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Festa dei lavoratori, 1 maggio 1947: la strage di Portella della Ginestra

Il 1° maggio 1947 in località Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, la banda criminale di Salvatore Giuliano spara contro la folla riunita.

di Agostino Raso
26 Aprile 2020
TEMPO DI LETTURA: 3 MIN
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Portella della Ginestra

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CONTENUTO

  • La festa dei lavoratori
  • Provvedimenti legislativi
  • Portella della Ginestra, la strage
  • Mandanti ed esecutori

Il 1° maggio 1947 in località Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, la banda criminale di Salvatore Giuliano spara contro la folla riunita per celebrare la festa del lavoro provocando undici morti e numerosi feriti.

La festa dei lavoratori

Il 1° maggio 1947 circa duemila i lavoratori, della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, molti dei quali agricoltori, si riuniscono a Portella della Ginestra, una località montana del comune di Piana degli Albanesi, a pochi km da Palermo.

Vogliono manifestare contro il latifondismo a favore di una riforma agraria e dell’occupazione delle terre incolte e festeggiare la recente vittoria del Blocco del Popolo, l’alleanza tra i socialisti di Pietro Nenni e i comunisti di Palmiro Togliatti alle elezioni dell’assemblea regionale siciliana. Svoltesi il 20 aprile di quell’anno, la coalizione PSI – PCI conquista 29 rappresentanti su 90 (con il 32% circa dei voti) contro i 21 della DC (crollata al 20% circa).

La località è scelta perché alcuni decenni prima vi ha tenuto alcuni discorsi Nicola Barbato, una delle figure simbolo del socialismo siciliano. In quel periodo le condizioni di vita del popolo sono misere e, come poi raccontato da alcuni sopravvissuti alla strage, molti aderiscono alla manifestazione anche nella speranza di mangiare qualcosa.

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Provvedimenti legislativi

Nell’ottobre del 1944 l’occupazione delle terre incolte viene legalizzata dal Ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo. Con alcuni decreti si cerca di sopperire alla povertà diffusa e si permette l’occupazione dei terreni non utilizzati.

Si impone una diversa ripartizione dei raccolti che favorisce maggiormente gli agricoltori rispetto ai proprietari rispetto alle consuetudini fino ad allora vigenti in Sicilia. Tutto ciò viene visto come motivo di potenziale rivolgimento sociale che avrebbe alterato gli equilibri politici della regione gestiti anche dalla mafia.

Portella della Ginestra, la strage

La strage viene organizzata il giorno prima a seguito di una lettera ricevuta da Salvatore Giuliano e da lui subito bruciata. Questi, insieme ai suoi uomini, si recano sul promontorio dal quale si domina la vallata. Durante il tragitto sequestrano due ignari cacciatori che incrociano per caso per evitare che raccontino qualcosa.

Verso le 10 del mattino, un calzolaio di San Giuseppe Iato dà inizio al comizio in sostituzione di Girolamo Li Causi, un deputato del Pci. Improvvisamente dal monte Pelavet partono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si protraggono per circa un quarto d’ora.

Sul terreno undici morti (otto adulti e tre bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni muoiono in seguito per le ferite riportate. I primi colpi vengono inizialmente scambiati per dei mortaretti, ma anche quando ci si rende conto della loro reale natura, la mancanza di ripari impedisce a molti di mettersi in salvo.

Nel mese successivo alla strage di Portella della Ginestra, avvengono attentati con mitra e bombe a mano contro le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando in tutto un morto e numerosi feriti.

Sui luoghi degli attentati vengono lasciati dei volantini firmati dal bandito Salvatore Giuliano che incitano la popolazione a ribellarsi al comunismo. La CGIL proclama lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”.

Mandanti ed esecutori

Solo quattro mesi dopo si sa che a sparare a Portella della Ginestra e a compiere gli attentati contro le sedi comuniste sono stati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano.

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I motivi risiedono, oltre alla dichiarata avversione del bandito nei confronti dei comunisti, anche nella volontà dei poteri mafiosi, dell’autonomismo siciliano, massoneria e latifondisti di reagire alle istanze di rinnovamento dei nuovi soggetti politici.

L’obiettivo è garantire il mantenimento dei vecchi equilibri nel nuovo quadro politico e istituzionale nato dopo la seconda guerra mondiale. Il bandito Giuliano si ritrova a essere solo una pedina all’interno di una macchinazione molto più complessa di quello che può immaginare.

Nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, sono certe le responsabilità degli ambienti politici siciliani interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra e aveva votato per il Blocco del Popolo nelle elezioni del 1947.

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Agostino Raso

Agostino Raso

Ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Storiche. Medioevo, Eta' Moderna, Eta' Contemporanea presso l'Università degli studi di Roma La Sapienza e il Master di II livello "Esperto in comunicazione storica: televisione e multimedialità'" presso l'Università degli studi di Roma Tre. E' socio dell'Istituto Ugo Arcuri per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea in provincia di Reggio Calabria (istituto associato all'Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Rete degli istituti per la storia della resistenza e dell'età contemporanea). Autore del libro "Rivolta fascista o di popolo? I partiti politici di fronte alla rivolta di Reggio e la strage di Gioia Tauro". Caporedattore di Fatti per la Storia, cura i rapporti con le case editrici. Fa parte del Comitato-Scientifico.

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