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Il 16 novembre 1933 gli Stati Uniti riconoscono ufficialmente l’Unione Sovietica, dando avvio alle rispettive relazioni diplomatiche. Chiuse definitivamente nel 1917 con la vittoria dei bolscevichi in Russia, le relazioni diplomatiche tra i due paesi ripresero così dopo 16 anni.
Le cause della rottura diplomatica nel 1917
La presa del potere da parte dei rivoluzionari bolscevichi in Russia non destò, inizialmente, grandi preoccupazioni nella società americana, più preoccupata del diffondersi del comunismo in casa propria che all’estero. Difatti, proprio Woodrow Wilson cercò di sfruttare lo spettro del comunismo e della vittoria bolscevica in Russia per giustificare la soppressione delle libertà civili e democratiche contro tutti quei movimenti che si opponevano alla guerra e contro il movimento operaio che, solo nei sei mesi successivi all’ingresso degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale, organizzò oltre 3000 scioperi nei principali settori strategici dell’industria di guerra.
La rottura diplomatica con la nuova Russia bolscevica non fu, pertanto, dovuta al timore di diffusione del comunismo ma al rifiuto del nuovo governo di onorare i debiti contratti dal regime zarista con gli Stati Uniti, di non mantenere i precedenti accordi sottoscritti con le altre nazioni ed infine perché i bolscevichi avevano confiscato le proprietà americane sul territorio russo. Il nuovo governo rivoluzionario, inoltre, nel marzo del 1918 aveva firmato un trattato separato a Brest-Litovsk con gli imperi centrali, sancendo così l’uscita definitiva della Russia dalla Prima Guerra Mondiale.
Sebbene per tutti gli anni Venti gli scambi commerciali tra gli Stati Uniti e la Russia bolscevica continuarono ad essere assai notevoli, anche le amministrazioni repubblicane che succedettero a Wilson decisero di mantenere interrotte le relazioni diplomatiche.
Roosevelt e l’avvio delle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica
Sin dal suo primo insediamento, Franklin Delano Roosevelt volle ristabilire delle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica. I motivi che spinsero il presidente americano a muoversi in questa direzione furono molteplici.
Innanzitutto, Roosevelt sperava che il riconoscimento dell’Unione Sovietica avrebbe in qualche modo fatto comodo agli interessi americani in Asia, minacciati dal crescente espansionismo giapponese, soprattutto in Manciuria. Qui, il Giappone continuava ad acquistare terre, a sfruttare le concessioni minerarie e le linee ferroviarie, tutti elementi che preoccupavano non poco la Cina.
L’atteggiamento giapponese nella Manciuria meridionale, soprattutto nel settore delle ferrovie dove nel 1931 se ne erano costruiti circa 1000 km, andava a forte discapito degli interessi cinesi nell’area. Inoltre, la Cina vedeva con sempre più preoccupazione la presenza coreana nella regione, considerata un’avanguardia giapponese in quanto, all’epoca, la Corea faceva parte dell’impero del Sol Levante. Date queste premesse, nel settembre del 1931 i militari giapponesi occuparono la capitale Mudken e nel gennaio del 1932 tutta la Manciuria cadde sotto il dominio giapponese.
Ma non erano solo ragioni di politica estera che spinsero Roosevelt ad aprire alle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica. Queste, pensava il presidente americano, avrebbero anche favorito gli interessi commerciali statunitensi, profondamente compromessi dalla Grande Depressione.
Le conversazioni Roosevelt-Litvinov
L’avvio del processo di riconoscimento dell’URSS Roosevelt lo delegò a due intermediari: Henry Morgenthau e William Bullitt; quest’ultimo diverrà successivamente il primo ambasciatore americano in Unione Sovietica. I due consegnarono nell’ottobre del 1933 una lettera da parte del presidente a Boris Shvirsky, un rappresentante, sebbene ancora non ufficiale, dell’URSS a Washington, nella quale veniva resa nota la disponibilità dell’amministrazione americana a riconoscere la potenza comunista. In risposta, nel mese di novembre, l’allora ministro degli esteri sovietico Maxim Litvinov soggiornò a Washington per discutere la questione con Roosevelt.
Il dialogo tra Roosevelt e Litvinov, divenuto noto come “Roosevelt-Litvinov conversations”, toccò diversi argomenti, come il pagamento dei debiti dovuti agli Stati Uniti, le restrizioni alle libertà civili contro gli americani che vivevano in Unione Sovietica e il coinvolgimento di quest’ultima nella propaganda comunista sul territorio americano. Nonostante le questioni sollevate si rivelarono abbastanza spinose, Litvinov rassicurò Roosevelt che l’Unione Sovietica avrebbe preso parte a successivi incontri per la risoluzione della questione dei debiti, avrebbe evitato di interferire nella società americana (ad esempio finanziando il Communist Party of the United States) e avrebbe garantito maggiori libertà e diritti ai cittadini americani che vivevano in URSS.
Così il 15 novembre Roosevelt e Litvinov trovarono e firmarono un accordo, conosciuto col nome di “Gentlman’s Agreement“, che, dal giorno successivo, aprì al riconoscimento ufficiale dell’Unione Sovietica da parte degli Stati Uniti e l’avvio delle relazioni diplomatiche tra quelle che sarebbero divenute le due superpotenze del Novecento.