CONTENUTO
Cavour e Mazzini: due prospettive differenti per lo stesso obiettivo
Come è noto a molti, Giuseppe Mazzini e Camillo Benso conte di Cavour appartengono a due diverse fazioni politiche che in quegli anni si contendono il primato della scena politica italiana. Per i moderati il raggiungimento dell’unificazione nazionale poteva essere garantito solo attraverso il sostegno dei sovrani e doveva avvenire in modo graduale attraverso compromessi, trattative e accordi. Secondo i democratici, invece, dopo il fallimento dei moti degli anni Venti e Trenta che avevano mostrato l’inaffidabilità dei sovrani, bisognava puntare sul coinvolgimento del popolo.
Il genovese Giuseppe Mazzini, leader del fronte democratico è il primo a chiamare gli italiani a consacrare «il pensiero e l’azione al grande intento di restituire l’Italia in nazione di liberi e eguali, Una, Indipendente, Sovrana». Infatti secondo l’ideologia mazziniana l’unica via da seguire per raggiungere l’unità e l’indipendenza è l’insurrezione popolare. Di conseguenza egli ritiene necessario formare la coscienza politica del popolo persuadendolo che l’inevitabile metodo insurrezionale sia l’unica strada per giungere all’indipendenza nazionale.
Il leader della componente liberale e moderata è Camillo Benso conte di Cavour, estremamente realista e pragmatico, il quale è fortemente convinto che si possa ottenere l’unità solo attraverso il coinvolgimento delle potenze straniere interessate ad indebolire l’Impero asburgico. Va precisato però, che tra i progetti iniziali di Cavour non è presente l’unificazione d’Italia, ma la sua azione è orientata verso un’espansione del Regno di Sardegna. Per raggiungere tale obiettivo egli comprende che è necessario sconfiggere l’Austria, nemico principale del Piemonte, e di conseguenza bisogna allearsi con la Francia di Napoleone III.
Cavour e Mazzini: Idealismo e realismo nel Risorgimento italiano
Uno dei motivi di divergenza tra i due grandi uomini va individuato nel diverso modo di intendere la vita politica. Mazzini, profondamente religioso, attribuisce alla dimensione trascendente il senso e il valore della vita. La religiosità di Mazzini è tipicamente romantica e si allontana da una concezione cristiana cattolica della divinità. Dio si identifica con lo spirito presente costantemente nella storia e, in ultima analisi, si realizza nella stessa umanità.
All’interno della Storia, gli individui e i diversi popoli sono chiamati da Dio a contribuire al bene dell’umanità: mentre gli individui devono adempiere ai doveri personali, i popoli – come strumenti di un disegno divino – devono realizzare la loro missione storica. È proprio da qui che deriva la celebre espressione mazziniana «Dio e popolo».
La storia umana non è dunque guidata dalla mente o dal volere dell’uomo né dal caso, ma da una Provvidenza che supera gli accorgimenti politici e che conduce costantemente l’umanità. Secondo il patriota genovese «operare nel mondo» significa collaborare all’azione che Dio svolge nel mondo e inoltre è necessario piegarsi al comandamento interiore, considerando il dovere perno della vita, senza speranze di premi, e senza calcoli di utilità.
Egli condanna fortemente l’individualismo e la teoria della lotta di classe proposta da Karl Marx nella società considerate fonte di anarchismo ed materialismo. Queste due concezioni conducono gli uomini alla lotta fratricida e alla frattura della divina unità di popolo. Secondo Mazzini, infatti, il pensiero politico confluisce nel pensiero religioso e il pensiero religioso in quello sociale. Al liberalismo individualistico e agnostico oppone la democrazia (nel senso etimologico del termine δῆμος, «popolo» e κράτος, «potere», governo del popolo), unica forma di governo in grado di realizzare l’unità nazionale sulla base di valori come la fratellanza, la giustizia sociale e la libertà.
Mazzini si costruisce un’Italia ideale e lavorando su quell’idea, si inganna nelle scelte dei mezzi che si riveleranno fallimentari. Nonostante ciò egli, con la sola forza della parola, senza mezzi, senza potenza, riesce ad essere il perno di una grande agitazione europea. Come scrive lo storico Francesco Desanctis: «Egli è stato il grande cospiratore e agitatore europeo, ha esercitato grande influenza sulla gioventù». Mazzini, infatti, riesce a entusiasmare quella generazione di cui vuole servirsi per giungere al suo obiettivo, cercando espressioni e motti, utili a produrre l’entusiasmo sugli uomini, come «Dio e popolo», «Pensiero e azione», «La vita è missione».
Il conte di Cavour ha, invece, una mentalità diversa; nonostante le sue nobili origini e la rigida educazione, assume come modello di stato l’Inghilterra di cui ammira l’efficiente monarchia costituzionale e gli ideali liberali. Egli infatti si forma con una mentalità concreta, pragmatica, che lo porta ad essere legato ai fatti, alla realtà delle cose e a fuggire da ogni tipo di idealismo astratto, di dottrinarismo e di utopismo; allo stesso tempo comprende le nuove forze sociali in ascesa.
Contrariamente a ciò che sosteneva Mazzini, il conte di Cavour è un convinto fautore dello Stato costituzionale, dei partiti e della loro “lotta” organizzata in Parlamento, del governo come espressione della maggioranza, considerando la minoranza nella sua funzione di critica e controllo delle scelte e delle azioni del governo.
Il contrasto tra Mazzini e Cavour
Dopo la fine Prima guerra di indipendenza (marzo 1848 – agosto 1849) e dopo la breve parentesi della Repubblica Romana (febbraio – luglio 1849), mentre l’immagine del Regno di Sardegna si rafforza grazie alla politica cavouriana, che vede nella guida di Casa Savoia l’unica possibilità di raggiungere l’unità nazionale, decidendo di affidarsi alla diplomazia e alle armi di questa, ulteriori iniziative insurrezionali dei democratici falliscono miseramente.
Nonostante le continue sconfitte, Mazzini e i mazziniani non cambiano strategia, rimanendo fortemente convinti che l’unità italiana potrebbe scaturire da un moto insurrezionale e potrebbe attuarsi solo attraverso la ripresa del processo rivoluzionario. Il fallimento di altri tentativi rivoluzionari come l’insurrezione di Milano e la spedizione di Sapri convinse sempre più l’opinione pubblica italiana che vi era una sola strada per il riscatto nazionale: la via moderata e filosabauda proposta da Cavour.
Pochi anni più tardi, al congresso di Parigi (1856), Cavour riesce ad ottenere un buon successo, riuscendo a sollevare in un consenso internazionale la questione italiana. Allo stesso si aumenta il credito del Piemonte presso la maggior parte dei patrioti, i quali progettano la fondazione di un’organizzazione, la Società Nazionale Italiana (1857), che raccolga tutti coloro che sono disposti ad accettare la prospettiva di una lotta per l’indipendenza italiana guidata da Casa Savoia. Tra questi si possono annoverare alcuni nomi illustri come Manin, Pallavicino, La Farina e Garibaldi.
Proprio Garibaldi, interpellato, accetta di farne parte prendendo inevitabilmente le distanze da Mazzini, il quale aveva sempre combattuto l’idea di rivolgersi ai sovrani per raggiungere l’unità e l’indipedenza dell’Italia. L’anno successivo a Plombières, Cavour e Napoleone III getteranno le basi per l’alleanza franco-piemontese e della guerra contro l’Austria.
Il momento di massima tensione, che porta all’esplosione del contrasto tra Cavour e Mazzini, è la discussione di una legge al Parlamento piemontese che viene approvata nell’aprile del 1858. Va precisato che, nei mesi precedenti all’approvazione di questa legge, Cavour dopo l’attentato di Felice Orsini contro l’imperatore Napoleone, non esita a scaricare su Mazzini e sul suo movimento l’accusa di terrorismo.
Inoltre, proprio in quei mesi, l’azione diplomatica di Cavour procede costantemente verso un accordo con la Francia, anche perché il Primo ministro comprende che Napoleone III è molto interessato a divenire il protagonista di un cambiamento di equilibri nella penisola italiana. Infatti Cavour intuisce che l’imperatore francese abbia ambizioni egemoniche e sia desideroso di riprendere la politica italiana del primo Napoleone, ma al tempo stesso teme il dilagare di agitazioni mazziniane e democratiche.
È necessario ingraziarsi Napoleone III e Cavour riesce abilmente a volgere a proprio vantaggio l’accaduto, convincendo l’imperatore che l’episodio è la dimostrazione della grave situazione italiana e che quest’ultima sarebbe potuta degenerare fino all’esplosione di una rivoluzione democratica e repubblicana.
Dunque serve un progetto di legge, quasi su richiesta di Napoleone III, utile a mostrare che il governo piemontese è ben distante dalle iniziative democratiche e rivoluzionarie che spaventano l’imperatore francese. Il progetto di legge contiene pochi paragrafi: il primo stabilisce norme speciali per punire complotti organizzati, all’interno dello Stato sabaudo, contro i sovrani stranieri; il secondo stabilisce che i delitti di stampa possono essere perseguiti d’ufficio; il terzo fissa altre norme di censura sulla stampa.
Il progetto di legge viene discusso alla Camera e nel dibattito parlamentare interviene anche lo stesso Cavour, con un celebre discorso per favorire l’approvazione dei provvedimenti repressivi, scagliandosi con violenza contro i mazziniani accusandoli di professare la cosiddetta «teoria del pugnale», cioè l’assassinio politico e di voler attentare la vita stessa del re Vittorio Emanuele II. Questa è sicuramente un’accusa ingiusta e scorretta, ma soprattutto strumentale; Cavour se ne serve per dimostrare alla Francia che il Piemonte è totalmente distante dalle forze democratiche e rivoluzionare che spaventano Napoleone e, proprio per questo, tende a screditarle.
Al discorso di Cavour, Mazzini replica con una lettera, nella quale protesta, sdegnato, contro la «calunnia» del Primo ministro, esprimendo il suo massimo disprezzo per l’avversario. Egli si rivolge in questi termini: «Signore, io vi sapevo da lungo tenero della monarchia piemontese più assai che della patria comune, adoratore materialista del fatto più assai che d’ogni santo eterno principio, uomo d’ingegno astuto più che potente, fautore di partiti obliqui e avverso, per indole di patriziato e tendenze ingenite, alla libertà; non vi credevo calunniatore. Ora voi vi siete chiarito tale. Avete, nel vostro discorso del 16 aprile, calunniato deliberatamente e per tristo fine un intero Partito devoto, per confessione vostra, all’indipendenza e all’unità nazionale… Avete da osceni libelli di poliziotti stranieri, dissotterrata a nostro danno l’accusa dalla teoria del pugnale, ignota all’Italia. Avete, sapendo che la menzogna poteva fruttarvi un aumento di voti, dichiarato alla Camera che la legge liberticida proposta aveva per intento proteggere i giorni di Vittorio Emanuele minacciati da noi. E questa accusa voi, due volte codardo, l’avete gittata contro noi per mero artificio politico. Perciò se io prima non vi amavo, ora vi disprezzo. Eravate finora solamente nemico ora siete bassamente, indecorosamente nemico».
Successivamente Mazzini non esita ad accusare Cavour di altri misfatti, come voler causare una guerra civile in Italia, poiché si dividono inevitabilmente gli animi sulla politica da seguire per raggiungere l’unità del Paese, producendo in Italia un «dualismo fatale». Inoltre lo accusa di aver corrotto la gioventù con una politica di artifici e di menzogne, sostituita ad una politica leale e serena.
In questo modo Mazzini tende a prendere le distanze da Cavour rimarcando la differenza tra le due alternative e le due prospettive che i due politici rappresentano: «Fra voi e noi si apre un abisso. Noi rappresentiamo l’Italia, voi la vecchia bramosa, debole ambizione di Casa Savoia. Noi rappresentiamo l’unità nazionale, voi l’ingrandimento territoriale. Noi crediamo nell’iniziativa popolare, voi temete e vi appoggiate alla diplomazia, al consenso dei governi europei».
Nonostante l’opposizione di Mazzini, la legge che viene discussa al Parlamento piemontese viene approvata nello stesso aprile del 1858. Da questo momento di tensione si evince chiaramente che non sono soltanto due uomini a scontrarsi, ma due concezioni politiche: da un lato il realismo di Cavour dall’altro l’idealismo utopico di Mazzini. Quest’ultimo sicuramente più affascinante ma anche meno producente, meno utile al raggiungimento dell’indipendenza italiana. Mentre la politica realistica di Cavour trova dei punti di convergenza con le ambizioni di Napoleone III, il quale vuole ottenere la riaffermazione della Francia a prima potenza europea.
Cavour e Mazzini: Complementarietà o antitesi radicale?
Nonostante questa totale opposizione, avversione, risentimento e, per certi versi odio, tra questi due uomini c’è, al tempo stesso, una sostanziale e inconsapevole collaborazione. Infatti ciò che l’uno elimina della parte dell’altro, non rappresenta una perdita ma un guadagno per la causa finale e comune. Di conseguenza si potrebbe parlare, seppur con dovuta cautela, di complementarietà tra Mazzini e Cavour, risultando innegabile che «Mazzini è stato il propagandista più antico e tenace dell’unità d’Italia, e dello stato unitario», allo stesso modo nessuno può mettere in dubbio che «uno stato italiano unitario sia sorto tra il 1859 e il 1861 intorno al nucleo piemontese» e che «quest’opera di aggregazione unificatrice si sia compiuta sotto la direzione politica e governativa del Conte di Cavour».
Tuttavia, in linea con lo storico Luigi Salvatorelli, bisogna considerare che lo Stato italiano unitario-monarchico, costituzionale-parlamentare, formatosi tra il 1860 e il 1870, presenta alcune caratteristiche in opposizione con gli ideali e i programmi mazziniani. Dunque sarebbe errato considerare che Mazzini e Cavour siano giunti insieme all’obbiettivo. In realtà, in quella che si può definire una lotta, si delineano chiaramente un vincitore e un vinto: il vincitore è Cavour e il vinto Mazzini. O, più precisamente, Mazzini vince un primo tempo imponendo un programma unitario, ma nella realizzazione di questo programma egli perde inesorabilmente.
Dopo essersi costituita l’idea dell’unità italiana il problema è: come, da chi e per chi l’unità italiana debba realizzarsi. La questione tra monarchia e repubblica contiene un contrasto più profondo tra Cavour e Mazzini. L’idea di Mazzini è quella dell’iniziativa popolare italiana: l’Italia deve da sé riuscire a raggiungere l’obiettivo indipendentemente dagli altri popoli; spetta infatti, secondo Mazzini, insorgere contro l’oppressione delle potenze straniere ed è necessario che «le rivoluzioni hanno ad essere fatte pel popolo e dal popolo».
In questo caso non bisogna ridurre il rapporto conflittuale tra i due ad una semplice differenza di valutazione pratica secondo la quale Mazzini sostiene che l’Italia può fare da sé contro l’Austria e Cavour no, e neppure ci si può basare semplicemente sul dottrinarismo di Mazzini che rifiuta l’intervento di un «tiranno», in contrapposizione all’opportunismo di Cavour.
Al di là di questo Mazzini intuisce che l’alleanza francese è qualcosa di più che un semplice espediente pratico, è infatti il mezzo per trasformare in un’impresa monarchico-governativa la causa nazional-popolare italiana. Il punto di vista di Cavour è l’opposto, egli ritiene che «di rivoluzione, sia pure nazionale, bisogna farne il meno possibile».
Tra Mazzini e Cavour è una lotta tra due iniziative: quella popolare-rivoluzionaria, che Mazzini vuole che rimanga tale anche accettando la monarchia, e quella monarchico-governativa. Il programma di Mazzini è quello di mantenersi neutrale tra repubblica e monarchia e di lasciar prendere la decisione finale al voto di un’assemblea nazionale costituente, in modo tale che se fosse stata votata una nuova monarchia sarebbe stata istituita sul voto popolare e non costituita su una monarchia preesistente. Di contro Cavour, antirepubblicano e antirivoluzionario, rigetta sempre i governi radicalmente democratici e le iniziative popolari.
Vi è dunque un doppio aspetto nel dissidio Mazzini-Cavour; se da un lato il primo è il promotore dell’iniziativa popolare e il secondo è un custode geloso della prospettiva monarchico-governativa, dall’altro lato i due uomini hanno una struttura mentale differente.
Cavour razionalisticamente distingue la politica dalla religione (o morale), è sua la celebre affermazione «Libera Chiesa in libero Stato», mentre Mazzini unifica le due dimensioni. Laicità razionalistica e misticismo religioso sono caratteristiche contrapposte di Cavour e Mazzini, ma non si può parlare per il primo di indifferenza verso i problemi religiosi.
Dunque, come sostiene lo storico Salvatorelli, quest’antitesi di struttura mentale e delle aspirazioni spirituali nei due uomini non significa esclusivamente «un’opposizione irriducibile», infatti essi rappresentano «esigenze ugualmente profonde e ugualmente necessarie» nel corso del processo storico; si può parlare in questo senso di complementarietà tra Mazzini e Cavour.
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- I problemi del Risorgimento, Carmelo Bonanno, Liviana, 1963.
- Autoritratto. Lettere, diari, scritti e discorsi, a cura di Adriano Viarengo, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2010.