CONTENUTO
I movimenti di riforma islamici nell’età moderna e contemporanea
Il primo dei riformisti è essenzialmente Sayyis Jamāl al-Dīn al-Afghānī, probabilmente persiano, che nel 1857 trasferitosi a Kabul aprì una madrasa. La sua ideologia è basata sul quietismo di origine cattolica: come dal Molina affermava che bisognava svegliarsi e farsi “guidare” dalla fede, così anche il sufi deve guidare sé stesso. Accusato di sconvolgere l’Islam del tempo, Afghani diviene in seguito il leader del Rinnovamento anche jihadista.
Muhammad Abduh: il Riformismo egiziano
Vicino all’ideale di Afghani, ma meno moderato di quest’ultimo, Abduh apparteneva ad una famiglia di origine contadina. Riprendendo la tesi secondo la quale Allah era trascendente, tesi tipica del mondo asharita, il mullah egiziano immagina anche un cambiamento di tipo dottrinale in quella che è Al-Azhar, la più grande scuola islamica, attualmente leader del sunnismo.
Contrario all’influenza inglese sull’Egitto, Muhammad Abduh nei secoli successivi diventerà la guida spirituale del Panarabismo che ispirerà anche Gamal Nasser negli Anni ‘50 del Novecento. Negli stessi anni, soprattutto nel Paese Africano, il riformismo vede anche moltissime donne. Nasce quello che potremmo definire con la sigla femminismo islamico.
Maryam Nahhas, nata in Libano nel 1859, immigrata nell’Egitto inglese nel 1878, scrive il Manifesto della Liberazione della Donna. A seguire verrà Al-Fatah (la giovane), giornale che rifiutava il Faraonismo, ma non criticava le tendenze occidentali. Sua figlia Hindi Nawal, scrittrice, poetessa e attivista antinglese arrivò addirittura a togliere il velo.
Costretta dal padre-padrone ad un matrimonio riparatore e quindi, senza amore, Malak Hifni Nasif combina il suo odio verso l’esercito inglese con l’oppressione patriarcale: ne esce fuori un racconto efficace che ancora oggi è contemporaneo. Nonostante la maggioranza di queste donne non si occupi di religione, alcune sono più vicine al mutazilismo che non all’ortodossia. Oggi, il Riformismo invece è conservatore ed è – in parte – responsabile del declino islamico.
La nuova esegesi Coranica: salafiyya e varianti dello sciismo
Universalmente riconosciuto come fondatore del movimento Salafi è Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb, seguace di Hanbal. Vissuto nella prima metà del Settecento in Arabia – che poi diverrà Saudita – Wahhab scrive una serie di resoconti su ciò che vede nei paesi islamici da lui visitati e da quello in cui risiede. Di professione mulattiere, intorno ai trent’anni abbandona tutto per vivere una esistenza morigerata e piatta, sulla scia dei primi sufi dell’Islam.
Afferma con la sua vita che l’Islam sta diventando corrotto e che bisogna riportare il tutto all’epoca dei primi seguaci del Rasul, i Salafi(i pii compagni) che con lui condivisero non solo la gloria della vittoria, ma anche le privazioni del periodo dell’Egira. Ma ora veniamo alla questione più speciosa: la nuova interpretazione coranica.
Già nel XVI secolo, in particolar modo nella cittadina di Damasco, un certo Ibn Taymiyya aveva impostato una nuova interpretazione coranica, ma a parte qualche seguace qui e là, la cosa non aveva avuto un seguito. Se non per un particolare: la differenza tra i due Jihad. Il Jihad maggiore era lo sforzo che ogni credente avrebbe dovuto avere per migliorare sé stesso, mentre il Jihad minore era la guerra.
Ora, nell’interpretazione del damasceno era divenuta la guerra il Jihad maggiore se ci si ritrovava in luoghi di miscredenza, che avevano abbandonato la retta via. E su queste basi, anche se non da subito, poteva nascere una nuova interpretazione, se non del Libro, almeno della morale. Al Wahhab che afferma che il Corano va interpretato sine glosse, come diremmo noi occidentali, rimette in discussione non solo l’impostazione fino ad allora avuta, ma le stesse caratteristiche delle quattro madhab islamiche.
Le sue dottrine furono scomunicate in tutto il mondo islamico- che all’epoca era Ottomano- ma alla sua morte nacque dalle ceneri il Wahhabismo, che i Saud eleveranno a religione di Stato. Per due secoli gli Ottomani- che governavano gran parte di quel mondo- avevano cercato invano di reprimere il fenomeno. Fino all’esplosione del Riformismo negli anni ‘20 del Novecento.
Nel 1927, infatti, i Saud decisero di sradicare completamente il sunnismo di stampo sufi che invece, nonostante tutto, risultava prevalente in Arabia. In Persia e in Yemen, intanto, erano nate le divagazioni dello sciismo che porteranno, soprattutto nel piccolo paesino arabo, il movimento Houthi.
I movimenti riformisti sciiti di Qom riprendono la visione yizadista, mentre dal 1700 in poi la maggioranza delle scuole coraniche divengono duodecimane. L’interpretazione coranica delle scuole sciite è essenziale questa – la concezione dell’establishment sciita – il ruolo necessario dei mullah o del Gran ayatollah.
Ciò significa che se il mullah o addirittura il gran ayatollah decidono una sorta di esegesi, l’esegesi è uguale per tutti. Tant’è che molti studiosi, forse non propriamente in maniera errata, mettono assieme il ruolo del mufti sciita iraniano con quello del clero cattolico.
Jamal al Din, Hasan al Banna e il movimento della Fratellanza: la contemporaneità e il nazionalismo
Jamal al Din è il riformista della Neo Salafiyya, una tendenza radicale dell’islam che intorno agli Anni Venti del Novecento- grazie anche alla fine dell’Impero Ottomano e la nascita degli Stati nazionali- riprende piede. Il salafismo è diretto padre dei Fratelli Musulmani (Jamat at al ikham al muslimin) realtà sorta nel 1928 da un ex docente di Al-Azhar: Hasan al Banna.
E nonostante tutto- specialmente per la questione Palestinese- il movimento salafi riceverà il “parricidio” della Fratellanza. Idea principale di Hasan al Banna era, infatti, che il nazionalismo fosse negativo: non esistono le Nazioni arabe, ma solamente la Ummah. I salafiti, invece, nel 1936, con la figura quasi mitologica di Ezzedin el Qassam, mufti gerosolimitano, attuarono il primo pogrom antiebraico.
Sarebbe sbagliato definire la Fratellanza solo come un partito politico, essi sono un partito, ma soprattutto un movimento di associazionismo: al Banna era convinto che bisognasse educare. L’educazione, infatti, sarebbe stato il volano con il quale si sarebbe “riconquistata” la via islamica
Il tajid, cioè il movimento riformista, con la Fratellanza (che conta solo 80 adepti all’inizio) instaura sin da subito una visione ambigua con quello che sarà il terrorismo. La predicazione quietistica delle Neo Salafiyya- tranne nel caso algerino- versa, invece, sull’aspetto della Diwa, cioè della predicazione non violenta, anche per evitare problemi dopo il 2001.
E oggi? Nascita dell’Islamismo
Quando parliamo di salafiyya oggi, la maggioranza tratta il tema affermando che sia Islamismo. Cosa si intende per islamismo? Si intende la concezione antioccidentale di una parte non estremamente minoritaria dei musulmani. Ed è quasi sempre una concezione di tali persone come negativa. Tanto che alcuni studiosi non sono a favore del termine.
È anche vero- e la cosa non si può negare- che sia i movimenti sunniti (hanbaliti e hanafiti soprattutto) sia i movimenti sciiti (antisunniti e vicino all’ismailismo) sono ideologizzati e fortemente estremisti, se non con gli atti, con le parole. Ed è vero oggi che se l’islamismo- o il riformismo islamico- negli anni ’20 e ’30 dell’Ottocento rappresentava gli strati più bassi della popolazione, oggi invece ne rappresentano gli strati “borghesi”.
Parliamo di insegnanti, ingegneri, medici, individui abbienti e colti, che una volta avrebbero rifiutato palesemente il riformismo islamista. La wilayat i-faqih dall’altro canto è oggi pienamente accettata nel mondo sciita, anche da chi non si riconosce come islamista e ha avuto una profonda ammirazione verso chi distingue tra “veri musulmani” e “falsi musulmani”.
Qualcuno, come Raedelli, parlando di fondamentalismo islamico- cioè di islam come fondamento- ha coniato l’espressione “islam militante”, contrapposto dunque ad un islam tiepido. La storiografia odierna non ha diramato ancora questa questione se pensatori antichi siano o no i padri “fondatori” del jihadismo contemporaneo oppure se questo sia una sostanziale degenerazione dello stesso.
La Rivoluzione iraniana del 1979 ha sicuramente riacceso gli animi dell’integralismo islamista, ma non più per il Dar-al-Islam, lo Stato Islamico, ma per la propria nazione di appartenenza, sfumando di fatto- per esempio nel caso siriano- le legittime aspirazioni ad un’altra Repubblica basata sul Corano.
Il declino delle questioni di carattere sociale si accompagna, spesso e volentieri, al mito del martire rispetto a quello del combattente. Tema inverso è stato il Daesh, non riconducibile direttamente, almeno secondo la maggioranza degli ulema, al mondo islamista, ma al nichilismo dei “delusi” del Baath. Lo scontro di civiltà che qualcuno paventa- di fallaciana memoria- è ben aldilà dal presentarsi, e la modernità, in senso reale e non letterale, è evidente nel “nostro”, quanto nel “loro”.
Consigli di lettura: clicca sui titoli e acquista la tua copia!
- Massimo Campanini, Introduzione alla filosofia islamica, Roma, 2009.
- M. Campanini, I fratelli musulmani nel mondo contemporaneo, Utet, 2010.
- R. Raedelli, Il fondamentalismo islamico, Giunti Editore, 2007.
- I. Pappe, Storia della Palestina Moderna, Enaudi, 2014.
- A. Zanconato, Khomeini il rivoluzionario di Dio, Castelvecchi, 2018.