CONTENUTO
La terza Repubblica Francese e il Regno d’Italia fra il 1870 e il 1882: dal divorzio alla guerra fredda. Dalla fine della questione Romana alle questioni Coloniali e Sociali
Il decennio successivo alla costituzione del Regno d’Italia e alla crescente azione espansiva della Francia imperiale di Napoleone III è stata già da Noi stigmatizzato come quello della fine dell’amore coniugale fra la nuova Italia e l’economia capitalista imperiale francese.
Infatti, i tre problemi divisivi appena emersi nei primi anni della nostra unità nazionale – i rapporti economici, la questione Renana coi primi dissapori fra Francia e Prussia, aggravati dall’alleanza del Regno d’Italia con la Prussia nella terza guerra d’indipendenza (1866) e la nota questione Romana, dove la protezione imperiale del Regno della Chiesa trova nella richiesta di Roma come capitale un limite insopportabile per il proseguo dei buoni rapporti con Parigi – troveranno fra il 1869 e il 1870 rapida soluzione. Cominciamo dalla situazione economica del nuovo Stato.
Com’è noto, l’Italia settentrionale è pressoché divisa in aree agricole fondate sulla figura mezzadrile nella Pianura Padana Centro-Settentrionale. Anzi, le aree Lombardo-Venete e il Piemonte sono interessate a forme di sviluppo agricolo industriale e commerciale avanzato. Aree che vivevono di investimenti e di spinte mercantili derivate dalle politiche libero-scambiste cui si affianca una politica mezzadrile pronta a essere sostituita da una politica espansiva commerciale già maturata in età illuminista nel periodo di governo Austriaco.
In sintesi, l’economia agraria industriale e commerciale liberista, pur con qualche aggiustamento, cresce progressivamente e rende l’economia centrosettentrionale più idonea al passo evolutivo capitalista del nord-Europa. La mezzadria tosco-emiliana e le industrie manifatturiere e di libero scambio approfittano dei prestiti a lungo periodo della Francia napoleonica e dunque la politica protezionista degli Stati preunitari da Firenze in su cade rapidamente, anche per effetto della nascita di nuove aziende agrarie lungo il Po, che assorbiscono e frazionano la grande proprietà fondiaria fra Piemonte e Emilia Romagna.
1869- 1870: le questioni di famiglia: Roma, Prussia e debito di guerra
Il sistema delle fattorie costituisce così il trampolino di lancio per lo sviluppo industriale di fine secolo lungo la Pianura Padana. Purtroppo, non fu così per il latifondo centromeridionale e per la Sicilia. Mentre la Destra storica agganciò il treno della crescita industriale francese attraverso il trattato economico con la Francia nel 1863, fonte di investimenti essenziali per il mutamento dell’economia padana; il Sud ex-borbonico e ex-papalino resta al palo del latifondo agrario trasferito quasi integralmente dalle mani di una ristretta classe nobiliare ad una pari alta borghesia accumulatrice di terre, ma povera di capitali monetari e votata all’economia agraria di mero consumo, priva di reali prospettive espansive di carattere industriale.
Due esempi plateali possono essere qui riportati. Mentre nel centro-nord lo sviluppo dell’industria tessile approfitta della vicinanza con i mercati europei privilegiando un sistema di trasporti ferroviarie e marittimi, favorito da Banche di Crediti Agrario e Popolare, per esempio nel campo alimentare come la Cirio (1875) e il Credito mobiliare italiano, (1863), anno di quel trattato con la Francia di cui si è detto; il Sud vede l’assenza di un un’industria siderurgica perché manca la domanda di strade ferrate fra il 1865 e il 1876.
Solo piccole imprese nel napoletano legate alla lavorazione della ghisa e del rottame vengono oggi ricordate, mentre la produzione dall’acciaio, necessario per le linee ferrate, è al sud notoriamente deficitaria. Il dato statistico di Rosario Romeo, che nel 1991 rileva il salto in avanti della fornitura ferroviaria rispetto all’industria tessile, è la spia della forza trainante del Nord rispetto alle stasi meridionale.
Nondimeno, la lettura del Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga – necessariamente complementare all’altro suo romanzo I Malavoglia – dimostra la carenza di una società ancora lontana dal regime infrastrutturale unitario idoneo a raggiungere gli standard europei di metà ‘800. Certamente l’iniziale sostegno economico francese favorisce– il primo sviluppo economico del Paese, bloccato da quella classe fondiaria arretrata che però non ha il Governo e che solo dopo il 1873 lo raggiunge capovolgendo quell’iniziale balzo in avanti.
In realtà, la Destra storica, al Governo con il trio tosco-emiliano Ricasoli, Rattazzi e Minghetti, ma anche il Lanza, il Farini e il La Marmora fra il 1861 e il 1869, continuano a favorire la politica libero scambista del Cavour e a privilegiare le relazioni economiche con il Belgio e coi distretti minerari della Francia, attraverso il rapporto di collegamento transalpino verso il Sud Est (si pensi alla galleria del Fréjus, il primo grande traforo alpino del 1871), nonché lo sviluppo del porto di Genova e della costa ligure verso Marsiglia e il Nord Europa, voluto dal Cavour per incrementare i rapporti con Lione.
E tuttavia le predette criticità di integrazione economica e sociale col centro-sud, rendono via via più impervie le direttive cavouriane di libero Mercato in libero Stato perseguite dalla Destra Storica. Il moderato interventismo economico nel meridione, anche per limitare la sedizione delle provincie meridionali (si ricordi la rivolta del sette e mezzo a Palermo del 16 settembre del 1866), nonché i moti contadini in Emilia, guidati dall’anarchico Bakunin, rivendicativi di aumenti salariali e per il riconoscimento delle associazioni bracciantili (1868); rendono la nazione molto debole politicamente.
Senza contare il vasto fenomeno del Brigantaggio (1860-1870), forma di protesta sociale che esprime non solo nostalgie borboniche, ma anche il dislivello socio-culturale delle due aree del Paese. Interventismo statale che si pone accanto al libero scambio e alla convertibilità monetaria (cioè di unica moneta circolante), con aspettative che fanno da contrasto con l’istanza riunificatoria risorgimentale di acquisire Roma e Venezia. Insomma, da una parte un considerevole debito estero, in primo luogo con la Francia imperiale, peraltro scossa da un’ondata socialista voluta dalla 1° internazionale che esige nuovi diritti sociali, nonché aperture alla libertà di stampa e di riunione, mentre prosperano gruppi anarchici insofferenti e rivendicativi delle vecchie istituzioni repubblicane.
Così scricchiolano i rapporti di debito-credito fra i due Paesi mentre ritorna lo spettro prussiano sul Reno, rinvigorito dalla improvvisa alleanza militare fra il Regno d’Italia e quello Prussiano contro l’Austria-Ungheria. L’uno rivolto ad ottenere il Veneto, stornando l’attenzione della Sinistra risorgimentale su Roma, nonché per distrarre l’attenzione del mercato finanziario interno privo di prestiti internazionali, ma sovraccaricato di debiti per la edificazione dello Stato amministrativo unitario.
L’altra perché ancora proiettata a mantenere un’idea di grandezza nel panorama europeo, malgrado soffiasse un vento critico da parte della piccola borghesia locale ora meno propensa alla volontà espansiva oltre il Reno, ormai divenuto economicamente terreno agognato dall’astro nascente prussiano. La guerra con l’Austria-Ungheria, se ci fa guadagnare Venezia e rinforzare il confine orientale, pur con la mediazione di un Napoleone III non più così disposto benevolmente come nel 1859; produce però la necessità della inconvertibilità monetaria e la riduzione del contante circolante.
La conseguente inflazione e l’aumento delle imposte, affamano il Meridione e fanno parlare le Opposizioni di economia fino all’osso, pretesa e ottenuta dal Governo sulla fine del 1862 e poi continuata per un decennio. Il principio di pareggio del Bilancio, la stretta fiscale e l’aumento dei tassi di interesse per limitare l’inflazione, fa crescere l’esportazione, all’epoca debolissima; ma fa decrescere l’importazione. La libera concorrenza quindi cade nel mercato interno e aumentano così i monopoli delle imprese del nord avvantaggiate dalla politica dei trasporti che si è detto.
Del resto, la politica repressiva militare a sud favorirà l’emigrazione interna e soprattutto esterna principalmente verso la Francia. Le classi subalterne agrarie, strapazzate dalla tassa sul macinato, decisa dal Sella nel 1868, colpisce fortemente i consumi popolari e le proteste continuano a imperversare nel Paese. Traccia notevole è l’epopea del Mulino del Po di Riccardo Bacchelli del 1938 e del Diavolo a Pontelungo del 1927, due romanzi storici che rievocano il mondo emiliano dell’800 fra vita contadina e universo anarchico, sapientemente intrecciate in un duplice affresco della crisi realista della letteratura post-unitaria abilmente sostenuta dalla propaganda nazionalista fascista.
In questi primi anni di unità del Paese, dove le simpatie romantiche per la sorella latina vanno scemando in una parallela escalation di diffidenza ed intolleranza, scoppia le definitiva rottura causata dalla Presa di Roma del 20 settembre 1870, l’ultimo episodio risorgimentale che porterà alla annessione dallo Stato pontificio al Regno d’Italia. Come mai ciò se regna ancora Napoleone III, legato politicamente alla Chiesa conservatrice di Pio IX e difensore del dogma di infallibilità del Papa promossa dal Concilio Vaticano I qualche mese prima?
Perché alle elezioni il partito governativo Monarchico vince di stretta misura sui Repubblicani. Perché nelle campagne avanza l’ideologia socialista che conquista parte del bracciantato, mentre Napoleone apre al parlamentarismo all’inglese e dunque le assemblee legislative ottengono di compartecipare al Governo, eleggendo alcuni ministri responsabili davanti alle camere. Ma l’imperatore conserva un diritto di veto concorrente e assoluto, riforma costituzionale che anticipa la coabitazione attuale della IV Repubblica vigente fra Capo del Governo e Presidenza della Repubblica.
Sistema che esaspera il conflitto fra monarchici e repubblicani e che porterà l’8 maggio del 1870 alla elezione del democratico Émile Ollivier che appare un formidabile avversario di Napoleone. Il quale ora decide di giocare la carta imperialista e militarista. Il nemico di turno resta la Prussia, che minaccia le ricche province renane dell’Alsazia e della Lorena. Il pretesto di guerra è la successione al trono di Spagna. Notorio è il sentimento di ingabbiamento della Francia fra un impero tedesco a Ovest e un regno di Spagna ad Est, specie se su quel trono capiti un erede dei prussiani Hohenzollern, nel caso il Principe Leopoldo.
Bismarck insiste, le Corti spagnoli indugiano, Napoleone e il sodale generalissimo Mac-Mahon dichiarano la guerra alla Prussia. Ma Bismarck e von Moltke stupiscono il mondo, aggirando e battendo le truppe francesi a Sedan il 1°settembre del 1870. Napoleone si arrende il 2 ed è fatto prigioniero. Il 4 settembre il socialista Gambetta proclama la Repubblica, Parigi è sotto assedio prussiano e il nuovo Governo richiama il contingente francese a Roma, lasciando mano libera il 20 settembre alle forze italiane che appunto sfondano Porta Pia.
Il Papa si rinchiude in Vaticano e lancia la scomunica al Regno d’Italia perché responsabile della caduta del Potere Temporale. Sgonfiatosi così la Questione Romana, divenuta per l’Italia un fatto interno; ottenuto diplomaticamente il consenso di Bismarck all’occupazione di Roma e formatasi la prospettiva di un nuovo equilibrio europeo, con al centro politico ed economico la Prussia – è la futura Germania imperiale preconizzata dallo Bismarck – e un’Austria Ungheria laica e proiettata ad Est a contenere la espansione panslavista Russa; rimane però una Francia ancora imperialista a sud in polemica con l’Italia per il dominio del Mediterraneo e in polemica coloniale con l’Inghilterra per le rotte africane verso l’India.
Intanto, il Governo Lanza – tollerato dall’Inghilterra per aver concesso alle sue navi la clausola della Nazione più favorita nelle aree portuali – occupa e confisca i beni ecclesiastici per effetto delle leggi eversive del 1866, con le quali è negato il riconoscimento e la capacità patrimoniale a tutti gli ordini religiosi che comportano vita comune di natura ecclesiastica.
Effetto dirompente nelle città meridionali e a Roma, dove in tutti i palazzi papalini si installano i Ministeri con grande risparmio per lo Stato. Tanto che il Ministro delle Finanze del Governo – guidato dal generale Menabrea – l’italofrancese Cambray-Digny, può dichiarare nel Bilancio dello Stato del 1867 perfino l’alienazione di circa 7000 lotti ecclesiastici per un incasso di 57 milioni di lire, un’entrata salutare per coprire il notevole debito dello Stato contratto proprio con la Francia per le spese militari del 1859. Nel 1871 cessa formalmente la questione Romana con la Francia con l’entrata di Vittorio Emanuele II a Roma (2 Luglio). Ma la evidente separazione di interessi diventerà divorzio e poi guerra fredda con la questione coloniale.

1871-1882: Tunisia e Colonialismo nel Mediterraneo. La Conferenza di Berlino nel 1878
Inizia così il decennio di guerra fredda italo-francese. Ora si contempla un periodo politico molto diverso fra le due Nazioni: mentre il Parlamento italiano rinnova la legge delle Guarentigie che disciplina i rapporti fra Governo italiano e Papato, cioè il mantenimento della dignità e delle prerogative Sovrane del Papa, riconosciute altresì la Sua Persona come sacra e inviolabile e garantito il libero esercizio dell’Autorità Spirituale della SS. Sede.
Pio IX rifiuta però l’accordo e si dichiara prigioniero in Vaticano. Parigi, dopo mesi di guerra, chiede l’armistizio ai Prussiani e poi il nuovo Presidente della Repubblica Adolphe Thiers cede l’Alsazia e la Lorena alla Germania imperiale, divenuta tale proprio a Versailles il 18 di Gennaio, con a capo l’Imperatore Guglielmo I già Re di Prussia. Bismarck colà festeggerà il suo apogeo politico, non solo sconfiggendo la tradizionale rivale, ma anche unificando la Germania del Nord e gli stati meridionali del Sud, adottando un modello istituzionale Confederale a guida Prussiana.
Sarà il 1871 un anno terribile per la Francia della terza Repubblica. Parigi subisce un doppio assedio, prima Prussiano e poi delle truppe regolari francesi repubblicane contro la Comune di Parigi, un comitato cittadino in armi, rivoluzionario, marxista e anarchico a democrazia diretta (26 Marzo-21 maggio), preso ad esempio dai Bolscevichi russi nel 1917.
Esperienza soffocata nel sangue dalle forze regolari: Parigi e la Francia passeranno poi diversi anni di crisi economica e sociale, dove il pagamento dei debiti di guerra all’odiato prussiano e il mancato appoggio dell’Italia non verrà dimenticato, malgrado la vittoria di Garibaldi a Digione il 21 gennaio del 1871 dove riuscì a sconfiggere i Prussiani. Il revanscismo francese contro i volontari italiani e il nostro Generale è testimoniato dal livore del generale francese Foch che lo accusa di non aver attaccato alla spalle l’armata prussiana e di essersi attestato nella fortezza di Digione, una presunta difesa che ha prodotto la disfatta dell’armata dell’est dopo la sconfitta di Sedan.
Sia come sia, sicuramente il velenoso pensiero di Foch del 1903 – dopo tanti anni dagli eventi – testimonia il sentimento aspro diffusosi nella borghesia cattolica e conservatrice che per decenni accomuna i tedeschi come invasori e gli italiani come indisciplinati e refrattari al dovere militare, oltreché traditori. Posizione critica che un discorso di Pio IX nel 1874 aggrava: in occasione delle elezioni politiche di quell’anno, dall’alto della sua Cattedra ribadisce l’esplicito divieto di partecipazione dei cattolici alle urne (il c.d. non expedit, che favorisce l’astensionismo delle masse contadine delle provincie) e che invece sfocia in Germania nella costante creazione di un Zentrum cattolico, oppositore moderato alla classe dirigente prussiana protestante e che spingerà nel 1871 il Bismarck a indire una campagna anticattolica (Kulturkampf) rivolta a contenere le autonomie locali e specialmente la Baviera.
Intanto, inizia una processo più spiccatamente colonialista inglese verso il Sudafrica, dove nell’ottobre del 1871 arriva una spedizione militare anglosassone che annette la regione diamantifera. E’ il primo segnale di una guerra calda coloniale degli anni ’80, prontamente sedata dal Bismarck al Congresso di Berlino del 1884 sugli affari africani. Dopo un momento di breve appianamento di contrasti con la Francia della 3° repubblica, dovuto all’apertura della Galleria del Fréjus, che unisce le reti ferroviarie italiane e francesi e che metterà fine alla questione del debito italiano verso la Francia, creditrice di finanziamenti non ancora spenti; una nuova polemica rimette però in gioco la convivenza familiare fra la coppia latina d’occidente.

Successivamente al rappacificamento commerciale, accompagnato da una moderata riduzione della tariffa doganale all’importazione collegata alla nuova apertura ferroviaria del traffico alpino; scoppia all’improvviso una profonda rivalità italo-francese per il controllo delle finanze tunisine nel marzo del 1880. La brevità di spazio concessoci, ci limita a ricordare che la Tunisia dall’inizio dell’800 è stata patria di tanti esuli politici italiani; fra cui quell’odiato Garibaldi, il massone laico e fifone di Digione ora ora segnalato dalle sdegnose parole del Foch.
Benché dagli anni ’60 dell’800 la comunità europea a Tunisi più numerosa è quella italiana; nel 1881 un colpo di mano francese ottiene il protettorato della città e sul fiorente porto commerciale. E’ un tremendo voltafaccia della Francia Repubblicana per l’Italia che ha ottenuto nel 1868 il regime speciale della Nazione più favorita in dazi e protezioni commerciali; vale a dire quella di Porto Franco da tributi e primo partner commerciale nei traffici marittimi, dalla pesca alle imprese di pasta, metallurgiche e manifatturiere. Ma andiamo con ordine.
Come si è premesso, il Bey di Tunisi e il Regno d’Italia hanno sottoscritto un accordo di sostanziale protezione dell’Italia sul Paese (1868), già di fatto in posizione commerciale e giudiziaria privilegiata con gli Stati preunitari, non solo in materia di navigazione e pesca, ma anche di dazi doganali che non possono essere modificati senza consultare preventivamente il Governo italiano. Fautore personale di tale successo espansionista nel Mediterraneo occidentale fu Emilio Visconti-Venosta, un discepolo di Cavour di formazione mazziniana, fedele prosecutore della politica filofrancese imperiale fin dal 1858.
Sappiamo che dopo il 1870 il corso della politica internazionale ha un cambio di passo, sia per la questione Romana, risolta in modo non diplomatico, sia perché la Prussia raccoglie nella sinistra storica dopo il 1866 un certo sostegno, tanto da rimanere neutrale nella guerra del 1870. L’Austria ottiene intanto dalla Turchia la Bosnia Erzegovina e anche la Gran Bretagna ha Cipro. La Germania di Bismarck resta però il cortese arbitro dell’Europa (Conferenza di Berlino del 1878).
Ma il Thier, primo Presidente della 3° Repubblica in posizione più fredda verso il nuovo Regno, non fa mistero di critiche. E fin dal 1871 lascia Civitavecchia una nave da guerra, ultimo retaggio della alleanza papalina. Visconti-Venosta, capo della politica estera nell’ultimo governo della Destra a guida del debole Minghetti, freme per un’effettiva alleanza dalla Francia contro il nuovo impero germanico. Ma il capo della Sinistra, Agostino Depretis, guarda a Bismarck, per di più vincitore di Sedan.
Vi è un sussulto reattivo di Visconti-Venosta quando riesce a convincere della fedeltà italiana in merito agli accordi sulla Tunisia del 1868 e dunque per un attimo il ritiro della nave da guerra da Civitavecchia appare una vittoria dell’Italia. Divenuto Capo del Governo il Depretis nel 1873, sembra tutto confermato e Tunisi resta nel protettorato italiano, anche se il quadro internazionale muta per la situazione balcanica, ora però una polveriera perché la Russia torna ad intervenire contro la Turchia per strapparle la Bosnia-Erzegovina e riaprire il caso Crimea del 1853, una aggressione che tanto somiglia a quella attuale all’Ucraina per il Donbass (all’epoca la c.d. Bessarabia).
Di fronte alla neutralità della Francia, dell’Austria e della Gran Bretagna, ma con l’impero Germanico in trepidazione, Visconti-Venosta suggerisce a Depretis di mediare, ma la tendenza della Sinistra – legata con Crispi e Bismarck- non lo consente e dunque il nobile lombardo abbandona il Ministero. Al fine di evitare un conflitto europeo, ora è Bismarck a mediare. A Berlino, nel 1878 ancora una volta resta il mediatore perfetto: il suo metodo è quello delle Compensazioni, cioè dividere la torta e dare a ciascuno il suo.
E fu così: Serbia, Romania e Montenegro ottengono una limitata autonomia, dove però il controllo Turco è perduto da un monopolio Austro-Russo non chiaro, che porterà alla Prima Guerra Mondiale e la sola Bulgaria resta sotto il controllo della Russia. L’Austria ottiene la Bosnia Erzegovina e la Gran Bretagna acquista Cipro. La Germania di Bismarck diviene senza dubbio arbitra dell’Europa. E l’Italia e la Francia? Cairoli e Corti, i rappresentanti italiani a Berlino, anticipano il futuro equivoco diplomatico del 1915, quando a Londra pattuiscono con gli inglesi l’entrata in guerra dell’Italia a fianco degli anglofrancesi.
Come a Berlino nel 1878 e a Londra appunto, l’assenza della Francia nella divisione della torta, peserà anche nel 1915. Bismarck – che vuole spezzare a suo vantaggio il debole asse Roma/Parigi – all’Italia fa promesse generiche e alla Francia fa capire di avere in pugno la Tunisia. Il Corti dichiara in Parlamento che la politica estera italiana esce pulita dal mercato delle compensazioni e che la Tunisia è pronta a diventare la prima colonia.
E mentre l’Austria-Ungheria rinforza le frontiere temendo rigurgiti di tensione per Trento e Trieste; il Console italiano a Tunisi Macciò, temendo una truffa a favore della Francia, sviluppa una serie di ritorsioni contro la comunità francese e il governo di Jules Ferry, dopo un paio di anni di sopportazioni e di guerriglie locali, nell’aprile del 1882 ordina alle truppe francesi in Algeria di occupare Tunisi. E’ lo schiaffo di Tunisi. Cairoli è caduto nella trappola di Bismarck, che già sorride per la prossima alleanza antifrancese.
La reazione nazionalista italiana contro il vecchio alleato produce il passaggio di un folto gruppo della Destra storica alla sinistra di Depretis che ritorna alla guida del Governo. Ora il Re visita finalmente Vienna e poi poco dopo Berlino. Nel Maggio del 1882 nasce la Triplice Alleanza, col triplice reciproco aiuto ad una Potenza ove venga aggredita e alla benevole neutralità ove una di esse aggredisca un Paese Terzo.
Quanto a Roma, Vienna e Berlino dichiarano che la posizione del Papa è ormai un affare interno. La Francia ottiene un’ulteriore fascia nel Magreb accanto all’Algeria e la Gran Bretagna consegue la compresenza di Parigi nel Canale di Sicilia a tutela della libera circolazione verso Malta. Ma la questione coloniale ritornerà tra poco (1884) a separare sempre di più le sorelle latine.
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- Per la storia d’Italia nei primi anni di unità, vd. ALBERTO DE BERNARDI e LUIGI GANAPINI, Storia d’Italia 1860-1995, Bruno Mondadori, 1996, specialmente dal lato economico, pagg. 74 e ss. per gli anni 1861-1877, in merito anche alle indagini di Rosario Romeo.
- Sulla classe liberale di governo fra Destra e Sinistra storica, vd. GIOVANNI SPADOLINI, Gli uomini che fecero l’Italia, Longanesi, 1993, nonché Storia dello Stato Italiano dall’Unità ad oggi, a cura di RAFFAELE ROMANELLI, ed. progetti Donzelli, Roma, 1995.
- Sulla storia della Tunisia fra Italia e Francia, vd. Africa: la storia ritrovata. Dalle prime forme politiche agli stati nazionali, a cura di GIAMPAOLO CALCHI NOVATI e PIERLUIGI VALSECCHI, ed. Carocci, Roma, 2016.