CONTENUTO
La realtà bolognese nel primo dopoguerra
Nel primo dopoguerra con il rientro dei soldati a casa l’Italia è investita da un’ondata di agitazioni sociali dovute al mancato rispetto delle promesse fatte durante il conflitto, al perdurare della crisi economica prebellica e alla conseguente disoccupazione. Nelle campagne i mezzadri e i braccianti proclamano numerosi scioperi. Al Nord, nelle industrie di Milano, Genova e Torino, oltre agli scioperi si registrano varie occupazioni delle fabbriche e nascono i primi consigli di fabbrica.
In Emilia-Romagna, come nel resto del Paese, con la fine della guerra, le masse popolari reclamano la soluzione dei problemi sociali, compresi quelli esistenti già prima del conflitto. I braccianti, in particolare, chiedono che siano mantenute le promesse a loro fatte da parte degli ufficiali nei momenti più tragici del conflitto come la concessione della terra e la certezza di un posto di lavoro ben retribuito.
Nel 1918 in tutto il bolognese, prende avvio l’occupazione dei terreni durante il quale si verificano degli episodi violenti come: uccisioni di capi di bestiame; distruzione di raccolti; saccheggio delle case private e dei magazzini. Il movimento istituisce pertanto un servizio di guardia, le cosiddette “guardie rosse”.
Queste lotte sono guidate dalle diverse organizzazioni sindacali: Camere del Lavoro, Federterra 1 e Confederazione generale del lavoro, che portano avanti le richieste dei braccianti e dei mezzadri uniti nella lotta per: la riduzione della giornata lavorativa ad otto ore; il riconoscimento del diritto alle Leghe di stipulare contratti; il rinnovo del capitolato colonico fermo al 1908; e così via.
Dopo mesi di lotta, il 25 ottobre 1920 si ottiene il rinnovo del capitolato colonico Paglia-Calda dai nomi di Calisto Paglia, presidente degli agrari e Alberto Calda, legale della Federterra. Questo contratto, detto anche “capitolato rosso”, è uno dei più avanzati per quel tempo in Italia, e prevede per i mezzadri: l’onere al proprietario dell’acquisto del bestiame e l’obbligo a garantire il mezzadro in caso di annate negative; la partecipazione del mezzadro alla gestione dell’azienda agricola e la divisione dei prodotti agricoli a suo favore per il cinquanta, sessanta e settanta per cento a seconda della coltivazione; mentre per i braccianti prevede tariffe migliori.
Alle lotte nelle campagne si sommano quelle degli operai delle industrie e dei dipendenti pubblici quali: postini, ferrovieri e impiegati statali, anch’essi richiedenti migliori condizioni di vita e di lavoro.
La fondazione del Fascio di Bologna
In questo contesto di grave crisi economica e sociale del Paese, di vittorie dei socialisti e di concessioni al movimento dei lavoratori, le organizzazioni nazionaliste invocano uno Stato autoritario che riporti l’ordine anche con l’uso di strutture paramilitari come le squadre d’azione fasciste. Quest’ultime sono l’espressione violenta e armata del movimento politico dei Fasci italiani di combattimento, fondato a Milano il 23 marzo 1919 da Benito Mussolini.
A Bologna il primo Fascio si costituisce un mese dopo quello lombardo, per iniziativa di un gruppo di ex combattenti di varie tendenze politiche ma uniti da comuni convinzioni antibolsceviche e antisocialiste. Il Fascio bolognese è inizialmente guidato da Garibaldo Pedrini ma ben presto, poiché scarsamente attivo ed esiguo anche come numero di iscritti, viene rifondato ad opera dell’ex anarchico Leandro Arpinati.
L’attivismo di quest’ultimo, la diffusione del giornale “L’Assalto” e una massiccia campagna di attacchi a luoghi e ritrovi socialisti, portano, a partire dall’autunno del 1920, ad un notevole incremento degli iscritti. I nuovi aderenti sono, in gran parte, piccoli e medi commercianti che hanno visto diminuire i loro guadagni in seguito alla pressione fiscale decisa dal Comune socialista e all’affermarsi delle Cooperative di consumo. Vi sono anche sbandati e arrivisti che appoggiano il nuovo movimento con la speranza di ottenere una carica politica.
I padroni che non accettano il nuovo capitolato colonico, ricorrono più volte alle neonate squadre fasciste per compiere le prime spedizioni punitive nelle campagne bolognesi a danno dei lavoratori agricoli.
La strage di Palazzo d’Accursio
Nel 1920 nel bolognese gli scontri tra socialisti e fascisti sono sempre più frequenti: il 16 ottobre i fascisti devastano una libreria gestita da socialisti e il 19 dello stesso mese, i socialisti distruggono lo studio di Dino Grandi, esponente del fascismo emiliano.
Il 25 ottobre, giorno della firma del contratto colonico “Paglia-Caldo”, i fascisti guidati da Leandro Arpinati del fascio di Bologna, si recano presso i comuni di San Lazzaro e Ozzano dove sequestrano alcune bandiere rosse dalle locali Case del popolo, e, una volta tornati a Bologna, le bruciano in via Indipendenza senza alcun intervento da parte della polizia.
Nelle elezioni amministrative del 31 ottobre, pur ostacolato dalle azioni dei Fasci di combattimento, il Psi riesce a riconfermare il suo successo in tutta l’Emilia-Romagna e a Bologna viene eletto il dirigente sindacale e rappresentante del Psi Ennio Gnudi che succede a Francesco Zanardi, sempre socialista.
Con la volontà di boicottare l’insediamento della nuova Giunta al Comune di Bologna, Leandro Arpinati fa affluire da Ferrara altri reparti di squadristi. Le violenze iniziano già il 4 novembre quando i fascisti distruggono la sede della Camera del Lavoro.
Il mattino del 21 novembre 1920, mentre all’interno del palazzo del Comune si tiene la cerimonia per l’insediamento del nuovo sindaco, iniziano i primi scontri. I fascisti, infatti, provenienti dalle vie Rizzoli ed Archiginnasio, cercano di forzare il cordone predisposto dalla Guardia regia e sparano i primi colpi di arma da fuoco.
Quando il neoeletto sindaco Ennio Gnudi si affaccia dal balcone della Sala Rossa di Palazzo d’Accursio, sede del Comune, per salutare la folla di sostenitori, i fascisti irrompono con violenza in Piazza Maggiore e riescono ad invadere la sala del Consiglio comunale. La folla impaurita cerca rifugio all’interno di Palazzo d’Accursio, presidiato da alcune formazioni socialiste, le “guardie rosse”. Quest’ultime chiudono il portone del palazzo e rispondono ai fascisti lanciando alcune bombe a mano le quali colpiscono però anche molti sostenitori socialisti.
Intanto, nell’aula consiliare, un uomo, che rimarrà sconosciuto, spara contro i consiglieri di minoranza colpendo in faccia l’avvocato fascista Cesare Colliva, che rimane ferito insieme all’avvocato Bruno Biagi, e il consigliere comunale liberale mutilato di guerra Giulio Giordani. Quest’ultimo viene immediatamente trasportato all’Ospedale Maggiore ma durante il tragitto, in via Riva di Reno, proprio davanti all’ospedale, scoppia una sparatoria. Giordani non ce la farà e la sua morte sarà strumentalizzata dai fascisti che lo presenteranno come il loro primo grande martire sebbene egli fosse un liberale.
Gli scontri provocano, oltre a Giordani, altri dieci morti, tutti sostenitori socialisti, oltre a diversi feriti. La neoeletta Giunta socialista, con sindaco Gnudi, viene sciolta, l’amministrazione della città è affidata ad un commissario prefettizio, Vittorio Ferrero, che rimane in carica sino al marzo 1923.
Al fine di individuare i responsabili dell’accaduto, è aperta un’inchiesta che però non giungerà mai a conclusioni certe. Tuttavia, la polizia arresta circa duecento socialisti ma nessun fascista e nel 1923 il Tribunale di Milano condanna in contumacia alcuni militanti del Psi.
Le violenze fasciste nel bolognese
Il tragico eccidio ha risonanza nazionale e i fascisti, accusando le guardie rosse dei numerosi morti e feriti, strumentalizzano l’episodio usandolo come pretesto per giustificare tutta una serie di successive violenze in moltissimi comuni del bolognese contro le neoelette amministrazioni socialiste.
La notte del 31 dicembre 1920, provenienti da Carpigli, gli squadristi, su invito degli agrari della zona di Correggio, che male tollerano lo sviluppo e le affermazioni del movimento operaio, fanno irruzione nella cittadina.
Il pretesto per la provocazione è offerto da una serata danzante organizzata dai socialisti nel teatro comunale. I fascisti insultano i presenti, malmenano la gente per la strada, incominciano a sparare uccidendo infine sulla soglia della Casa del Popolo due giovani dirigenti del movimento socialista correggese: Zaccarelli e Gasparini. Da quel giorno è un susseguirsi ininterrotto di violenze.2
Fra la primavera e l’estate del 1921 i Fasci di combattimento si diffondono anche nei comuni della provincia bolognese. Il 7 novembre 1921 il movimento dei Fasci si costituisce come Partito nazionale fascista, il Pnf, guidato da Benito Mussolini.
Il neonato Partito, basando la sua identità nell’opposizione alla sinistra, trova sempre più appoggio nella borghesia e, forte di ciò, intensifica la propria opera intimidatoria così come le aggressioni ai danni di esponenti e simpatizzanti sia socialisti che comunisti.
L’odio che i fascisti dimostrano nei confronti dei lavoratori agricoli, sostenuti dal Psi, viene visto favorevolmente da molti agrari che, a partire dalla primavera del 1921, ricorrono alle squadre dei neonati Fasci di combattimento per attaccare i rappresentanti socialisti locali e le Associazioni di braccianti e mezzadri.
Con la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, la situazione non migliora e in tutta la provincia bolognese si intensificano le azioni violente nei confronti sia degli amministratori locali socialisti, che degli esponenti della Camera del Lavoro e dei capilega dei braccianti, i quali subiscono aggressioni talvolta mortali. Sono organizzate anche azioni contro le Case del popolo, simbolo del movimento dei lavoratori. Il 30 luglio 1923 il concordato “Paglia-Calda” viene abrogato dal Prefetto di Bologna.
1 La Federterra era un’organizzazione sindacale contadina italiana di ispirazione socialista nata nel 1901 a Bologna che raggruppava braccianti, mezzadri e piccoli proprietari principalmente dell’Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.
2 L. Arbizzani, S. Bologna, L. Testoni (a cura di), Storie di Case del popolo, Grafis, Bologna, 1982, p. 172
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- M. Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Feltrinelli, Milano 2019
- N. S. Onofri, La strage di Palazzo d’Accursio. Origini e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Feltrinelli, Milano, 1980
- P. Alberghi, Il fascismo in Emilia Romagna. Dalle origini alla marcia su Roma, Mucchi, Modena, 1989
- A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Pgreco, 2012
- R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla Grande Guerra alla Marcia su Roma, vol. 2, Il Mulino, 2012
- L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel bolognese Comune per Comune, Anpi, Bologna, 1998
- G. Dalle Donne, V. Sardone, La democrazia ricostruita. Crespellano dalle giunte socialiste al primo decennio repubblicano (1914-1956), Edizione Aspasia, Bologna, 2009
- F. Tarozzi, Dal primo al secondo fascio di combattimento: note sulle origini del fascismo a Bologna (1919-1920), in L. Casali (a cura di), Bologna, 1920. Le origini del fascismo, Cappelli, Bologna, 1982