CONTENUTO
I cento giorni di Napoleone e la formazione della settima coalizione
Il 26 febbraio 1815 Napoleone Bonaparte salpa dall’isola d’Elba, dove si trova in esilio, con la ferma volontà di ritornare in Francia e riprendere il potere. Sbarcato sulle coste francesi il 1 marzo, nei dintorni di Cannes, l’imperatore impiega meno di tre settimane a risalire il Paese e a riprendersi il trono che gli è stato precedentemente sottratto anche per la scarsa resistenza opposta dai reggimenti che dovrebbero intercettarlo.
Il 20, infatti, il generale entra a Parigi e da quel momento hanno inizio i Cento giorni che separano il suo ritorno nella capitale dalla restaurazione della dinastia dei Borbone con il re Luigi XVIII il successivo 8 luglio 1815.
Una volta reinsediatosi sul trono Bonaparte si affretta a scrivere a tutti i governanti per informarli della sua intenzione di non intraprendere un nuovo conflitto armato in Europa; nessuno però prende seriamente in considerazione le sue rassicurazioni.
I rappresentanti delle grandi potenze, riuniti in quel momento nel Congresso di Vienna, dopo aver ricevuto la notizia del ritorno dell’imperatore, decidono di rifiutare ogni colloquio con Napoleone. Il 25 marzo l’Impero austriaco, l’Impero russo, la Prussia e l’Inghilterra, insieme ad altri regni di minor importanza, costituiscono la settima coalizione con l’obiettivo di invadere la Francia e di sconfiggerlo una volta per tutte.
Quanto a Napoleone, per non presentarsi nuovamente ai suoi sudditi come un autocrate, decide di far preparare e approvare in tempi brevi una nuova Costituzione in cui promette spazi di parlamentarismo liberale; il condottiero non si fa intimorire dalle mosse degli avversari riuscendo a riorganizzare in tempi brevissimi le proprie forze militari.
Dimostra, come già ha fatto in altre occasioni, di avere le idee molto chiare: decide di attaccare di sorpresa gli eserciti che Inghilterra e Prussia hanno sparpagliato in Belgio sperando, in tal modo, di sfruttare la scarsa coesione delle due potenze e di ottenere una rapida vittoria.
La battaglia di Waterloo, 18 giugno 1815
Napoleone, intenzionato ad affrontare separatamente le forze nemiche che sono ancora disperse, riesce a creare un’armata di cento mila uomini, L’Armée du Nord, che marcia sino alla frontiera entrando la sera del 15 giugno 1815 in Belgio. Pare che in quelle ore il Duca di Wellington alla notizia ricevuta dalla staffetta, mentre è in corso un ballo nella dimora della duchessa di Richmond a Bruxelles, abbia esclamato davanti ai suoi ufficiali: “Per Dio! Napoleone mi ha fregato!”
Il giorno seguente i francesi sconfiggono i prussiani nella battaglia di Ligny. I resti dell’esercito tedesco si ritirano verso nord per riorganizzarsi; all’inseguimento dei prussiani Napoleone invia due corpi d’armata e tre reparti di cavalleria comandati dal maresciallo Emmanuel de Grouchy al quale viene affidato il compito di non perdere di vista i nemici, mentre l’Imperatore concentra il grosso della propria armata contro l’esercito del duca di Wellington.
Quest’ultimo, che può contare su un esercito composto da circa settantacinque mila uomini, informato del fatto che il feldmaresciallo Blücher è riuscito a riorganizzare il suo esercito e che sembra intenzionato a marciare in suo aiuto, prende la rischiosa decisione di scontrarsi contro le truppe del Bonaparte.
La sera del 17 giugno Wellington si ferma consapevole del fatto di aver raggiunto un’ottima posizione per ingaggiare una battaglia difensiva, all’altezza di una collinetta, nei pressi del villaggio di Waterloo. La nottata trascorre sotto una pioggia copiosa ed incessante che trasforma il terreno in un pantano. Nella riunione mattutina del 18 giugno Napoleone ostenta ottimismo con i suoi ufficiali; è convinto che la vittoria sia alla portata anche questa volta.
C’è un’enorme differenza dal punto di vista qualitativo tra le forze messe in campo da Wellington e da Napoleone in questo fatidico scontro militare; quest’ultimo, infatti, a differenza dell’avversario britannico al comando di un esercito strutturato alla vecchia maniera, può fare affidamento su truppe di coscritti, molti dei quali già temprati dalle campagne militari precedenti e quindi abituati alle fatiche della guerra.
Il generale britannico schiera i suoi uomini in difesa, lungo la scarpata di Mont-Saint-Jean, vicino alla strada per Bruxelles, confidando nell’imminente arrivo degli alleati prussiani. A partire dalle ore 11.30, Napoleone sferra una serie di sanguinosi attacchi contro le difese britanniche prima con il fuoco dell’artiglieria francese che spara senza sosta contro le linee fortificate inglesi che però reggono bene.
Il generale francese allora lancia la cavalleria all’assalto del piccolo castello di Hougoumont difeso dai soldati di Wellington e la propria fanteria, composta da quindici mila uomini, contro l’ala sinistra inglese, la più debole poiché il generale si aspetta l’arrivo dei prussiani proprio da quel lato. I fanti francesi avanzano compatti fino alla collinetta dove improvvisamente si trovano davanti la cavalleria britannica che a colpi di sciabola li costringe all’arretramento.
Grazie dunque ad un’ostinata e organizzata resistenza coadiuvata da un’efficace azione da parte della cavalleria, gli inglesi riescono a respingere i primi attacchi. La situazione dei francesi si fa con il passare delle ore pericolosa e incerta a causa delle perdite subite e della crescente superiorità numerica del nemico.
Vincitori e sconfitti della battaglia di Waterloo
Napoleone però è tranquillo perché crede di avere tempo a disposizione, quando improvvisamente, verso le quattro e mezza del pomeriggio, nota con il binocolo delle truppe in lontananza che si stanno avvicinando al campo di battaglia: spera vivamente che siano le truppe di Grouchy, quelle mandate all’inseguimento dei prussiani, ma si accorge quasi subito che in realtà si tratta delle truppe di Blucher.
Le colonne prussiane fanno un giro largo e attaccano improvvisamente le retrovie francesi per sfiancare le riserve di Napoleone. Quelli che si svolgono tra prussiani e francesi sono combattimenti all’ultimo sangue; i soldati si finiscono a colpi di baionetta in maniera spietata.
Passa altro tempo fino a quando Napoleone decide di mandare avanti la propria cavalleria: Wellington a quel punto adotta una difesa strategica ordinando alle sue truppe di disporsi in maniera tale da formare più quadrati per parare meglio le incursioni dei cavalieri francesi che si ritrovano per circa due ore a girare intorno ai soldati nemici senza ottenere alcun risultato. Ad ogni tentativo di attacco i cavalli si fermano prima dell’impatto per paura delle punte delle baionette.
Nelle ultime battute dello scontro, l’imperatore dei francesi arriva a disporre solamente di undici battaglioni della Vecchia Guardia, che si compone dei veterani di tante battaglie. Uomini fedeli che lo hanno ciecamente seguito in numerose imprese nel corso degli anni. Napoleone li getta nella mischia, in un disperato tentativo di riprendere in mano la situazione, e loro marciano, senza battere ciglio, sotto il fuoco dell’artiglieria nemica, in formazione serrata e con il moschetto sulla spalla. Avanzano finché possono; poi, quando vedono che stanno cadendo uno dopo l’altro, capiscono che la battaglia è perduta e iniziano lentamente a ritirarsi.
Vedendo i coraggiosi uomini della Vecchia Guardia arretrare anche gli altri soldati francesi rimasti indietro razionalizzano che oramai è inutile continuare a combattere. La ritirata dei resti dell’esercito francese avviene in maniera molto ordinata, tanto che alla fine i reparti conteranno la perdita di due bandiere soltanto.
Alla fine di quella lunga giornata rimangono esangui sul terreno di combattimento nei pressi di Waterloo venticinque mila francesi, sette mila prussiani e dieci mila britannici. La lettera che il feldmaresciallo Blucher manda al principe austriaco Klemens von Metternich, per avvisarlo dell’esito vittorioso della battaglia, si conclude con le seguenti parole:
Non posso scrivere di più perché tutte le mie membra tremano.
Dalla battaglia di Waterloo all’esilio di Sant’Elena
Quella di Waterloo è l’ultima battaglia combattuta da Napoleone Bonaparte. Consegnato un mese dopo agli inglesi, il generale francese viene mandato in esilio sull’isola di Sant’Elena, nell’oceano Atlantico, dove morirà il 5 maggio 1821.
Nel Memoriale, dettato al conte spagnolo Emmanuel de Las Cases, durante il primo anno di permanenza sull’isola, Napoleone lascia per iscritto le proprie considerazioni sulla battaglia di Waterloo affermando di aver ritenuto la situazione iniziale molto favorevole e di aver creduto in una facile vittoria.
Egli non risparmia critiche pungenti ai suoi avversari Blucher e Wellington, mentre per quel che riguarda le sue azioni non ritiene di aver commesso nel corso dello scontro gravi errori tattici. Gli storici moderni, però, non hanno accolto l’interpretazione napoleonica e dai vari studi realizzati emergono alcuni errori strategici commessi quel giorno dall’imperatore.
Leggendo le tante memorie pubblicate negli anni che seguono lo scontro militare è curioso notare come per i protagonisti della battaglia di Waterloo, di entrambi gli schieramenti, la posta in gioco quel fatidico giorno sia stata la libertà dell’Europa: per i francesi la difesa dei valori affermatisi con la rivoluzione, per gli inglesi e tedeschi invece l’eliminazione definitiva di un oppressore straniero.
Con la battaglia di Waterloo, che può essere considerata come l’ultima scommessa azzardata di un grande giocatore, si conclude definitivamente l’epopea di Napoleone Bonaparte.
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- David G. Chandler, Waterloo – I cento giorni della più grande battaglia moderna, in BUR Storia, 1ª ed., Milano, Rizzoli, 2008.
- Alessandro Barbero, La battaglia. Storia di Waterloo, Laterza, 2003.
- Stuart J. Woolf, Napoleone e la conquista dell’Europa, Laterza, 2008.