CONTENUTO
Introduzione al libro: Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda
Il libro “Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda” è un saggio dalle piccole dimensioni. Esso dopo il prologo dell’autore si struttura in otto capitoli, a sua volta suddivisi in diversi paragrafi intitolati. A seguire c’è la cronologia degli Imperatori di Trebisonda, la bibliografia dei testi consultati con note dell’autore, le cartine di Tresibonda e del Ponto. Infine l’indice dei nomi citati nel testo e l’indice dei capitoli libro. In particolare l’argomento che si affronta all’interno del testo si sintetizza nel migliore dei modi nel prologo dell’autore con le seguenti parole:
“Molti […] viandanti e viaggiatori, […] hanno invece parlato a lungo di Trebisonda, descrivendola come il luogo in cui iniziava davvero l’Oriente, tra sfarzo leggendario, intrighi, prodigi e magie. Dalla città partivano strade che, inerpicandosi tra montagne innevate e valli nebbiose, portavano verso la Persia e l’India, percorse da carovane, predoni, pellegrini e pastori. Abbandonando temerariamente le piste battute per inoltrarsi tra le foreste fittissime si poteva cadere preda delle tentazioni delle fate, ma anche trovare la salvezza dell’anima in eremi a picco su baratri vertiginosi. Trebisonda era il luogo in cui le mura del palazzo imperiale, affacciate su un precipizio, sfidavano le torri che Genovesi e Veneziani avevano costruito sulla riva del mare, dove approdavano mercanti e corsari.
Trebisonda al tempo di Marco Polo era già un mito, e lo sarebbe diventata sempre più nel corso dei secoli. La bellezza delle sue principesse, bramate da emiri, imperatori bizantini, re caucasici e aristocratici occidentali fu presto trasfigurata nei poemi e nei romanzi cavallereschi. Anche dopo la sua caduta, otto anni dopo quella della stessa Costantinopoli, la leggenda dell’ultimo Impero greco non morì, arrivando a Foscolo, Kavafis e D’Annunzio. Ancora oggi reliquiari, codici a lettere d’oro e manoscritti minati dispersi in Europa, con il loro bagliore corrusco, lasciano intuire – come braci che brillano sotto la cenere – lo sfarzo perduto dell’antica capitale sul Mar Nero.
Certo, solo una macchina del tempo permetterebbe di conoscere appieno lo <<strano e romantico impero>>, com’è stato definito, dei Greci del Ponto. Anche visitando l’odierna Trabzon non è sempre semplice individuare i resti bizantini, più numerosi di quanto si potrebbe pensare ma sommersi dall’urbanistica dirompente della città contemporanea, e inserirli nel loro contesto.
In queste pagine proveremo allora addentrarci nella storia e nella leggenda dell’ultimo Impero greco, e capire perché uno Stato che, com’è stato detto, non fu mai una superpotenza in senso politico, lo divenne però nell’immaginario collettivo, e lo rimase per settecento anni. Tresibonda, infatti, fu la prima Terra di Mezzo: un impero lontano, romantico, esotico, scintillante, percorso da draghi, maghi e cavalieri, dove tutto era possibile. Ci faremo aiutare dai tanti scrittori e studiosi che da 2500 anni parlano di questa terra leggendaria, almeno da quando Trapezunte, l’antico nome di Trebisonda, irrompe in una delle pagine più belle della letteratura”.
Riassunto di Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda
Finora, dalle testimonianze rinvenute, pare che sia durante l’Antica Grecia, intorno al 400 a. C., la prima volta in cui si menziona la città di Trapezunte che nel Medioevo prende invece il nome di Trebisonda. Essa rappresenta già l’anello di congiunzione tra il mondo ellenico civilizzato e l’Oriente barbarico. Trapezunte è colonia di Sinope (nell’attuale Turchia) che a sua volta è colonia di Mileto, la grande città della Ionia strettamente legata ad Atene (nell’odierna Grecia). Quindi Trapezunte è legata ad Atene, culla ellenica all’estremo avamposto nella mitica Colchide (regione storica del Caucaso situata sulla costa orientale del Mar Nero, all’incirca tra le attuali Turchia, Russia e soprattutto Georgia).
In seguito diventa una città dell’Antica Roma nella provincia del Ponto Polemoniaco. Sono soprattutto l’imperatore Adriano e Giustiniano ad occuparsi della città facendo anche costruire monumenti, templi, statue, importanti opere edilizie ed altro ancora. Trapezunte durante l’Antica Roma è perlopiù arroccata sullo stretto altopiano – sulla cosiddetta “tavola”, in greco “trapeza”, da cui prende il nome la città – proteso verso il mare. Quindi all’epoca le case si arroccano sull’Antica Tavola ed è circondata da antiche mura. I lati occidentali ed orientali dell’altopiano sono fiancheggiati da due forre profonde, valicate da due ponti, percorse da torrenti che diventano impetuosi ed impraticabili con le piogge.
Inoltre l’imperatore Giustiniano riesce anche a civilizzare e sottomettere gli Tzani, discendenti dei Macroni, popolo rimasto isolato tra le umide foreste e le cime ammantate di nevi e nebbie delle Alpi Pontiche, la cui principale fonte di guadagno deriva dal brigantaggio dei viandanti che passano di lì. Una volta che i Romani li sconfiggono si convertono al Cristianesimo, cessano di depredare i viaggiatori ed acconsentono all’abbattimento delle loro foreste per aprire ampie strade da percorrere anche a cavallo. Per tenerli sotto controllo si costruiscono numerosi forti.
Queste mosse però non sono risolutive per debellare il brigantaggio dell’area. Infatti anche nei secoli successivi nelle zone montuose a sud di Trebisonda si manifestano ancora ruberie ed estorsioni ai danni di viaggiatori e di carovane. Questi atti li effettuano soprattutto varie popolazioni con capi tribali semi-indipendenti che abitano ancora lì. In seguito Trapezunte diventa una città dell’Impero Bizantino. Trebisonda, il nome che prende nel Medioevo, per reagire meglio alle invasioni arabe viene riorganizzata sulla base di distretti al contempo militari e civili, detti “temi”. Così la città diventa intorno alla metà dell’IX secolo per la prima volta capitale, seppure provinciale, del “tema” di Caldia (sull’etimologia di quest’ultima nel libro si riportano alcune tesi).
Nel 1071 l’imperatore bizantino allora in carica, Romano IV Diogene, viene sconfitto in battaglia a Manzikert (attuale Malazgirt, non lontano dal lago Van, in Turchia) e fatto prigioniero dal sultano, Alp Arslān, dei Turchi Selgiuchidi. Quest’ultimo si dimostra, tuttavia, magnanimo e congeda l’imperatore imponendogli condizioni onorevoli. Poco dopo però a Bisanzio scoppia una guerra civile che porta ad esiti disastrosi. Infatti l’imperatore Romano IV Diogene viene deposto e accecato. Al suo posto prende il trono l’Imperatore bizantino Michele VII Ducas, inadeguato e circondato da una corte chiacchierona ed inetta.
Di conseguenza, tra la deposizione dell’imperatore con cui hanno preso accordi e la sostituzione alla reggenza bizantina inefficace, i Turchi Selgiuchidi possono dilagare indisturbati nell’Asia Minore. Infatti fondano il sultanato di Rum, che letteralmente significa “la terra dei Romani”, una sorta di presa in giro nei confronti dei Bizantini i quali amavano definirsi Romani dal momento che il loro Stato si costituisce da ciò che resta dell’Impero Romano D’Oriente (questo sultanato darà nei secoli successivi parecchi fastidi ai Bizantini).
Trebisonda, che da dopo la sconfitta nella battaglia Manzikert è sotto l’influenza turca, viene riconquistata già nel 1075 da Teodoro Gabra, bellicoso esponente di una famiglia aristocratica locale con la tendenza a ribellarsi a Costantinopoli. Così l’Imperatore bizantino Alessio I Comneno lo nomina governatore del tema di Caldia appena riconquistato, forse per tenerlo lontano da Costantinopoli (attuale Istanbul, in Turchia). Teodoro Gabra finisce per governare in maniera quasi autonoma finché, durante una campagna militare, diventa prigioniero dei Turchi che nel 1098 lo giustiziano a Teodosiopoli, attuale Erzerum (in Turchia).
Qualche decennio dopo suo figlio, secondo altre fonti il nipote, Costantino Gabra è nominato a sua volta governatore del tema di Caldia ma si dimostra un tiranno fino al 1140 quando l’Imperatore bizantino Giovanni I Comneno lo riconduce all’ordine e diventano figure leggendarie. Infatti sia Teodoro che Costantino Gabra finiscono per entrare nell’immaginario del Ponto e dell’Asia Minore con leggende, tradizioni epiche, motivi religiosi, canti popolari, ed altro ancora (riportate nel libro).
Questo episodio dimostra la tendenza di questa provincia ad un allontanamento dal potere centrale di Bisanzio, in particolare sotto la guida autonoma di signori locali. Inoltre prova già l’attitudine di Trebisonda di unire intorno a sé epopee e leggende. Entrambe queste vocazioni riemergono, con maggiore forza, dagli inizi del XIII secolo. Bisogna poi tenere presente che nell’Impero Bizantino, per buona parte del XII secolo, regnano i Comneni, la dinastia di origine tracia ma saldamente radicata in Asia Minore che si trova più volte già a combattere i tentativi autonomisti dei Gabradi.
A Costantinopoli, all’imperatore Giovanni II Comneno succede al trono bizantino il figlio Manuele I Comneno. Quest’ultimo ha come spina nel fianco, pur essendogli sinceramente affezionato, il cugino Andronico (figlio del fratello del padre) che per cercare d’impossessarsi del potere trama diversi intrighi. Infatti l’imperatore bizantino Manuele I, esasperato, ad un certo punto lo rinchiude in una delle torri del Gran Palazzo di Costantinopoli dove però, con vari stratagemmi, il prigioniero riesce più volte ad evadere per poi essere ricatturato e rinchiuso nuovamente.
Così l’imperatore bizantino Manuele I, temendo che Andronico organizzi un attacco all’Impero di Costantinopoli, con l’aiuto del principe di Galizia (la Galizia che si trova nell’attuale Ucraina) e con cui Andronico è in amicizia, lo perdona e lo richiama a sé. I due cugini si trovano così a fronteggiare insieme il vittorioso assedio di Zeugmino (attuale Zemun, sobborgo di Belgrado, in Serbia) nel corso del quale Andronico si dimostra ingegnoso e valoroso. La burrasca tra i due cugini però torna presto. Così l’Imperatore bizantino Manuele I, temendo le sue macchinazioni, lo esilia lontano dalla corte, in Cilicia (sulla costa sudorientale dell’Asia Minore, nell’attuale Turchia).
Andronico, che è un dongiovanni, finisce per avere diverse scandalose relazioni e per evitare ripercussioni a causa della sua condotta decide di cambiare aria. Infatti va via e si reca a Gerusalemme dove intreccia una nuova scabrosa liaison con la fresca vedova del re locale, Teodora Comneno, nipote del cugino imperatore bizantino Manuele I. Quest’ultimo, dopo questa sua ennesima relazione inopportuna, decide di inviare dei suoi agenti per accecare Andronico il quale, avvisato da Teodora, fugge con lei e vagabonda per l’Oriente continuando comunque a stringere alleanze con le potenze regionali.
Il governatore di Caldia d’allora, Niceforo Paleologo, facendosi intermediario tra i due cugini rivali riesce a riappacificarli. Dunque Andronico torna a Costantinopoli con un teatrale atto di sottomissione all’imperatore bizantino Manuele I e da quest’ultimo riceve una sorta di feudo, la città di Oninaion, un porto sul Mar Nero non distante da Trebisonda. Lì Andronico vive alcuni anni insieme a Teodora Comneno conducendo la vita di un aristocratico di provincia. Quando però nel 1180 muore l’imperatore bizantino Manuele I, lasciando come erede suo figlio dodicenne Alessio II e come reggente la madre Maria di Antiochia, Adronico vede la possibilità di conquistare il potere di Bisanzio.
Così Andronico si reca in visita a Costantinopoli e comincia a tramare per conquistare il potere. Questi professa assoluta fedeltà alla memoria del cugino ed a suo figlio. Innanzitutto fa in modo di creare il vuoto intorno al piccolo Alessio II sbarazzandosi della sua corte ed inducendolo addirittura a fargli firmare la condanna a morte di sua madre, Maria di Antiochia. Poi, nel 1183, si fa proclamare co-imperatore. A questo punto fa strangolare dai suoi sgherri il piccolo imperatore bizantino non ancora quattordicenne, rimanendo così l’unico imperatore di Bisanzio. E, come oltraggio finale, sposa la dodicenne fidanzata del giovane messo a morte, Agnese, figlia del re di Francia Luigi VII.
L’imperatore bizantino Andronico I Comneno però regna solo per due anni dimostrandosi un pessimo sovrano. Tenta di fare qualcosa di buono come riformare la giustizia, il fisco, l’amministrazione pubblica combattendo avidità e corruzione ma agisce sempre come uno spietato tiranno pieno di eccessi. Si possono ad esempio citare quelli erotici, quelli superstiziosi, quelli riguardanti la sua crescente paranoia e si ricordano soprattutto le sue inaudite crudeltà. Questa ferocia si rivolge, in particolare, contro gli esponenti delle grandi famiglie aristocratiche che diventano però sempre più insofferenti rispetto al suo atteggiamento intransigente ed autoritario, fino ad arrivare ad organizzare delle ribellioni.
L’apice si ha quando Andronico manda il suo complice più fidato, Stefano Agiocristoforite – detto “Anticristoforite” dai suoi numerosi detrattori – ad arrestare l’ennesimo personaggio altolocato, Isacco Angelo. Quest’ultimo invece di arrendersi si ribella spaccando la testa a Anticristoforite. Questo fatto dà inizio ad una travolgente insurrezione che porta presto i ribelli, capeggiati da Isacco Angelo, ad impadronirsi dell’intera Costantinopoli.
L’imperatore bizantino Andronico I tenta di fuggire per mare insieme alla giovane moglie ed a un’amante ma viene raggiunto dai ribelli. Questi lo catturano, lo riportano in città dove subisce un infinito e tremendo supplizio in cui il suo corpo viene trucidato senza pietà ed il suo cadavere martoriato rimane per giorni senza sepoltura. Solo in seguito qualcuno provvede alla tumulazione ma lontano dalla città. La furia dei ribelli però non si esaurisce lì, infatti catturano ed accecano anche i due figli maggiori di Andronico I, nonostante fossero innocenti e spesso contrari alle nefandezze del padre.
Lo spietato, machiavellico, geniale, oltraggioso personaggio di Andronico I Comneno ha fornito l’ispirazione per diverse narrazioni, romanzi ed altre opere (riportate nel libro) che lo rendono importante dove la storia reale e le leggende si intrecciano e si confondono. Così il capo dei ribelli diventa il nuovo imperatore bizantino dal nome Isacco II Angelo ma si dimostra incompetente ed incapace. Viene quindi deposto ed accecato nel 1195 da suo fratello, il quale diventa l’imperatore bizantino Alessio III. Il figlio dell’ex imperatore Isacco II Angelo, anch’egli di nome Alessio e che diventerà il futuro imperatore bizantino Alessio IV Angelo, chiede aiuto ai signori Crociati che stanno organizzando la quarta crociata. Allora i Crociati ed i Veneziani (che sono “gli azionisti di maggioranza della spedizione”, occupandosi dei trasporti) giungono a Costantinopoli e restituiscono l’Impero di Bisanzio al giovane ed a suo padre, l’ormai cieco Isacco II Angelo.
I Crociati pretendono però in cambio il pagamento di un indennizzo spropositato che il giovane aveva promesso loro con leggerezza per riappropriarsi del trono. Il tentativo di racimolare la cifra spremendo i sudditi porta nel giro di pochi mesi a una ribellione in cui padre e figlio vengono spodestati dal trono di Bisanzio. Così il nuovo imperatore bizantino diventa Alessio V Murzuflo, dalle tendenze antioccidentali; il suo atteggiamento di chiusura porta Crociati e Veneziani ad assalire Costantinopoli che cade il 12 Aprile 1204.
Più o meno in contemporanea e senza troppi clamori anche Trebisonda cade per mano degli Occidentali, dei cosiddetti “Latini”. Nello specifico la conquista della città avviene grazie a due giovani fratelli figli di Rusandane, una principessa georgiana e di Manuele, uno dei figli dell’ex imperatore bizantino Andronico I Comneno. I due ragazzi arrivano dalla Georgia (su dove siano cresciuti ci sono varie versioni leggendarie, riportate nel libro) dove la loro potente zia Tamara, regina georgiana, li rifornisce dei mezzi necessari. Ella comprende che il momento di crisi di Costantinopoli avrebbe agevolato l’impresa dei nipoti e che, se riuscita, avrebbe giovato anche al regno di Georgia.
Il pretesto di questa guerra lo fornisce l’imperatore bizantino Alessio III quando ordina di depredare alcuni monaci dei doni offerti loro dalla regina georgiana. Quest’ultima reagisce lanciando un’offensiva e occupando rapidamente tutti i territori bizantini sulla sponda del Mar Nero, da Trebisonda ad Eraclea Pontica (attuale Eregli che non è troppo distante da Costantinopoli, l’odierna Istanbul, in Turchia). Queste conquiste vengono assegnate dalla regina Tamara a suo nipote Alessio, che fonda il suo Impero diventando nel 1204 il primo imperatore (autonomo) di Trebisonda.
L’altro dei due fratelli, Davide, si spinge invece verso Occidente alla testa di truppe locali e mercenari georgiani forse con l’intento di conquistare Costantinopoli, ed all’inizio sembra potercela fare ma alla fine fallisce nella sua impresa. Le ragioni di questo sono avvolte tuttora nel mistero (nel libro vengono esposte le leggende e le teorie al riguardo). Da questo momento fino alla sua caduta, gli Imperatori di Trebisonda, gli imperatori dello Stato del Ponto, discendenti diretti in linea maschile della nobilissima dinastia imperiale bizantina dei Comneni – che occupa il trono di Bisanzio ininterrottamente dal 1081 al 1185 – assumono la titolatura di “Gran Comneno”.
Nel 1214 l’imperatore di Trebisonda Alessio I Gran Comneno inizia alcune manovre di disturbo contro i Turchi, attaccando ad esempio Sinope. Questa città all’epoca è un porto importantissimo sul Mar Nero da cui parte tra l’altro la rotta più breve per la Crimea, anch’essa caduta precocemente sotto l’influenza dei Gran Comneni. Tuttavia tutto questo stuzzica un nemico molto pericoloso, il sultano selgiuchide di Rum Kaykaus I. Quest’ultimo manda delle spie a controllare le abitudini dell’imperatore ed essi scoprono che questi si dedica alla caccia nei boschi vicino a Sinope con un’esigua scorta di cavalieri. Così, approfittando di questa leggerezza, un giorno le truppe del sultano sorprendono e fanno prigionieri l’imperatore di Trebisonda e la sua scorta.
L’imperatore viene portato davanti al sultano che lo costringe ad un atto di sottomissione. Inoltre il giorno dopo pretende la resa di Sinope. Inizialmente gli abitanti rifiutano. Poi il sultano conduce in catene l’imperatore e lo fa torturare davanti alla folla. Alla fine la popolazione non resiste più nel sentire i suoi lamenti e le sue suppliche e si arrende. Ad alcune condizioni però, che l’imperatore abbia salva la vita e che i cittadini di Sinope possano mantenere i propri beni oltre alla possibilità di trasferirsi altrove, qualora vogliano. Il sultano acconsente e libera l’imperatore ma gli fa giurare di versare obbligatoriamente dei tributi ogni anno e di essere al suo servizio in caso di bisogno. Questo in cambio di avere salva la propria vita ed alla concessione per sé e per i suoi discendenti di governare la parte orientale del Ponto.
Questa perdita indebolisce molto il potere di questa dinastia anche se negli anni successivi, per alcuni periodi, i Gran Comneni riescono a riprendere Sinope, città ricca e popolosa. Inoltre nel 1214 approfittando della difficoltà dell’Impero di Trebisonda, l’Impero di Nicea si impossessa di Eraclea e della Paflagonia. Quindi ormai l’Impero di Trebisonda rimane dentro i confini di quelli designati con il tema di Caldia. Di conseguenza tale Stato resta tagliato fuori dai percorsi terrestri che portano a Costantinopoli e soprattutto rimane in un’umiliante posizione di vassallaggio nei confronti dei Selgiuchidi. Nel 1230 quando sul trono di Trebisonda siede l’imperatore Andronico I Gido, genero di Alessio I Gran Comneno morto otto anni prima, l’erede al trono del sultanato di Rum attacca Trebisonda ma fallisce nell’impresa (tale fallimento produce una serie di leggende esposte nel libro)
Nel 1243 il piccolo Impero sul Mar Nero, al riparo dalle impenetrabili Alpi Pontiche, sembra essere stabilizzato. Tuttavia, qualche anno dopo riesce inaspettatamente a trarre vantaggio da un’epocale evento. Nello specifico quando le orde mongole spazzano via l’esercito del sultano di Rum, in una battaglia ai confini orientali dell’Anatolia. Così i Selgiuchidi, sconfitti, e gli altri Stati della regione si affrettano a rendere omaggio ai nuovi conquistatori. All’epoca sul trono dell’Impero di Trebisonda siede Manuele I Gran Comneno, nipote di Alessio I. Al di là delle leggende che proliferano al riguardo, sta di fatto che una volta che Trebisonda entra nell’orbita mongola conosce un periodo di grande prosperità.
Infatti i Mongoli all’epoca non hanno alcun interesse ad intromettersi negli affari del piccolo Impero pontico, purché quest’ultimo assicuri la praticabilità delle rotte commerciali che portano dal Mar Nero verso l’interno dell’Asia e paghi i tributi richiesti. Così Trebisonda si rivela per i Mongoli una fortuna, tanto più che nel 1258 avviene la distruzione di Bagdad e di conseguenza i flussi commerciali che passano per il Ponto subiscono un forte incremento. Pertanto aumentano notevolmente le entrate anche ai Gran Comneni, grazie ai dazi ed alle gabelle, e ciò permette di finanziare pure delle importanti opere in città.
Epilogo dell’Impero di Trebisonda
Nel 1254 l’Impero di Trebisonda si rimpossessa di Sinope. La reggenza di quest’ultima viene affidata ad un discendente dei Gabradi. Tra il 1265 ed il 1266 i Selgiuchidi però la riconquistano. In quel periodo a Trebisonda siede sul trono l’imperatore Andronico II, figlio del suo predecessore. Infatti nel 1254 vi è ancora l’imperatore Manuele I Gran Comneno che si dimostra di animo piuttosto bellicoso anche se si dedica comunque a diverse attività diplomatiche, ad esempio con l’Occidente. Il grande sviluppo delle rotte commerciali che passano per la capitale sul Mar Nero suscita l’interesse e la cupidigia di molti. In particolare tra questi ultimi spiccano i Genovesi ed i Veneziani che nel giro di pochi decenni ottengono il permesso di impiantarsi stabilmente in città.
Nel 1261 l’Impero di Nicea riconquista Costantinopoli, così il nuovo Imperatore di Bisanzio diventa Michele VIII Paleologo. Quest’ultimo si dimostra troppo filoccidentale. Infatti nutre una certa simpatia per il Cattolicesimo al punto che riconosce il papato e addirittura tenta nel 1054 di ricomporre lo scisma che divide gli ortodossi dai cattolici. Questo, se da un lato salvaguarda il suo trono dalle rappresaglie Occidentali, gli procura invece una vivissima opposizione interna. Tant’è che i suoi sudditi ed il clero cominciano a desiderare di avere altri imperatori, che siano più ortodossi e tra questi prediligono anche quello di Trebisonda, che allora è Giorgio I Gran Comneno (figlio di Manuele I, succeduto al fratello Andronico II).
Nel 1280 però l’Imperatore di Trebisonda viene tradito da fazioni di nobili oppositori, consegnato prigioniero ai Mongoli e sostituito dal fratello Giovanni II Gran Comneno. Così l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo, approfittando della situazione, cerca di intimare al piccolo Impero del Ponto, attraverso varie ambascerie, di non reclamare pretese al trono di Bisanzio e di sottomettersi a Costantinopoli. A tutto questo però Giovanni II non fa seguito. Così l’imperatore bizantino decide, per formare un’alleanza che gli garantisca la salvezza del proprio trono, di dare in moglie all’Imperatore di Trebisonda sua figlia Eudocia. Il matrimonio avviene e così il neo genero fa atto di sottomissione a Bisanzio.
Da quel momento in poi ufficialmente i Gran Comneni rinunciano alle pretese sul trono di Costantinopoli ed alla titolarità dell’Impero Universale di Bisanzio ma sta di fatto che non si riducono nemmeno a satelliti o a vassalli dei Paleologi. All’epoca i membri della dinastia di Trebisonda hanno abbandonato il titolo di “imperatori e autocrati dei Romani”. Infatti questi si fanno ormai chiamare: “Imperatori e autocrati di tutto l’Oriente, dei Georgiani e della Terra al di là del mare”. Nello specifico l’ultima parte di questa titolatura si riferisce alla Crimea che continua ad essere in rapporto di subordinazione, reale o nominale, con Trebisonda. Nonostante tale onorificenza alcune cronache dell’epoca definiscono i Gran Comneni dei capi barbari mentre al contrario altre li elogiano.
All’inizio del Trecento la situazione dell’Impero di Trebisonda sembra sostanzialmente stabilizzata. In effetti il piccolo Stato del Ponto riesce a mantenere per altri centocinquant’anni la sua fisionomia e le sue peculiari caratteristiche di “Impero in miniatura” con una capitale che è, contemporaneamente, un’importante crocevia internazionale ed una città minuscola. La popolazione è molto ridotta rispetto al passato ma la sua stratificazione sociale è assai variegata e gli abitanti di origine greca sono soltanto un quarto circa del totale. Insomma Trebisonda a quell’epoca si configura come un piccolo centro cosmopolita e di apertura internazionale.
Ciò nonostante delle cronache dell’epoca riportano che nel suo microcosmo e presso la sua corte non vi sia un’atmosfera tranquilla. Infatti spesso si verificano incendi, incursioni dei Turchi e contro i Turchi, epidemie, vi sono dei predoni nei pascoli di alta montagna, guerre civili, faide, congiure imperiali, scontri sia con Costantinopoli che con i mercanti stanziati lì, soprattutto con i Veneziani ed i Genovesi.
Questi ultimi alla metà del Trecento ottengono il possesso del “Castello del Leone”. Questa fortezza genovese è una struttura imponente con alte torri, forni, magazzini, officine e via dicendo, il che la rende una piccola fortezza autonoma. Essa si trova a poche centinaia di metri dalla corrispondente concessione veneziana. Infatti i due forti sono visibili l’uno con l’altro e non è difficile immaginare gli sguardi malevoli tra i rispettivi spalti. Nel 1319 i Veneziani ottengono il diritto stanziarsi a Kastro, un isolotto circondato dal mare e collegato alla terraferma da ponti.
In questo periodo a Trebisonda emerge sempre più l’elemento turco o orientale come i titoli attribuiti ai funzionari imperiali. Anche i soprannomi di alcuni figli degli imperatori, in particolare i discendenti di quelli di Alessio II Gran Comneno (figlio di Giovanni II, succedutogli al trono nel 1297) sono termini turchi o mongoli. Inoltre alcune parti della città (come piazze, ecc…) portano un nome turco a un punto tale che l’Impero di Trebisonda viene spesso definito “emirato greco”.
Nel 1330 muore l’imperatore di Trebisonda Alessio II Gran Comneno ed intorno a lui si creano molte leggende che tendono tuttora a mitizzare la sua figura. In seguito si susseguono altri Imperatori. Nel 1349 sale al trono di Trebisonda l’imperatore Alessio III – dopo che il suo predecessore, il suo prozio Michele viene deposto – il quale, nella sua lunga reggenza, si dimostra essere uno dei più munifici riguardo alle opere artistiche.
Le principesse comnene di Trebisonda sono note per la loro leggendaria bellezza, fama che si estende in Oriente ed in Occidente. L’imperatore Alessio III si caratterizza fin dal principio per il ricorso ai matrimoni per fini politici, stratagemma che utilizzano anche i suoi successori. In questo modo, concedendo la sospiratissima mano di una delle suddette principesse, riescono ad accaparrarsi la benevolenza di sovrani e signori con la speranza di instaurare così alleanze o mantenere relazioni pacifiche tra i popoli. Per ottenere ciò non si bada nemmeno alle differenze religiose, infatti molte di loro vanno in moglie a principi turcomanni musulmani oppure a cattolici occidentali. Molteplici sono gli aneddoti, le leggende, le narrazioni che girano intorno a queste principesse ed ai loro matrimoni (nel libro molte vengono esposte).
Nel 1402 Tamerlano sbaraglia le forze del sultano ottomano Bayezid I diventando così, di fatto, il dominatore dell’Asia occidentale. Di conseguenza l’Impero di Trebisonda passa ad essere vassallo di Tamerlano ma, esattamente come avevano fatto i Mongoli un secolo e mezzo prima, il conquistatore decide di non spazzarlo via. Infatti, considerandone la sua importanza commerciale e i tesori che ne può ricavare, preferisce ricevere in cambio ricchi tributi.
Come nella tradizione bizantina anche in quella di Trebisonda il trono non è formalmente ereditario ma elettivo. Di conseguenza la successione dinastica non è affatto scontata, almeno in linea di principio. Per ovviare a questo problema, tuttavia, già da lunghissimo tempo è in uso la pratica per cui l’imperatore in carica associa al trono un co-imperatore, di solito il figlio a cui vuole trasmettere la corona. Se ciò da un lato serve a ridurre il rischio di crisi di successione, dall’altro stimola gli appetiti degli eredi al trono che si trovano già, perlomeno nominalmente, in possesso del potere supremo e spesso non gradiscono doverlo spartire con i genitori. Infatti si sono verificati alcuni episodi di parricidio (esposti nel libro).
Tra le cronache dell’epoca ce ne sono alcune che dipingono Trebisonda e dintorni come un luogo misterioso, talvolta addirittura pericoloso mentre altre lo descrivono come mitico e fatato (diverse storie e leggende al riguardo si riportano nel testo). Tuttavia la situazione dell’Impero di Trebisonda è sempre più preoccupante. Infatti, dopo la disastrosa sconfitta avuta con Tamerlano, gli Ottomani ritornano più incalzanti di prima a proseguire nelle loro conquiste in Asia Minore e nei Balcani. Gli ultimi Imperatori di Trebisonda, nel tentativo di creare una rete di assistenza e protezione, fanno ricorso all’ormai collaudato espediente dei matrimoni con i signori degli Stati limitrofi, senza badare alla religione.
Il sultano ottomano Murad II ormai anziano e stanco, nei suoi ultimi anni di vita ha intenti pacifici, ma nel 1451 muore. Gli succede al trono suo figlio allora diciannovenne Maometto II che molti inizialmente pensano sia un giovinetto inesperto e facile da manovrare. Ad esempio Maometto II invia doni e profferte a Trebisonda facendo sperare che sia ben disposto verso l’Impero. In realtà, al contrario del padre, il nuovo sultano è giovane, energico, inoltre detesta i cristiani, desidera annientarli ed è bramoso di conquiste.
Pertanto, il 29 maggio 1453 Costantinopoli cade definitivamente in mano agli Ottomani. Trebisonda, pur essendo lontana non si trova in un ambiente tranquillo, anzi appare già chiaro che la sua fine è vicina. Contro il piccolo Impero del Ponto si scatenano diversi attacchi ed incursioni nemiche anche se la città riesce fino a quel momento a salvarsi. Così, nel 1459, per tentare di salvare l’Impero di Trebisonda, si opta per un nuovo matrimonio politico facendo sposare Teodora Gran Comnena, figlia dell’allora imperatore Giovanni IV Gran Comneno, con Uzun Hasan, il signore turcomanno che ha maggiori garanzie di poter contrattaccare lo strapotere di Maometto II.
Lo sposo in questione infatti lo si considera il sovrano più importante della confederazione detta “Orda del Montone Bianco”, un uomo brillante ed audace in battaglia. I suoi contemporanei lo chiamano “Piccolo Turco” in contrapposizione al “Gran Turco”, ovvero il sultano ottomano Maometto II. Uzun Hasan già con un vasto territorio a sua disposizione, confinante a nord con l’Impero di Trebisonda ed esteso verso la Mesopotamia, in seguito diventa anche signore dell’intera Persia.
All’epoca del matrimonio con Teodora Gran Comnena, che si ritiene la donna più bella del mondo, Uzun Hasan (cinquantenne) ha già altre mogli. Ciò nonostante si impegna effettivamente a proteggere l’Impero di Trebisonda e permette alla sua nuova consorte di mantenere sempre la fede cristiana. Nel 1460 a Giovanni IV Gran Comneno succede al trono di Trebisonda il fratello, l’imperatore Davide. Quest’ultimo per stipulare un patto commerciale tra Firenze e Trebisonda invia come suo rappresentante Michele Alighieri, discendente di Dante Alighieri. Le prospettive sono ottime, ma con ogni probabilità nessun fiorentino riesce in tempo a godere davvero di queste agevolazioni in quanto meno di un anno dopo l’Impero cade in mani ottomane.
L’ultimo Imperatore di Trebisonda tenta in tutti i modi d’invogliare le potenze occidentali ad intervenire contro l’Impero Ottomano. Ciò nonostante nessun signore europeo si vuole impegnare concretamente in una spedizione militare lì. La situazione però è sempre più preoccupante.
Infatti nel 1460 gli Ottomani conquistano Morea, l’Antico Peloponneso, ponendo fine al dominio di Tommaso e Demetrio Paleologo, fratelli dell’ultimo Imperatore di Costantinopoli. Tommaso fugge a Roma, mentre Demetrio (molto ostile ai cattolici) decide di passare dalla parte del sultano ottomano che gli concede un appannaggio in Tracia. L’ultimo Impero Greco, erede di quello Romano D’Oriente, rimane quello di Trebisonda. Nella primavera del 1461 Maometto II si muove da Costantinopoli, arriva a Sinope, il cui emiro è alleato di Trebisonda e cerca di opporsi ma viene obbligato alla resa. Di conseguenza il sultano ottomano può procedere con il suo attacco verso l’Impero del Ponto. La flotta prosegue indisturbata lunga la costa del Mar Nero.
Le truppe di terra entrano con una rapidità fulminea nel territorio di Uzun Hasan che, preso alla sprovvista, non tenta nemmeno di fermarle. Anzi il sultano ottomano si impegna a non attaccarlo dietro la promessa che il Piccolo Turco non interferisca con i suoi piani di conquista di Trebisonda. Così Maometto II si mette al riparo da attacchi di Uzun Hasan, ai cui territori in realtà non è interessato ma vuole evitare un suo intervento militare per aiutare il piccolo Impero a salvarsi. A questo punto può continuare indisturbato a proseguire il suo vero obiettivo e comincia con le sue truppe la difficile traversata delle Alpi Pontiche.
Un giorno, inaspettatamente per i cittadini, il mare davanti a Trebisonda si riempie di navi ottomane. Tutti fino a quel momento si erano illusi che l’assedio di Sinope sarebbe durato a lungo e che il sultano non si sarebbe diretto lì da loro per un bel po’ di tempo. In questo modo era possibile organizzarsi ed ideare qualche strategia di difesa. Inoltre si pensava che essendo ormai estate inoltrata a breve sarebbero arrivate piogge, nevicate e burrasche che avrebbero messo al sicuro la città, come era successo altre volte.
Invece i Turchi sono lì e nel giro di poco tempo, sbarcano. Pertanto è impossibile ormai richiedere aiuti alle zone vicine e trasportare viveri e vettovaglie nei magazzini della capitale. L’unica possibilità rimasta è quella di rifugiarsi all’interno delle mura cittadine. L’assedio dei nemici però è in atto ed essi scorrazzano tutt’intorno, devastando i campi ed incendiando le case isolate. Ciò nonostante il morale dei difensori, seppure sbalorditi, resta ancora alto. Ciò che fa ben sperare è soprattutto la posizione della città e le sue mura che la dividono in tre settori.
Nello specifico c’è una prima cinta muraria protetta da un fossato, risalente in buona parte ai tempi dell’imperatore Alessio II, che chiude la città bassa, il cosiddetto “Castello esterno” che si estende fino al mare. Da qui le mura, costruite con blocchi regolari e scandite da torri aggettanti, si estendono nel circondario.
Nel secondo settore vi si accede dal primo tramite una porta che dà sull’altopiano stretto ed allungato della città alta, la Trapeza che ha dato il nome all’antica colonia greca. Le sue mura, risultato di stratificazioni millenarie sia ad oriente che ad occidente, si innestano su ripide scarpate che finiscono nei valloni dei due torrenti che, soprattutto nei periodi di piena, si trasformano in fossati naturali invalicabili. Inoltre ci sono due alti ponti che all’epoca hanno a sua volta dei ponti levatoi che, in caso di assedio, possono bloccare ogni accesso.
Il terzo settore incontra l’alta muraglia che si sviluppa in salita verso sud e che unisce la città alta, detta “Castello mediano”, al palazzo imperiale. Nell’angolo sudorientale del Castello mediano si apre la porta di Sant’Eugenio che dà verso il vallone esterno. Una doppia porta situata verso l’estremità orientale della muraglia costituisce invece l’accesso interno alla cittadella imperiale vera e propria. Quest’ultima presenta una forma triangolare con la punta rivolta verso il basso, il nome è “Kortē” oppure, secondo il nome di origine turca, “Koulàs” e corrisponde all’estremità ridotta nella quale risiedono i sovrani e la sua corte. Nel XV secolo le difese di questo settore è ulteriormente rinforzato, gli ultimi lavori si ultimano poco più di un anno prima di questo assedio.
Così tra luglio ed agosto del 1461, al riparo tra queste fortificazioni, si asserragliano l’imperatore, la sua corte e la popolazione di Trebisonda. Trascorrono più di quaranta giorni nei quali i difensori sembrano avere la meglio. Attacchi di guerrieri dalle campagne e sortite effettuate dalla città hanno decimato i ranghi degli assedianti che stanno per abbandonare l’impresa e fuggire. Poi, però, accade l’irreparabile. Infatti arriva dall’entroterra il sultano ottomano con il suo esercito sterminato che riesce a passare dalle gole impenetrabili delle Alpi Pontiche e che ora attacca la città con tutta la sua potenza.
Nonostante la pioggia battente Maometto II ordina alle sue truppe di proseguire. Così Trebisonda si ritrova circondata dai nemici che puntano cannoni e macchine da guerra verso le mura. I viveri e l’acqua per i cittadini all’interno cominciano a scarseggiare. Secondo l’usanza ottomana agli assediati, prima dell’attacco finale, giunge un’ultima proposta di pace. Se rifiutano per la città conquistata per i cittadini non ci sarebbe stata pietà. Se invece si arrendono in cambio si garantisce a tutti la vita ed il mantenimento dei propri beni. A Davide Gran Comneno ed ai suoi familiari si sarebbero assegnate proprietà in grado di assicurarne un sostentamento più che dignitoso.
Di fronte a queste condizioni la città capitola. Così il 15 Agosto 1461 (data considerata più probabile) si aprono le porte della città a Maometto II ed al suo esercito. L’imperatore e la sua famiglia escono a porgere omaggio al sultano che li riceve in modo gentile ed umano distribuendo a tutti ricchi doni. La famiglia imperiale e la sua corte vengono mandate secondo alcune fonti in Tracia vicino Adrianopoli (l’attuale Edirne, in Turchia) mentre secondo altre nella valle dello Strimone, nei pressi di Serre (nell’attuale Macedonia orientale). Ai Gran Comneni viene concesso di portare con sé i propri beni, ma nonostante le promesse non manca qualche saccheggio. La quantità di ricchezze accumulate così dai conquistatori è immensa.
Non si sa precisamente per quale ragione, molte sono le teorie (riportate nel testo), il 26 Marzo 1463 Davide Gran Comneno, i suoi figli e qualche altro familiare (tra cui anche bambini) vengono incarcerati prima ad Adrianopoli e poi trasferiti a Costantinopoli presso il terribile carcere del Castello delle Sette Torri, ricavato dalla Porta d’Oro. Quello che per gli imperatori bizantini costituiva l’accesso trionfale alla città ora si trasforma in un luogo di detenzione. Trascorrono altri mesi e il primo novembre vengono tutti decapitati.
Uzun Hasan nel 1470 a seguito di svariate campagne militari di successo si trova a dominare l’Anatolia Orientale che comprende l’Azerbaigian, la Mesopotamia e quasi tutta la Persia. Inoltre continua ad essere in buoni rapporti con l’Occidente, soprattutto con Venezia. In quel periodo, gli Ottomani sottraggono a Venezia l’importante isola di Negroponte (l’Antica Eubea, nell’attuale Grecia), e lasciano intendere che non sono disposti a fermarsi lì. Dunque i Veneziani necessitano di qualcuno con un forte esercito di terra che attacchi Maometto II da Oriente e lo distolga dai fronti occidentali e in quel frangente l’ideale è Uzun Hasan. Quest’ultimo invece ha bisogno di armi moderne e di un disturbo da ovest.
Inizia così uno scambio di ambascerie che porta anche alla creazione di un’alleanza anti-ottomana. In tutto questo pure la moglie di Uzun Hasan, Teodora Gran Comnena, nipote dell’ultimo Imperatore di Trebisonda, gioca un ruolo importante sia politico che nell’immaginario europeo. Nel 1472 Uzun Hasan dichiara guerra a Maometto II. Nelle fasi iniziali l’attaccante sembra avere la meglio. Il 14 Agosto 1473, però, si arriva alla battaglia finale a Baskent, non lontano da Erzican, dove il sultano ottomano vince ed i suoi nemici sono costretti alla fuga. Pur perdendo poco territorio, tuttavia, il potere ed il carisma di Uzun Hasan e di sua moglie ne risentono molto.
Quando nel 1478 Uzun Hasan muore si scatena tra i suoi figli subito una guerra fratricida per la successione al trono. Il primo a cadere è Maqsud, uno dei due maschi nati da Teodora Gran Comnena e le due sorelle sentendo della morte del fratello scappano prima ad Aleppo e poi a Damasco.
Dopo la sconfitta e la morte di Uzun Hasan anche il destino del principato di Torul, l’antico ducato di Caldia, è in pericolo. Infatti nel 1479 Maometto II lo invade prendendo come pretesto l’ennesima razzia compiuta ai danni di carovane di passaggio. Così la regione viene annessa all’Impero Ottomano e il duca di Caldia fugge a Erzican. Di conseguenza anche l’ultimo baluardo dell’Impero di Trebisonda scompare seppure non l’aura di leggenda che lo circonda. Gradualmente però scivola in un anonimato di provincia per poi diventare solo un lontano ricordo.
Considerando l’importanza della nomea dei Gran Comneni anche dopo la fine dell’Impero del Ponto molte famiglie si vantano, con storie spesso inventate, di discendere dall’Antica nobile dinastia imperiale di Trebisonda. Attorno all’Antico Impero del Ponto, fino alla fine dell’Ottocento, si creano molte leggende, favole, romanzi, drammi, narrazioni, voci nelle enciclopedie culturali, burle ed opere di vario genere che presentano ambientazioni o riferimenti ad esso. Inoltre perfino alcuni modi di dire tuttora usati sono ispirati a Trebisonda.
Quindi se la storia politica dell’Impero di Trebisonda e dei suoi regnanti finisce con la sua caduta non si può dire lo stesso per la sua cultura, come la lingua greca e la religione cristiana ortodossa che continuano a rimanere ampiamente radicate nel Ponto fino a circa cent’anni fa’. Inoltre degli studi recenti di etnografia, di linguistica e di folklore hanno dimostrato che tuttora alcune comunità in villaggi del Ponto, seppure di religione islamica, parlano ancora il greco pontico (rumca o romayka) seppure in forma soltanto orale. Alcune di queste persone si considerano addirittura “Romane”, rivendicando inconsapevolmente l’eredità bizantina e dell’Impero di Trebisonda.
Recensione del libro: Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda
La lettura di questo libro “Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda” fa venire voglia di viaggiare, di andare nell’attuale Trabzon e dintorni per ricostruire e ripercorrere mentalmente gli episodi e le narrazioni riportate nel testo. Nel saggio si descrivono anche monumenti, ritrovamenti o resti inerenti alle vicende riportate, che oggi sono visitabili.
Inoltre nel libro “Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda” si menzionano alcuni reperti ed oggetti dell’epoca che attualmente sono però conservati non in Turchia ma in musei in giro per il mondo tra cui anche l’Italia (come Venezia, Genova e Firenze), facendo venir voglia di visitarli. I molteplici riferimenti alla cronaca dell’epoca, ai racconti ed alle citazioni letterarie dove si intersecano fatti storici e leggende fanno comprendere quanto trattando dell’Impero di Trebisonda realtà e fantasia (seppure nel testo l’autore li tenga ben separati) si intreccino tra loro e talvolta quasi si confondano. Questo rende intrigante ed interessante questo libro “Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda”.
In sostanza questo saggio “Trebisonda. L’Impero incantato tra storia e leggenda” stimola nel lettore il desiderio di andare sulle tracce di questo mondo perduto. Non solo nell’attuale Trabzon ed in altre zone della Turchia ma anche in altri Paesi che hanno avuto un ruolo all’interno delle vicende narrate nel testo. In conclusione questo saggio induce a viaggiare con la mente e con la fantasia ma stimola anche il desiderio di visitare effettivamente i luoghi, i monumenti ed i reperti menzionati. Andare quindi alla ricerca ed alla scoperta dell’Impero perduto di Trebisonda la cui affascinante storia, che se è celebre fino a fine Ottocento, attualmente non è molto conosciuta. Questi luoghi invece si configurano come località magiche, incantate, ricche soprattutto di leggende, dove storia e finzione si intrecciano inevitabilmente.
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- Tommaso Braccini, Trebisonda. L’impero incantato tra storia e leggenda, Salerno Editrice, 2024.