“Storia della Repubblica sociale italiana” di Amedeo Osti Guerrazzi (Carocci Editore) cerca di sintetizzare le ricerche precedenti sulla Repubblica sociale italiana (Rsi), dando un quadro cronologico della storia della Rsi in modo da permettere al lettore di seguire il suo percorso in maniera il più possibile lineare e di agevole lettura. Nonostante la necessaria brevità l’autore dà un quadro il più possibile completo dei problemi rappresentati dalla storia della Rsi.
Un lavoro di sintesi che tenta anche di approfondire alcuni aspetti attraverso l’analisi delle fonti d’archivio e cercando di non trascurare la complessità della storia della Rsi, che si caratterizza da un’estrema debolezza del governo centrale (schiacciato da una cronica mancanza di mezzi e da un alleato particolarmente ingombrante come quello nazista), e da una poliarchia semianarchica dei vari fascismi locali.
Osti Guerrazzi descrive un quadro complessivo della Repubblica e del fascismo repubblicano a livello nazionale, e fa emergere alcuni esempi di cosa abbia significato, a livello locale e sociale, la prassi di questo governo, raccontando le direttive del governo centrale e le loro conseguenze sulla società italiana anche nelle periferie.
La nuova identità dei fascisti
La tesi centrale di questo volume è che l’estate del 1944, dopo la caduta di Roma in mano agli Alleati, abbia rappresentato uno spartiacque periodizzante per il fascismo repubblicano. Dopo una prima fase (settembre 1943-giugno 1944), dove i fascisti tentarono, in maniera esitante e con molte contraddizioni, di ottenere un minimo di consenso tra la popolazione, attraverso temi quali il patriottismo, la fedeltà all’alleanza con il Reich tradito da Badoglio, gli aspetti sociali di un fascismo che tornava alle sue origini del 1919 con i Fasci di combattimento, si passa ad una seconda fase (luglio 1944-aprile 1945), nella quale essi persero qualsiasi fiducia nel popolo.
L’opposizione, armata e civile, e la mancata adesione della maggioranza degli italiani alla Repubblica, spinsero i fascisti ad abbandonare ogni ideologia nazionalista e patriottica e a individuare una nuova identità che non aveva più alcuna base “nazionale”.
I fascisti cercarono la loro nuova “fede” in un’ideologia che si rifaceva apertamente al nazismo, e si identificarono nel modello del “guerriero politico” rappresentato dai soldati del “Nuovo ordine europeo”, dove sarebbero state le élite combattenti, a prescindere dalla loro nazionalità, a comandare una società gerarchicamente ordinata secondo le virtù militari dei gruppi.
Attraverso la prova del combattimento si sarebbero forgiate e élite che dovevano dirigere i popoli in un futuro guidato dai guerrieri. In questa visione i fascisti non si sentivano più parte integrante del popolo italiano, che veniva invece percepito come ostile e nemico.
Il problema della violenza
La conseguenza fu lo scatenamento di una vera e propria guerra ai civili dove i fascisti non tennero più alcun conto delle vittime: essi non distinsero più i partigiani armati dai civili inermi, dovendosi dimostrare all’altezza dei tedeschi. L’estraneità dei fascisti, o dei nazifascisti, rispetto al “popolo-plebe” traditore e vigliacco che abitava il “sacro suolo della patria”, spiega la violenza estrema, la brutalità, il sadismo di tutti i gruppi armati della Rsi.
Si possono facilmente menzionare gli UPI, gli Uffici politici investigativi della Guardia nazionale repubblicana, uffici di repressione politica attivi in ogni provincia della Rsi e che utilizzavano tutti, indistintamente, gli stessi metodi di Pietro Koch. La violenza delle Brigate nere, considerate i corpi più brutali e indisciplinati della Rsi, non è peggiore da quella messa in atto dai reparti dell’esercito regolare impegnati nei rastrellamenti contro le formazioni partigiane. Reparti della X Flottiglia MAS mettevano lo stesso entusiasmo nel mettere a ferro e fuoco i villaggi, che si supponeva aiutassero i partigiani, delle unità COGU, le unità specializzate nell’antiguerriglia.
Gli ebrei venivano indistintamente spiati, denunciati e arrestati dalla Polizia repubblicana e da altri reparti armati della Rsi. La violenza diffusa coinvolse tutto il nazifascismo degli ultimi mesi della Rsi, e non lasciò più alcuno spazio di manovra per quei cittadini che avevano considerato la Rsi come un baluardo contro la vendetta tedesca e contro l’invasione degli Alleati.
Il presente lavoro è quindi centrato principalmente sul problema della guerra ai civili, della violenza e della brutalizzazione dei metodi repressivi. Un problema che ha avuto maggiori ripercussioni sulla società italiana, sia durante la guerra civile che immediatamente dopo, e rappresenta tutt’ora uno dei nodi storiografici più dibattuti e, paradossalmente, meno studiati.
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Storia della Repubblica sociale italiana di Amedeo Osti Guerrazzi