CONTENUTO
Dice George Mosse:
‹‹Il nazionalismo riscosse il massimo successo nel creare una nuova politica in parte perché si basava sull’emozione; ma essa non creava una “folla in estasi” per il semplice motivo che erano assenti la ragione e la logica. Piuttosto, i movimenti nazionalisti rivolgevano tutta la loro attenzione a disciplinare le masse per evitare un caos che avrebbe distrutto la creazione di un significativo movimento di massa.››[i]
Difficile aggiungere altro a questa precisa osservazione dello storico tedesco, naturalizzato statunitense. A ben pensare, e purtroppo questa è una teoria applicabile ad ogni nazionalismo e ad ogni dittatura da esso sorta, non vi potrebbe essere una partecipazione di massa così ingente se alla base non si considerasse un potente fattore emozionale. Ed è altresì vero che un potente fattore emozionale cancella ogni elemento di logica. Ma in questa frase vi è un’altra verità: se è vero che l’emozione lava via la ragione, è pur vero che l’elemento della disciplina è imprescindibile.
L’emozione che così tanto conta, deve necessariamente essere tenuta sotto controllo; la massa deve essere disciplinata – appunto -, e quindi piegata e resa docile. La debolezza della massa, legata a doppia mandata con la sua parte emozionale, è quindi l’elemento cardine per poterla tenere sotto controllo. Non solo. Dalle parole di Mosse evinciamo che un popolo non è docile solo ed esclusivamente perché piegato all’ideologia del padrone: in questo caso il popolo è docile a monte perché, nella Germania del 1918, le conseguenze della disfatta in guerra sono pesanti e molto difficili da digerire.
Il Paese ha perso. Le riparazioni di guerra sono pesantissime. La smilitarizzazione è altrettanto pesante. Le amputazioni territoriali anche. Il popolo ha fame e soprattutto, si sente umiliato. Questo perché al tavolo di Versailles, i vinti non hanno trovato posto in alcun negoziato e la Repubblica di Weimar – utopia di uno stato liberal-democratico – risulta essere più una forma di governo “di ripiego”, che una libera scelta dei cittadini.
La stessa non applicazione al caso tedesco del principio di autodeterminazione dei popoli – così come presentata dal presidente Woodrow Wilson nei Trattati di Versailles – fa sì che milioni di cittadini di lingua e cultura tedesca sparsi per l’Europa orientale (ma anche, per esempio in Sudtirolo) non siano integrati alla Repubblica di Weimar ma restino, appunto, disseminati in giro per l’Europa dell’est.
Quindi, la situazione in Germania al termine della prima guerra mondiale è di fatto esplosiva, tanto a livello di rapporti internazionali – proprio a causa dell’esclusione dai negoziati – quanto a livello interno. Weimar nasce in risposta alla sconfitta del secondo Reich e dei suoi piani di Weltpolitik (la politica di potenza che aveva caratterizzato l’impero guglielmino) e non corrisponde alle richieste del popolo, animato da sempre maggiori sentimenti di revanscismo.
Soprattutto, vista con gli occhi dei tedeschi, appare figlia della volontà di umiliare la Germania e metterla ai margini dell’Europa così come veniva marginalizzata la Russia, seppur la stessa Germania – tramite i Trattati di Brest-Litovsk – le avesse strappato buona parte di ferrovie, industrie e popolazione, cementando di fatto il suo potere nei confronti dell’ex alleato. A questa delicata situazione politica si somma un altrettanto delicata situazione economica, che potremmo suddividere in due momenti cardine: nel 1923, a seguito del pagamento delle pesanti riparazioni di guerra, e nel 1929, a seguito del crollo di Wall Street. L’inflazione rende il denaro privo di valore, costringendo i tedeschi ad una austerity estremamente pesante, mentre sale la disoccupazione e il popolo fatica a sfamarsi.
Abbiamo perciò tre direttrici molto delicate: questione politica, questione economica, questione sociale e territoriale e un governo che non riesce a risolvere tali problematiche[ii]. In questo frangente così particolare la Germania viene anche annessa alla Società delle Nazioni, ma la Società delle Nazioni non ha mai un ruolo né chiaro, né decisivo nello scacchiere internazionale. Il terreno è evidentemente fertile perché prenda piede un determinato tipo di politica (peraltro in mano ad un uomo privo di un qualsivoglia spirito di autocritica)[iii], e un determinato tipo di reazione da parte del popolo.
Osserviamo perciò ora da vicino, come già annunciato, alcuni dei termini chiave della politica nazionalsocialista, di modo da chiarirci le idee su come questa si diffuse ed ebbe ahimè, il successo e le conseguenze che tutti disgraziatamente conosciamo.
LEBENSRAUM – Spazio vitale
Come si è detto in precedenza, la mancata applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, fa sì che ad un certo punto molti tedeschi non siano integrati nella Repubblica di Weimar. Questo porta le frange più nazionaliste del Paese ad un desiderio sempre maggiore di creare uno Stato per tutti i tedeschi. Sì, ma come? Ridisegnando i confini, creando un nuovo spazio vitale. Una prima soluzione potrebbe essere quella di recuperare i territori amputati tramite il Trattato di Versailles. Tuttavia pare non essere sufficiente. L’Austria stessa, a maggioranza tedesca, è indipendente proprio in forza di quanto stabilito dai trattati e coloro che speravano nella sua annessione alla Germania devono subire anche questo affronto.
Risulta dunque evidente che quello del recupero sia solo il primo passo verso un’espansione territoriale molto più ampia che corregga il tiro dei Trattati di Versailles – cancellandone la vergogna – e che ridefinisca nuovi confini per tutti i cittadini tedeschi. Non a caso, durante le prime fasi della seconda guerra mondiale viene studiato il Generalplan Ost (piano generale per il recupero dell’est), progetto che – secondo i piani di Adolf Hitler – avrebbe dovuto annettere al Reich grandi territori dell’Europa orientale prevedendo lo sterminio di milioni di cittadini baltici e slavi e mettendo a disposizione le terre conquistate per i cittadini tedeschi.
Il recupero del proprio Lebensraum, ovvero dello spazio vitale sottratto ai tedeschi tramite i negoziati e la creazione di nuovo spazio dove tutti i cittadini di razza tedesca, nessuno escluso, possano finalmente ritrovarsi, diventa perciò una delle forze motrici della politica hitleriana. Tuttavia, sarebbe errato attribuire ad Adolf Hitler la paternità di questo termine. In realtà questa è da attribuirsi al geografo Friedrich Ratzel che l’aveva coniata con bel altro significato, ovvero a descrivere lo spazio vitale dentro il quale si sviluppa una determinata specie vivente. Questo ci dimostra come il significato di una parola possa essere sovvertito e ridisegnato per piegarsi alle esigenze della propria politica.
VOLKSGEMEINSCHAFT – Comunità di popolo
Possiamo osservare come i termini che sto proponendo in questo articolo siano fondamentalmente l’uno legato all’altro. La comunità di popolo, Volksgemeinschaft è un’idea che nasce proprio in relazione ad altri concetti fondamentali. Se è di spazio vitale che si è finora parlato, pare evidente che tale spazio serva perché qualcuno ci viva: i cittadini tedeschi finalmente riuniti. In che forma?
In quella, appunto, della Volksgemeinschaft. Non tanto da vedersi come uno stato nazionale, ma piuttosto come una comunità di persone di razza superiore – e di questo parleremo appunto dopo – e assolutamente paritaria in quanto a classi sociali. Queste ultime vengono di fatto se non cancellate, quanto meno messe sullo stesso piano, poiché come vedremo più avanti tale comunità deve necessariamente nascere, vivere e svilupparsi perseguendo l’allineamento della società e di coloro che la costituiscono.
Anche in questo caso, il termine non è da attribuirsi ad Hitler, che semplicemente lo prende in prestito, riadattandolo ai suoi scopi: di comunità di popolo si parla già infatti durante prima guerra mondiale, quando i cittadini tedeschi intendevano con questo termine una comunità di persone che – nel superamento delle gerarchie sociali – erano riunite sotto un unico ideale.
Ovviamente, il significato alla base rimane lo stesso. Nella visione nazista questo viene semmai arricchito dalla sfumatura razzista, che ne delinea fortemente i tratti (popolo puro unicamente ariano) e da quella egualitaria che tende a creare uniformità tra gli appartenenti alla stessa comunità. Questi hanno infatti gli stessi diritti e adempiono agli stessi doveri col medesimo senso di responsabilità.
GLEICHSHALTUNG – Livellamento
La costruzione di una comunità di popolo così intesa sottende ad una forma di governo che possa gestirla e ad uno stato con determinate caratteristiche. Anzitutto perché per creare tale comunità – secondo quella che era l’ideologia nazista – essa doveva essere necessariamente “allineata”. Con il termine Gleichschaltung, che per l’appunto significa allineamento o livellamento, si intende perciò la volontà di eliminare ogni forma di opposizione (anche attraverso mezzi repressivi) e appunto allineare i cittadini alla stessa ideologia e alle stesse abitudini, contraddistinguendosi per eguaglianza sociale ma con alcuna possibilità di opporsi.
Questa cosa avviene in maniera graduale e attraverso alcuni step: anzitutto creando uno stato che venga guidato da un unico partito. Hitler vince le elezioni, diventando cancelliere e l’incendio del Reichstag – a tal proposito – dà al suo governo un gradito assist per emanare un decreto denominato Reichstagsbrandverordnung (Decreto sull’incendio del Reichstag), col quale – dopo aver gettato la colpa dell’evento sui comunisti – si possano cancellare in un solo colpo diritti civili, giusto processo e libertà di parola. I militanti dei partiti di sinistra vengono internati e quello nazionalsocialista (NSDAP) rimane di fatto l’unico partito del Paese.
Non solo. La società stessa subisce un allineamento. La Hitlerjugend, gioventù hitleriana, indottrina ragazzi e ragazze fin dalla tenera età. Il mondo del lavoro, il mondo della cultura, la chiesa, gli apparati militari vengono capillarmente controllati dagli organi dello stato. Pare essere in atto una vera e propria “massificazione programmatica” che ‹‹rende omogeneo l’individuo alla sua razza e ai compiti che Hitler gli ha prescritto››[iv] e dove naturalmente prende piede anche una forte componente razzista e antisemita. L’origine di questo odio razziale è comunque molteplice e ha senz’altro due concause fondamentali che andremo ora ad analizzare.
DOLCHSTOßLEGENDE – Pugnalata alla schiena
Abbiamo parlato prima di quanto la Germania non si fosse sentita umiliata al termine della prima guerra mondiale. I partiti di destra della Repubblica di Weimar – tra cui appunto quello nazionalsocialista – usano tra i loro temi propagandistici proprio quello della presunta pugnalata alle spalle a voler significare che “nessun nemico aveva mai battuto la Germania” e che probabilmente non era neppure vero che i soldati al fronte fossero stati così stremati da portare valutare l’idea di un armistizio. Niente di tutto ciò. I cittadini erano fortemente convinti che il loro Paese avrebbe vinto, anche in maniera gloriosa, e invece ora il loro Paese ha perso la guerra e si ritrova ad essere pesantemente umiliato. Qualcuno, secondo la propaganda di destra, ha giocato sporco e ha marciato contro i propri connazionali.
Questi “criminali di novembre” sarebbero da identificarsi in alcune precise categorie di persone: i sostenitori della Repubblica di Weimar, i liberaldemocratici, i comunisti (soprattutto identificabili nella Lega di Spartaco, associazione socialista di stampo marxista) e per finire la cosiddetta “internazionale ebraica”, presunta rete di benestanti banchieri ebrei che avrebbe tratto enormi profitti dalla sconfitta in guerra della Germania, arricchendosi sempre maggiormente e voltando le spalle ai propri concittadini impegnati al fronte (secondo questa visione, i soldati tedeschi non avrebbero mai perso la guerra se fossero rimasti a combattere).
Ovviamente, la leggenda della pugnalata alla schiena serve anche, in qualche misura, ad aumentare l’autostima di coloro che avevano combattuto ed erano tornati a casa sconfitti: usare come capro espiatorio il fatto di aver ceduto al ricatto dei liberali di sinistra e dei ricchi uomini di affari ebrei, nasconde la vergogna di dovere ammettere che la sconfitta era invece arrivata per la totale impreparazione dell’esercito.
HERRENRASSE – Mito della razza
Alla motivazione di stampo politico si accompagna quella di stampo sociale, incentrata sulla purezza della razza ariana. Anche questa teoria non nasce dal nulla e anche in questo caso la paternità non è attribuibile ad Hitler. Gli studi sul razzismo scientifico di Joseph Arthur De Gobineau già in precedenza avevano teorizzato che le popolazioni nordiche fossero più pure e superiori a quelle meridionali poiché non soggette alle invasioni arabe e ottomane che ne avevano – in qualche modo – sporcato il sangue. Non è dunque difficile spiegarsi, alla luce di quanto detto finora, quanto sia stato facile per il partito nazionalsocialista gettare parte delle proprie fondamenta su queste particolari teorie.
Un Paese sconfitto e messo ai margini sommato a un popolo che ha nuovamente bisogno di un tetto comune sono motivazioni che già da sole basterebbero a spiegare il perché dell’odio razziale. Se a questo si aggiunge il fatto che molte persone vennero pesantemente indottrinate dal regime, ecco che il concetto diventa molto più limpido. Ci si spiega con molta più chiarezza anche il perché dei pesanti e inumani provvedimenti presi anzitutto contro la popolazione ebrea e successivamente contro tutte le altre popolazioni e minoranze che di questa politica furono vittime.
Ricordiamo per esempio le note leggi razziali che vietavano la cittadinanza e i matrimoni misti, ma potremmo anche ricordare lo sterminio di milioni di cittadini innocenti, colpevoli solo – secondo l’ideologia di partito – di aver portato il Paese all’umiliazione e di un occupare abusivamente una terra, considerata casa fino a poco prima.
Conclusione: sulla TÄTERFORSCHUNG e una nuova prospettiva di considerare i fatti.
In questo articolo non mi sono volutamente soffermata a fare una descrizione dei fatti storici. Di cosa sia il nazismo, di come sia nato e si sia sviluppato, di come sia asceso al potere e di cosa sia successo dopo, ne sono pieni i libri di storia. Basterebbe un buon testo e ci si potrebbe documentare molto di più e molto meglio di come potrei fare io qui ora.
L’articolo non vuole, allo stesso tempo, né giustificare né supportare l’abominio della politica nazista. Lo scopo è semplicemente quello di descrivere dei concetti e farlo nella maniera più semplice possibile perché siano alla portata di tutti e non solo del ricercatore di storia in senso stretto. Lo scopo di chi studia questa materia è di fatti quello di capire. Una prima comprensione dei fatti avviene, a mio giudizio, con una comprensione delle parole chiave e dei temi centrali di un determinato periodo storico.
A tal proposito, una valida conclusione mi pare possa essere quella di presentare un più recente sviluppo del dibattito storiografico, ovvero quello sulla Täterforschung, una ricerca a più ampio spettro sui perpetratori[v]. Anche in questo caso, come in quello dei termini chiave, spostare la propria lente dalla vittima al carnefice diventa una valida e importante fonte di ricerca per tutti coloro che si interessano di queste questioni: ci si stupirebbe infatti nello scoprire che dietro ai grandi nomi dei grandi dittatori e carnefici della storia, spesso vi sono molti più volti e molti più coinvolgimenti di quanti – anche provando – riusciremmo a immaginarci. Questo, se ben ci pensiamo, sarebbe di grande utilità per capire anche i fatti che stanno caratterizzando gli ultimi mesi della nostra storia globale.
[i] G. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, (Bologna, Il Mulino, 1975 [1974]) trad. di L. De Felice, p.13.[ii] L. Caracciolo, Da Weimar a Hitler, in “Storia Contemporanea, dal mondo europeo al mondo senza centro” (Firenze, Le Monnier Università, 2020), p. 445.
[iii] F. Bennardo, Il diavolo e l’artista, (Lucca, Tralerighe Libri, 2019), p.59.
[iv] L. Caracciolo, La Germania dalla dittatura alla guerra, in “Storia Contemporanea, dal mondo europeo al mondo senza centro” (Firenze, Le Monnier Università, 2020), p. 458.
[v] F. Bajohr, Neuere Täterforschung, in: https://docupedia.de/zg/Neuere_Taeterforschung
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- Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, Il Mulino, 2009.
- Francesco Bennardo, Il diavolo e l’artista. Le passioni artistiche dei giovani Mussolini, Stalin, Hitler, Lucca, Tralerighe Libri, 2019.
- Scaccia – A. Raviglione, Dittatori. Hitler e Mussolini tra passioni e potere, Lucca, Tralerighe Libri, 2018.