CONTENUTO
Le origini di Tito Flavio Vespasiano
Vespasiano nasce in Sabina a Falacrinae (odierna Cittareale in provincia di Rieti) il 17 novembre del 9 d.C. da una famiglia di ordine equestre: il nonno Tito Flavio Petrone era stato centurione nell’esercito di Pompeo Magno ed era poi divenuto esattore delle tasse e argentarius (una sorta di banchiere), mestiere ereditato poi dal padre di Vespasiano, Tito Flavio Sabino, il quale si era avvicinato alla nobilitas romana grazie al matrimonio con la madre di Vespasiano, Vespasia Polla, sorella di un senatore e figlia di un militare di alto rango (già il loro primo figlio, Tito Flavio Sabino, era divenuto praefectus urbi).
Dopo aver osteggiato la carriera politica per alcuni anni inizia a scalare le cariche del cursus honorum divenendo, grazie alla parentela della madre, tribuno laticlavio tra il 30 e il 33, poi questore a Creta nel 34, in seguito edile nel 38 e infine pretore nel 40.
In questi anni sposa Flavia Domitilla Maggiore da cui ha i due figli, Tito e Domiziano, entrambi futuri imperatori; la moglie e la figlia Flavia muoiono, però, mentre è in carica come edile.
Vespasiano prosegue poi la carriera militare distinguendosi come comandante durante la campagna per la conquista della Britannia condotta da Aulo Plauzio durante il regno di Claudio e nel 51 diventa console suffetto. Infine, prima di essere inviato da Nerone nel 66 a sedare la rivolta giudaica, è governatore dell’Africa proconsolare.
Durante la guerra giudaica e in particolare nel 67 si svolge l’assedio di Iotapata le cui truppe giudaiche asserragliate all’interno erano al comando di Giuseppe che, salvatosi dal suicidio collettivo messo in atto da soldati e abitanti della città per non cadere in mani romane (peraltro con uno stratagemma complesso oggi noto in ambito matematico come Problema di Giuseppe), sarebbe stato liberato proprio da Vespasiano dopo avergli predetto la sua futura nomina ad imperatore.
L’uomo diviene quindi Flavio Giuseppe e sarà un importante storico di cui peraltro si conserva quasi l’intero corpus di opere tra cui Guerra giudaica, la principale fonte scritta su questo conflitto, di cui di seguito riportiamo un passaggio in cui l’autore descrive meravigliato la potenza dell’esercito romano:
“Riguardo alla loro organizzazione militare, i romani hanno questo grande impero come premio del loro valore, non come dono della fortuna. Non è infatti la guerra che li inizia alle armi e neppure solo nel momento dei bisogno che essi la conducono […], al contrario vivono quasi fossero nati con le armi in mano, poiché non interrompono mai l’addestramento, né stanno ad attendere di essere attaccati. Le loro manovre si svolgono con un impegno pari ad un vero combattimento, tanto che ogni giorno tutti i soldati si esercitano con il massimo dell’ardore, come se fossero in guerra costantemente. Per questi motivi essi affrontano le battaglie con la massima calma; nessun panico li fa uscire dai ranghi, nessuna paura li vince, nessuna fatica li affligge, portandoli così, sempre, ad una vittoria sicura contro i nemici […]. Non si sbaglierebbe chi chiamasse le loro manovre, battaglie senza spargimento di sangue e le loro battaglie esercitazioni sanguinarie.” (Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, III)
Vespasiano: l’anno dei quattro imperatori
Alla morte dell’imperatore Nerone nel 68 d.C. si apre un periodo di guerre civili di circa un anno, noto come “Anno dei Quattro Imperatori”. Il primo a succedergli è Servio Sulpicio Galba, un anziano e austero senatore, che sale al potere l’8 giugno ma viene ben presto assassinato dagli stessi pretoriani, che ne avevano favorito l’elezione insieme al senato, poiché si rifiuta di pagare ad essi il donativo promesso.
Al suo posto il 15 gennaio viene posto Otone il quale riprende una politica più favorevole al ceto equestre, rendendosi presto inviso ai senatori. Al contempo le legioni stanziate sul limes germanico acclamano il generale Vitellio che scende in Italia e sconfigge Otone a Bedriaco, vicino Cremona; quest’ultimo si suicida subito dopo la battaglia e il 17 aprile Vitellio prende il suo posto.
Sui momenti successivi alla fine della battaglia di Bedriaco abbiamo un celebre passo di Svetonio, con cui l’autore intende denigrare Vitellio, dipingendolo come un personaggio dall’animo spregevole:
“Quando visitò i campi dove si era combattuto, mentre non pochi inorridivano al lezzo dei cadaveri in decomposizione, egli ebbe l’ardire di rincuorarli con questa battuta spregevole: «Ha sempre un buonissimo odore il nemico ucciso, meglio ancora se è un concittadino». Però, per l’orribile fetore, bevve davanti a tutti una gran sorsata di vino, e vino fece distribuire agli astanti.” (Svetonio, Vite dei Cesari, Vitellio 10)
Già il 1 luglio però le legioni orientali e quelle d’Egitto acclamano imperatore Tito Flavio Vespasiano, in quel momento stanziato ad Alessandria, dove sta reprimendo la rivolta giudaica nel corso di quella che sarà ricordata poi come Prima Guerra Giudaica, iniziata nel 66 d.C. e arrivata quasi alle battute finali (resta infatti solo la conquista di Gerusalemme per porvi fine); Vespasiano decide di lasciare al figlio Tito la conclusione della guerra e di marciare contro Vitellio mentre anche le legioni danubiane, precedentemente schierate con Otone, passano dalla sua parte.
Lo scontro decisivo si ha, ironia della sorte, nuovamente a Bedriaco dove il fidato comandante di Vespasiano Antonio Primo, che in seguito sarà anche nominato console, sconfigge le truppe avversarie. A Roma Vitellio viene abbandonato da tutti i suoi sostenitori e barbaramente trucidato:
“Avevano già fatto irruzione i primi drappelli dell’esercito nemico e, non trovando nessun ostacolo sul proprio cammino, frugavano – come avviene – dappertutto. Lo trascinarono fuori dal suo nascondiglio e, senza riconoscerlo, gli domandarono chi fosse e se sapesse dov’era Vitellio. Tentò di ingannarli con una menzogna; ma poi, vistosi scoperto, non la smetteva più di pregarli perché lo prendessero in custodia, e magari in prigione, con la scusa che doveva fare certe rivelazioni e che ne andava della vita stessa di Vespasiano. Alla fine, con le mani legate dietro la schiena e un laccio passato attorno al collo, seminudo, con la veste a brandelli, fu trascinato verso il foro, fatto segno, per quanto è lunga la Via Sacra, a gesti e parole di ludibrio. Gli torcevano il capo tirandolo per i capelli, come si fa con i criminali, con la punta di una spada premuta sotto il mento perché mostrasse il volto senza abbassarlo. C’era chi gli gettava sterco e fango e chi gli gridava incendiario e crapulone. La plebaglia gli rinfacciava anche i difetti fisici: e in realtà aveva una statura spropositata, una faccia rubizza da avvinazzato, il ventre obeso, una gamba malconcia per via di una botta che si era presa una volta nell’urto con la quadriga guidata da Caligola, mentre lui gli faceva da aiutante. Fu finito presso le Gemonie, dopo esser stato scarnificato da mille piccoli tagli; e da lì con un uncino fu trascinato nel Tevere.” (Svetonio, Vite dei Cesari, Vitellio 17)
Siamo ormai nel dicembre del 69 quando Vespasiano entra a Roma e viene acclamato imperatore, rimarrà in carica fino al 79, anno della sua morte.
La Lex de Imperio vespasiani
A partire da Augusto la figura del princeps si era delineata non già come una figura prettamente monarchica, particolarmente invisa al popolo romano (esemplare era stata la parabola di Giulio Cesare), ma come una somma di onori, cariche e privilegi all’interno della cornice costituzionale repubblicana che ponevano l’imperatore ad un gradino superiore rispetto agli altri cittadini consegnandogli di fatto il controllo dello stato.
Inoltre, pur non essendo un potere ereditario e dinastico in stile monarchico, i suoi discendenti erano stati certamente legittimati nella loro successione dall’appartenenza a quella stessa gens Giulio-Claudia a cui apparteneva il pater patriae e restauratore dell’ordine Ottaviano Augusto.
Perciò quando alla morte di Nerone senza eredi scoppiano le guerre civili dalle quali infine emerge Vespasiano, si pone un problema di legittimità che l’imperatore risolve facendo promulgare la Lex De Imperio Vespasiani, primo caso in cui con un unico provvedimento il senato assegna tutti i poteri e i privilegi al princeps (e con cui inoltre il nuovo imperatore decide di retrodatare la sua elezione al 1 luglio, giorno in cui era stato acclamato dalle sue legioni, anziché a dicembre quando aveva sconfitto definitivamente Vitellio).
In passato l’iter normalmente prevedeva che il futuro imperatore cominciasse, già quando il suo predecessore era in vita, ad accumulare alcuni poteri e cariche (ad esempio il consolato) che poi gli venivano confermati di anno in anno dal senato e ai quali si aggiungevano dopo l’ascesa al trono quelli più importanti e caratteristici della figura imperatoriale (come l’imperium proconsulare maius per il controllo dell’esercito, il pontificato massimo, la tribunicia potestas per l’inviolabilità della sua persona).
Più di metà del testo di questo importante documento è pervenuto a noi:
- [che all’imperatore Cesare Vespasiano Augusto] sia lecito concludere trattati con chiunque voglia, così come fu consentito al divo Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto e a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico;
- che gli sia consentito di convocare e presiedere il senato, sottoporre o rimettere (al senato) il tema della consultazione, far votare i senatoconsulti tramite la presentazione di una proposta o senza discussione, così come fu consentito al divo Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto, Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico;
- che quando il senato sia convocato per sua volontà o autorità, ordine o mandato o comunque in sua presenza si mantenga e si conservi nello stesso modo la pienezza del diritto, come se il senato fosse stato convocato e si tenesse in base alla legge;
- che nei comizi elettorali si tenga conto, al di fuori dell’ordine dei candidati a una magistratura, a una potestà, imperium o a una curatela che egli abbia raccomandato al senato e al popolo romano oppure ai quali abbia dato o promesso la propria preferenza;
- che gli sia consentito di ampliare ed estendere i confini del pomerio, quando riterrà che sia utile per la repubblica, così come fu consentito a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico;
- che egli abbia il diritto e il potere di compiere e realizzare qualunque cosa riterrà utile alla repubblica e consono alla grandezza delle questioni divine, umane, pubbliche e private, così come fu per il divo Augusto, per Tiberio Giulio Cesare Augusto, per Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico;
- che l’imperatore Cesare Vespasiano sia svincolato da quelle leggi e da quei plebisciti dai quali fu scritto che non fossero vincolati il divo Augusto o Tiberio Giulio Cesare Augusto o Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico e che all’imperatore Cesare Vespasiano Augusto sia consentito compiere tutte quelle cose che fu necessario che facessero, in base a qualsiasi legge o proposta, il divo Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto o Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico;
- che tutto ciò che prima di questa legge sia stato compiuto, realizzato, decretato, ordinato dall’imperatore Cesare Vespasiano Augusto o da chiunque su suo ordine o mandato sia valido come se fosse stato compiuto per ordine del popolo o della plebe.
SANCTIO
Se qualcuno, in forza della presente legge, abbia compiuto o avrà compiuto atti contrari a leggi, proposte, plebisciti o senatoconsulti oppure se, in forza della presente legge, non avrà compiuto quello che dovrà compiere in base a una legge, proposta, plebiscito o senatoconsulto, non subisca danno, nessuno debba rendere conto al popolo per questi fatti, nessuno sia accusato o citato in giudizio per questi fatti, nessuno consenta che presso di sé si intenti un processo per questi fatti.
Non sappiamo (anche se diversi storici lo suppongono) se la promulgazione di questa legge diverrà in seguito una consuetudine per i successivi imperatori oppure se rimarrà un unicum, come del resto non conosciamo precisamente l’iter della sua approvazione (anche se si suppone che venga decretata dal senato tramite un senatoconsulto e poi approvata dai comizi per acclamazione).
Essa rimane comunque l’unico esempio esistente di un documento ufficiale che conferisce i poteri ad un imperatore ed è conservata ai Musei Capitolini di Roma.
Il principato di Vespasiano: amministrazione, economia e riforme
Con gli oppositori interni, in particolare i sostenitori di Vitellio, è tutto sommato magnanimo non dando corso a vendette ed epurazioni, risultando invece spietato (e questo durante tutto il suo regno) con chi ritiene possa mettere in pericolo la stabilità e la pace dell’Impero (esemplari i casi di Elvidio Prisco, di Eprio Marcello e Alieno Cecina che tentano di sobillare i pretoriani o di Giulio Sabino, uno dei capi della rivolta batava).
Nel corso del suo principato viene proclamato console per nove volte, che si sommano al consolato già ricoperto nel 51, inoltre viene nominato pontefice massimo nel 70; tardivo invece gli arriva il titolo onorifico di pater patriae (forse nel 77).
Inusuale invece rispetto ai suoi predecessori è la censura che ricopre nel 73 e che si inserisce nel contesto delle opere di riforma statale che vuole conseguire, innanzitutto censendo dopo diversi anni l’ordine senatorio e proseguendo la politica di apertura e cooptazione nel ceto aristocratico dei provinciali cominciata da Claudio oltre che inserendo uomini di fiducia ma anche abili e competenti e rinforzando la centralità dei cittadini di estrazione equestre nell’amministrazione e nella gestione dell’Impero.
A ciò si lega anche l’aspetto riportato da diverse fonti riguardo la sua generosità della quale abbiamo un chiaro esempio nelle donazioni verso i membri del ceto senatorio ed equestre che si erano impoveriti nel corso degli anni, finalizzate a permettere ad essi di mantenere uno stile di vita dignitoso e adeguato al loro rango.
Rimette poi in ordine i conti dello stato con un’amministrazione oculata e frutto di morigeratezza e austerità, qualità tipiche del suo ceto di appartenenza, in contrasto con l’ostentazione del lusso tipico della nobiltà romana (a riguardo le testimonianze degli storici riportano come fosse stato educato e cresciuto in giovane età dalla nonna la quale gli aveva trasmesso il rispetto e l’aderenza a determinati valori).
Inoltre è soprattutto grazie alle numerose tasse introdotte che riesce a rimettere in sesto le finanze pubbliche, tra esse rimane famosa è la tassa sull’urina, alla base dell’origine del noto proverbio pecunia non olet (cioè il denaro non puzza, frase con cui spiega al figlio Tito che i soldi, da qualunque fonte derivino, hanno sempre lo stesso valore) e anche del nome “vespasiano” per le latrine pubbliche.
Dopo un censimento e una revisione dei beni demaniali e delle terre di colonie e municipi, in un quadro di aumenti generalizzati ed elevati dei tributi dovuti dalle province, bisogna ricordare il fiscus iudaicus, imposto agli ebrei sconfitti durante la guerra giudaica, una tassa destinata al tempio di Giove Capitolino a Roma e che idealmente sostituisce l’imposta dovuta precedentemente dagli ebrei al Tempio di Gerusalemme, raso al suolo da Tito nel 70.
Infine adotta alcune misure anche nel campo del diritto innanzitutto per ridurre il numero delle liti e delle cause pendenti accumulatesi esponenzialmente negli anni e in particolar modo per dirimere le questioni sui beni sorte numerosamente durante le guerre civili del 68-69.
Tra gli altri decreti emanati ricordiamo i principali:
– si impone che venga resa schiava la donna che sposava un altrui schiavo
– si vieta agli usurai di riscuotere i crediti presso i figli dei debitori;
– si introducono pesanti sanzioni a favore del decoro pubblico contro chi sporcava le strade e le pubbliche vie.
Vespasiano: edilizia e opere pubbliche
Tra le opere pubbliche compiute da Vespasiano abbiamo innanzitutto il rifacimento del Campidoglio con la ristrutturazione del Tempio di Giove e il recupero e il rifacimento di centinaia di tavole andate perdute in un incendio del Tabularium.
Viene poi terminato il Tempio del Divo Claudio sul Celio e viene costruito il Tempio della Pace poi conosciuto in seguito come Foro della Pace, uno dei fori imperiali, per celebrare la fine della guerra giudaica.
Col bottino della guerra viene poi edificata la sua opera certamente più imponente e memorabile l’Anfiteatro Flavio (meglio noto come Colosseo) che verrà però inaugurato dal figlio Tito e che sorge sopra quello che precedentemente era il bacino del lago artificiale della Domus Aurea neroniana: esso infatti prende il nome con cui è rimasto celebre dalla colossale statua bronzea di Nerone posta nei pressi dell’edificio.
Le sue opere si estendono anche al di fuori di Roma, in particolare compie diversi lavori di potenziamento e manutenzione delle strade consolari in territorio italico e diverse città beneficiano di opere pubbliche durante il suo principato.
Infine diede impulso anche all’edilizia di stampo militare disponendo la costruzione o il rafforzamento di diversi castra posti lungo i confini imperiali.
La politica estera e le riforme dell’esercito di Vespasiano
Al termine della guerra giudaica, la Giudea viene lasciata al re Erode Agrippa II e alla sua morte viene annessa alla Siria divenendo una provincia (in cui vengono fondate anche due colonie di veterani). Inoltre sempre ad Oriente si giunge all’annessione della Commagene che fino ad allora era stata un regno cliente.
Nel 69, subito dopo la fine delle guerre civili, si ribellano i Batavi, una popolazione germanica stanziata nell’attuale Olanda, che fin dai tempi di Augusto forniva numerosi reparti ausiliari di cavalieri ai romani. Essi sono guidati da Giulio Civile, un batavo con cittadinanza romana ottenuta al termine del servizio militare, caduto in disgrazia sotto Nerone e solo parzialmente riabilitato da Galba e Vitellio; Civile sfrutta il risentimento dei batavi in seguito ai maltrattamenti subiti dai romani e approfitta del vuoto di potere per scatenare una rivolta a cui presto si aggiungono altre popolazioni ribelli della Germania Inferiore e della Gallia Belgica ma che ben presto, con la stabilizzazione della situazione in seguito all’ascesa di Vespasiano, viene sedata grazie all’intervento del generale Quinto Petilio Cereale posto al comando di 5 legioni (Civile viene comunque perdonato e si ritira a vita privata).
Un altro pericolo per i confini dell’Impero che viene affrontato e sconfitto sono i Sarmati, la cui invasione viene respinta da uno dei generali più fidati dell’imperatore, Licinio Muciano.
Infine inizia con lui la preparazione della campagna che porterà al completamento dell’annessione della Britannia, guidata da Gneo Giulio Agricola e che terminerà durante il regno del figlio Domiziano.
L’atteggiamento e il bagaglio di valori con cui risana l’amministrazione della cosa pubblica si denotano anche in ambito militare, in cui Vespasiano ripristina l’antica disciplina e il duro addestramento necessario soprattutto per le truppe stanziate su confini poco turbolenti e quindi inattive per lunghi periodi.
Da segnalare che alcuni storici riconducono a lui (ma non con certezza) la creazione della coorte miliaria cioè il raddoppiamento degli effettivi della prima coorte di una legione rispetto alle altre. Sicuramente ricostituisce il corpo dei pretoriani ponendovi a capo Tito e riportandone le coorti a 9 mentre vengono portate e 4 le coorti urbane.
Riorganizza poi le legioni congedando con onore quelle meritevoli e sopprimendo alcune di quelle schieratesi con Vitellio, portandone il numero totale da 25 a 30 con la creazione di tre nuove: la IV Flavia Felice, la XIV Flavia Finna e una terza di cui non siamo a conoscenza.
La morte dell’imperatore Vespasiano
Vespasiano è il primo a morire senza dubbio di morte naturale dai tempi di Augusto, il 23 giugno del 79 d.C. all’età di sessantanove anni, probabilmente per una malattia intestinale; lascia un impero economicamente solido e stabile dal punto di vista sia militare che giudiziario oltre che rinnovato nei suoi valori morali.
Dopo la sua morte viene immediatamente divinizzato dal figlio e successore Tito e gli viene dedicato il Tempio del Divo Vespasiano nel Foro Romano, di cui ancora oggi rimangono alcuni resti, il quale viene completato però solamente dal fratello di Tito e suo successore Domiziano probabilmente nell’87 d.C. (il tempio sarà infatti dedicato ad entrambi i predecessori divenendo così Tempio di Tito e Vespasiano).
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- Cerchiai, Mainardis, Manodori, Matera, Zaccaria, Storia di Roma Antica, Newton Compton Editori.
- Andrea Frediani, Le grandi battaglie di Roma antica, Newton Compton Editori, 2016.