Dal concilio di Nicea all’Editto di Tessalonica
Il primo concilio ecumenico nella storia della Chiesa si svolge tra il maggio e il luglio del 325. All’evento prendono parte circa 300 vescovi, provenienti per lo più dalle chiese asiatiche e africane, mentre il papa Silvestro si limita a inviare due chierici romani.
L’imperatore Costantino, convertitosi al Cristianesimo nel 312 e promotore principale dell’evento, assume la presidenza e inaugura i lavori con un discorso in latino. Il problema oggetto del dibattito è di natura strettamente teologica: gli ariani negano, infatti, la natura divina di Cristo e ciò comporta un indebolimento della funzione della Chiesa. Il concilio si conclude con l’approvazione della formula di fede relativa all’unicità di Dio e alla trinità delle persone divine.
Dopo la morte di Costantino la situazione religiosa rimane molto tesa a causa anche dei difficili rapporti che legano i diversi governanti e che si riflettono, ovviamente, anche nelle divisioni religiose.
La parte occidentale dell’impero resta compattamente nicena sotto Costante, fautore della confessione di Nicea; l’Oriente, invece, governato dal filo-ariano Costanzo, rifiuta la formula trinitaria. La crisi religiosa prosegue anche dopo la morte di Costanzo nel 361 con Giuliano, Valentiniano e Valente.
Le chiese occidentali si scontrano più volte con la politica filo-ariana degli imperatori e vedono i loro vescovi costretti o a piegarsi alla volontà imperiale o ad andare in esilio. Una svolta si ha in seguito alla disfatta di Adrianopoli del 378 quando l’inesperto Graziano, rimasto imperatore da solo con il piccolo Valentiniano II, chiama il generale spagnolo Teodosio a condividere con lui il governo dell’Impero.

L’editto di Tessalonica del 380
Fautore convinto del credo niceno Teodosio si dimostra subito interessato a risolvere il problema religioso. Prende, allora, la decisione di emanare il 27 febbraio 380 l’Editto di Tessalonica, un decreto con il quale dichiara il Cristianesimo, secondo i canoni del credo niceno, la religione ufficiale dell’Impero, proibendo, allo stesso tempo, l’arianesimo e tutti i culti pagani.
Per combattere le eresie si esige da tutti i cristiani la confessione di fede conforme alle deliberazioni del concilio di Nicea del 325. La nuova legge riconosce anche alle due sedi episcopali di Roma e Alessandria d’Egitto il primato in materia di religione.
Il testo del documento viene preparato dalla cancelleria di Teodosio I e successivamente incluso nel Codice Teodosiano da Teodosio II:
“Noi vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal Pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, uomo di santità apostolica; cioè che, conformemente all’insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di Chiesa. Prima essi attendano la vendetta di Dio, poi anche le severe punizioni che l’autorità nostra, illuminata dalla Sapienza Divina, riterrà di dover infliggere loro.”
Oramai si pone il problema della tolleranza che il potere statale è disposto a riservare a coloro che si dichiarano “non cristiani”. Due giorni dopo essere arrivato a Costantinopoli, il 24 novembre 380, Teodosio, con un atto eclatante e risoluto, decide di espellere dalla città il vescovo ariano Demofilo sostituendolo con Gregorio di Nazianzo, il patriarca della piccola comunità locale che pratica il Credo niceno di fede.
L’anno seguente, inoltre, lo stesso Teodosio convoca un concilio ecumenico a Costantinopoli, durante il quale è ribadito il credo niceno e promulgata una legislazione sempre più severa nei confronti di tutti coloro che continuavano a dichiararsi seguaci dell’eresia di Ario e delle dottrine pagane.
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