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Vespri Siciliani, storia
Quando l’imperatore Federico II muore nel 1250 lascia una situazione instabile in Sicilia dal punto di vista politico. A succedere a Federico è il suo figlio illegittimo Manfredi che viene incoronato re a Palermo nel 1258. Il papa Urbano IV, però, si rifiuta di riconoscere il nuovo sovrano e individua in Carlo d’Angiò, conte di Provenza e fratello del re di Francia Luigi IX, il candidato ideale per il regno di Napoli e Sicilia.
Sostenuto dal papa e dai banchieri toscani Carlo raduna un grosso esercito con il quale il 26 febbraio del 1266 sconfigge Manfredi nella famosa Battaglia di Benevento, che segna la fine del ghibellinismo italiano. A partire da quel momento il regno meridionale diventa a tutti gli effetti un possedimento angioino.
Il nuovo sovrano, che insedia la sua corte a Napoli, non mostra particolare interesse verso la Sicilia; a ciò va aggiunto il fatto che i francesi sono mal tollerati nell’isola, sia dal popolo che dalla nobiltà di tradizione normanna e sveva. E’ in questo contesto che si inserisce la ribellione antifrancese del 1282, sulla quale si dibatte ancora oggi sull’origine: si è trattato di una spontanea ribellione popolare o di una congiura nobiliare ben orchestrata?

I vespri siciliani: la sommossa contro gli angioini a Palermo nel 1282
Nel pomeriggio del lunedì di Pasqua del 30 marzo del 1282 una folla di cittadini è riunita nella piazza della Chiesa di Santo Spirito. E’ l’ora delle sacre funzioni del vespro, il momento solenne e di maggior confusione nelle giornate di festa. Un soldato francese di nome Drouet ferma una bella ragazza dell’alta nobiltà, che il fidanzato e la famiglia stanno conducendo in chiesa, e tenta di perquisirla nelle parti intime; a quel punto il marito della donna sottrae la spada al soldato e lo uccide all’istante.
L’episodio scatena una reazione immediata: nel corso della serata i palermitani, al grido di “Mora Mora”, si abbandonano ad una caccia ai francesi che si diffonde in breve tempo in tutta l’isola. Alcuni francesi riescono a mettersi in salvo rifugiandosi nelle navi attraccate lungo la costa; molti, invece, vengono linciati dalla furia popolare:
E quanti Francesi furono trovati nella città furono morti per le case e nelle chiese, senza misericordia alcuna (Cronista anonimo)
Nel giro di pochi giorni tutta la Sicilia si libera della presenza francese e le varie città si organizzano come embrioni di liberi comuni, ponendosi sotto la diretta protezione pontificia. Papa Martino IV, però, rifiuta questa proposta, rimanendo convinto della sua politica di appoggio agli Angioini.
La rivolta contro gli Angioini in Sicilia
Dopo il rifiuto papale entra in scena nella vicenda un altro personaggio: Pietro d’Aragona. Quest’ultimo prepara una spedizione militare, reclamando diritti al trono siciliano in quanto marito di Costanza, figlia di Manfredi. Le sue navi raggiungono Tunisi e da lì la flotta aragonese parte alla volta della Sicilia, dove sbarcano a Trapani nell’agosto del 1282. Pietro viene incoronato a Palermo re di Sicilia il 4 settembre di quell’anno:
E come fu smontato a terra e si fu riposato si mosse subitamente verso la veneranda città ed entrato in Palermo con grande allegrezza fu incoronato con il diadema del nuovo titolo di re di Trinacria. (Bartolomeo di Neocastro)
Hanno da quel momento inizio le operazioni militari che vedono contrapposti Angioini e Aragonesi.
La pace di Caltabellotta del 1302
La pace di Caltabellotta, firmata il 31 agosto 1302, segna la fine della prima fase dei Vespri siciliani e delle guerre tra aragonesi e angioini per il controllo della Sicilia. Le trattative si svolgono tra Sciacca e Caltabellotta, mentre la bozza dell’accordo viene redatta a Castronuovo, identificata da Michele Amari con l’attuale Caltavuturo. Con questo trattato, la Sicilia si separa definitivamente dall’Italia meridionale, rompendo l’unità del Regno fondato dai Normanni. Il meridione viene diviso in due entità: il Regno di Sicilia, che rimane sotto il dominio angioino e comprende solo la parte continentale, e il Regno di Trinacria, che include la Sicilia e le isole vicine, affidato a Federico III d’Aragona come sovrano indipendente.
L’accordo prevede inoltre la liberazione di Filippo I d’Angiò, prigioniero aragonese a Cefalù, e il matrimonio di Federico con Eleonora d’Angiò, sorella di Roberto d’Angiò. Gli angioini si impegnano a versare 100.000 once d’oro agli aragonesi e, alla morte di Federico, il regno siciliano dovrebbe tornare sotto il controllo angioino. Tuttavia, la riunificazione stabilita dal trattato non si realizza mai. Il Parlamento Siciliano si rifiuta di ratificare l’accordo, e Federico III assicura la continuità del Regno di Trinacria, trasmettendo il titolo di re al figlio Pietro e impedendo così il ritorno degli angioini sul trono siciliano. Le guerre del Vespro si concluderanno, tra una tregua e l’altra e in maniera definitiva solo novant’anni dopo, con il Trattato di Avignone firmato il 20 agosto 1372.
Vespri siciliani: dipinto di Hayez e opera di Verdi
La ribellione siciliana contro il potere angioino è stata oggetto di un richiamo simbolico nel corso delle successive epoche, soprattutto durante il Risorgimento. Nella cultura romantica dell’Ottocento i Vespri Siciliani vengono interpretati come uno dei momenti più alti della storia siciliana e italiana, in cui il popolo ha preso realmente coscienza di sé ribellandosi al tirannico straniero.
Al mito dei Vespri contribuisce in particolar modo l’arte romantica: nel 1846 il pittore Francesco Hayez dedica all’episodio il famoso dipinto I Vespri siciliani oggi conservato presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma e Giuseppe Verdi compone un melodramma omonimo rappresentato per la prima volta a Parigi il 1855.
I Vespri Siciliani nell’Inno di Mameli
L’episodio dei Vespri Siciliani viene citato anche in una strofa de Il Canto degli italiani scritto da Goffredo Mameli e diventato l’inno nazionale italiano:
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano.
Ogni uom di Ferruccio
ha il core, ha la mano.
I bimbi d’Italia
si chiama Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
I Vespri Siciliani del 1282, riassunto
Il 30 marzo 1282, durante la funzione serale dei Vespri nel lunedì di Pasqua, Palermo è teatro di un evento cruciale. Sul sagrato della chiesa del Santo Spirito, un soldato francese di nome Drouet si avvicina in modo irrispettoso a una giovane nobildonna siciliana, con il pretesto di perquisirla. Il marito della donna, indignato, reagisce prontamente: disarma il soldato e lo uccide sul posto. Questo atto accende la scintilla della rivolta. I palermitani, al grido di “Mora, mora!“, si scagliano contro i dominatori angioini, dando inizio a una caccia ai francesi che si estende rapidamente in tutta l’isola.
Per smascherare eventuali francesi nascosti tra la popolazione, i siciliani utilizzano un espediente linguistico: mostrano dei ceci (“cìciri” in siciliano) e chiedono di pronunciarne il nome; chi non riesce a pronunciarlo correttamente viene immediatamente giustiziato. La rivolta si propaga rapidamente: dopo Palermo, anche Corleone, Taormina, Siracusa, Augusta, Catania, Caltagirone e altre città insorgono contro il dominio angioino. Messina, inizialmente esitante, si unisce infine alla causa, consolidando l’unità dell’isola nella lotta per l’indipendenza.
Il motto “Antudo” (“Animus Tuus Dominus“) diventa il grido di battaglia dei ribelli, simboleggiando il coraggio e la determinazione del popolo siciliano. Il 3 aprile 1282, viene adottata la bandiera giallo-rossa con al centro la Triscele, rappresentante l’unione tra Palermo e Corleone, città capofila della rivolta. Nonostante i tentativi di Carlo I d’Angiò di reprimere l’insurrezione, la Sicilia resiste strenuamente. Nel luglio dello stesso anno, Carlo sbarca sull’isola con un esercito per sedare la ribellione, ma l’arrivo di Pietro III d’Aragona, chiamato in aiuto dai siciliani, cambia le sorti del conflitto. Pietro sbarca a Trapani il 30 agosto e viene incoronato re a Palermo il 4 settembre, segnando l’inizio del dominio aragonese sull’isola.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Steven Runciman, I vespri siciliani, Dedalo, 1993.
- Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, IX, Laterza, 2009.