CONTENUTO
di Giuseppe Moscatt
I rapporti fra il Regno di Sardegna e il Secondo Impero Francese (1849-1859): una relazione complicata e oscillante
Il tema delle relazioni fra Francia e Italia negli ultimi due secoli è metafora degli attuali rapporti di coppia. Un’oscillazione di interessi bilaterali che vanno dal corteggiamento e dall’innamoramento fino al rapporto stabile familiare. Per poi passare alla mera convivenza forzata e quindi al divorzio e perfino alla guerra fredda. Il periodo esaminato ora è assimilabile a un progressivo corteggiamento del Regno di Sardegna e poi a un breve periodo di forzata convivenza (1849-1859).
1849-1853: un Torinese a Parigi e un Parigino a Roma
Il 7 gennaio del 1848, l’albergo Europa di Torino ospita l’incontro dei direttori di giornali liberali e democratici guidati da un maturo intellettuale rampollo nobile e di grandi speranze liberiste, direttore del giornale più progressista del Regno, Il Risorgimento, vale a dire Camillo Benso conte di Cavour. Invocano tutti al Re Carlo Alberto di concedere una Costituzione liberale. E nello stesso giorno esce un resoconto tecnico economico del suo viaggio in Inghilterra degli anni ’40. Resoconti che iniziano nel 1835 da Parigi e Bruxelles.
Chi volesse sapere di lui, basta che ne legga le memorie di incontri, analisi e commenti di economia liberista che rilascia nel suo giornale, fermamente convinto che un’economia capitalista che guardi alla libera concorrenza e alla libertà di commercio sia il trampolino di lancio per l’Unità della Nazione – benché limitata al Nord Italia – e che l’Indipendenza, sia la base dei diritti civili primari, cioè il necessario corollario del collante aggregativo del mercato: libero Mercato in libero Stato, prima formula innovativa di quella Costituzione agognata.
Nei suoi soggiorni a Parigi e nei lunghi soggiorni precedenti a Londra, vede e critica le mentalità conservatrice del capo di governo Guizot – l’ombra retriva del Re Luigi Filippo, servitore occulto delle idee antiliberali di Metternich – peraltro presenti sul suo giornale a Torino qualche giorno prima, ritenendolo un maestro di falso liberalismo e difensore dei privilegi delle classi terriere redditizie, negatrici di ogni modello imprenditoriale innovativo.
Poco dopo, La terra tremerà, come dice Salvatore Lupo, per spiegare il 1848-1849. Sappiamo che Cavour, in quel tragico biennio – che va dal moto di Palermo – 12 gennaio 1848 al 23 agosto del 1849 – quando cade l’ultimo baluardo di libertà e di indipendenza a Venezia, in cuor suo teme che la spinta democratica unitaria, da Milano a Genova, da Napoli a Venezia, non avrebbe lo sbocco agognato. Le disfatte militari di Custoza e di Novara, gli rendono presto chiaro che l’economia viene prima della politica, che l’essere liberista è il presupposto dell’essere libertario.
E che il Parlamentarismo – quello inglese specialmente che ha avuto modo di studiare nel suo ventennio di viaggi ora ora predetto – è il migliore sistema rivoluzionario per arrivare all’Unità. Ecco perché il 20 novembre del 1849 il suo giornale approva lo scioglimento del Parlamento sardo piemontese che ha negato il trattato di pace definitivo con l’Austria e del pari sostiene il nuovo Governo moderato di D’Azeglio, d’accordo col giovane Re Vittorio Emanuele II nel mantenere immutato lo Statuto liberale del vecchio Re Carlo Alberto emanato il 4 marzo del 1848.
Nello stesso tempo però l’altro grande protagonista della nostra storia, compie il percorso inverso. Mentre Cavour approva la Parigi parlamentare, temendo però che a lungo andare i socialisti di Blanc possano allearsi definitivamente coi cattolici di Lamartine per realizzare un socialismo di Stato che un tedesco immigrato – Karl Marx – preconizzava in un libretto La miseria della filosofia, dove si ritrova una critica razionale a quel capitalismo imprenditoriale da lui auspicato; un giovane rivoluzionario di gran nome – Luigi Bonaparte – va raccogliendo consensi nella borghesia minima delle campagne e nell’esercito a favore della Chiesa Romana, contro la propaganda socialista laica tollerata anche dal Governo Guizot.
Il Partito Bonapartista cattolico e conservatore ha trovato l’erede del Grande Imperatore in colui che magnifica appunto la Roma temporale di Pio IX. La scristianizzata Parigi – tale secondo Heine, il poeta tedesco laico ed ebreo che narra la vie parisienne scanzonata e libertaria con toni sarcastici da fine del mondo bigotto – trova nella provincia la rinascita della spiritualità perduta, che i piccoli proprietari agrari pretendono e che gli intellettuali De Maistre e Lamennais richiedono a Pio IX, invocando un Governo reazionario di fede ortodossa, un Cristianesimo di Stato autoritario e identitario, che germinerà a fine ‘800 l’antisemitismo del caso Dreyfuss e poi confluirà nell’Action Française di Maurras, ferocemente collaborazionista del Nazismo negli anni dell’occupazione tedesca della Francia sconfitta nel 1940.
Occorre però l’uomo che incarni quell’idea di grandezza imperiale fra Francia e Impero. E così Luigi Bonaparte organizza il suo Partito nazionalista, cattolicissimo, fautore dell’economia agraria latifondista e militarista. Il 23 Aprile del 1848 la nuova assemblea nazionale costituzionale, a debole maggioranza democratica, su pressione bonapartista e militare, cancella la Costituzione di Febbraio del 1848. Inoltre il nuovo Presidente della Repubblica è lui stesso, che accoglie l’invito di Pio IX ad aiutarlo militarmente a rimetterlo sul trono a Roma in mano ai democratici.
La resistenza politica di Giuseppe Mazzini e quella militare di Giuseppe Garibaldi crollano nel giugno del 1849, malgrado la promulgazione della Costituzione della Repubblica Romana il 3 di luglio, con i francesi ormai alle porte della città. Pio IX e i cattolici francesi sono soddisfatti e il 13.6 del 1850 l’esercito bonapartista disperde i socialisti e i democratici di Ledru Rollin chiamati a difendere le libertà parlamentari e a protestare contro i fatti della Repubblica Romana.
L’inconsistenza del parlamento francese repubblicano nel 1851 è ormai evidente: di fronte alla proposta di rielezione di Luigi Bonaparte ancora Presidente della Repubblica, la camera socialista e democratica oppone un energico rifiuto. Ma Luigi, come farà Francisco Franco quasi un secolo dopo in Spagna – sente di rappresentare il popolo delle campagne e i militari, ormai stanchi di una guerra civile strisciante di quasi tre anni. Il Parlamento viene occupato militarmente, le barricate vengono sfondate, i nemici di partito arrestati e fucilati.
Il 21 dicembre del 1851, un nuova Costituzione autoritaria regge la Francia, a suon di manganello e di aspersorio, come dirà Ernesto Rossi sulla collusione fra il Vaticano e il Regime Fascista. A leggere queste notizie da Parigi, il ministro delle finanze e dell’agricoltura Cavour non è del tutto contento, anche perché le riforme ecclesiastiche restrittive della Chiesa Cattolica – le cc. dd. Leggi Siccardi – sull’abolizione della giurisdizione ecclesiastica e sul diritto di asilo – nonché le riforme abolitive del latifondo e la liberalizzazione del commercio estero e l’ampliamento della marina mercantile – a fatica sono state approvate dal Governo D’Azeglio e dal Re.
Eppure, la terribile reazione conservatrice modello francese, sarà contenuta proprio da una concreta manovra parlamentare nel 1852: di fronte ai rischi di un pronunziamento cattolico reazionario, il Governo Parlamentare di Cavour – succeduto al debole D’Azeglio – opera un’alleanza inusitata fra il centro progressista da lui guidato e la sinistra democratica del Rattazzi, che gli storici oggi chiamano connubio e che a fino ‘800 Crispi chiamerà trasformismo, ma che Aldo Moro e Pietro Nenni indicheranno nel 1962 come quel centrosinistra posto a barriera del Governo autoritario filofascista del Tambroni.
Un gabinetto innovativo, che aprirà a trattati commerciali con la Franca e l’Inghilterra – prodromici all’alleanza nella prossima Guerra di Crimea (1853) – nonché a una riforma delle tariffe doganali, notevolmente ribassati per molti prodotti (cotone, lana e concime) e che consentirà il libero scambio con gli Stati del centro-nord italiano, anche se ne risentirà l’economia nazionale dopo l’Unità. Certamente, lo sguardo innamorato di Cavour per le riforme parlamentari parigine e per la Parigi liberale è bilanciato dall’amore incondizionato per Luigi Bonaparte – ormai divenuto Imperatore come Napoleone III dal 2.12.1852 – ma non per la Roma Temporale.
Ormai una nuova fase sta per iniziare: il corteggiamento del nuovo Impero che porterà al cambio di protezione dall’Austria alla Francia in Italia, sperando che il nuovo protettore favorisca lo sviluppo economico e sociale del Paese, pur lasciando immutate le aree centrali e meridionali della Penisola, ancora troppo lontane da una riforma economica industriale già in atto in Europa. Una scintilla occorre e lo è la prossima guerra di Crimea.
1853-1856: la guerra di Crimea, prova generale degli Imperialismi Europei. Il corteggiamento di Cavour
Ma torniamo un po’ su Luigi Bonaparte. Quando Thomas Carlyle scrive uno dei suoi saggi di critica storica meno noti, se non per la suggestione di titolo ancora oggi in voga – passato e presente (edizione originale, Londra, 1849 e prima traduzione in Italia, edizioni Bocca, Milano, 1905) – è il colpo di fulmine per Luigi Napoleone, il futuro Presidente della seconda Repubblica francese e poi Imperatore dei Francesi dal 2.12.1852. Nel carcere a vita di Ham, dove l’allora regime parlamentare democratico moderato lo ha recluso, il maturo mazziniano legge estasiato la massima dello storico inglese: nessuno fra i grandi uomini vive invano: la storia del mondo non è che la biografia di tali individui.
A 35 anni, si chiede perché il suo programma politico non può replicare la somma grandezza dello zio Napoleone Bonaparte. Come scriverà la storiografia di metà ‘900, quattro questioni europee lo vedranno protagonista sulle ceneri del 1848-1849, l’età degli Imperi che succederà all’età delle nazioni (1871-1914), con Napoleone III al centro delle due epoche, che altri chiameranno la belle-Epoque. Ebbene, Luigi scalerà il fragile potere repubblicano, divenendo Presidente della Repubblica, per poi col colpo di stato del 1852, tramutarla in Impero, suscitando le notissime critiche di Marx e Hugo.
Si può dire che la nozione di Grandeur della Francia di De Gaulle ha in lui un precoce quanto audace iniziatore. E’ nazionalista, conservatore cattolico, ma anche paladino delle popolazioni oppresse dagli schemi rigidi del Congresso di Vienna del 1815, nonché acceleratore del governo liberale di Luigi Filippo. La nuova classe capitalista industriale preme alle porte e la democrazia sociale e parlamentare va spazzata via.
In fondo, la centralità del Governo voluta dall’avo Bonaparte il 18 Brumaio del 1799 gli sembra alquanto opportuna di fronte alla domanda di libertà economica che risale dalle Nazioni del vecchio impero napoleonico e che attua in Francia con spregiudicate interpretazioni costituzionali rivolte a mutare gli equilibri di forza politica e militare, contro il governo socialista e radicale del ’48, portatore impotente di formule legislative non ancora idonee a garantire una Costituzione chiaramente democratica.
Peraltro, nel 1849 ancora i liberali della Valacchia sono insorti chiedendo la Costituzione e l’Indipendenza dal Sultano turco. Il principato slavo si trova stretto da due fuochi: da una parte la rapida repressione Ottomana e dall’altra il grande abbraccio dello zar russo Nicola I, che fin dal 1829, in nome della madre russa ortodossa, viene loro incontro, liberando quella provincia, ora rumena, solo dal lato religioso e mai dal lato laico e democratico.
L’accordo Russo/Ottomano di Balta – Liman del 1.5.1849, dove di fatto l’Impero Ottomano accetta il protettorato russo aprendo le porte del Mar Nero alla flotta russa; provoca sconcerto a Parigi e Londra, perché l’agognata quarta sponda della Russia verso il Mediterraneo sembra essere ottenuta, con il pericolo di una profonda limitazione all’espansione dei traffici coloniali verso l’India per la Gran Bretagna e la parallela minaccia per la colonizzazione del Mediterraneo centrale della Francia da Algeri a Tunisi.
Ma la Questione d’Oriente si aggrava con virulenza qualche anno dopo a Gerusalemme: la debole gestione dei Luoghi Santi da parte del governo Ottomano, lacerata dagli scontri fra Ortodossi, Cattolici e Maomettani, fa per la seconda volta il gioco di Nicola I. Nel 1852 ottiene il privilegio per la Chiesa ortodossa della loro gestione. Il vaso è colmo: per un anno intero, le cancellerie europee – segnatamente quella francese e inglese – protestano diplomaticamente contro l’antico orientamento di Pietro e Caterina di Russia di dividere e assorbire l’Impero Ottomano, nonché di cacciare da Gerusalemme le Chiese cristiane occidentali.
Chi leggesse i diari del ministro degli Esteri francese Waleswski e dell’omologo inglese John Russell, scoprirà vere e proprie acrobazie diplomatiche per sottrarre l’Austria e la Prussia dal tentativo di essere attratte dalle promesse dell’Orso Russo di ottenere territori balcanici in cambio di una loro neutralità, analoghe alle contorsioni che stiamo osservando oggi per la questione Ucraina. Ma è Napoleone III a dire che la probabile guerra nella penisola della Crimea, fra la Russia e la Francia può essere quella nuova Rivoluzione europea svanita nel 1848 e ora più che mai attesa….Io l’ho ideata e io la perseguirò con tale speranza, fino ad acquisire nuovi territori di cui la Francia ha ora bisogno.
Ed è nell’ottobre del 1853 che la Francia Imperiale, insieme alla Gran Bretagna di Hamilton Gordon – un liberale che teme conseguenze per l’India e per l’attuale Afghanistan – vengono in soccorso dell’impero Ottomano, invaso dallo Zar Nicola che ha occupato molte aree costiere del Mar Nero col pretesto di tutelare le minoranze ortodosse minacciate dall’intolleranza musulmana. Diamo al lettore la possibilità di approfondire la prima parte della campagna militare franco-inglese, favorevole fino al 1855 per gli alleati occidentali, benché la flotta turca subisse non poche sconfitte sul Mar Nero.
Fatto si è che da allora la guerra da movimento diviene di posizione. Il baricentro diventa la fortezza di Sebastopoli in Crimea in mano al generale russo Menšikov che con la sua artiglieria blocca le forze alleate in trincee a ridosso delle mura. Nei lunghi mesi di assedio però il vero nemico è il colera: le cronache dello storico inglese Kinglake narrano di una terribile epidemia che coglie ambedue le truppe in assedio, calcolate dai 30.000 ai 40.000 morti, vicenda che portò alla nascita del volontariato femminile nelle zone di guerra per la prima volta e alla coeva formazione del corpo delle crocerossine di guerra guidate da Florence Nightingale.
Ma proprio sotto quelle mura, Napoleone III e Camillo Cavour intesseranno l’improvvisa alleanza che dà larghissime speranze per la soluzione di quella questione italiana che parimenti affligge l’Europa da 50 anni: un matrimonio preceduto da un corteggiamento bilaterale che frutterà la nascita dello stato Italiano e la vittoria temporanea dell’Imperalismo Francese.
1856-1859: il matrimonio di interessi e un nuovo Ordine Europeo
Non è questo il luogo di esprimere un parere completo su Cavour. chiamato presto il grande tessitore della nostra Nazione. Certamente l’idea politica che lo contraddistingue è quella di uscire dalle mura di casa e di aprire le porte alla politica estera. Col governo, il piccolo Regno sardo- piemontese diviene il più industrializzato della Penisola fin dal 1850. Cavour ha ben chiara la scelta di fare una sola strategia delle due politiche finora da nessun governante italiano mai perseguita, vale a dire l’unità di azione interna ed estera.
Da un lato, almeno fino al 1856, non ha alcuna idea unificatrice dell’intera penisola, limitando la sua politica liberista alle regioni del Nord Italia; ma dall’altro le regole liberoscambiste lo portano lontano dal clericalismo conservatore austriaco. Guarda proprio alla Francia di Napoleone e all’Inghilterra di Palmerston, nuovo astro nascente della politica inglese adesiva alle idee di Ricardo, economista classico fautore del commercio internazionale quale fonte primaria della crescita interna.
E’ però fortemente antisocialista dopo il fallimento della rivoluzione a Parigi del 1848 e molto attento alla evoluzione dell’economia borghese di Napoleone e del relativo asse politico formato sulla centralità politica del Parlamento, fulcro della democrazia, sede ideale per le libertà formali costituzionali. In sintesi, la democrazia parlamentare anglosassone garantisce il libero scambio e la libera Chiesa nel libero Stato borghese, cioè quella monarchia costituzionale centrista che reggerà l’Italia fino al 1922.
Di fronte al pericolo di una nuova Santa Alleanza fra Nicola I e Francesco Giuseppe d’Austria – Ungheria, senza contare il rischio nazionalista prussiano di un suo omologo nell’idea unificatrice, cioè di Otto von Bismarck; Cavour è altrettanto convinto nel favorire la caduta delle barriere commerciali interne, ma aperto alla visione globalizzata che ha vissuto da giovane nel Belgio appena indipendente, dove una nuova classe dirigente mercantile ed industriale, insieme al vicino modello olandese, garantisce una non indifferente politica coloniale di positivo sfruttamento e di scambi di materie prime energetiche. Intanto, nel languore delle trincee attorno a Sebastopoli, la situazione militare si imputridisce proprio a favore della Russia zarista, che da assediata sta per trasformarsi in assediante, come avverrà quasi un secolo dopo a Stalingrado.
Palmerston corre ai ripari. Dalla Crimea gli perviene la notizia che il porto di Balaclava – una via di scampo del contingente inglese attestato sulle alture di fronte a Sebastopoli e luogo di deposito dei rifornimenti – sta per essere preso dai Russi, circondando il corpo di spedizione inglese. E mentre pensa di come rompere quel terribile accerchiamento; Austria e Francia trattano per l’entrata della prima in guerra. Anzi Francia e Inghilterra, ormai esauste, promettono a Francesco Giuseppe mano libera in Italia.
Che fare? Ha dato la sua parola a Napoleone III e a Palmerston di intervenire in quella lontana guerra, apparentemente estranea ai nostri interessi. Ma poi addirittura starebbe per allearsi con l’odiato Imperial Regio Governo di Vienna. E poi, veramente Vienna è per la libertà dei popoli balcanici? L’aquila imperiale non è meno tirannica dell’orso russo….. Un passo indietro rispetto alla promessa di aiutare le grandi potenze democratiche impaludate nelle secche di Balaclava, lascia Cavour nella stessa tempesta del dubbio di Mazzini un decennio prima, quando viene a sapere della tragica morte dei fratelli Bandiera.
Nella notte fra il 9 e il 10 aprile del 1855, Cavour mette sul piatto della bilancia le possibili conseguenze negative e accetta il rischio di firmare al buio un Trattato di alleanza che lo obbliga ad inviare un corpo d’armata di 15.000 uomini guidati dal generale Alfonso Lamarmora, che pur obbedendo, non lo capisce, come tanti politici del Parlamento sardo. Gli si chiede con asprezza le ragioni di quella guerra così lontana, mentre sul fiume Cernaia il 16 agosto del 1855 – lo stesso giorno della carica dei 600 cavalieri inglesi nella più famosa cavalcata militare della storia – migliaia di bersaglieri muoiono a favore di un popolo così diverso. Intanto, la posizione dell’Austria-Ungheria si raffredda rapidamente: la corrente ecclesiastica convince Francesco Giuseppe a non rompere del tutto con la Russia e il governo di Vienna preferisce non aderire ad alcuna alleanza coi Russi.
Solo nel 1914 quella politica di neutralità in un caso simile viene meno. Così la diplomatizzazione del Risorgimento – secondo la tesi caustica del Crispi – dà i suoi frutti. Alla conferenza di pace di Parigi nel 1856 Cavour mette all’accettazione la cambiale che ha preteso in cambio della strage sulla Cernaia, cioè l’appoggio della Francia e Inghilterra nella c.d. questione italiana. I numerosi morti piemontesi anticipano i tantissimi francesi caduti nel 1859 a Solferino e garantiscono anche la protezione dell’Inghilterra durante la spedizione dei Mille nel sud dell’Italia nel 1860.
L’intervento di Cavour nella seduta integrativa della Conferenza di Parigi, in cui esprime in modo impetuoso le colpe dell’Impero austroungarico fin dal Congresso di Vienna anche per aver tollerato il malgoverno di Ferdinando II di Borbone e la protezione interessata dello Stato Pontifici. E’ una netta vittoria morale della diplomazia piemontese, foriera dei successivi passaggi unificativi del 1859 e dl 1860. L’Indipendenza e l’Unità italiana è ottenuta anche per via diplomatica ed internazionale, piuttosto che dalle limitate rivolte popolari insufficienti del 1848.
Cavour sceglie la prima strada e vince. Napoleone, da parte sua, ha due risultati notevoli: a Sebastopoli ottiene la fine dell’Impero Turco, destinato a diventare il malato d’Europa, senza però alcun guadagno sui Balcani, dove rimane pendente il duello fra Impero Asburgico e Impero Russo. Ha più successo nella Questione Italiana, ma dopo Solferino verrà nel 1870 Sedan, quando lo sconfiggerà la Germania imperiale. Ma quella è un altra storia, dove entra con prepotenza la Questione Renana, matrice indiscutibile della Prima Guerra Mondiale.
Bibliografia
- Sulla figura di Napoleone III, vd. E. DE RIENZO, Napoleone III, Salerno editore, Roma, 2010.
- Per la politica estera di Cavour, vd. Denis Mack Smith, Cavour, il grande tessitore dell’Unità d’Italia, Milano, 1995, pagg. 97 e ss.
- Sulla guerra di Crimea in generale, vd. A.W. KINGLAKE, The invasion of the Crimea, vol. I, London, 1877 in https://archive.org/search.php.
- Sulla Questione Romana, vd. INDRO MONTANELLI, L’Italia dei notabili (1861-1900), Milano, 1973, LUCIO VILLARI, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Roma-Bari, 2009 e vd. SALVATORE LUPO, Il passato del nostro presente, Roma-Bari, 2010.
- Sul passaggio dell’Europa delle Nazioni all’Europa degli Imperi, cfr. La Nazionalizzazione delle masse di ALBERTO MARIO BANTI, voce del volume collettaneo Storia contemporanea, Manuale Donzelli, Roma1997.
I libri consigliati da Fatti per la Storia!
- Eugenio Di Rienzo, Napoleone III, Salerno Editrice, Roma, 2010.
- Lucio Villari, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009.
- Salvatore Lupo, Il passato del nostro presente. Il lungo Ottocento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010.