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Le bombe a Roma e Milano
Il 12 dicembre 1969 alle ore 16,37 nel salone centrale della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana scoppia una bomba che causa 17 morti e 88 feriti. Non è l’unica bomba scoppiata quel giorno. Altre sono collocate a Milano e a Roma. La strage di piazza Fontana dà avvio al periodo stragista della strategia della tensione. Le bombe quel giorno sono cinque. Tre vengono piazzate a Roma, due a Milano. Quattro deflagrano, una no. La drammatica sequenza comincia alle 16,25, con la scoperta di un ordigno vicino a un ascensore da un commesso nella Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala a Milano.
Alle 16,37 sempre a Milano scoppia la bomba più devastante, quella di piazza Fontana. Una terza bomba esplode alle 16,55 a Roma nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo 14 impiegati. Infine, alle 17,20 una quarta bomba scoppia alla base del pennone alzabandiera del monumento al Milite Ignoto in piazza Venezia a Roma, seguita da una quinta davanti all’ingresso dell’attiguo Museo del Risorgimento, verso 17,30. Negli attentati di piazza Venezia i feriti sono 3, ossia un carabiniere accorso in zona dopo la prima esplosione e due passanti.
I fermati
Le indagini vengono orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui possono esserci possibili estremisti; sono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 marzo di Roma (tra i quali figura Pietro Valpreda) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano (tra i quali figura Giuseppe Pinelli).
Il 12 dicembre l’anarchico Giuseppe Pinelli, viene fermato e interrogato a lungo in questura. Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, muore dopo essere precipitato dal quarto piano della questura. L’inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto procuratore Gerardo D’Ambrosio, individua la causa della morte in un malore, in seguito al quale l’uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza. A seguito della tragica morte di Pinelli, il commissario Calabresi verrà assassinato.
Il 16 dicembre viene arrestato Pietro Valpreda, anarchico, additato come colpevole a causa della testimonianza del tassista Cornelio Rolandi. Egli dichiara di averlo portato col suo taxi in piazza. Valpreda sarebbe sceso con una valigetta e sarebbe tornato sul taxi senza di essa. Sono arrestati anche altri cinque aderenti al Circolo anarchico 22 marzo (Mario Merlino, Emilio Borghese, Emilio Bagnoli, Roberto Gargamelli e Roberto Mander). Rolandi ottiene la taglia di 50 milioni di lire disposta per chi fornisse informazioni utili.
La pista anarchica e la pista nera
Nel 1969 all’indomani della strage si avviano le indagini in parallelo, a Milano e Roma. L’inchiesta verrà assegnata alla Procura di Roma, nonostante il conflitto di competenza sollevato dalla difesa di Pietro Valpreda, il principale imputato della “pista anarchica”, da subito tenacemente perseguita dagli uffici politici delle questure di Milano e Roma. Il dibattimento che si apre presso il Tribunale di Roma nel marzo 1972 si arresta quasi subito: la Corte, infatti, ritiene che la competenza non spetti a Roma.
Gli atti relativi al “processo Valpreda” vengono rimandati a Milano, dove, nel frattempo, sono approdati, dal Veneto, gli atti relativi alla seconda istruttoria sulla cosiddetta “pista nera”, ossia di terrorismo neofascista. I principali imputati sono Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini, giornalista di estrema destra che risulta collegato al Sid (agente Z). Il “processo Valpreda” a Milano ci resta pochissimo: nell’estate del 1972 il Procuratore Generale della Repubblica chiede che venga trasferito altrove per motivi di ordine pubblico.
Il processo di Catanzaro
La Cassazione, il 13 ottobre 1972, dispone la remissione degli atti del processo basato sulla prima istruttoria (pista anarchica) al Tribunale di Catanzaro. A Milano prosegue solo la seconda istruttoria, ma nel 1974, dopo l’ordinanza di rinvio a giudizio per gli imputati neofascisti, anche gli atti relativi alle indagini su Freda, Ventura e i loro camerati vengono spediti a Catanzaro, seguiti poi da quelli di uno stralcio di alcune posizioni, tra cui quella di Giannettini che ha generato una terza istruttoria.
La Cassazione ritiene infatti che, per i medesimi fatti, tutti gli imputati debbano essere giudicati dalla stessa Corte d’Assise. Dopo due “false partenze”, il dibattimento del processo di Catanzaro per la strage di piazza Fontana e reati connessi, in cui sono confluite tutte e tre le istruttorie, si apre davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro il 18 gennaio 1977.
Nel dicembre di quell’anno è pronunciato il giudizio nei confronti del generale Saverio Malizia, Sostituto Procuratore Generale presso il Tribunale Supremo Militare nonché consulente giuridico del Ministro della Difesa, processato per direttissima per aver affermato il falso. Malizia è dichiarato colpevole con sentenza il 01 dicembre 1977. Il processo per gli attentati del 12 dicembre si conclude dopo circa due anni, con la sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro del 23 febbraio 1979 che condanna per strage Freda e Ventura, il giornalista e agente del Sid Giannettini e assolve Valpreda, che è dichiarato colpevole, insieme Mario Merlino e altri, per il solo reato di associazione per delinquere in relazione alla partecipazione al gruppo anarchico romano “22 marzo”.
Il giudizio della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, con sentenza 20 marzo 1981, ribalta le condanne per strage di Freda, Ventura e Giannettini in assoluzioni per insufficienza di prove. Freda e Ventura sono condannati solo per associazione sovversiva e per gli altri attentati del 1969. La condanna per questi fatti è confermata in via definitiva dalla Cassazione con sentenza del 10 giugno 1982. Tale sentenza, invece, annulla le assoluzioni e rinvia a nuovo giudizio per il reato di strage continuata non solo Freda e Ventura, ma anche Valpreda. Annullate anche le assoluzioni in appello degli ufficiali del Sid Gianadelio Maletti e Antonio Labruna e l’assoluzione del maresciallo Gaetano Tanzilli, pure del Sid, per il delitto di falsa testimonianza.
Il nuovo dibattimento comincia il 13 dicembre 1984 a Bari. La Corte d’Assise d’Appello di Bari, con sentenza del 1 agosto 1985, assolve Freda e Ventura dal delitto di strage per insufficienza di prove. Confermata pure l’assoluzione di Valpreda, per insufficienza di prove; assolto Tanzilli per non aver commesso il fatto. Confermata invece la condanna per falso ideologico in atto pubblico favoreggiamento personale nei confronti di Guido Giannettini di Labruna e Maletti: il ruolo giocato da uomini del Sid nel depistaggio dell’inchiesta, dunque, è confermato con sentenza passata in giudicato. La sentenza di Bari è infatti confermata dalla Cassazione con sentenza il 27 gennaio 1987.
Il processo Catanzaro-bis
Chiuso il processo di Catanzaro, proseguono però le indagini della quarta istruttoria. I principali imputati Stefano Delle Chiaie, leader dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale, e Massimiliano Fachini, già consigliere comunale del Msi a Padova e membro di Ordine nuovo, che sono rinviati a giudizio il 30 luglio 1986. Il nuovo processo, detto “Catanzaro-bis”, assolve Fachini e Delle Chiaie per non aver commesso il fatto con sentenza del 20 febbraio 1989, confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro con la sentenza del 5 luglio 1991.
Il processo di Milano
Nel frattempo, a Milano, il giudice istruttore Guido Salvini torna a indagare su una serie di reati associativi ascritti a militanti di gruppi eversivi di destra. Le dichiarazioni rese tra il 1993 e il 1994 al giudice istruttore dal collaboratore di giustizia Carlo Digilio, un “quadro coperto” dell’organizzazione Ordine Nuovo, in veste di armiere ed esperto di esplosivi, delineano nuovi elementi di responsabilità riguardo alla strage di piazza Fontana.
Digilio confessa il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato, ribadendo le responsabilità di Freda e Ventura. In particolare sostiene di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi gli racconta di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Zorzi, trasferitosi in Giappone nel 1974, divenne un imprenditore di successo. Ottenne la cittadinanza giapponese che gli garantì poi l’immunità all’estradizione.
Le inchieste del G.I. portano alla sentenza istruttoria del 18 marzo 1995 e alla sentenza istruttoria del 3 febbraio 1998. Questa volta il processo si può finalmente celebrare nella sua sede naturale, a Milano: una sentenza della Corte di Cassazione del 5 dicembre 1996 dichiara infatti cessata la competenza del Tribunale di Catanzaro.
La sentenza del 30 giugno 2001 condanna Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni all’ergastolo per la strage e dichiara invece il non doversi procedere contro l’armiere Digilio, che resta l’unico autore giuridicamente riconosciuto della strage, ma con il reato prescritto, grazie alle attenuanti per la collaborazione. Tale giudizio è riformato dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello del 12 marzo 2004: questa assolve Maggi e Zorzi dal reato di strage ex art.530 secondo comma c.p.p. e assolve Rognoni per non aver commesso il fatto.
Le assoluzioni sono confermate dalla Cassazione con sentenza del 3 maggio 2005, per insufficienza o contraddittorietà delle prove (art. 530 comma 2 del Codice di procedura penale), come la Corte d’assise d’appello di Milano ha pronunciato un anno prima a carico degli appartenenti al gruppo di Venezia-Mestre di Ordine nuovo. Peraltro, sia le sentenze di primo e di secondo grado sia quella della Corte di Cassazione hanno accertato la riferibilità della strage di piazza Fontana alle strutture venete di Ordine Nuovo.
In particolare la Suprema Corte ritiene accertato sotto il profilo storico che la strage di piazza Fontana fu realizzata dalla cellula eversiva capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura. I due però non sono più processabili perché già assolti in via definitiva nel 1987. Gli esecutori materiali sono ignoti. Sebbene gli ordinovisti indicati siano quindi considerati gli ispiratori ideologici, non è mai stato mai individuato a livello giudiziario l’esecutore materiale, ossia l’uomo che pose personalmente la valigia con la bomba