CONTENUTO
Vittorio Emanuele II: nascita ed infanzia del primo re d’Italia
Vittorio Emanuele II di Savoia nasce a Torino il 14 marzo 1820, i genitori sono Carlo Alberto, futuro re di Sardegna, e Maria Teresa d’Asburgo Lorena, principessa austriaca e figlia di Ferdinando III granduca di Toscana. La Gazzetta Piemontese annuncia il lieto avvenimento: “Sua Altezza Reale la principessa di Carignano ha felicemente dato alla luce un principe che dopo mezzogiorno è stato alla cappella reale presentato dalle Loro Altezze il Re e la Regina al fonte battesimale, dove ha ricevuto i nomi di Vittorio Emanuele […] il neonato trovasi nel miglior stato di salute”.[1]
In realtà il parto per la madre non è dei più semplici, la principessa rischia anche la vita ed è salvata dalla sua giovane età, dalla sana costituzione e “dalla provvidenza che aveva impedito il manifestarsi di quella febbre puerperale che mieteva tante vittime”[2].
Il padre, uno dei pochi membri maschi di Casa Savoia, un anno dopo la nascita del figlio viene mandato in esilio prima a Novara e poi a Firenze per aver appoggiato i cosiddetti moti del 1821 che erano nati in Spagna qualche anno prima, e che, nel Regno di Sardegna, chiedevano la concessione ufficiale di una carta costituzionale. Tali rivolte, che ambiscono anche alla presa militare di Torino, provocano l’abdicazione di Vittorio Emanuele I in favore di suo fratello minore Carlo Felice che è incoronato il 25 aprile 1821.
Poco prima di abbandonare Palazzo Reale a Torino il Re, detto il Tenacissimo e al trono dal 1802, decide di tornare nella stanza della Principessa di Carignano per salutare un ultima volta il figlio di Carlo Alberto, colui che sarà Vittorio Emanuele II: “Speriamo che egli, più fortunato di me, riesca a fare la felicità di questo regno.”[3]
Seppur nato a Torino Vittorio Emanuele passa quindi i suoi primi anni di vita a Firenze nella casa del nonno materno a Poggio Imperiale dove, nel settembre del 1922, scampa miracolosamente ad un incendio in cui invece, nel tentativo di salvare il piccolo, perde la vita la sua nutrice. Tale avvenimento darà adito in seguito alla leggenda secondo cui il futuro Re Vittorio Emanuele II non sia il vero figlio di Carlo Alberto, così caratterialmente diverso, ma invece un “sostituto” adottato dopo la morte del vero figlio durante l’incendio.
La leggenda ha rapidamente trovato anche il nome di chi avrebbe ceduto suo figlio in cambio di chissà quale grossa somma di denaro, si tratterebbe del macellaio Tanaca di Poggio Imperiale. Si tratta di un’ipotesi senza basi di verità e inoltre una attenta analisi dei ritratti dei due maschi di casa Savoia mette in evidenza anche importanti tratti fisici comuni a partire dal folto baffo.
Tale dettaglio fisico ha probabilmente ispirato anche lo scultore Carlo Marocchetti quando riguardo proprio l’aspetto fisico del futuro 1° re d’Italia commenta: “Ha in se qualcosa di selvaggio, di pittoresco […] fa pensare ad un re Unno.”[4] Simile commento sull’aspetto esteriore del Re arriva anche da un famoso cortigiano inglese che scrive: “Sembra un capo di Eruli o di Longobardi.”[5]
Su Vittorio neonato ne ha parlato anche lo scudiero di corte Luigi Costa: “Occhi arditi ed espressivi, il naso all’insù come il padre e una bocca piccola, ma assi graziosa.”[6] Sul figlio primogenito di un re girano però anche maldicenze e pettegolezzi e tra questi quello che sia “muto, tardo d’intelligenza, un poco tonto”[7].
L’educazione del futuro re Vittorio Emanuele II
Il giovane Vittorio Emanuele riceve una rigidissima e tradizionale educazione in italiano[8] basata sull’arte militare e la fede religiosa. Si dimostra fin da subito poco incline agli studi e alle applicazioni teoriche, si dedica fin da giovane ad attività fisiche, e scopre una grande passione per la caccia. Il giudizio degli insegnanti privati sul ragazzo e alunno scolastico sono: “É sempre addormentato, lavora poco o nulla. Studia con somma noia e indolenza”.
A margine dei verbali degli esami svolti: “Può dirsi che il principe non ha risposto nulla di nulla”.[9] La famiglia giunge in Toscana nell’aprile del 1821 ed il padre potrà tornare in Piemonte solo dopo cinque anni e dopo aver sottoscritto un giuramento di fedeltà “alle leggi della monarchia che ne hanno fatto durante i secoli la felicità e la gloria”.
Sul carattere del futuro primo sovrano italiano molte fonti concordano nel definirlo un uomo coraggioso e addirittura temerario, sia in guerra che a caccia. É però anche definito come “non amante della verità”. Sui suoi modi di fare e colloquiare si dice: “Il re è di modi molto bruschi e dice qualsiasi cosa gli passi per la testa, la sua conversazione è certo molto originale e spesso buffa per quanto rozza e militaresca al massimo grado”[10].
Vittorio è uomo di forti passioni e non fa niente per controllarle o nasconderle, la sua posizione sociale gli permette di dire ciò che vuole e non vede motivi per cui trattenersi. L’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, durante una visita ufficiale di Vittorio in Francia commenta a riguardo: “Parigi gli piace tantissimo, ha scoperto che le parigine non portano le mutande”.
Sempre riguardo ai modi di fare di Vittorio Emanuele il diplomatico francese Lideville afferma: “Sua maestà sarda ama vantarsi, è poco amica della verità e per di più assai indiscreta. In ogni occasione Vittorio Emanuele parla delle sue venti ferite e fa volentieri il racconto favoloso dei pericoli che ha corso sia in guerra che a caccia. Ognuno sa tuttavia che, pur essendo coraggioso e persino temerario, il re di Sardegna è stato raramente ferito. Quanto alle sue fortune amorose ne parla con una franchezza e una disinvoltura che non sono degne del suo soprannome di galantuomo. Il fatto più singolare è che spesso confonde i successi avuti con quelli che avrebbe voluto avere.”[11]
Nel 1831 Carlo Alberto, tornato in Piemonte qualche anno prima, viene proclamato Re in seguito alla morte di Carlo Felice che, non avendo figli maschi non ha eredi diretti ed è l’ultimo rappresentante del ramo Savoia-Bresse. La corona passa così al ramo cadetto dei Principi di Carignano. L’incoronazione del nuovo sovrano avviene il 27 aprile 1831.
Anno di svolta, anche nella vita giovanile di Vittorio Emanuele, è senza dubbio il 1848 quando in tutta Europa, a partire dalla Sicilia e fino alle grandi capitali come Parigi e Vienna, esplodono imponenti moti di rivolta che portano in piazza migliaia di persone e che chiedono ai propri regnanti la concessione di costituzioni liberali e la fine delle monarchie assolute. A Torino re Carlo Alberto cede ben presto alle crescenti pressioni della piazza e il 4 marzo 1848 firma lo Statuto Albertino.[12]
Le 5 giornate di Milano e la prima guerra d’indipendenza
Milano insorge il 18 marzo, sono le celebri 5 giornate che costringeranno il maresciallo Radetzki ad abbandonare la città lasciandosi dietro oltre 4000 soldati morti. Il momento di debolezza dell’impero austriaco e la momentanea liberazione di Milano dall’occupazione straniera mettono Carlo Alberto di fronte alla possibilità di cacciare definitivamente gli austriaci dal nord Italia.
Il re, non senza dubbi e incertezze, dichiara guerra all’Austria il 23 marzo 1848 e anche il giovane Vittorio partecipa alla campagna militare e in particolare alle battaglie perse a Goito e Custoza. Tale conflitto, rimasto poi alla storia come 1° guerra d’indipendenza, vede il regno sabaudo sconfitto. L’indecisione di Carlo Alberto riguardo la strategia militare e i rinforzi giunti da Vienna a sostegno del maresciallo Radetzki risultano decisivi e per l’occasione J. Strauss compone la celebre marcia in onore del vincitore.
La sconfitta definitiva a Novara ha nella vita di Vittorio Emanuele una principale conseguenza: il re e padre il 23 marzo 1849 abdica, ripara in esilio e lascia al ragazzo il trono del regno. “Da questo momento io non sono più il re; il re è Vittorio, mio figlio”[13].
Il nuovo re è subito chiamato ad assumersi importanti responsabilità in conseguenza delle disastrose sconfitte militari subite nella prima guerra d’indipendenza. Il maresciallo Radetzki pretende dure condizioni di pace ed è rimasto deluso da Carlo Alberto che si è lasciato trascinare in guerra dai rivoluzionari.
Vittorio Emanuele II di Savoia re di Sardegna
Le trattative di pace con gli austriaci non furono semplici: oltre alle pesanti richieste provenienti da Vienna Vittorio deve anche risolvere una crisi parlamentare interna esplosa riguardo la ratifica della pace con l’impero austroungarico.
Il Parlamento non riesce ad approvare il testo degli accordi e il rischio è di far esplodere una crisi internazionale, il re è costretto a sciogliere le camere ed indire nuove elezioni. Per non rischiare di ritrovarsi nuovamente con un Parlamento ostile il 20 novembre 1849, nell’occasione dello scioglimento delle camere, Vittorio Emanuele lancia un proclama dove accusa i parlamentari di “atti ostili alla Corona” e chiede al paese di eleggere una Camera più “docile” per approvare la pace già firmata e poter garantire il mantenimento dello Statuto.
Il discorso, rimasto celebre come “proclama di Moncalieri”, è scritto dal primo ministro Massimo D’Azeglio, è certamente una clamorosa ingerenza nello svolgimento delle elezioni, ma è anche stato dettato da esigenze particolarmente urgenti e di non poco conto.
Il re si dimostra un politico dai modi abbastanza “rozzi e militareschi”, ma ottiene il risultato sperato e fa eleggere una Camera che approva la pace con l’Austria. Come per altre occasioni future le scelte politiche di Vittorio, sebbene estremamente contestabili dal punto di vista dei modi, nel concreto raramente si sono rivelate sbagliate.
Sempre durante i colloqui di pace Radetzki spinge il re ad abolire la costituzione e a ripristinare la monarchia assoluta, Vittorio a parole è accondiscendente con le richieste provenienti dalle grandi potenze europee e agli ambasciatori di Francia e Austria risponde: “Mio padre ingannava tutti con il suo regime deplorevole e il fantasma dell’indipendenza italiana è stato fatale al nostro sventurato paese. I democratici? canaglie! Schiacciarli come mosche, impiccarli tutti quanti.”[14]
Quando incontra il comandante del secondo Corpo d’armata austriaco a cui confida di aver sempre disapprovato la guerra contro l’Austria e di considerare il generale Bava un imbecille (una bugia provata dalle lettere di lode inviate dal re al generale)[15].
Le parole e le affermazioni pubbliche in generale non trovano però seguito nella realtà: il nuovo re, ventinovenne, non abolisce lo Statuto e mantiene la monarchia liberale costituita da suo padre pochi anni prima. In alcune occasioni si trova costretto ad utilizzare la forza per reprimere le rivolte sopratutto di stampo mazziniano, tuttavia anche le promesse di promesse di “piombo e capestri” per i “democratici” si possono definire come cadute nel vuoto. La decisione di mantenere valido lo Statuto gli varrà anche il soprannome di “re galantuomo”.
Vittorio mette in risalto la sua specifica caratteristica di saper dire ad ognuno ciò che si vuole sentir dire senza però che ciò possa troppo incidere sulle proprie decisioni. Si tratta in fondo di un sovrano dotato di buon senso e non un fanatico del potere, sebbene questo gli piaccia e sia ben felice di comandare forte della sua posizione e del suo ruolo. É anche probabilmente conscio che ad essere tiranno attirerebbe su di lui più fastidi e problemi rispetto a continuare a governare nei limiti dello Statuto.
La vita privata di Vittorio Emanuele II: il matrimonio con Maria Adelaide
Nel 1842 Vittorio si sposa con Maria Adelaide, figlia del viceré del Lombardo-Veneto, l’arciduca Ranieri d’Asburgo. Il matrimonio si tiene nella residenza estiva di Stupinigi e lei porta in dote oltre 20.000 fiorini d’oro. Un matrimonio con una principessa Asburgo e quindi austriaca, seppure fosse molto bella, non piacque a tutti e soprattutto non fu gradito da chi “a tutt’altro miravano che a legarsi con la temuta e odiata Potenza”.
La coppia dà vita a cinque figli: Umberto, erede al trono, Clotilde, Maria Pia, Oddone e Amedeo ed era unita da un sincero affetto reciproco, tuttavia il re ha avuto numerose relazioni extraconiugali e figli illegittimi. Per sottolineare tale aspetto a Torino il re venne presto soprannominato il “vero padre del proprio popolo”.
Alla morte della moglie a Vittorio viene anche prospettata la possibilità di sposarsi con la principessa inglese Mary. Il governo italiano tiene moltissimo a questo matrimonio anche e soprattutto per scopi diplomatici e anche a Londra non sembrano contrari all’idea. Il piano non si concretizza però per volere della stessa principessa che commenta: “Sono convinta che è una brava persona, ma questo non basta a compensare la sua mancanza di principi e buone maniere. Come potrei mai rispettare e stimare un uomo così totalmente grossolano? Uno che non ha neppure la cortesia e la raffinatezza di un gentiluomo.”[16]
La relazione sentimentale più famosa e anche la più importante al di fuori del matrimonio è certamente quella con Rosa Vercellana, nata a Nizza, figlia di militare e poi divenuta celebre come “la bella Rosin”.
La politica interna
Nei primi anni di regno il re appoggia con la dovuta cautela la politica riformista intrapresa dal primo ministro Massimo D’Azeglio allo scopo di isolare l’estrema destra clericale. Passaggio fondamentale di questa politica è la battaglia parlamentare per l’approvazione delle cosiddette Leggi Siccardi del 1850.
Il ministro della Giustizia, firmatario delle leggi, intende abolire il foro ecclesiastico ovvero il diritto per i membri del clero, in caso di reato, di essere giudicati da un tribunale speciale e non dalla giustizia ordinaria. Sebbene la discussione parlamentare sia intensa il governo ha i numeri per approvare la legge, ma il re, profondamente cattolico, vive una profonda crisi di coscienza sull’accettare e firmare leggi così apertamente osteggiate dalla Chiesa.
Una lettera della madre sulle possibili conseguenze del firmare tali leggi: “Pensa quale sarebbe il tuo dolore se il Signore facesse ammalare gravemente la tua cara Adele […] o il tuo Beto (soprannome familiare del figlio Umberto)”[17]. Il re si informa e studia attentamente le leggi e decide infine di approvarle motivando: “il Papa non può arrogarsi questa autorità altrimenti non saremo più padroni a casa nostra”[18].
Anche in questa situazione Vittorio si dimostra capace di restare comunque aderente alla realtà e non scegliere per forza la via per lui più semplice e giusta. Nel governo presieduto da Massimo D’Azeglio guadagna ben presto importanza la figura di Camillo Benso Conte di Cavour. Lui è un importante proprietario terriero, viene eletto in parlamento in una elezione suppletiva e diventa poi ministro dell’Economia su scelta dello stesso D’Azeglio che lo definisce “vero e proprio gallo da combattimento”.
Il re commenta la sua nomina a ministro: “Ma come non vedono lor signori che quell’uomo lì li manderà tutti col culo per terra”.[19] Due anni dopo D’Azeglio, forte del successo ottenuto con le leggi Siccardi, e intento a portare avanti il percorso di laicizzazione dello stato, propone vari progetti di legge per istituire il matrimonio civile. L’opposizione è ancora più forte e anche Papa Pio IX, già irritato dall’abolizione del foro ecclesiastico, fa pressioni sul re per fermare questo progetto di legge.
Tra le accuse rivolte al sovrano c’è anche quella di essere: “fautore di comunismo e sovversione sociale”[20]. Vittorio Emanuele questa volta cede alle pressioni delle opposizioni e mette il veto sulla legge che non passa e costa il posto di primo ministro a D’Azeglio il quale si dimette.
Il rapporto umano e personale tra Vittorio Emanuele e il suo primo ministro Cavour è fatto di forti contrasti e grandi litigi che nascondono però un’unità di intenti che nei momenti cruciali si rivela fondamentale e ha reso possibile il loro lungo rapporto di lavoro.
Le due principali cariche dello Stato hanno ad esempio comuni ideali politici: un feroce antisocialismo e anticomunismo, ma anche ostilità verso i governi “della sciabola” e reazionari. Se personalmente non nutrono grande stima uno dell’altro entrambi rispettano però le altrui cariche.
A descrizione di questo ci sono le parole dello stesso Cavour a proposito del re: “come simbolo della monarchia e della futura unità d’Italia e sono pronto a dare anche la vita per lui. Come uomo però gli chiedo soltanto di starsene il più alla larga possibile”[21].
La politica estera e la seconda guerra d’indipendenza
In politica estera Cavour si impegna e lavora oltre 5 anni per trovare in Europa gli alleati che possano aiutare il Regno di Sardegna a cacciare gli austriaci dal lombardo veneto. Gli obbiettivi diplomatici della politica di Cavour sono Napoleone III, nipote di Napoleone Bonaparte, e l’Inghilterra di re Edoardo VII.
Il re lascia lavorare il suo primo ministro sebbene egli voglia essere sempre informato e resti forte per Vittorio la tentazione di portare avanti una propria politica personale divisa e spesso contraria alla politica del governo. Questo vizio ha reso spesso difficile il lavoro del primo ministro e lo stesso Cavour sarà spesso costretto a dimettersi scoprendo che il re non appoggia la politica portata avanti dal suo governo.
Nel 1859 il Regno di Sardegna torna in guerra contro l’Austria, ma questa volta Cavour è riuscito a convincere Napoleone II ad entrare a fianco del Regno di Sardegna. La Seconda guerra d’Indipendenza vede Vittorio impegnato in prima persona sul campo di battaglia a fianco dell’alleato francese con l’obbiettivo di cacciare gli austriaci dal lombardo veneto.
La guerra procede per il verso giusto e il rapido arrivo dei francesi in Italia, anche grazie all’utilizzo del treno che nel 48′ non esisteva, fa la differenza a livello militare. Gli alleati sconfiggono gli austriaci prima a Montebello e poi a San Martino e a Solferino. Se la prima è una battaglia minore che impegna una piccola quantità di truppe a San Martino Vittorio Emanuele si trova realmente a comandare le truppe in battaglia e tale compito gli piace e lo appassiona.
Il re è bravissimo nel cavalcare tra le pallottole con la sciabola sguainata e nell’incitare i soldati prima della carica, tuttavia a sentire i suoi ufficiali non è il grande generale che lui crede di essere. L’ufficiale Solaroli a tal riguardo: “Il nostro Re al di fuori del coraggio e dell’avventatezza non ha nulla. Non ha occhio né sangue freddo, non si ricorda mai il nome di un paese. Chi sa fare la guerra è l’Imperatore, fortuna per noi che abbiamo alla testa un tale uomo”[22].
Il ruolo preponderante di Napoleone III rispetto al sovrano italiano non è però sicuramente solo dovuto ha una sua maggiore abilità nel comandare l’esercito. Il sovrano francese ha portato in Italia un esercito tre volte più numeroso e meglio armato rispetto a quello dei Savoia. Ciò pone per forza di cose il nipote di Napoleone in una posizione di comando rispetto al suo collega.
Questo ruolo di secondo piano rispetto all’alleato a Vittorio Emanuele ovviamente non piace per niente ed è lui stesso a scriverlo: “Chi è dopotutto questo bischero, l’ultimo venuto dei sovrani d’Europa, un intruso tra di noi. Dovrebbe ricordare chi sono io, il capo della prima e più antica dinastia regnante d’Europa”[23].
Anche durante la guerra il rapporto tra re e primo ministro resta tempestoso e non semplice: “Mi dice che devo essere circondato da tanti geni che mi impediscano di fare delle bestialità, pare che lei mi consideri un grande asino nel mio mestiere. Se lei mi parla ancora una volta così vedrà cosa farò… manderò via tutti d’intorno a me e mi circonderò di meno capaci ancora. Vi farò vedere se non so fare il mio mestiere”. [24]
Cavour e Vittorio Emanuele: il tempestoso colloquio di Villafranca
Dopo le vittoriose battaglie di Solferino e San Martino Napoleone III è deciso a concludere la guerra e con l’Austria e prende accordi con il giovane imperatore austro ungarico Francesco Giuseppe. L’11 luglio 1859 i due si incontrano a Villafranca per riportare la pace in Europa con il benestare di Gran Bretagna e Prussia. Ricevuta la notizia della tregua e delle trattative di pace in corso Cavour si precipita a Villafranca dove incontra sia il sovrano francese sia Vittorio Emanuele che, su richiesta di Francesco Giuseppe, è stato escluso dalle trattative.
Il colloquio privato tra i due maggiori esponenti del governo sabaudo è definito dai testimoni come “tempestoso”. Il Re uscito dalla stanza pallidissimo afferma: “Cavour è impazzito, è un tiranno, ha spaccato seggiole per terra e mi ha chiamato traditore”. Cavour si è dimette da Primo Ministro e, sempre secondo quanto riportato da Vittorio Emanuele ha aggiunto: “i ministri sanno quando dimettersi, ma anche i re dovrebbero sapere quanto è tempo di abdicare.”[25]
Nei giorni successivi Vittorio commenterà con Napoleone: “Tutto sommato una cosa positiva in questo c’è: Cavour si è dimesso, fuori dai piedi” e poi aggiunge “Pagherei un milione di franchi purché se ne andasse in America”.[26] Testimoni che incontrano Vittorio in quei giorni riferiscono: “Ho visto il re, da quando Cavour si è dimesso sembra uno scolaretto in vacanza”. Tale periodo è però destinato a durare poco perché il parlamento sabaudo non riesce a trovare altre maggioranze in grado di governare e sono ben presto costretti a richiamare al governo il conte di Cavour.
I mesi successivi all’armistizio vedono il re e il suo primo ministro impegnati nella annessione della Lombardia e dei ducati e regni del centro Italia (Ducato di Parma e Piacenza, Granducato di Toscana, a Modena ed in Romagna) i quali, nell’estate del ’59, decidono spontaneamente e tramite plebiscito di unirsi al regno di Sardegna. Da un lettera di quei mesi di Vittorio: “Io e il maestro[27] siamo pronti ad ogni cimento, anche a prendere il sole e la luna coi denti”[28].
L’impresa dei Mille e l’unità d’Italia
Nell’aprile del 1960 la Sicilia insorge nuovamente contro i Borboni e immediatamente si viene e a creare un movimento “democratico” che chiede a Garibaldi, già celebre come abile generale, di reclutare volontari per andare a sostenere la rivolta siciliana. di Sicilia
Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860 un migliaio di volontari guidati da Giuseppe Garibaldi, già famoso in tutto il mondo per le sue imprese militari, si imbarcano a Quarto in Liguria su due vapori con l’obbiettivo dichiarato di suscitare l’insurrezione in Sicilia e dare uno scossone alle fondamenta del regno Borbonico. A Torino re e primo ministro sono enormemente preoccupati e le ambasciate estere chiedono loro con insistenza rassicurazioni riguardo le intenzioni della spedizione.
Cavour decide di aspettare e lasciare che Garibaldi possa organizzarsi e partire verso Marsala: “Ora per fare l’Italia in questo momento non bisogna metterci in contrasto con Garibaldi. In mezzo a tante difficoltà cerco di guadagnare tempo.” Vittorio ancora una volta non rinuncia a portare avanti una propria politica personale, tiene contatti diretti con Garibaldi di cui però, pur avendolo visto in azione militare pochi anni prima, non si fida minimamente: “Questo sovversivo che va in giro in camicia rossa purtroppo è arrivato in Sicilia e nessuno lo ha fermato”.[29]
Le paure del re riguardano le intenzioni di Garibaldi una volta arrivato a Napoli e la questione romana: se Garibaldi decide di provare a prendere Roma Napoleone III è pronto a scendere nuovamente in Italia a difesa del Papa e ciò potrebbe compromettere i rapporti tra i Savoia e la Francia.
Da parte sua Garibaldi aveva già promesso di cedere al Re l’intero sud Italia, ma ciò non basta a tranquillizzare il sovrano che decide di muoversi verso sud alla testa dell’esercito piemontese I mille uomini partiti in Liguria arrivano presto a diventare 10.000 e dopo aver preso Palermo e la Sicilia viaggiano veloce verso Napoli che viene conquistata nei primi giorni di settembre del 1860. I piemontesi entrano nelle Marche e nel Lazio dove sconfiggono l’esercito papale scontentando non poco l’alleato francese: “
Garibaldi sbarcato in Sicilia trova il favore dei contadini scontenti del regime borbonico, Vittorio Emanuele decide di mandare l’esercito piemontese verso Napoli allo scopo di intervenire nel caso Garibaldi decida di per evitare che quest’ultimo possa tentare di prenderla scatenando l’ira dei francesi. Il 26 ottobre 1860 a Vairano Patenora[30], a circa 6km da Teano, avviene il celebre incontro tra il re e Garibaldi.
Il colloquio tra i due è abbastanza freddo e il generale rimette l’incarico di dittatore[31] nelle mani del Re. Il 14 marzo il Parlamento, rinnovato nei suoi membri da nuove elezioni nazionali, approva una legge con cui Vittorio Emanuele II diventa re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della Nazione”.
Mantenendo nome e numerazione dei Re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, sottolinea la continuità istituzionale del regno e mette l’accento sulla sconfitta dei democratici e romantici del Risorgimento. La nuova Italia diventerà un regno molto più accentrato e di stampo sabaudo rispetto a come lo avevano pensato i democratici, i garibaldini e i repubblicani guidati da Giuseppe Mazzini.
Vittorio Emanuele II di Savoia, il primo Re d’Italia
Come primo re d’Italia Vittorio deve affrontare molteplici problematiche e si trova ad affrontare tali importanti sfide senza il “suo” primo ministro Cavour che muore solo pochi mesi dopo il celebre incontro di Teano. Tra i tanti successori del Conte ci sono Bettino Ricasoli e Urbano Rattazzi la cui precedente nomina a presidente della Camera dei Deputati, portata avanti e proposta dallo stesso Cavour, non era per niente stata gradita dal re.
Tra le riforme più importanti portate avanti da re e governo c’è la promulgazione del codice civile e l’abolizione della pena capitale. Dopo il tentativo fallimentare di Garibaldi di prendere Roma sfidando il volere dei francesi il re decide di rinunciare temporaneamente alla città eterna e per rassicurare Napoleone III nel 1965 decide di spostare la capitale del regno da Torino a Firenze città a lui cara fin dall’infanzia.
La situazione internazionale cambia però già nel giro di un anno, i rapporti tra Prussia e Austria sono sempre più tesi e nel marzo del 66′ Bismark decide di stringere un’alleanza militare con l’Italia. In caso di vittoria congiunta su Vienna all’Italia andrebbe il tanto agognato Veneto.
Vittorio Emanuele II e la terza guerra d’indipendenza
Inizia così la terza guerra d’indipendenza, il 20 giugno è lo stesso Vittorio ha rivolgere alla nazione il proclama di guerra all’Austria. Il conflitto, la terza guerra d’indipendenza, che vedrà il re impegnato personalmente nella battaglia di Custoza, si rivela per il nostro esercito una cocente sconfitta e solo le contemporanee vittorie dei nostri alleati tedeschi, in particolare a Sodowa in Boemia, convinceranno Francesco Giuseppe a trattare una pace concedendo all’Italia il Veneto ancora sotto il dominio austriaco.
Napoleone III scrive a Vittorio chiedendo lui di “acconsentire ad un armistizio, potendo l’Italia raggiungere onorevolmente la meta delle sue aspirazioni con un arrangiamento con la Francia su cui sarebbe stato facile intendersi”, tuttavia il re è frenato dalla promessa fatta ai prussiani “nessuna delle due potenze avrebbe firmato la pace o l’armistizio senza il consenso dell’altra”. Anche in questo caso la soluzione arriva dall’estero: l’Austria firma un armistizio con la Prussia a Nikolsburg e ciò impone al re Savoia di firmare anche lui una pace sicuramente non gloriosa per l’Italia.
L’armistizio è firmato a Cormons in Friuli, ma a Vienna dove sono firmati gli accordi di pace il re italiano non è invitato e il Veneto è annesso all’Italia passando per la Francia. A Vittorio Emanuele viene promesso un plebiscito da svolgere a Venezia per conoscere le volontà del popolo riguardo questa annessione, tuttavia la decisione è già stata presa in precedenza e si tratta quindi di una pura formalità.
Nel 1968 il figlio e principe ereditario Umberto sposa a Torino la principessa Margherita di Savoia-Genova che è sua cugina. Per l’occasione il re crea il Corpo dei Corazzieri reali che dovevano fungere da scorta al corteo reale. La coppia reale arriva a Napoli al termine del viaggio di nozze e decide di far nascere nella città partenopea il proprio figlio chiamato Vittorio Emanuele come il nonno. Il lieto evento accade l’11 novembre 1869.
L’improvvisa malattia e la morte di Vittorio Emanuele II
L’anno successivo un insieme di eventi contemporanei danno vita all’ennesimo capitolo decisivo nella storia politica di Vittorio Emanuele II. Napoleone III cade nel tranello orditogli da Bismark e dichiara guerra alla Prussia. Il conflitto vede l’esercito francese sconfitto fin dalle prime battaglie e il 31 agosto capitola a Sedan. L’imperatore è prigioniero dei prussiani e a Parigi prende vita la Comune che sarà dissolta nel sangue solo nei mesi successivi. Tutto ciò a Firenze e in Italia vuol dire una cosa soltanto: i francesi non difendono più Roma e questa è una grande occasione per annettere la città eterna al Regno d’Italia.
La spedizione militare per la presa di Roma vede impegnati circa 50.000 uomini, l’operazione inizia all’alba del 20 settembre 1870 e già in mattinata l’esercito riesce a penetrare in città attraverso la celebre “breccia di Porta Pia”. Il re entrerà in città ad ottobre, ma l’inondazione del Tevere che colpisce la città pochi giorni prima costringe, Vittorio a rinunciare temporaneamente alle cerimonie ufficiali le quali saranno svolte solo nel luglio successivo.
Arrivato a Roma Vittorio incontra varie volte gli imperatori di Austria e Germania, Francesco Giuseppe e Guglielmo I. Tali visite, sia di Vittorio a Berlino e Vienna, sia dei due imperatori a Venezia e Milano, rappresentano i primi tentativi di dialogo diplomatico che porteranno, meno di dieci anni dopo, alla nascita della Triplice Alleanza.
L’Italia ambisce ad allearsi con la Germania, paese in forte crescita economica ed il cui esercito è già probabilmente il più forte e meglio armato d’Europa, ma per fare ciò è necessario migliorare i rapporti con la nemica storica ovvero l’Austria di Francesco Giuseppe contro cui sono state combattute tre guerre d’indipendenza.
Non sarà però Vittorio a poter lavorare a tale scopo poiché lo stesso anno viene colpito da una brutta malattia che gli procura febbre e forte tosse. Secondo alcuni si tratta di febbre malarica e il medico afferma che il Re ha i giorni contati. A dicembre la situazione peggiora vistosamente, Vittorio Emanuele è costretto a letto in stato semi comatoso, ad assisterlo ci sono il cappellano di corte e i figli. Il primo Re d’Italia muore nel palazzo nel suo letto al Quirinale il 9 gennaio 1878 e senza aver potuto salutare la moglie Rosina tenuta lontano per volere dei ministri.
A vietare a Papa Pio IX di mandare un proprio emissario alla corte del re in punto di morte pare sia stato Garibaldi il quale non si fidava del pontefice e temeva potesse avere altre intenzioni essendo in cattivi rapporti con il sovrano. Con la morte di Vittorio sale al trono suo figlio Umberto che regnerà col nome di Umberto I per ventidue anni e fino al 1900 quando il 29 luglio sarà ucciso a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci.
Note:
[1]Silvio Bertoldi, “Il Re che tentò di fare l’Italia”, Rizzoli, 2000 p. 59
[2]Silvio Bertoldi, “Il Re che tentò di fare l’Italia”, Rizzoli, 2000
[3]Silvio Bertoldi, “Il Re che tentò di fare l’Italia”, Rizzoli, 2000 p. 91
[4]Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[5]Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[6]Silvio Bertoldi, “Il Re che tentò di fare l’Italia”, Rizzoli, 2000 p. 148
[7]Silvio Bertoldi, “Il Re che tentò di fare l’Italia”, Rizzoli, 2000 p. 148
[8]Cavour e lo stesso Garibaldi, più anziani del Re, sono educati in lingua francese e avranno sempre difficoltà nell’utilizzo, sopratutto scritto, della lingua italiana
[9]Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[10]Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[11]Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festival della mente.it
[12]. Sono istituite libere elezioni per eleggere il Parlamento e sebbene non sia disciplinato, nella prassi si instaura un rapporto di fiducia tra il governo e i due rami parlamentari. Il Re nomina formalmente i ministri e può sciogliere le camere in qualsiasi momento senza dover dare spiegazione di ciò.
[13]Silvio Bertoldi, “Il Re che tentò di fare l’Italia”, Rizzoli, 2000 p. 251
[14] Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[15] Silvio Bertoldi, “Il Re che tentò di fare l’Italia”, Rizzoli, 2000
[16]Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[17] Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[18] Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[19] Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[20] Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[21] Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[22] Alessandro Barbero “Festival della Mente 2016 – La Seconda Guerra di Indipendenza” Disponibile su You Tube e tratto dal sito FestaivaldellaMente.it
[23]Alessandro Barbero “Festival della Mente 2016 – La Seconda Guerra di Indipendenza” Disponibile su You Tube e tratto dal sito FestaivaldellaMente.it
[24] Alessandro Barbero “Festival della Mente 2016 – La Seconda Guerra di Indipendenza” Disponibile su You Tube e tratto dal sito FestaivaldellaMente.it
[25] Alessandro Barbero “Festival della Mente 2016 – La Seconda Guerra di Indipendenza” Disponibile su You Tube e tratto dal sito FestaivaldellaMente.it
[26]Alessandro Barbero “Festival della Mente 2016 – La Seconda Guerra di Indipendenza” Disponibile su You Tube e tratto dal sito FestaivaldellaMente.it
[27]Il maestro è il soprannome con cui il re chiama Cavour nei momenti di maggiore intesa tra i due
[28]Alessandro Barbero “Pensare l’Italia 2-Vittorio Emanuele II” Disponibile su You Tube e tratto dal sito www. Festivaldellamente.it
[29]Alessandro Barbero “Facciamo l’Italia” disponibile su You Tube
[30]L’enciclopedia Treccani spiega bene l’incomprensione e l’incertezza riguardo il luogo del celebre incontro. https://www.treccani.it/enciclopedia/teano/
[31]Garibaldi si era proclamato dittatore dei territori che aveva conquistato nei mesi precedenti: il sud Italia dalla Sicilia fino alla Campania al confine con il Lazio.
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- Silvio Bertoldi, Il re che tentò di fare l’Italia. Vita di Carlo Alberto, Rizzoli, 2000.
- Adriano Viarengo, Vittorio Emanuele II, Salerno Editrice, 2017.
- Alessandro Sacchi, Salvatore Sfrecola, L’Italia in eredità. Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo, Historica Edizioni, 2020.