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Verso il trattato di Brest-Litovsk
Una volta giunto al potere il governo rivoluzionario presieduto da Lenin inizia ad agire in modo sempre più autoritario nella convinzione che tutto ciò sia necessario per giungere alla vera e propria dittatura del proletariato. Il nuovo governo manifesta disprezzo per le regole democratiche e avvalla il ricorso a metodi spietati nella lotta al nemico contro-rivoluzionario.
Un passo decisivo per l’inizio del “terrore rosso” è rappresentato dal decreto “La patria socialista è in pericolo!”, firmato da Lenin il 21 febbraio 1918. La guerra in corso, inoltre, che continua ad essere combattuta con un esercito praticamente alla deriva, costituisce un pericolo gravissimo per il fragile stato rivoluzionario appena nato. Lenin si espone, dunque, in prima persona e si impegna per far accettare alle altre forze politiche e agli stessi bolscevichi la necessità di uscire dal conflitto mondiale.
Il trattato di Bresk-Litovsk, 3 marzo 1918
Il trattato di Brest-Litovsk che sancisce l’uscita della Russia dalla Grande guerra viene firmato il 3 marzo 1918. I firmatari sono la Russia bolscevica da un lato e l’impero tedesco, austro-ungarico, la Bulgaria e l’Impero ottomano dall’altro. E’ Georgij Cicerin, diplomatico di carriera subentrato a Trockij come commissario per gli Affari Esteri a mettere la firma sul documento che sigla una pace durissima e umiliante per la Russia: oltre a dover pagare una cospicua indennità di guerra, il Paese perde la Polonia Orientale, la Lituania, l’Estonia, la Finlandia, l’Ucraina (che verrà rioccupata nel 1922) e la Transcaucasia.
Complessivamente la pace di Brest-Litovsk strappa alla Russia 56 milioni di abitanti (pari al 32% della sua popolazione) e la priva del 75% della produzione del carbone e del ferro, del 32% della produzione agricola e di circa 5.000 fabbriche. A parte l’Ucraina il resto dell’area territoriale strappata al precedente Impero russo è costituita da territori che la Russia aveva assorbito e conquistato nel corso dei secoli.
Il trattato afferma, inoltre, che “Germania e Austria-Ungheria intendono determinare il futuro destino di questi territori in accordo con le loro popolazioni.” Quasi tutti questi territori sono in realtà ceduti alla Germania, che intende sottometterli alle proprie dipendenze economiche e politiche. I molti residenti tedeschi delle zone in questione vengono designati quali rappresentanti dell’élite di governo.
Le conseguenze del trattato di Bresk-Litovsk
Il prezzo della pace è altissimo per la Russia; Lenin giunge persino a minacciare le dimissioni dal Comitato centrale per superare l’opposizione al trattato, che rimane fortissima nel partito, specialmente tra gli esponenti della fazione raccolta intorno alla figura di Nikolaj Bucharin. Il ridimensionamento territoriale della Russia con lo spostamento del baricentro del Paese verso est è ben simboleggiato dal trasferimento della capitale nel mese di marzo da Pietrogrado a Mosca.
La storiografia sovietica ha definito quella firmata a Brest-Litovsk una “pace imperialista“, poiché nega uno dei principi enunciati con i decreti dell’ottobre, quello sull’autodeterminazione dei popoli. Effettivamente è una pace che vede la fine dell’impero russo che i soviet hanno ereditato.
Per Lenin e i suoi seguaci la pace separata rappresenta un evento doloroso e umiliante, ma necessario perché la fine alla guerra è stata la parola d’ordine con la quale i bolscevichi hanno ottenuto il consenso tra le masse popolari. Nel firmare il trattato Lenin intende anche dare un segnale rivoluzionario: contravvenendo alle regole della diplomazia internazionale, il leader bolscevico denuncia pubblicamente gli accordi segreti tra le potenze imperialiste, rendendo pubblica a tutti la trama di interessi egoistici che ha di fatto contribuito a preparare lo scoppio della Grande guerra.
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