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Chi era realmente Maometto, in arabo Muḥammad (il lodato)? E la storia della “rivelazione” che da lui si è diffusa nel mondo, con il nome di Islam, è stata davvero la storia di un malinteso? Tenteremo ora, in modo meno che mai esaustivo, di fornire una risposta a tali domande. Tanto più che analizzare la questione concernente le origini dell’Islam risulta doveroso, nonché imprescindibile per comprendere le conseguenze storiche dell’avvento di questa dottrina, solo apparentemente nuova, nel mondo.
La nascita dell’Islam
Iniziamo con il domandarci se si sia trattato davvero di un malinteso, e lo facciamo elaborando tre postulati sulla credibilità di Maometto e del suo messaggio:
- Se Maometto ha ricevuto una rivelazione, e se tale rivelazione è autentica, allora l’islam è la vera religione, Gesù non è Dio, non è stato crocifisso e non è risorto;
- Se non l’ha ricevuta né ha detto di averla ricevuta, allora è stato frainteso dai suoi discepoli, dunque ci troviamo di fronte al più colossale malinteso della storia;
- Se non l’ha ricevuta affatto, ma ha detto di averla ricevuta, allora ha mentito in malafede e non si tratta affatto di un malinteso, bensì di una frode.
Per i cristiani il primo postulato è inaccettabile. Se fosse vero, infatti, verrebbe a mancare il fondamento stesso della fede cristiana (una fede che, come abbiamo avuto modo di vedere, è basata su migliaia di testimonianze e di documenti storici).
D’altra parte, anche la seconda affermazione pare difficile da accettare, almeno da un punto di vista accademico: l’ipotesi che Maometto sia stato frainteso è piuttosto bizzarra, tanto più che è accertata la sua intenzione di farsi credere un profeta, e non uno qualunque, anzi, l’ultimo, il sigillo dei profeti.
La terza ipotesi risulta, pertanto, la più plausibile, tanto che Dante, nella Divina Commedia, colloca Maometto, proprio in virtù della sua malafede, nei cerchi più bassi dell’Inferno: “Or vedi com’io mi dilacco! Vedi come storpiato è Maometto!” (Inferno XXVIII, 30). Altri, poi, in primis S. Giovanni Damasceno, identificano il suo messaggio come un’eresia cristiana destinata a estinguersi entro pochi anni.
E’ comunque difficile, se non impossibile, fornire una risposta precisa e univoca ai complessi quesiti che ci siamo posti. Ad ogni modo, l’opinione più diffusa tra gli islamologi contemporanei è che Maometto fosse realmente convinto, almeno nella prima fase della sua predicazione, quella meccana, in cui veste i panni di un acceso riformatore religioso e niente più, di aver ricevuto una vera e propria rivelazione divina. Ancor più convinto appare poi, nella successiva fase medinese, che fosse ineccepibilmente giusto dare agli uomini una religione semplice, rispetto ai monoteismi fino allora esistenti e da lui conosciuti, sfrondata di tutti gli elementi che non paressero davvero utili, soprattutto a lui. Tutto avvenne a fasi alterne, in una sorta di schizofrenia che suscitò non pochi dubbi a proposito sia della cosiddetta rivelazione sia del latore della suddetta, e ciò persino tra i più convinti sostenitori del sedicente profeta.
La storia dell’Arabia preislamica della ǧāhilīya
Il film “The Message”, del 1975, descrive con dovizia di particolari quella che era la Mecca all’inizio della predicazione di Maometto: una città pagana, immersa nella ǧāhilīya (in arabo e nell’islam, si attribuisce tale nome, che tradotto vuol dire “ignoranza”, al periodo precedente all’avvento dell’islam medesimo). A quell’epoca, nel VI secolo dell’era cristiana, l’Arabia era una terra di confine, del tutto isolata rispetto al cosiddetto mondo civilizzato. Lontana dalle tradizionali rotte commerciali e carovaniere (che passavano per i “porti del deserto” come Palmira, Damasco o Aleppo per inoltrarsi in Mesopotamia e successivamente, passando il Golfo Persico, verso l’India e la Cina), ne era invece attraversata nei periodi in cui le stesse rotte commerciali erano impraticabili a causa di guerre ed instabilità politica. In tali casi, vi erano due rotte seguite dalle carovane: una passava per la Mecca, l’altra per Yaṯrib (Medina).
La culla dell’Islam va ubicata proprio in questa zona, chiamata Ḥiǧāz, in cui si trovano La Mecca (patria di Maometto, ivi nato nel 570 o nel 580) e Medina (città in cui egli trovò rifugio dopo le contese derivanti dalla sua predicazione alla Mecca: periodo chiamato hiǧra, in italiano ègira), principali centri abitati intorno ai quali orbitavano tribù nomadi beduine, da sempre in lotta le une contro le altre. La pastorizia, la caccia, gli assalti alle carovane e le razzie contro le tribù rivali costituivano i principali mezzi di sussistenza e la durezza di vita forgiava il carattere dei beduini, i quali avevano un’ideale di virtus, un codice d’onore, la murūwa, nel quale si ritrovano i concetti di ospitalità e inviolabilità dell’ospite, fedeltà alla parola data, implacabilità nel ta‛r, ovvero la vendetta per il sangue versato e per l’onta subita.
La religiosità di nomadi e sedentari dell’Arabia pre-islamica era di tipo prettamente feticista: si veneravano le pietre sacre, con vaghe nozioni sulla sopravvivenza dell’anima dopo la morte (completamente assurdo e irriso era il concetto di risurrezione della carne, poi predicato da Maometto). Alcuni luoghi erano ritenuti santi, in particolare il santuario della Ka‛ba alla Mecca, ove, in determinati mesi proclamati sacri, ci si recava in pellegrinaggio e si celebravano feste e fiere (in particolare certamen poetici). Alla Mecca si veneravano divinità come Ḥubal, Al-Lāt, Al-‛Uzzāt e Al-Manāṯ, oltre che la celebre Pietra Nera incastonata nella parete della stessa Ka‛ba, una sorta di pantheon arabo al cui interno si trovava pure l’effigie di Cristo, l’unica non distrutta da Maometto contestualmente al suo ritorno trionfante dall’ègira nel 630.
Prima dell’avvento dell’Islam, l’Arabia – che pur aveva visto fiorire, a sud della penisola, una grande civiltà, quella dei minei e dei sabei, ai quali succedettero gli ḥimyariti – si trovava formalmente sotto il dominio dei persiani, i quali avevano espulso gli abissini cristiani in precedenza accorsi per difendere i correligionari perseguitati dai re sabei, di religione ebraica, dopo il massacro di cristiani gettati in migliaia in una fornace ardente dal re Ḍū Nūwās, a Naǧrān, nel 523.
Al nord, sul limes dell’Impero di Bisanzio, erano stati creati dei regni vassalli a Costantinopoli, retti dalle dinastie ġassanide (nomadi sedentarizzati di religione cristiana monofisita) e laḥmide (nestoriani): tali Stati cuscinetto sbarravano ai razziatori beduini il passaggio entro i confini dell’Impero, proteggendone le regioni più remote nonché il commercio carovaniero. E’ quindi certissima la presenza di elementi cristiani ed ebraici all’interno della penisola araba ai tempi di Maometto. Tali elementi, tuttavia, erano eterodossi ed eretici, il che fa comprendere come lo stesso “profeta” dell’islam sia stato indotto in errore circa molte delle dottrine cristiane e giudaiche.
La vita di Maometto, profeta dell’Islam
Non vi sono notizie storiche precise circa la prima fase della vita di Maometto (situazione curiosamente analoga a quella di Gesù). Su di lui, al contrario, esistono molte leggende entrate di diritto a far parte della tradizione islamica, sebbene non epurate attraverso analisi storiche e testuali dettagliate (come avvenuto, invece, per i vangeli apocrifi). E’ per tale ragione che si riscontra l’esistenza di due storiografie differenti sul profeta dell’Islam: una, per l’appunto, musulmana; l’altra, quella di cui ci serviremo, è la storiografia occidentale moderna, la quale si basa su fonti più attendibili, come pure sul Corano stesso, che può esser considerato, in un modo o nell’altro, una sorta di autobiografia di Muḥammad.
La data più certa che abbiamo è quella del 622 (I dell’era islamica), anno della hiǧra, ovvero dell’ègira, emigrazione di Maometto e dei suoi seguaci a Yaṯrib (in seguito ribattezzata Medina). Per quanto riguarda, invece, l’anno di nascita di Maometto stesso, la tradizione riferisce, senza peraltro poggiarsi su troppi elementi, il 570, tanto che diversi storici sono concordi nel far nascere il nostro verso il 580, sempre alla Mecca.
Maometto faceva parte della tribù dei Banū Qurayiš (anche detti coresciti), nacque quando suo padre era già defunto e perse la madre in tenera età. Fu quindi accolto prima dal nonno e, in seguito alla morte di quest’ultimo, dallo zio paterno Abū Ṭālib.
All’età di vent’anni circa, Maometto si mise al servizio di una vedova agiata e in età già avanzata per l’epoca, Ḫadīǧa, una sorta di donna manager che commerciava in profumi con la Siria. Con Ḫadīǧa – divenuta poi celebre come la prima musulmana perché prima persona a credere che egli fosse l’inviato di Dio – il nostro contrasse matrimonio qualche anno più tardi, e tale unione fu, sembra, lunga, felice e monogama, tanto che ‛Āʼiša, colei che, dopo la morte di Ḫadīǧa poi diverrà la moglie preferita di Maometto, si dice fosse più gelosa della defunta che di tutte le altre mogli in vita del “profeta” dell’Islam. Dal matrimonio con ‛Āʼiša nacquero poi quattro figlie: Zaynab, Ruqayya, Fāṭima e Umm Kulṯūm. L’unico figlio maschio di Maometto, Ibraḥīm, che morì in giovanissima età, aveva per madre una concubina cristiana copta.
Per conto di Ḫadīǧa, Maometto dovette viaggiare all’interno di carovane per commerciarne i prodotti oltre il limes bizantino, quindi in Siria. Nel corso di tali viaggi, entrò presumibilmente in contatto con esponenti di varie sette ereticali cristiane (docetisti, monofisiti, nestoriani) e aver recepito malamente la dottrina di costoro. Ribadiamo, tuttavia, che elementi ebraici e cristiani o semplicemente monoteisti, ḥanīf , esistevano già alla Mecca e dintorni.
La Rivelazione di Maometto
Tutto cambiò, se non altro, verso i quarantanni di lui, quando il nostro abbandonò il paganesimo ed adottò e si mise a predicare idee monoteiste. Maometto era convinto, almeno nei primi anni della sua missione profetica, di professare la medesima dottrina di ebrei e cristiani e che, pertanto, pure questi, oltre che i pagani, dovessero riconoscerlo come rasūl Allāh, messaggero, inviato di Dio, salvo poi rendersi conto, una volta a Medina, delle notevoli differenze tra la sua predicazione e la dottrina cristiana ed ebraica ufficiali. Nel Corano, infatti, sono contenute evidenti deformazioni di narrazioni bibliche (sia dell’Antico Testamento che del Nuovo Testamento), come pure evidenti appaiono le idee docetiste di Maometto in cristologia e la palese confusione in merito alla dottrina della Trinità (secondo lui formata da Dio, Gesù e Maria).
Secondo Ibn Iṣḥāq, primo biografo di Muḥammad, trovandosi quest’ultimo addormentato all’interno di una grotta sul monte Ḥīra, nei pressi della Mecca, gli apparve l’angelo Gabriele recando tra le mani un panno di broccato e intimandogli di leggere (“iqrāʼ”); Maometto, tuttavia, era analfabeta, quindi fu l’arcangelo a recitare i primi cinque versetti della sūra 96 (detta “Del grumo di sangue”), che all’uomo rimasero, a suo dire, letteralmente impressi nel cuore.
Questa notte è chiamata laylat al-qadr, notte della potenza. In un primo momento, Muḥammad non si credeva iniziatore di una nuova religione, bensì destinatario di una rivelazione trasmessa anche ad altri inviati di Allāh che lo avevano preceduto. Egli riteneva, infatti, che quanto gli era ispirato fossero dei passi di un libro celeste, umm al-kitāb (madre del libro), già rivelati anche a ebrei e cristiani, che Maometto definirà ahl al-kitāb (gente del libro), e chiamava proprio gli ebrei e i cristiani a rendergli testimonianza, finché non si rese conto delle divergenze con questi ultimi.
Almeno nel primo periodo meccano, tutto lascia pensare che Maometto si ritenesse realmente chiamato ad elevare spiritualmente i propri concittadini, e proprio la sua personale convinzione, unita al carisma che non gli mancava, spinsero altri – Ḫadīǧa in primis, poi sui cugino ‛Alī, poi ancora il suo futuro suocero Abū Bakr – ad aver fede in lui. Il periodo meccano si contraddistingue per l’ardore, per lo zelo da neofita, per una sorta di ingenuità e di candore nel sedicente inviato di Dio. Non per nulla, furono molti quelli che lo definirono maǧnūn (pazzo, posseduto dai ǧinn), specie per l’assurdità di quanto predicava: la presenza di un solo Dio, il giudizio finale, la risurrezione della carne, i rudimenti, in pratica, di una fede monoteista molto vicina al cristianesimo e all’ebraismo.
I 5 pilastri dell’Islam
In questo periodo, infatti, non erano ancora stati elaborati i cosiddetti “cinque pilastri” dell’islam, che sono:
- šahāda, professione di fede;
- ṣalāt, preghiera cinque volte al giorno;
- zakāt, elemosina o decima;
- ṣawm, digiuno nel mese sacro di ramaḍān;
- ḥaǧǧ, pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita nel mese di ḏu-l-ḥiǧǧa).
I “cinque pilastri”, infatti, furono introdotti solo successivamente, nel periodo medinese, specie dopo i contatti con le tribù ebraiche locali. Tornando a La Mecca, non è difficile calarsi nei panni dei notabili della città, i quali non si sognavano neppure di sovvertire lo status quo religioso della città, mettendone a repentaglio la prosperità economica e le tradizioni millenarie, unicamente per la parola di Maometto, il quale, pur sollecitato, non fece mai alcun miracolo né diede mai alcun segno tangibile delle rivelazioni che, a suo dire, aveva ricevuto.
Le persecuzioni contro Maometto
Iniziò, dunque, una persecuzione nei confronti del “profeta” e dei suoi seguaci, tanto da spingere Maometto ad inviarne almeno una ottantina in Abissinia, a rifugiarsi presso un re cristiano. L’islamologo Félix M. Pareja, come gli autori islamici più antichi quali Ṭabarī e al-Wāqidī, situa in questo periodo il celebre episodio dei “versetti satanici”, cui sembra riferirsi il Corano nella sūra 22/52.
Avvenne, in pratica, che Maometto per tentare di giungere a un accordo con i concittadini meccani, sarebbe stato tentato da Satana mentre recitava la sūra 53/19 e avrebbe proclamato:
“Che ne pensate voi di al-Lāt, al-‛Uzzāt e al-Manāṯ, il terzo idolo? Ecco le Ġarānīq, la cui intercessione è grata a Dio”.
Come abbiamo visto, queste tre dee erano parte fondamentale del pantheon meccano e protagoniste di vari riti che convogliavano verso la Ka‛ba centinaia di pellegrini ogni anno: il titolo loro attribuito era quello di “tre sublimi gru” (appunto, Ġarānīq) e ammetterne l’esistenza, oltre che il ruolo di intercedere presso Allah, se da un lato significava riconciliarsi con l’élite della Mecca e permettere il ritorno dei suoi seguaci esiliati, dall’altro implicava lo screditare se stesso ed il rigido monoteismo fino ad allora professato.
Evidentemente, il gioco non valeva la candela, tanto che la mattina seguente il “Messaggero di Dio” ritrattò e dichiarò che quei versetti gli erano stati sussurrati da Satana all’orecchio sinistro, anziché da Gabriele al destro; erano da considerarsi, quindi, di origine satanica. Al loro posto, vennero dettati i seguenti:
“Che ne pensate voi di al-Lāt, al-‛Uzzāt e al-Manāṯ, il terzo idolo? [—] Esse non sono che nomi dati da voi e dai vostri padri, pei quali Iddio non v’inviò autorità alcuna”.
L’episodio appena citato portò ancor più discredito su Maometto, il quale, con la morte della moglie e dello zio-protettore Abū Ṭālib, rimase privo di due validi appoggi. Stante così la situazione, egli si vide costretto (e le sūra di questo periodo lasciano trasparire la desolazione e il suo abbandono in cui si trovava, con la sūra dei ǧinn, a narrare di come molti folletti si convertirono e divennero musulmani proprio in quei frangenti) a cercare protezione altrove, cosa in cui riuscì trovando validi ascoltatori tra cittadini di Yaṯrib, una città a nord di La Mecca, popolata allora da tre tribù ebraiche (i Banū Naḍīr, i Banū Qurayẓa e i Banū Qaynuqā‛ e da due tribù beduine.
Tra gli ebrei e i beduini non correva buon sangue e Maometto, in virtù della sua fama, venne chiamato a fungere da arbitro imparziale tra i contendenti. Così, nell’anno 622, il primo dell’era islamica, iniziò la hiǧra, ègira, del “profeta” e dei suoi seguaci, circa centocinquanta. Il termine hiǧra non significa solo “emigrazione”, bensì estraniazione, una sorta di rinuncia alla cittadinanza e all’appartenenza alla Mecca e alla tribù d’origine, con conseguente privazione di ogni protezione.
Yaṯrib verrà in seguito chiamata Medina (Madīnat al-nabī, la città del profeta). Quivi giunto, per ingraziarsi gli ebrei, i quali costituivano i ricchi e i notabili della città, Maometto introdusse delle innovazioni nel primitivo rituale islamico, in particolare orientando la qibla, la direzione della preghiera, verso Gerusalemme. Quando, però, gli stessi ebrei si resero conto della confusione di Maometto in questioni bibliche, si burlarono di lui, inimicandoselo per sempre e producendo una scissione tra quello che evolverà come islam, da una parte, e l’ebraismo e il cristianesimo, dall’altra.
La conquista dell’Arabia e la morte di Maometto
Maometto non poteva ammettere di essersi confuso o di non conoscere gli episodi biblici che aveva più volte citato in modo sbagliato ai suoi seguaci. Usò, allora, il proprio ascendente sui discepoli ed accusò ebrei e cristiani di aver volutamente falsificato la rivelazione da loro ricevuta; lo stesso ascendente e la stessa autorità bastano ai musulmani di oggi per continuare a credere a tali accuse.
Ancora una volta, tuttavia, l’intenzione di Muḥammad non era quella di fondare una nuova religione, bensì di restaurare quella pura ed autentica, primigenia, basata su Abramo, il quale per lui non era né cristiano né ebreo, bensì un semplice monoteista, ḥanīf. Come tale lo conoscevano gli arabi pagani, i quali si ritenevano suoi discendenti attraverso Ismaele. E fu così che nel Corano Ismaele divenne il figlio diletto di Abramo, al posto di Isacco; fu Ismaele che ad Abramo venne ordinato di sacrificare a Gerusalemme, dove oggi sorge la Cupola della roccia; ancora Ismaele, insieme con suo padre, costruì il santuario della Ka‛ba alla Mecca, ove, peraltro, sua madre Agar si era rifugiata dopo esser stata scacciata nel deserto da Sarah.
Sempre per una rivalsa contro gli ebrei, persino la direzione della qibla cambiò, venendo orientata verso la Mecca. L’islam si trasformava quindi in religione nazionale degli arabi, con un libro rivelato in lingua araba: la riconquista della città santa diveniva allora uno scopo fondamentale.
A Medina, nella figura e nella persona di Maometto si fondono autorità religiosa e politica ed è lì che nascono i concetti di umma – comunità dei credenti –, di Stato islamico e di ǧihād, guerra santa: la comunità di Medina, con le varie fedi ivi professate (musulmana, ebraica, pagana), viveva in pace sotto il dominio dell’arbitro e ormai autorità politica e religiosa proveniente da Mecca. I musulmani prosperavano particolarmente, garantendosi notevoli entrate tramite razzie compiute sulle carovane di passaggio.
Successi e insuccessi (i successi venivano definiti opera divina, gli insuccessi colpe della mancanza di fede, dell’indisciplina e della viltà di alcuni tra le fila islamiche) si alternarono nelle campagne contro i meccani. Nel giro di pochi anni, poi, Maometto decise di liberarsi delle tribù ebraiche nel frattempo divenutegli ostili: i primi furono i banū Naḍīr, seguiti dai banū Qaynuqā‛, a queste due tribù furono confiscati beni ma risparmiata la vita; la sorte più atroce, invece, toccò ai banū Qurayẓa, le cui donne e i cui bambini furono resi schiavi, mentre gli uomini, una volta confiscati i loro beni, furono sgozzati nella pubblica piazza (erano circa settecento: se ne salvò solamente uno che si convertì all’islam).
Nel sesto anno dell’ègira Maometto dichiarò di aver ricevuto una visione in cui gli venivano consegnate le chiavi della Mecca. Diede quindi inizio a una lunga campagna di riconquista, violando una tregua (cosa terribilmente disonorevole per quel tempo), e prendendo, l’una dopo l’altra, le ricche oasi ebraiche a nord di Medina. Il successo economico e militare fu una calamita per i beduini, che iniziarono a convertirsi in massa (i più non certo per motivi religiosi). Il tutto culminò nell’entrata trionfale nella città d’origine nel 630, senza incontrare resistenza alcuna. Gli idoli presenti nella Ka‛ba (tranne l’effigie di Cristo) vennero distrutti.
I successivi due anni videro il consolidamento della forza e del potere di Maometto e dei suoi seguaci, finché, nel 632, il “profeta” si spense, in preda alla febbre e al delirio, senza indicare successori. Ciò che si evince da un’analisi della vita di Muḥammad è anzitutto l’ambiguità, specie fra i due periodi principali della sua missione, il meccano e il medinese. La sua personalità viene talvolta definita schizofrenica, per quanto contraddittori sono i suoi atteggiamenti e i discorsi, oltre che le stesse rivelazioni riportate all’interno del Corano. E’ per questo motivo che gli studiosi e i teologi musulmani ricorreranno alla pratica del nasḫ wa mansūḫ (abrogante e abrogato, procedimento secondo il quale, se un passaggio del Corano entra in contraddizione con un altro, il secondo abroga il primo[1]).
Possono servire da esempio per quanto affermato l’episodio in cui Maometto si reca a casa di suo figlio adottivo Zayd, riportato nella conclusione del presente lavoro, e numerosi altri: circostanze a dir poco sospette in cui Allāh corre letteralmente in aiuto di Maometto e gli rivela versetti ove vengono messi in guardia gli increduli e i diffidenti che osano accusarlo di essere entrato in contraddizione; oppure parole che spingono lo stesso Maometto a non voler compiacere la legge e le consuetudini degli uomini, accettando i favori che Dio gli ha concesso:
“A volte si sono volute vedere in Maometto due personalità quasi contraddittorie; quella del pio agitatore della Mecca e quella del prepotente politico di Medina. [—] Nei suoi diversi aspetti ci appare generoso e crudele, timido e audace, guerriero e politico. Il suo modo di procedere fu estremamente realista: non trovava inconvenienti nell’abrogare una rivelazione sostituendola con un’altra, mancare alla parola data, utilizzare sicari, far cadere le responsabilità di certe azioni su altre persone, barcamenarsi abilmente in mezzo a ostilità e rivalità; politica di compromessi e di contraddizione orientata sempre al raggiungimento del suo fine. [—] Monogamo finché visse la sua prima moglie, diviene grande amico delle donne da quando le circostanze glielo permettono e manifesta predilezione per le vedove”[2].
[1] E’ così, ad esempio, che vediamo versetti meccani, quindi più antichi, parlare dei cristiani come dei migliori tra gli uomini, mentre altri versetti del periodo medinese spingono a combatterli finché non paghino il tributo umiliati, da cui la ǧizya e il ḫarāǧ, speciali tasse che i cristiani e gli ebrei devono versare all’erario dello Stato islamico per usufruire della sua protezione come cittadini di seconda categoria).
[2] Pareja, F.M., Islamologia, Roma, Orbis Catholicus, 1951, pag. 70.
Regola per la trascrizione delle parole arabe
Utilizzando il metodo adottato da Oriente Moderno*
أ ’ | خ ḫ | ش š | غ ġ | ن n |
ب b | د d | ص ṣ | ف f | ه h |
ت t | ذ ḏ | ض ḍ | ق q | و w |
ث ṯ | ر r | ط ṭ | ك k | ي y |
ج ǧ | ز z | ظ ẓ | ل l | ى à |
ح ḥ | س s | ع ‛ | م m | ﺓ a, at |
* Oriente Moderno, LI., 1971, Istituto per l’Oriente, Roma
I 7 libri consigliati da Fatti per la Storia
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- Belloc, H., The great heresies, Cavalier Books, Londra, 2015 (versione e-book).
- Carmignac, J., A l’écoute du Notre Père, Ed. de Paris, Parigi, 1971.
- Pareja, F.M., Islamologia, Roma, Orbis Catholicus, 1951.
- Gabriel, Mark A., Jesus and Muhammad: Profound Differences and Surprising Similarities, Charisma House, Lake House, 2004.
- Solov’ëv, V., L’ecumenismo che verrà. La Russia e la Chiesa universale, ed. Ghibli, 2013 (consultato online).
- Claudio Lo Jacono, “Maometto“, Laterza, 2011.
- Solov’ëv, V., Maometto. Vita e dottrina religiosa, capitolo XVIII, “La morte di Muhammad. Valutazione del suo carattere morale”, in “Bisanzio fu distrutta in un giorno. La conquista islamica secondo il grande Solov’ëv”, https://www.tempi.it/bisanzio-fu-distrutta-in-un-giorno-la-conquista-islamica-secondo-il-grande-solovev#.WhXnpaDcnqA (consultato il 21 novembre 2017).
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