per trattare dei gravi affari. – Quando era già ridotto agli estremi, e tutta la città s’agitava, e il Re stava al suo capezzale, egli diceva con affanno: – Ho molte cose da dirvi, Sire, molte cose da farvi vedere; ma son malato, non posso, non posso; – e si desolava.
E sempre il suo pensiero febbrile rivolava allo Stato, alle nuove provincie italiane che s’erano unite a noi, alle tante cose che rimanevan da farsi. Quando lo prese il delirio. – Educate l’infanzia, – esclamava fra gli aneliti, – educate l’infanzia e la gioventù…governate con la libertà. – Il delirio cresceva, la morte gli era sopra, ed egli invocava con parole ardenti il generale Garibaldi, col quale aveva avuto dei dissensi, e Venezia e Roma che non erano ancor libere; aveva delle vaste visioni dell’avvenire d’Italia e d’Europa; sognava un’invasione straniera, domandava dove fossero i corpi dell’esercito e i generali, trepidava ancora per noi, per il suo popolo.
Il suo grande dolore, capisci, non era di sentirsi mancare la vita, era di vedersi sfuggire la patria, che aveva ancora bisogno di lui, e per la quale aveva logorato in pochi anni le forze smisurate del suo miracoloso organismo. Morì col grido della battaglia nella gola, e la sua morte fu grande come la sua vita. Ora pensa un poco, Enrico, che cosa è il nostro lavoro, che pure ci pesa tanto, che cosa sono i nostri dolori, la nostra morte stessa, a confronto delle fatiche, degli affanni formidabili, delle agonie tremende di quegli uomini, a cui pesa un mondo sul cuore! Pensa a questo, figliuolo, quando passi davanti a quell’immagine di marmo, e dille: – Gloria! – in cuor tuo. (pp.142)
Vita di Cavour, lo sceneggiato della Rai del 1967
Alla televisione, e nello specifico alla Rai, va il merito di aver ricostruito le vicende umane e politiche di Camillo Benso Cavour con lo sceneggiato del 1967 “Vita di Cavour” di Piero Schivazappa. Le quattro puntate, che si possono vedere su Raiplay, ripercorrono l’intera esistenza del politico attraverso l’abile impiego di documenti privati, atti parlamentari e discorsi ufficiali, partendo dall’infanzia fino ad arrivare al giorno della morte, avvenuta il 6 giugno 1861.
Per rendere l’opera televisiva attendibile dal punto di vista storico l’autore della sceneggiatura Giorgio Prosperi si è avvalso della consulenza storica di Vittorio Pischedda, all’epoca docente all’Università di Torino, il quale in occasione della presentazione dello sceneggiato poteva annunciare ai cronisti che il Cavour televisivo sarebbe stato “completamente diverso dal cliché ormai tramandato fino alla noia del politico freddo e calcolatore; un Cavour più giocatore di istinto che tessitore, un uomo di cuore e di fantasia, vitale ed esuberante“.
La volontà degli autori di proporre sul piccolo schermo una ricostruzione veritiera degli eventi, testimoniata anche dal continuo ricorso alla voce narrante di Gianni Bonagura che viene alternata alle parti sceneggiate, emerge in tutte le puntate ed è stata apprezzata anche dalla critica che ha riconosciuto alla fiction il merito “di non scadere nella storia romanzata ma di aver saputo attingere a fonti storiche in grado di garantire una credibilità di fondo al progetto televisivo“.
Nello sceneggiato Vita di Cavour, dunque, lo spettatore può avvicinarsi alla complessa figura storica dello statista piemontese apprezzandone la personalità singolare e la vita privata segnata dal profondo dolore per la morte dell’amante, la marchesa Anna Giustiniani (Maria Grazia Marescalchi), e dell’amato nipote Augusto il quale muore in giovane età sul campo di battaglia.
Tutte le vicende che vedono protagonista Cavour, interpretato da Renzo Palmer, un volto noto al grande pubblico in quegli anni, sono ricostruite con il massimo rigore scientifico dal punto di vista storico. Non vi è spazio, infatti, per situazioni romanzate o per qualche eclatante stravolgimento degli eventi del passato con “fini narrativi” come spesso ci stanno abituando in tempi più recenti alcuni autori che si cimentano con le serie tv storiche.
Apprezzabile e vincente risulta essere anche la scelta degli attori che convincono ampiamente nella loro interpretazione dei personaggi; vale la pena ricordare del cast un convincente Enzo Giovampietro nei panni del sovrano Vittorio Emanuele II di Savoia, Sergio Graziani che impersona l’imperatore francese Napoleone III, Antonio Battistella in Giuseppe Mazzini, e Glauco Onorato alle prese con la figura di Giuseppe Garibaldi.
Di quest’opera televisiva vi proponiamo la scena del discorso di Vittorio Emanuele II, prima provato insieme a Cavour, e poi pronunciato il 10 gennaio 1859, in occasione della riapertura del Parlamento. E’ in questa circostanza che il sovrano pronuncia la frase che infiamma l’opinione pubblica e che rimarrà celebre: “Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi“.
E’ curioso evidenziare il fatto che tale espressione sia stata suggerita da Napoleone III dopo aver letto la prima bozza del discorso preparato da Cavour e Vittorio Emanuele II dove si faceva riferimento alla “…Grande Missione che la Divina Provvidenza ci ha affidata“.
La figura di Cavour nella cultura di massa: cortometraggio “Il conte di Cavour”
Di produzione molto più recente è, invece, un cortometraggio di venticinque minuti dal titolo “Il conte di Cavour” del regista Max Chicco, realizzato con il sostegno della Film Commission del Piemonte.
La breve pellicola, che i turisti del Castello di Grinzane possono vedere durante la visita al museo, è incentrata sulla prima esperienza amministrativa di Camillo Benso Cavour proprio nella tenuta di famiglia di Grinzane. Qui il giovane conte, oltre a farsi le ossa in qualità di amministratore, diventa anche sindaco del piccolo paese abitato da appena trecentocinquanta anime.
In occasione della presentazione dell’opera l’autore ha affermato di aver voluto “raccontare un Cavour giovane, spensierato e pieno di idee, amante della buona cucina e delle belle donne, ma anche uno più maturo, riflessivo, consapevole della sua posizione, prossimo alla creazione del primo passo per l’Unità d’Italia“.