CONTENUTO
L’Impero Zarista Russo dopo la sconfitta in Crimea subisce un processo di moderata revisione dell’economia feudale generata dalla definitiva abolizione della servitù della gleba (19 febbraio 1861). L’attentato anarchico alla persona dello Zar Alessandro II risoltosi con la sua morte (13 marzo del 1881), chiude il ciclo di moderata svolta liberale del paese e riapre la logica autocratica del precedente Governo.
L’ultimo Zar Romanov, Nicola II – il cui regno durerà dal 1894 al 1917 – si caratterizza per un primo decennio di crescita economica dovuta alla forte immissione di capitali francesi e inglesi rivolti alla modernizzazione industriale del paese. Fra il 1905 e il 1917, le deboli riforme costituzionali (per es. la Duma, cioè una Camera bassa con limitata competenza legislativa) non impediscono l’entrata della Russia nella Prima Guerra mondiale a fianco delle Nazioni Occidentali sulla base della tradizionale idea di liberazione dei Fratelli Slavi del sud balcanico.
La rinnovata crisi militare al fronte orientale e la conseguente disastrosa realtà economica interna produrranno nel 1917 la Rivoluzione e il cambio definitivo di Regime. Ma lo spirito panslavista è veramente finito?
Il ritorno al panslavismo positivista e bellicista (1861-1894)
I tre ventenni successivi alla abolizione della Servitù della Gleba sono caratterizzati da una più ampia ripresa dell’ideologia panslavista rivestita da un manto meno ostile alle tradizioni asiatiche. E’ l’ora del saggista Konstantin Leont’ev (1831-1891) monarchico e conservatore, che propone il ruolo della cultura asiatica nella Russia Ortodossa per bilanciare le ingerenze egualitariste occidentali, svalutando il razionalismo liberale e liberando invece l’animo spiritualista in senso individualista.
Il materialismo politico di un Napoleone III o di un Bismarck non emerge in politica, benché Alessandro II oscilli sempre più verso il secondo, nella misura in cui il Cancelliere di ferro tende ad espandersi verso i territori limitrofi di lingua tedesca, specialmente quella riva destra del Reno che Alessandro e Leont’ev equiparano ai Balcani, dove fino al Mar Nero vigono usi e costumi di lingua slava.
Un altro panslavista è Nikolaj Danilevskij (1822-1885), un hegeliano che nel 1869 scrive il saggio Russia ed Europa e che sostiene la teoria della necessaria sostituzione della incorrotta civiltà slava alla decadente società europea occidentale. Nondimeno, Mosca è chiamata a diventare capitale dell’occidente e il Mediterraneo spazio vitale per la popolazione di lingua russa, prolificamente cresciuta, con Dio, Zar e Famiglia al centro del mondo, quasi che il filosofo odierno Aleksandr Dugin e Vladimir Putin altro non ripetono che l’idea di invadere l’Ucraina occidentalizzata e atea.
Il progetto trova sostegno nella stampa reazionaria dei fratelli Sergej e Nikolay Aksakov, capofila di una famiglia di scrittori conservatori che rappresentano il realismo, sotto l’influenza di Gogol e che nelle loro cronache descrivono l’unità e le positività di una famiglia di proprietari terrieri buoni e operativi, dove il profitto viene svalutato a favore dell’assistenza e del ricovero comunitario gestito dallo Zar padre e padrone.
All’opposto, la corrente democratica denuncia il palese sfruttamento dei contadini e la mancanza di una piccola borghesia agraria utile per arginare la minaccia nichilista. La fuga di Herzen in Svizzera, la voce di Goncharov e di Turgeniev e la critica anarchico-pacifista di Kropoktin, preannunciano lo sviluppo terroristico di Bakunin e di quella classe di rivoluzionari radicali che Dostoevskij descrive con estremo vigore nei suoi romanzi politici, cioè i Demoni e I fratelli Karamazov.
La complessa situazione economica e sociale russa, aggravata dagli effetti inflattivi della guerra di Crimea, è gestita con cautela dal nuovo Zar Alessandro II: dopo la pace di Parigi del 1856, si ha un breve periodo di sospensione della censura poliziesca e un periodo di allentamento dei controlli alla frontiera, cui si accompagna una meno velata critica all’occidente, una sottile condiscendenza all’ateismo e una maggiore attenzione ai profili economici. Il pericolo liberale resta il male oscuro che lede la Fede nelle campagne, mentre il collettivismo agrario delle Mir (comunità agrarie russe) sembra un ottimo scudo per la società tradizionale.
Infatti è varata la legge di abolizione della Servitù della Gleba. Si predispone poi il piano di assegnazione in proprietà di frazioni del latifondo, onde fornire una base di terzietà attributiva ai Consigli dei Mir. Ma non scompaiono forme di corruzione e di occulte manovre dei redditieri che accaparrano col loro liquido disponibile ampie fette di territorio.
E’ un passo avanti sulle libertà personali; ma tanti passi indietro sulla libertà economica, visto che alla generica emancipazione non consegue una proprietà adeguata di terra, spesso inferiore rispetto a quella già direttamente coltivata. Herzen aveva proposto senza essere ascoltato il correttivo di una griglia di prezzi che bilanciasse la prevedibile capacità produttiva del fondo assegnato e non manca qualche proposta non accolta che salvaguardi la gestione delle aste di vendita.
Limiti della Riforma Agraria simili a quelli avvenuti nel sud d’Italia curiosamente coevi. Infatti dopo l’unità, Giovanni Verga li denunzia nel suo romanzo Mastro don Gesualdo del 1889 e gli scritti di Napoleone Colajanni li confermano qualche anno dopo, proprio per ritrovare una delle cause della nascita della Mafia in Sicilia e della lotta sociale nelle campagne. Invero fra anarchici individualisti e polizia zarista legata alla nuova borghesia mercantile, nata dai fiorenti traffici nei Balcani meridionali, si apre un contenzioso politico mai concluso.
Alessandro II con una mano emancipa i contadini, ma con l’altra abbandona al loro destino di eretici i Vecchi Credenti e tutti quei Monaci che non seguono la rigida obbedienza allo Stato. Promana cioè una legge che concede al Santo Sinodo di eleggere un loro Presidente alla guida del clero regolare, ma tutti chiamati all’esecuzione della volontà dello Zar.
Insomma, un diritto di veto imperiale che condiziona ancora oggi la libertà di culto e che da quell’epoca non sfugge ai diktat del Potere Governativo. Manovra che comporta il sottile scopo di intimidire le masse contadine rimaste scontente nella redistribuzione delle terre. Certo è che Povera gente (1846) – romanzo di Dostoevskij – e il dramma La potenza delle tenebre (1886) di Tolstoj, descrivono la vaghezza della conquistata libertà personale, ma segnalano anche come i criteri di qualità e di estensione dell’agro assegnato non soddisfano le esigenze concrete delle famiglie, onde persiste la scelta di molti giovani di emigrare all’estero, di entrare nei monasteri sotto la guida di Priori e Popi conservatori, oppure di andare soldato al fronte con una buona paga.
La Riforma agraria provoca danni non secondari e lascia ai margini del potere economico e sociale larghi strati della piccola borghesia sia in città che nelle campagne. Un serbatoio di futuri militari e di contadini ridotti allo stato servile, fatto che farà dire a Karl Marx della obiettiva impossibilità di una rivoluzione almeno democratica, se non proletaria, nella Russia di Alessandro.
Del resto, una fonte memorialistica della realtà posteriormente alla Riforma è quella del Principe anarchico Kroptkin (1885), che svela l’ambiguità della nuova borghesia rurale che tollera la sanzione della deportazione in Siberia per coloro che dissentono dalla politica imperiale sulla concreta pienezza dei diritti civili degli ex servi, nella maggioranza dei casi tramutati in semplici affittuari dei vecchi nobili, con canoni esosi e spesso superiori ai miseri guadagni che i contadini ricavano dalle terre acquisite.
Lo sciopero degli affittuari che Tolstoj racconta nel romanzo Resurrezione (1899), è una prova letteraria del fallimento della Riforma in esame. Occorre ancora una volta un pretesto nazionalista cui indirizzare e coprire il vuoto economico e la domanda di giustizia sociale che dai moderati e dai democratici cresce sulle pagine del periodico il Contemporaneo.
Il Panslavismo malattia terminale dello Zarismo
Scoppia nel 1863 la seconda Rivoluzione Polacca; nel 1870, la Russia appoggia Bismarck contro Napoleone III, il vecchio nemico commerciale sul Mar Nero; nel 1875-1878 si hanno le guerre russo-ottomane, dove l’Inghilterra del liberale Gladstone è addirittura alleata di Alessandro nel punire la Suprema Porta, rea di stragi a danno di russofili bulgari. E col trattato di S. Stefano del 3 marzo 1878 Romania e Montenegro diventano stati autonomi protetti dall’Orso Russo, mentre Serbia e Russia acquistano territori slavi limitrofi.
Ma ancora una volta la Prussia, ora Germania imperiale, si mette di traverso, spalleggiata dall’Austria Ungheria che teme la frantumazione dell’Impero. A Berlino nel 1878 si tiene il Congresso di Pace e di riordino delle influenze in Europa e nelle Colonie. La Russia però vede revisionato il Trattato di S. Stefano: il Sultano infatti ottiene da Bismarck la restituzione delle aree balcaniche bulgare e l’annullamento di ogni pretesa di libero accesso sul Mar Nero. In cambio, la Gran Bretagna di Disraeli aggiunge Cipro ai suoi domini coloniali.
Alla Russia, Bismarck conferma comunque l’indipendenza della Romania, della Serbia e del Montenegro, spine che purtroppo resteranno aculei velenosi per l’Austria-Ungheria fino al colpo di pistola di Sarajevo del 1914. Inoltre, l’apertura di vasti crediti alla finanza tedesca garantite dal Cancelliere di ferro ad Alessandro costituisce un tassello non indifferente per l’auspicata crescita industriale del Paese.
Nel frattempo, un cambio di prospettiva sembra aversi da parte della scuola panslavista che fa tesoro delle conclusioni del Congresso Panslavista di Praga del 1848. Il suo fautore, lo storico František Palacký (1798-1876), aveva proposto una terza via al Panslavismo russo dominante: la istituzione, all’interno dell’impero asburgico, di una Confederazione di tutte le nazionalità con pari diritti.
Ma di fronte al persistere del centralismo assolutista, che si era appena riattivato, salvo la formale accettazione della componente ungherese, Palacký abbandona la scelta confederativa e ritorna all’indipendenza della nazione Ceca e ne assume il ruolo di apripista ideologico nel mondo balcanico, ricordando la singolare storia religiosa di pace e di collaborazione fra le chiese della Boemia e della Moravia all’insegna del primo protestante moderno, il teologo Jan Hus (1371-1415), che riscopre il concetto evangelico dell’Uomo – Cristo, incarnazione di Dio nel mondo, dove ragione e sentimento devono convivere nel quotidiano alla ricerca della pace, della giustizia sociale e anche della democrazia egualitaria.
Filone di pensiero che nel primo ‘900 porterà alla scuola mitteleuropea positiva di Masaryk e Beneš, un genere di Panslavismo lontano dall’interesse economico soggettivista in cui era caduta la Russia zarista guerrafondaia e tirannica. Questa è invece la scelta ideologica tradizionale che perseguirà il Bismarck e che diventerà Pangermanismo con Guglielmo II e con gli scritti del filosofo Ernst Hasse (1846-1908), fondatore della Lega pangermanica (Alldeutscher Verband) nel 1891. Nel ventennio successivo Alessandro II mantiene un potere conservatore coi fondi tedeschi accennati.
Certamente la letteratura nazionale e la politica democratica populista va all’attacco: sorge dal basso un movimento giovanile di protesta, l’andare verso il popolo: studenti e intellettuali borghesi che con la bisaccia del pellegrino vanno nelle campagne ad educare il popolo alle libertà occidentali e alla democrazia parlamentare.
Un programma analogo a quello del Marxismo nascente – per quanto il suo ideatore, il sociologo Herzen (1812-1870) ammirasse e ascoltasse con poca attenzione la lezione di Marx ed Engels, ma e soprattutto il laburista inglese Robert Owen, difensore del movimento inglese cooperativista e fedele cristianamente al principio di fratellanza, metodo riformatore che negava la lotta di classe e il nichilismo violento degli anarchici rivoluzionari seguaci di Bakunin.
Da Alessandro II ad Alessandro III Romanov
Due strade che fra il 1861 e il 1914 andranno parallele fra gli oppositori del Regime zarista, che però dopo il gravissimo attentato contro lo Zar del 1 marzo 1881 – dove una cellula anarchica gli spegne la sua vita e peraltro riapre la via della dura repressione poliziesca – non hanno altro sbocco se non nella stasi politica istituzionale. Cresce nelle giovani generazioni un evidente senso di melanconia e astrattezza analoga alle disillusioni che si hanno in Europa negli anni ’60, dopo il mitico 1968 che porterà negli anni ’70 o alla chiusura nel privato (l’altrettanto mitico riflusso); o alla trappola ideologica del Terrorismo.
Intellettuali come il pacifista Petr Lavrov (1823-1900) e il saggista Nikolaj Černyševskij (1828-1889) cercano una mediazione fra le due anime del movimento giovanile rivoluzionario: l’uno insiste nell’educazione dei giovani; l’altro oscilla col suo che fare fra movimentismo non violento e adesione al conflitto di classe. Dostoevskij è altrettanto incerto, se aderire alla furia nichilista – per es. quella dei Demoni – oppure chiudersi in se stesso, come l’Ivan dei Karamazov.
Intanto, il nuovo Zar Alessandro III tira dritto sulla strada tradizionale della repressione e dell’arma strategica della distrazione di massa verso obiettivi di allargamento territoriale, assistito dal Principe Gorčakov che con una leggina modifica l’accesso all’ufficialato militare anche alle classi alto-borghesi.
Il nuovo Zar poi dal 1876 reprime violentemente il gruppo organizzativo studentesco herzeniano Zemlja i Volja perché fiancheggiatori degli anarchici terroristi, mentre lascia fare ai fratelli spiritualisti della Narodnaja volj, che non negano il tradizionale panslavismo e che appoggiano comunque l’ambigua riforma agraria.
L’idea del populismo russo altro non era che un mero riproporsi dello spiritualismo ortodosso, tanto che il teologo Philaret Drozdov (1782-1867) lo attua restrittivamente di fronte alla domanda occidentale di libertà della donna, quando da Presidente del Santo Sinodo non solo vieta alle donne l’accesso all’università, ma anche impone la espulsione dei giovani dissidenti dai Seminari.
E che dire di un discendente dei vecchi tradizionalisti, Alesandr Aksakov, psicologo reazionario e slavofilo, che esalta dal suo giornale moscovita la primazia della chiesa Russa su tutte le chiese europee, per di più antimodernista, nemico perfino del biologo Mendelev? Tolstoj all’epoca si ritira a Jasnaja Poljana ad educare i contadini alle nuove tecniche agrarie; Checov viaggia in Asia e scopre l’isola di Sakhalin dove scriverà le sue commedie decadentiste; Lenin, Martov, Trotsky, giovani socialisti democratici, fuggono in esilio in Svizzera.
Tacitate per ora le critiche interne, negli ultimi anni del suo regno, Alessandro III in politica estera scopre un lato dell’Impero mai visto come area espansiva, la frontiera orientale più estrema, dove non è un caso che il giovane Cechov ha cercato un po’ di silenzio per scrivere le sue ultime opere dense di pessimismo cosmico. Alessandro III guarda ora alla Manciuria e al nord della Cina. Questo è il testamento espansionista che affida al successore Nicola.
Nicola II Romanov e la dolorosa fine dell’imperialismo zarista (1894-1917)
Il fido ministro Gorčakov ora acquista uno spicchio dalla Cina – la valle dell’Ili – che costituirà la base del processo espansivo verso sud. Il nuovo zar Nicola II nel 1905 verrà in conflitto armato col Giappone altrettanto pretendente della Manciuria cinese. Guerra che sarà altrettanto disastrosa come quella di Crimea e che porterà ai primi moti rivoluzionari nel Paese, prodromici alla Rivoluzione del 1917. Sguardo verso l’Asia che si arricchisce con il Merv (oggi Turkmenistan, 31 gennaio 1884) e con uno stretto patto di amicizia con il decaduto Impero Persiano, siglato nel 1894 dal giovane sovrano con qualche diffidenza inglese sempre all’erta sul confine indiano e in Afghanistan.
Nicola II fin dalla sua insediamento nello stesso anno è intenzionato a dare una scossa al sistema produttivo: forte dei finanziamenti tedeschi della Deutsche Bank – già erogatrice di crediti al nostro Francesco Crispi – e di ulteriori crediti francesi sempre pronti ad accerchiare il nemico germanico; punta sui trasporti e realizza la storica tratta transiberiana da S. Pietroburgo e Mosca a Vladivostok, porto orientale strappato ai Giapponesi nelle prime schermaglie ai confini con la Manciuria.
Inoltre, parallelamente al trasporto di soldati e di rifornimenti militari, la ferrovia, aggiornata al modello nordamericano, funge da collegamento allo sviluppo industriale ormai al decollo. Le considerazioni dell’euroasiatico Leont’ev – ultimo esponente della corrente panslavista che ora guarda ad Est – sono l’ennesima maschera ideologica spirituale che copre le consolidate istanze espansioniste che presto giustificheranno l’ingresso nella Prima Guerra Mondiale. Inoltre, Nicola accoglie il pensiero politico liberale suggeritogli dal cugino Guglielmo II, da pochi anni Kaiser dell’impero germanico, coraggioso giovane imperatore per aver licenziato il vecchio onnipotente Bismarck e per aver riassunto su di sé la politica generale del suo Paese.
Invero, una moderna scuola socioeconomica è guidata dall’austriaco Carl Menger (1840-1921), fondatore della teoria dell’utilità marginale, in antitesi alla teoria classica del valore/lavoro. Questi sposta il fulcro dello sviluppo economico dalla Produzione alla fase del Consumo. E’ l’Università di Odessa il centro propulsore della nuova teoria, nel ventennio di recessione dell’economia mondiale capitalista dal 1873 ai primi degli anni ’90. In tale sede la scuola marginalista nega la relazione conflittuale fra lavoro e impresa per aderire alla collaborazione delle classi produttive proprio per migliorare la crescita economica.
Di qui, il ruolo della tecnica dei trasporti quale sangue del corpo economico e forza trainante della società in via di espansione. Inoltre la nuova dottrina dei rapporti di lavoro propone un sindacalismo unitario fra imprenditori e lavoratori. Solo che l’unione con gli operai e gli ex contadini liberati, non appare realizzata appieno perché i primi rimangono poveri nelle terre mal coltivate perché ancora a latifondo; mentre gli imprenditori rischiano il capitale accumulato per acquisire nuovi mercati dove vendere prodotti nuovi e di massa per una classe borghese cittadina non ancora consolidata come consumatrice.
E’ la teoria della nuova impresa industriale, soltanto pronosticata, mentre la proposta del Menger resta prudentemente accolta soltanto nella Germania imperiale. Principale realizzatore della teoria marginalista – che gli storici dell’economia citano come autore del decennio di uscita della Russia dalla situazione di arretratezza socio economica – è il Ministro Sergej Witte (1800-1883), discepolo del Menger e consigliere economico del Kaiser.
Nominato alla guida del Governo Russo di Nicola, Witte consente agli ex contadini servi della gleba di acquistare le terre con mutui offerti dalla Banche di risparmio, trasforma i consigli comunali dei Mir in assemblee tecniche di funzionari di Stato, cui spetta il controllo amministrativo degli investimenti pubblici e accetta la presenza degli imprenditori, dei lavoratori e dei consumatori in tali consessi accanto ai proprietari e agli affittuari. Una sensibile presenza dello Stato in una precoce formulazione della futura concezione della cogestione delle imprese, come già Walther Rathenau scrive nelle sue proposte di riforma sociale nella Germania imperiale (si pensi al suo saggio Reflexionen del 1902).
Nello stesso primo decennio di Nicola (1894-1906), Witte lo convince ad attenuare pretese protezionistiche sulla Bulgaria, sui Paesi Baltici e sulla Manciuria, per evitare contrasti pericolosi con Inglesi per l’India, oltreché con gli Austriaci a sud, fino ad evitare conflitti con il Giappone, potenza asiatica in ascesa, salvo a collaborare con le potenze coloniali in Cina durante la rivolta dei Boxers (1899-1901). Witte però si avvicina alle offerte finanziarie francesi, in cambio di una comune politica antisemita in occasione dell’affare Dreyfus.
Nicola aderisce e accentua un programma di gravissimi pogrom antiebraici nelle aree di residenza di numerose comunità israelite fra Odessa e Kiev (come testimonierà il giovane Isaak Babel che nella sua autobiografia del 1931, che narra del pogrom a Odessa del 1905, dove vennero uccisi 300 ebrei). Ma la ferma opposizione del Witte alla guerra col Giappone nel 1905 e i fatti rivoluzionari derivati dalla sconfitta che causò al Paese una crisi economica fortissima – narrate dal Pasternak nel romanzo Il dottor Živago del 1957 – provoca il suo improvviso licenziamento e la nomina di due mediocri Primi Ministri – Goremykin e Stolypin – e così cessa la crescita del Paese. La recessione connessa alla guerra e il fermento sociale generano inflazione e dunque la stasi del faticoso processo di allineamento della Russia alle Potenze occidentali.
Il freno all’espansione economica interna e alla timida parlamentarizzazione democratica del Paese – attuata dopo i moti del 1905 attraverso la istituzione di una assemblea legislativa (la c.d. Duma) sul modello francese, con deputati rappresentativi delle forze politiche di ogni partito – deriva da una conversione restrittiva delle citate banche di credito fondiario e industriale introdotte proprio dal Witte, nel senso che dette società private, temendo ulteriori crolli dovuti alla inflazione postbellica, cedono alla maggioranza degli investitori bancari che impongono la chiusura dei mutui già erogati alle industrie nascenti e alle piccole imprese.
Di qui, la crisi degli affittuari perché pignorati non appena una singola rata risulti non pagata alla scadenza fissata peraltro in termini molto brevi. E’ il dramma dei protagonisti del Giardino dei ciliegi di Cecov (1904). Come era avvenuto col nonno Alessandro I e col padre Alessandro II, le speranze politiche ed economiche del Paese vengono frustrate da una classe agraria di redditieri votati al profitto individuale e scarsamente disposti all’investimento produttivo, senza contare la mancanza della platea dei consumatori poco disposta allo scambio, spesso turbata e impoverita da guerre coloniali rivestite da istanze spirituali che sono idonee a mobilitare le masse contadine piuttosto che sostenerle dal lato commerciale.
Di qui, il risorgere di quell’arma di distrazione di masse che è la guerra e la solita scelta strategica della classe nobiliare di Corte, i cui privilegi saranno proprio messi a rischio dalla Rivoluzione del 1917. Il meccanismo qui si ripeterà in modo esiziale: inflazione/recessione – moti rivoluzionari/formazione di Partiti socialisti rivoluzionari marxisti – guerra – (e fu la Prima Guerra Mondiale!), dove la maschera panslavista risorge a coprire l’ennesimo tentativo di convogliare il sentimento nazionale contro i Paesi Centrali e l’odiata Turchia. Ma come è più che noto, la Rivoluzione del 1917 interrompe il gioco, perché al Panslavismo di facciata succede una ineluttabile trasformazione sociale e il nuovo Regime Comunista sovietico sembra ripudiare quel meccanismo.
Bibliografia
- Per la storia della Russia dalla guerra di Crimea alla Rivoluzione dl ’17, vd. WOLF GIUSTI, Storia della Russia, ed. Principato Messina, 1944.
- Sullo sviluppo e la trasformazione del Panslavismo, dopo la abolizione della Servitù della Gleba e fino alla Prima Guerra Mondiale, vd. la rivista Der Spiegel Geschichte, nr. 12/2012, Das Russland der Zaren.
- Sulla figura di Nicola II vd. MARIO FERRO, Nicola II, l’ultimo zar, ed. Laterza, Roma-Bari, 1990.
I libri consigliati da Fatti per la Storia!
- Per la Russia zarista, vd. ROGGER HANS, La Russia prerivoluzionaria, 1881-1917, Il Mulino, Bologna, 1992.
- Sulla situazione sociale e culturale, vd. Franco Venturi, Il populismo russo, Torino, 1952 (sec. ed. 1972).
- Per la letteratura, vd. PAOLO NORI, I russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa, 1820-1991, Utet, 2019.
- Per la guerra di Crimea, vd. ORLANDO FIGES, Crimea, l’ultima Crociata, Torino, Einaudi, 2015.
- Mario Ferro, Nicola II, l’ultimo zar, ed. Laterza, Roma-Bari, 1990.