CONTENUTO
We were soldiers – Fino all’ultimo uomo, trama
La storia inizia nel 1964 con la preparazione della controffensiva americana in Vietnam. Ci viene immediatamente presentato il colonnello Hal Moore, interpretato da Mel GIbson, che sarà tra i primi a sperimentare un piano d’assalto con l’aiuto degli elicotteri. Al suo fianco troviamo il sergente maggiore Plumley, interpretato da Sam Elliot, già suo compagno in altri eventi di guerra. L’addestramento dura solo poche settimane dal momento che il comando centrale decide di dichiarare guerra al Vietnam, senza però dichiarare lo stato d’assedio, decimando i soldati al comando di Moore di 1/3.
La squadra di Moore viene così assegnata alla valle di Ia Drang, soprannominata in seguito la Valle della morte. I combattimenti si rivelano sin da subito molto aspri ed impegnativi, le forze americane vengono colte quasi alla sprovvista dalla tattica di guerriglia dei Vietcong. In poco tempo un’intera compagnia rimane isolata sul crinale della collina, sotto il fuoco nemico. Gli americani riescono però a conquistare il letto del fiume, che si rivelerà una posizione strategica.
L’assedio continua per tutta la notte ed il giorno successivo, senza esclusione di colpi da entrambe le parti. Al calare delle seconda notte di combattimento le forze americane sono ridotte allo stremo, i Vietcong sono riusciti a sfondare le loro linee e ad accerchiali, e come suggerisce il colonnello Moore stesso stanno solo aspettando l’alba per sferrare il colpo finale.
Ed è proprio in questo momento tragico che le truppe americane decidono di portare all’limite le loro forze ed anticipare l’attacco dei Vietcong, facendosi trovare pronti e, grazie anche all’aiuto della cavalleria dell’aria, riescono a raggiungere la cima della collina, mettendo in fuga, attraverso i cunicoli scavati nel terreno, le truppe nordvietnamite. La pellicola si conclude con la voce narrante del reporter Galloway, unico a documentare le azioni della battaglia di Ia Drang, che inizia a raccontare la storia di come dei giovani eroi sono morti in nome della patria combattendo per i propri compagni.
Il trailer del film We were soldiers – Fino all’ultimo uomo
Il cast e i personaggi del film We were soldiers – Fino all’ultimo uomo
Il cast che ci viene proposto per la pellicola è un cast d’eccezione, tra i grandi nomi spuntano certamente quelli dei tre protagonisti. Il nome che per primo risalta è quello di Mel Gibson, interprete del colonnello Hal Moore, non estraneo a pellicole che hanno l’intento di esaltare l’esercito americano attraverso battaglie eroiche. Il secondo nome è quello della moglie, Julie Moore, interpretata da Madeleine Stowe e il terzo nome da sottolineare è quello di Sam Elliot, interprete del sergente maggiore Plumely.
Innanzitutto bisogna sottolineare come il livello attoriale venga rispettato e anzi innalzato dalla chimica, soprattutto tra Gibson e Elliot, che si instaura tra gli attori; essi riescono a dare il giusto tono di drammaticità ai loro personaggi, riuscendo a far emergere tutte le sfaccettature della psiche umana.
Sfaccettature che vengono provate dai vari personaggi e che sono dettate dai vari sentimenti, che si alternano tra l’angoscia per il marito lontano, lo vediamo negli occhi di Julie Moore ogniqualvolta un taxi si ferma davanti alla sua casa e mentre consegna i telegrammi alle famiglie di caduti senza vedere se tra questi ci sia anche il suo, e lo sgomento iniziale degli uomini in prima linea che si trasformerà in breve tempo in consapevolezza del loro ruolo e accettazione del loro destino.
Gli altri protagonisti, nomi del calibro di Greg Kinnear, Chris Klein, Barry Pepper e Jon Hamm, vengono ridotti a delle semplici macchiette insignificanti. Sono personaggi a cui non fai in tempo a capire che ruolo abbiano che scompaiono dallo schermo per ritornarvici solo in un secondo momento, ma sempre in secondo piano.
Complice di questa scelta anche la sceneggiatura dello stesso Wallace che con una sceneggiatura povera e a tratti lacunosa li allontana dai riflettori. Unica nota di merito può essere trovata nell’interpretazione del fotoreporter Joe Galloway, interpretato da Barry Pepper, che dimostra come anche un semplice civile con una macchina fotografica possa aiutare a scrivere la storia; saranno infatti le sue foto a raccontare il sacrificio e l’eroicità degli uomini di Moore.
We were soldiers – Fino all’ultimo uomo: differenza tra film e storia
All’interno del film non sussistono grandi differenze tra quella che è stata la storia realmente accaduta e quella che ci viene mostrata sullo schermo. Le scene che si discostano dalla realtà dei fatti sono state inserite, probabilmente, per fornire un effetto di epicità alla storia narrata.
In primo luogo troviamo, alla fine del film, il recupero da parte del Sergente Savage della tromba del soldato francese che aveva suonato la ritirata per le truppe francesi ad inizio film; questo evento non è documentato in nessun report di guerra e nessuno dei soldati presenti alla battaglia di Ia Drang l’ha mai menzionato.
Il secondo episodio riguarda l’assalto finale alla collina portato a termine vittoriosamente dalle truppe americane, esso infatti, se stiamo ai resoconti dei reduci e del libro “Eravamo giovani in Vietnam” scritto a quattro mani da Moore e Galloway, non è mai avvenuto. Bisogna presupporre, dunque, che sia stato inserito nella trama a fini puramente visivi, con il solo scopo di esaltare i soldati americani e mettere in cattiva luce i guerriglieri Vietcong, per aver sottovalutato il nemico.
Queste due scene sono quelle che, pur non essendo avvenute nella realtà, vengono inserite nella pellicola con lo scopo di portare il pubblico dalla parte americana e non mettere sotto i riflettori il disastro militare che in realtà è stata la guerra in Vietnam per gli Stati Uniti. Ad avvalorare questa tesi si aggiungono due eventi fondamentali che sono stati, invece, completamente eliminati.
Il primo riguarda la mancata menzione della ritirata verso la zona d’atterraggio X-Ray, da parte dell’esercito statunitense, dopo aver pensato di aver sconfitto la resistenza nordvietnamita. Resistenza che nel frattempo si era riorganizzata con reparti freschi e riposati e che lanciò nel giro di un giorno una nuova controffensiva che condusse alla battaglia della Landing Zone Albany, che ancora oggi rimane lo scontro singolo più sanguinoso dell’intera guerra del Vietnam e il giorno con il maggior numero di perdite per un reparto dell’esercito americano.
Il secondo motivo è aver tramutato, su pellicola, la storia come se la guerra fosse stata vinta dagli americani. Quando invece la Storia ha dimostrato il contrario. La scelta registica di tagliare la ritirata verso le zona d’atterraggio X-Ray e la conseguente battaglia di Albany, ha in qualche modo ribaltato le sorti della guerra in Vietnam, facendo credere, ad uno spettatore poco attento e a digiuno di conoscenze storiche, che siano stati gli Stati Uniti a vincere la guerra.
We were soldiers – Fino all’ultimo uomo: recensione e voto di Fatti per la storia
We were soldiers – Fino all’ultimo uomo è un film che cerca di portare l’attenzione del pubblico sul doppio binario della guerra e delle famiglie dei soldati che li aspettano a casa. La pellicola cerca, inoltre, di dare un tono eroico alle gesta che vengono compiute; accentuando, anche attraverso l’ausilio della colonna sonora, lo spirito di unità e famiglia che traspare dai volti e dalle azioni dei soldati.
Il problema è, però, che attua tutto questo in una chiave troppo patriottica, con una retorica che a tratti risulta pesante e già vista. Enfatizza sull’esercito americano lasciando quasi in secondo piano quello nordvietnamita, presentato solo attraverso delle rapide scene che non rendono giustizia all’organizzazione e alle tecniche di battaglia attuate dai Vietcong; insomma a tratti li rappresenta come degli sprovveduti.
L’unica scena in cui viene messo in primo piano l’esercito nordvietnamita è solamente la scena finale: in cui vediamo il loro comandante dichiarare che da ora in avanti sarà una guerra contro l’America e che il risultato sarà lo stesso di quello contro l’esercito francese ma con un numero molto più considerevole di morti.
Altro punto che a tratti stona è la stessa rappresentazione del colonnello Moore, che ci viene presentato come l’eroe perfetto, padre di famiglia e devoto cristiano, che nel momento della partenza saluta la moglie e si avvia verso il suo destino in una cornice, delineata dal viale alberato, perfettamente simmetrica; destino simboleggiato dallo stesso uso della luce: per la prevalenza abbiamo il colore scuro della notte, solo in lontananza vediamo la tenue luce dei lampioni.
Il tutto sembra simboleggiare l’esito della battaglia che sta andando a combattere: molti saranno i morti e quello che si otterrà sarà solamente una piccola vittoria. Questa iconografia la ritroviamo anche in una delle scene finali in cui il comandante Moore, come da promessa fatta prima di partire, è l’ultimo a lasciare la zona degli scontri e con un ultimo melanconico sguardo sembra voler prendere atto di tutto quello che è successo in quei giorni.
In conclusione possiamo dire che We were soldiers – Fino all’ultimo uomo è un film che ci fa conoscere le prime fasi del conflitto in Vietnam, presentandocele in una maniera abbastanza fedele ai fatti veramente successi e facendoci a tratti identificare con l’angoscia dei soldati e delle famiglie che li aspettavano a casa, questo grazie soprattutto alle sequenze dei combattimenti in cui ci sembra quasi di stare in mezzo a loro, grazie ad un uso sapiente dei rumori dell’artiglieria e della musica di sottofondo. Unica nota che stona in questa pellicola è, appunto, il sentimento patriottico che a tratti viene enfatizzato facendo passare in secondo piano gli eventi accaduti.
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- Hal Moore-Joe Galloway, Eravamo giovani in Vietnam, Piemme, 1992.