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Testimonianze dall’inferno: gli orrori dell’Unità 731
All’inizio degli anni Trenta del secolo scorso le truppe giapponesi occupano il territorio della Manciuria e nel 1932 viene fondato lo stato fantoccio del Manchukuo. Pur trovandosi sotto il controllo delle forze imperiali giapponesi, a capo di Stato di questa regione geografica troviamo la figura di Pu Yi, erede legittimo dell’ormai finita dinastia Qing in Cina, che nel 1934 ottiene il titolo di Imperatore.
È proprio questo territorio controllato dall’Armata Kwantung che diventa un terreno fertile per le ricerche del microbiologo e generale giapponese Ishii Shiro. L’obiettivo è chiaro ma complesso: bisogna sviluppare delle armi biologiche (chimiche e batteriologiche) per proteggere l’arcipelago da un’altra possibile guerra contro i sovietici che, secondo alcune fonti, stanno già portando avanti questo genere di ricerche. La richiesta del generale viene accolta in tempi brevi e, in questo modo, può dare il via ai suoi esperimenti utilizzando delle cavie poco comuni: gli esseri umani.
Il luogo adatto: la fortezza di Zhongma
Gli studi del generale si basano sulla creazione di armi batteriologiche per scopi bellici e sui rispettivi vaccini da somministrare all’esercito giapponese. Gli esperimenti vengono suddivisi nelle tipologie A e B. Le ricerche di tipo B (difensive) prevedono una serie di studi relativi alla creazione dei vaccini che vengono condotti nel laboratorio di ricerca situato nella zona industriale di Harbin, una città collocata a nord della Manciuria.
Le ricerche di tipo A (offensive), invece, vengono considerate come esperimenti umani su vasta scala e, per questo motivo, la possibilità di effettuarli al centro della città sono poche e rischiose. In questo periodo, infatti, Harbin ospita circa mezzo milione di persone e diversi gruppi etnici come cinesi (percentuale più alta presente sul territorio), coreani, mongoli e russi.
Temendo di essere scoperto, Ishii decide di effettuare le ricerche di tipo A in una zona distante dal centro che viene conosciuta dalla popolazione locale come città di Zhongma, un insieme di piccoli villaggi collocati nei pressi del fiume Beiyin. Controllata e gestita dall’Unità Togo, questa diventa una zona strategica grazie, soprattutto, alla sua vicinanza con la ferrovia della Manciuria meridionale che per diversi anni ha permesso ai giapponesi di ottenere e spostare indisturbati macchinari e cavie.
Con la costruzione della prigione, il luogo ottiene la nomina di fortezza di Zhongma. Si tratta di una struttura che si estende per circa 600 m2 divisi in due aree. La prima ha al suo interno gli uffici e i parcheggi destinati ai militari. La seconda coincide con le zone dedicate alle prigioni (che potevano contenere 1.000 prigionieri), ai laboratori, ai forni crematori e ai depositi destinati alle carcasse. La fortezza, in ogni caso, ha avuto una vita breve. Nel 1937, infatti, dopo la fuga di alcuni prigionieri e l’esplosione della discarica di munizioni, Ishii prende la decisione di far demolire la struttura e di liberarsi dei testimoni.
La nascita dell’Unità 731 di Ishii Shiro
Il soddisfacente operato di Ishii gli permette di ottenere nuovi finanziamenti e, grazie anche al decreto imperiale, nel 1936 possono iniziare i lavori volti alla costruzione di una nuova struttura, più grande e completa della precedente che è poi diventata la base principale degli esperimenti. Per mantenere la copertura il complesso è stato identificato come Divisione per la Purificazione Idrica e l’équipe che ha affiancato il microbiologo sotto il nome di Unità Togo è rimasta quasi inalterata. Il nome, tuttavia, ha subìto delle alterazioni fino al 1941, quando ha iniziato ad essere riconosciuto ufficialmente come Unità 731.
Nasce così il complesso di Pingfan, composto da oltre 150 edifici compresi di dormitori, auditorium, luoghi di intrattenimento destinati ai soldati, un tempio Shinto e, naturalmente, le prigioni. Un’importanza particolare è da attribuire agli edifici 7 e 8. Il primo destinato ai prigionieri di sesso maschile e il secondo destinato ai prigionieri di entrambi i sessi. Grazie alla presenza di un tunnel sotterraneo, i detenuti vengono facilmente trasportati verso i laboratori principali situati al centro della struttura, così da passare inosservati verso la parte più riparata del complesso.
I prigionieri, la maggior dei quali accusati di crimini capitali e idonei per la pena di morte, finiscono per scontare la loro pena diventando delle vere e proprie cavie da laboratorio. In alcuni casi vengono mosse delle accuse casuali nei confronti dei civili (accusati di essere fumatori d’oppio o simpatizzanti comunisti) a causa del basso numero di cavie disponibili. L’area è assolutamente vietata ai civili, e disubbidire all’ordine significa diventare un prigioniero.
Finiti i lavori, per ottenere un’ulteriore copertura e per non insospettire la popolazione locale inizia a circolare una voce secondo la quale i giapponesi sono in realtà impegnati nella costruzione di una segheria. Da questo momento, infatti, i prigionieri vengono conosciuti con il termine maruta, che nella lingua giapponese può essere tradotto come “pezzi di legno”.
Il processo di deumanizzazione delle cavie ha inizio nel momento stesso in cui entrano all’interno della struttura. Nei registri rimasti non viene riportato nessun nome, nessuna località e nessuna data di nascita. I maruta vengono identificati con un numero che va da 101 a 1.500. Una volta raggiunta l’ultima cifra il conteggio ricomincia da 101. Anche per questo motivo, nonostante la presenza di alcune lastre di raggi X sopravvissute alla distruzione dei documenti, ad oggi è impossibile definire il numero esatto di vittime sacrificate all’interno di quelle che Harris definisce “fabbriche della morte”.
Gli esperimenti dell’Unità 731
La maggior parte degli esperimenti viene condotta nei sotterranei dell’Unità 731. I maruta vengono trascinati all’interno dei laboratori per ricevere delle iniezioni contenenti microrganismi patogeni così da studiare gli effetti. In altri casi la trasmissione avviene mediante liquidi o cibi contaminati. All’inizio i maruta hanno ricevuto un’ottima dieta per cercare di imitare le prestazioni fisiche dei soldati giapponesi e ottenere risultati migliori dalle ricerche. Poco dopo, però, ad alcuni pazienti sono stati vietati cibo e acqua per analizzare quanto tempo impiegavano a morire.
Sono stati diversi i test sul colera ma, dato che il periodo di incubazione è stato definito troppo lungo per lo scopo di Ishii di creare delle armi batteriologiche ampiamente funzionali, di grande interesse per l’Unità è diventato lo studio e la trasmissione della peste che prevede un periodo di incubazione di appena tre giorni.
Il fisiologo Yoshimura Hisato si è occupato principalmente degli esperimenti relativi al processo di congelamento e scongelamento del corpo umano. Nel periodo che va da Novembre a Febbraio e con una temperatura di -20°C i maruta vengono legati e condotti fuori dalle prigioni, solitamente di notte, in alcuni casi completamente nudi e in altri coperti con indumenti leggeri che lasciano scoperti gli arti. I ricercatori, a quel punto, li obbligano a immergere mani e piedi nell’acqua e a rimanere all’esterno in attesa di congelare. Spesso l’acqua continua ad essere versata, a più intervalli, sulle zone interessate.
Quando sul corpo del detenuto inizia a formarsi del ghiaccio questo viene rapidamente rimosso per versare altra acqua. A seguire vi è poi il processo di scongelamento durante il quale il maruta viene riportato all’interno delle prigioni dove immerge le parti del corpo congelate dentro un recipiente che contiene dell’acqua a 5°C, temperatura che viene poi successivamente aumentata. In altri casi, i detenuti ricevono colpi sui punti vitali come il cuore o, in base allo scopo della ricerca, le parti congelate vengono spezzate. Lo scopo di queste torture è quello di notare le eventuali alterazioni di arti e organi sottoposti alle rigide condizioni climatiche.
Diversi esperimenti si sono conclusi con la perdita definitiva degli arti dei detenuti. Un test molto simile è avvenuto su una vittima diversa dalle altre: un bambino di appena tre mesi. Ad effettuare il test è lo stesso Yoshimura che ha affermato di aver immerso il bambino nell’acqua gelida per testare gli effetti del congelamento.
La presenza di minori all’interno delle prigioni è, in parte, motivata dai test sulla sifilide. L’alta percentuale di malattie veneree rilevata tra i soldati giapponesi è da attribuire alle numerose frequentazioni con le comfort women. Per questi test vengono scelti un uomo e una donna (uno dei due infetto da sifilide) costretti ad avere un rapporto sessuale così da permettere ai ricercatori di studiare la trasmissione e gli effetti della malattia al fine di creare un vaccino. Non è sbagliato, dunque, ipotizzare che la maggior parte dei bambini presenti a Pingfan sono il risultato di questi rapporti forzati.
Una pratica comune all’interno dei laboratori dell’Unità 731 è la vivisezione. La somministrazione del cloroformio al paziente non avviene quasi mai e, per questo motivo, le operazioni vengono spesso messe in pratica con il maruta pienamente cosciente che, dopo aver ricevuto i primi due tagli in verticale, perde i sensi o la vita. Lo scopo, in questo caso, è quello di studiare gli organi infetti o sani per paragonarli ad altri. Effettuare la vivisezione su un paziente ancora in vita è preferibile, secondo i ricercatori, perché il processo di decomposizione non fa altro che alterare i risultati delle ricerche.
Non è facile stabilire il numero preciso di questi brutali esperimenti, sappiamo che alcuni test sono stati condotti con un lanciafiamme per bruciare vivi i prigionieri, ad altre vittime è stata prelevata un’elevata quantità di sangue per studiare gli effetti e i tempi relativi alla morte per dissanguamento. Uno studio sulla velocità di insorgenza dell’embolia è avvenuto tramite l’iniezione di bolle d’aria nel flusso sanguigno.
Delle testimonianze riportano la presenza di una camera a pressione utilizzata per conoscere il limite e il grado di tolleranza di un essere umano. Alcuni test prevedono l’iniezione di urina di cavallo nei reni del maruta, altri ancora vengono condotti con il detenuto appeso a testa giù per controllare, anche questa volta, i tempi relativi alla morte per asfissia. In alcuni casi vengono amputate delle parti del corpo del maruta che, in un secondo momento, finiscono per essere attaccate ai lati opposti.
Nel territorio di Anda hanno luogo gli esperimenti all’aria aperta. Alcuni test prevedono di posizionare una granata a diverse distanze dalla vittima (a volte si tratta di pochi metri) e subito dopo l’esplosione, se il prigioniero è ancora in vita, i medici procedono con un intervento d’urgenza (senza anestesia). Lo stesso procedimento avviene con le armi da fuoco e l’esito dell’esperimento è positivo quando il paziente rimane in vita dopo la rimozione del proiettile.
Ishii ha ideato diversi tipi di bombe testate ad altitudini differenti, ma la maggior parte di questi studi non ha ottenuto i risultati sperati. Gli esperimenti più comuni vedono i maruta, legati a dei pali e con le gambe scoperte, rimanere in attesa del rilascio aereo delle bombe riempite di pulci infette da peste così da avviare il contagio.
La più importante per il microbiologo è stata la bomba Uji-50. Rivestita di ceramica, questa contiene al suo interno farina e pulci infette da peste. Dopo l’atterraggio la farina attira i topi sui quali le pulci vanno a posizionarsi e, in questo modo, ha inizio una nuova epidemia. La speranza di vita dei maruta è, nella migliore delle ipotesi, di qualche settimana. Alcuni hanno passato 6 mesi dentro le fabbriche della morte e, inoltre, non sono pochi i casi di suicidio.
Giustizia non è stata fatta
La resa del Giappone nel 1945 nella Seconda guerra mondiale ha spinto il generale Ishii Shiro a dare l’ordine di distruggere qualsiasi prova dell’esistenza dell’Unità 731. Dopo aver bruciato gli edifici, distrutto i macchinari e ucciso i prigionieri sono stati liberati i roditori e le pulci presenti nei laboratori (questi hanno poi portato una nuova epidemia che sembra aver ucciso circa 30.000 civili). Subito dopo Ishii ha distribuito del cianuro di potassio ai suoi collaboratori ma, a causa dell’opposizione di alcuni membri dell’équipe, questi hanno giurato di non proferire parola sull’accaduto.
Il giuramento ha avuto vita breve perché gli americani, venuti a conoscenza delle scoperte effettuate dal popolo giapponese, hanno proposto di insabbiare il tutto in cambio degli esiti degli esperimenti. Diversi medici e ricercatori, infatti, hanno collaborato attivamente con gli USA negli anni successivi in cambio dell’immunità.
I dodici membri dell’équipe meno fortunati, invece, sono stati catturati e processati dai sovietici nel 1949 durante il processo di Khabarovsk che li ha condannati a passare alcuni anni di lavoro forzato presso dei campi di lavoro siberiani (le condanne variano da 2 a 25 anni).
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- Carne, Rossana, Storia Del Giappone. Dallo Splendore Del Passato All’oscuro Del Presente, Firenze, Enigma Edizioni, 2019.
- Gold, Hal, Unit 731 Testimony, Tuttle Publishing, 1997.
- Harris, Sheldon S. Factories of Death. Japanese Biological Warfare 1932-45 and the American Cover-Up, London and New York, Routledge, 1994.