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I problemi dell’impero Russo sotto lo zar Alessandro I (1801-1824)
I limiti di spazio di questo studio ci consentono di prendere le mosse solo dal 1811, che vede comparire in modo più definitivo sul teatro europeo lo Stato Imperiale Russo, guidato dallo zar Alessandro I Romanov, già zar dal 1801 e che lo resterà fino al dicembre del 1825. Questi dopo qualche anno di simpatia per Napoleone I, lo combatterà fra il 1812 e il 1814, nella prima grande invasione del suolo russo in età moderna. Egli trova formidabili sostenitori nella classe mercantile, nell’esercito, nella chiesa ortodossa e nella borghesia cittadina.
La prima e l’ultima di quel blocco sociale conosce la cultura occidentale, mentre esercito e chiesa, più i proprietari terrieri, conservano ancora il dominio del potere al di fuori dell’Illuminismo europeo. I nobili locali e di Corte si sono stabilizzati nei due grandi poli urbani San Pietroburgo e Mosca, l’una che guarda ad Occidente perché posta al centro del golfo di Finlandia, nel migliore punto di attracco sul Baltico, in contenzioso con la Svezia e la Prussia fino alla guerra dei 30 anni.
Un fiordo meraviglioso prescelto dal primo grande zar moderno, Pietro I, il primo e massimo cultore del mondo occidentale, fautore della prima grande modernizzazione politica, economica e amministrativa dell’Impero, che va dal Baltico alla Turchia, fautore della Russia classica verso il mar Nero a ridosso dell’impero Ottomano, già in crisi dopo le sconfitte subite nei Balcani da parte dell’Impero Austriaco.
Nondimeno, l’altro polo urbano è Mosca, capitale religiosa dell’impero, centro religioso ortodosso retto da un Principe-Vescovo. All’arrivo dei Mongoli – il c.d. Khanato dell’orda d’oro – si ha il primo urto fra civiltà, visto che i Principati più importanti – Kiev e Novgorod – sono colonizzati dai Normanni, integrandosi presto con le popolazioni indigene di lingua slava. Fra il XIII° e il XV°, il conflitto e la successiva dominazione tartara, spingono le popolazioni europee a Nord verso Mosca.
Qui prevale nel XIV° secolo, la dinastia Danilovič, vincitore agli inizi del ‘500, finendo da assorbire i territori al centro delle steppe dall’Ucraina fino ad Est, assorbendo il territorio siberiano e ad Ovest affacciandosi già nel ‘500 sul Baltico. Sono i Regni di Ivan III (1462-1505) – e del nipote Ivan IV il terribile (1530-1584) – a spostare la capitale nel Principato di Mosca e a raccogliere l’eredità politica e spirituale di Bisanzio. Nasce così il mito di Mosca, la c.d. Terza Roma, ritenuta fin dal sedicesimo secolo l’unica e vera Capitale del Cristianesimo.
Ivan il terribile, in virtù di questa aura di erede della Chiesa Bizantina, apre il regno a Roma e all’Europa Centrale, a Venezia e alle città anseatiche. La sua conoscenza del Rinascimento Italiano lo porta ad invitare a Mosca architetti italiani per l’edificazione della grandiosa fortezza e della Chiesa maggiore del Cremlino, divenuta la “Roma” imperiale della Russia. Successivamente, in età illuminista, è analoga l’azione di modernizzazione dello Stato russo da parte di Caterina II, moglie di Pietro III, nipote di Pietro il Grande, che ospita i filosofi più alla voga – per es. il Diderot – sul modello dello zio Federico di Prussia che aveva avuto a corte il Voltaire.
Caterina prosegue nell’opera del primo Romanov nell’occidentalizzare il paese sull’onda dello zio, che aiuta nella guerra dei 7 anni. Anzi, ne adotta alcune riforme, abolendo la fustigazione degli intellettuali e la tortura, nonché aprendo le lingue antiche allo studio nelle scuole e limitando il potere ecclesiastico nelle scuole stesse. Poi, in occasione del Blocco Continentale commerciale marittimo, voluto da Napoleone per ostacolare la navigazione dell’eterna nemica Gran Bretagna nel Baltico, il giovane zar Alessandro decide di penalizzare il sogno paneuropeo di sistema federale a guida francese, benché sia sconfitto nel 1805 ad Austerlitz da Napoleone.
Nel 1811 Alessandro, ancora subornato dal Corso, orientato al suo progetto imperiale, subisce l’invasione della Russia motivata dalla presunta defezione dal Blocco, colpevole di aver violato il patto di non commerciare con Londra, operando triangolazioni illecite attraverso i paesi Nordici e sottraendosi alle sanzioni commerciali irrogate dalla Francia. Già nel 1813 la Prussia aveva subito a Dresda una sonora sconfitta militare per lo stesso “reato”.
Le opere letterarie di Puskin, Tolstoj, Gončarov e Gogol
In quei lunghi anni, però “l’Orso Russo” si era svegliato con il nemico alle porte: il principe Pietroburghese Michail Kutuzov e il feldmaresciallo Principe Sassone Levin von Bennigsen, infliggono alla Grande Armata di Napoleone una serie di rovesci che rallentano l’avanzata verso Mosca e poi le danno il colpo di grazia durante la ritirata al passaggio dell’esercito in fuga sul fiume Borodino.
In proposito è presente una prima testimonianza letteraria del Tolstoj: in uno dei tanti passi del suo notevole romanzo storico Guerra e pace, non solo si descrive l’umana figura del generale Kutuzov nella notte prima della battaglia di Borodino, ma anche costruisce una sintesi testuale della battaglia che ci può spiegare l’equazione aurea sulla storia della Russia popolare ancora valida oggi: cioè la intrinseca eguaglianza fra spiritualità e cultura popolare russa.
La considerazione delle masse russe di qualunque ceto, legate come un “sol uomo” fra loro, nobiltà, borghesi e contadini che dal Medioevo post-bizantino fino all’invasione francese, hanno sempre costituito – e costituiranno fino alla rivoluzione del 1905 – una sola grande famiglia, dove “la Trinità e Maria” costituiscono il simbolo della “Grande Madre Russa”.
Puškin e Tolstoj, lungo il secolo decimonono, nelle loro opere hanno dato specifico contributo per rinsaldare tale spirito nella vita quotidiana. E tuttavia, dopo la rivolta Decabrista, le varie guerre con la Turchia, specialmente quella di Crimea, l’incalzante Nichilismo, le varie crisi economiche, le carestie e la grande trasformazione industriale degli anni ’90 dell’800 hanno progressivamente introdotto il tarlo del dubbio materialista. Anche Gogol, Turgenev, Dostoevskij, Čechov e Gor’kij, hanno decennio dopo decennio dato colpi di maglio all’equazione che regge il grande impero di Alessandro I, Nicola I, Alessandro II, Alessandro III, Nicola II.
L’ultimo zar rompe l’armonia fra “Padri e figli” nella grande famiglia russa, peraltro fortemente scossa da insuccessi militari, persistenze ideologiche in merito al perpetuarsi della Servitù della Gleba fino al 1861 e il fallimento della politica liberale moderata “dell’andare verso il popolo“, nella seconda metà dell’800. Soprattutto, si ha una forte debolezza della classe dirigente agraria ed impiegatizia rivolta al mero sfruttamento dei contadini nelle steppe e nelle campagne, servi della gleba prima e poi salariati e braccianti esclusi dalla proprietà, fino ad essere carne da macello nelle guerre di espansione dell’impero a sud e ad est del territorio al di là di Mosca, Odessa e Kiev.
Un autore di metà secolo, il Gončarov, rappresenta nel romanzo Oblomov, un già sentito sentimento di stanchezza presente nella classe nobiliare dedita al mero godimento e priva di azione produttiva. Nell’elogio dell’accidia del suo nobilotto protagonista, si ritrova un senso di vuoto esistenziale e di impotenza morale, che influenzerà le origini della psicanalisi di Freud e Jung, che spiegheranno la crisi della classe dirigente feudale.
Di più: nei decenni di governo di Alessandro II – inizialmente moderati nel raccogliere i segni di una occidentalizzazione di stampo liberale e filofrancese dopo la rivoluzione borghese di Luigi Filippo del 1830 – emerge un profondo pessimismo storico di due autori – Gogol e Turgenev – che si pongono ad accelerare da intellettuali filooccidentali la domanda di cambiamento del colossale impero euroasiatico.
Gogol usa l’arma dell’ironia – si vedano il racconto Il Cappotto e la commedia L’ispettore generale – al fine di abbattere con un sorriso i tabù desueti di grandezza dello Stato autocratico incarnati nella burocrazia ministeriale. Turgenev – con il romanzo Padri e figli nonché col dramma Pane altrui – scardina il valore della famiglia tradizionale, sia esasperando la classica famiglia cristiana proponendo la figura del figlio ribelle; o del povero servo escluso dalla successione nella gestione del patrimonio solo perché padre naturale e non legittimo e per di più servo della gleba.
Entrambi sono portatori del tarlo del Nichilismo, cioè la distruzione radicale della società feudale russa e la sua ricostruzione creativa fondata sui valori romantici, liberali e democratici, dove il dissenso sui valori tradizionali, l’ateismo religioso, la rivolta politica contro l’autocrazia e una nuova libertà economica sono ritrovati nell’Europa occidentale continentale e intaccano la stabilità sociale, fino ad imporre l’abrogazione della Servitù della Gleba.
Lo zar Alessandro I e Napoleone
Ma torniamo ora all’entrata di Alessandro I a Parigi il 31 marzo del 1814, dopo la disfatta a Lipsia di Napoleone (16.10.1813). Non è la prima volta che l’esercito russo fa capolino in territorio europeo: già le forze della Seconda Coalizione in Nord Italia, fra l’Aprile e il Settembre del 1799, hanno occupato Milano e sulla Trebbia nel giugno hanno sbaragliato l’armata meridionale francese. Torino e Genova sono a rischio. Solo il diverbio fra il generalissimo Suvorov e l’alto comando austriaco salva Parigi dall’essere oggetto di occupazione russa. Il ritorno di Napoleone dall’Egitto impedisce poi il crollo della Repubblica francese.
A 13 anni da quegli eventi favorevoli, Alessandro non si fa sfuggire l’occasione e la potenza imperiale ritorna ad impressionare gli Alleati, anche se l’errore di dirottare il grande Suvarov in Svizzera piuttosto verso Parigi è un errore che costa alla Russia imperiale altri anni di guerre e di privazioni per il popolo, specialmente quando 12 anni dopo la Grande Armata napoleonica entra nel paese costringendo lo Zar Alessandro a bruciare Mosca per ostacolare l’occupazione francese, come ci narra lo stesso Tolstoj in Guerra e Pace.
Certamente, i successi dell’esercito russo pesano al Congresso di Vienna, mentre la nazione è infiammata dalle lettere di Karamzin che sono per la Russia quello che Fichte ha fatto per la Prussia qualche anno prima nel sollecitare la Nazione Tedesca alle armi. Al congresso di Vienna balena in mente al giovane Zar – e al suo Ministro Plenipotenziario. Conte Nessel´rode – di approfittare dell’opportunità di espandere l’Impero sui Balcani, area geografica che vede una notevole presenza di popolazioni slave di lingua e costumi, i cc.dd. “fratelli slavi”, che il legittimista giornalista Karamzin ha stigmatizzato, creando una letteratura romantica partendo dalla loro originaria “anima bella“, una prosa sentimentale che rinnoverà a Corte da storico ufficiale dello zar, arricchendo la lingua russa e varando, insieme al collega Puškin, un senso di Nazione che apprende dai Grimm che già in Germania creano un lessico unitario e miti comuni.
Nascono così circoli letterari, riviste nazionaliste, caffè e salotti che raccolgono, meditano e indicano scelte decisive per la classe borghese e nobiliare nelle due metropoli del paese. Tuttavia, S. Pietroburgo continua a guardare a Ovest e Mosca non cessa il mito euroasiatico dell’ Est. L’una è filo europea, l’altra è slavofila. L’una risente delle discussioni napoleoniche e poi legittimiste a Vienna; l’altra è dominata dal sentimento cristiano ortodosso tradizionale. L’una sospetta dell’altra.
Lo zar Alessandro, anche per prevenire complotti e spie dell’Austria e della Prussia, oltreché delle nazioni occidentali a lui sempre avverse – la Francia di Talleyrand e l’Inghilterra di Wellington – per contenere le tendenze liberali e legittimiste, pensa di distrarre la classe dirigente verso una terza via: ai reazionari conservatori impone l’adesione alla Santa Alleanza con Prussia e Austria per reprimere ogni rivolta liberale assai prossima già nelle loro terre; mentre lascia “campo libero” alla altre due Nazioni, favorendo l’espansione coloniale dell’Inghilterra verso le Indie e quella francese nel Mediterraneo occidentale, ivi compresa la Spagna già in rivolta.
Però l’Austria ha la penisola italiana da sovrintendere e alla Prussia spetta la gestione delle terre al di là del Reno, quella Germania unita invocata dai romantici di Berlino e Heidelberg. Alla Russia rimarrebbe la protezione dei Serbi, dei Polacchi – qui però con moderazione …. – dei Rumeni, dei Valacchi, degli Slovacchi, tutti sofferenti per i soprusi Ottomani. Ecco il piano panslavista, un progetto di libertà per i fratelli del sud, ma anche un ambiguo permesso di intervento diretto per salvare la fede cristiana e l’ateismo occidentale nelle aree estranee alla cultura russa. Idea che trova nel Metternich per un trentennio un fautore non indifferente, perché Gli è molto utile per raffreddare le tensioni sociali europee subito dopo il Congresso a causa dei moti del ’20 e del ’21.
Invero, il Cancelliere austraico, nei quattro Congressi immediatamente successivi a quello di Vienna del 1814-1815, mostra qualche perplessità con la politica dello zar Alessandro I – la c.d. “Santa Alleanza” – spalleggiato da Federico Guglielmo di Prussia e Francesco II d’Austria. Si afferma ora una nuova Costituzione Europea, antirivoluzionaria e antiliberale, dove le suddette Potenze, in nome delle tre confessioni religiose cristiane, l’ortodossa, la protestante e la cattolica, giurano di intervenire in ogni paese europeo per governare con paterna sollecitudine e garantire la Pace e la giustizia legittima di ogni Casa Regnante, restaurando il Regime violato nel 1789.
Il laico Metternich piuttosto crede in una Quadruplice Alleanza, comprendendo la Gran Bretagna al fine di isolare la Francia Monarchica di Luigi XVIII, memore che la politica russa espansiva potrebbe accerchiare il mondo austriaco, una vecchia paura dei Borboni fin dalla guerra dei 7 anni (1756-1763), l’ultima grande guerra del mondo prerivoluzionario. Aquisgrana, Troppau, Lubiana, Verona (1818-1822) rappresentano quattro tappe dello scontro fra l’ala realista della Restaurazione guidata dal Metternich e quella panrussa ammantata di panslavismo: qui l’elemento mistico della Santa Alleanza viene sostituito dall’elemento realistico, dove la Prussia è autorizzata a reprimere i morti liberali nell’area Alto Renana; l’Austria lo è in Italia (Regno di Sardegna, Regno delle due Sicilie e Lombardia, nei famosi moti del ’20 e del ’21); mentre alla Russia si dà campo libero nei Balcani e in Valacchia, oggi la moderna Romania.
Per la Russia è il primo passo a Sud verso il Mar Nero e di riflesso una gradita protezione dei Luoghi Santi in Palestina, visto lo sbocco sul Mar Nero e quindi la prima avanzata nel mondo Ottomano, già scosso da primi sintomi di rivolta in Grecia. E proprio in quest’ultima situazione, l’Inghilterra di Wellington e la Francia di Luigi XVIII sembra arroccarsi su posizioni più moderate: mentre la Francia si autoproclama esecutrice della “Santa Alleanza” nel reprimere i moti Costituzionalisti spagnoli e l’Inghilterra si dichiara protettrice del Sudamerica in rivolta. Invece per la libertà della Grecia si avrà una dura guerriglia liberale che durerà per più di un decennio, fino al 1829, quando finalmente l’Impero Ottomano abbandona il dominio di quel paese complice la benevola mediazione dello Zar, interessato a penetrare sempre di più nel mar Nero.
Tali indubitabili guadagni in politica estera e la acquisita primazia della “Santa Alleanza”, oscurano però la drammatica condizione interna dello Stato Russo, visto che l’equazione che lo fondava fin dai tempi di Pietro il Grande – il parallelismo fra senso di grandezza della nazione e sentimento parallelo di religiosità cristiana – ha una contraddizione insopportabile nel mondo occidentale e che provocherà discussioni e conflitti nella società piccolo borghese nei quaranta anni circa posteriori ai Congressi predetti, cioè il mantenimento della Servitù della Gleba.
Circostanza che influenzerà negativamente la politica dell’impero, nonché tutta la letteratura e la storia della nazione, fino ad influenzare il credo “Panslavista”, che ormai è una foglia di fico che copre un fine politico imperialista, malgrado che il Congresso di Verona (9/14 ottobre 1822) abbia ratificato, su iniziativa inglese l’abolizione della Tratta degli schiavi.
La situazione geopolitica europea dopo il congresso di Verona: 1822-1825
Se le conclusioni dei congressi da Vienna a Verona confermano la prevalenza del “metodo Metternich”, cioè dell’equilibrio fra le Grandi Potenze e il già rilevato principio di legittimità e la c.d. Restaurazione; questo però provoca il forte disprezzo delle aspirazioni nazionali e liberali dei popoli. Era altrettanto ineluttabile il fatto della conquista del potere politico della borghesia mercantile e industriale. Alla classe nobiliare al tramonto resta il potere dell’acquisizione delle sfere di influenza sui paesi vicini a quelli vincitori non ancora indipendenti, spesso divisi in piccoli Stati e con minoranze liberali attive ma poco organizzate.
E’ stata già rilevata storicamente la tecnica del “Maestro del sistema”, il Metternich, che per un trentennio dirige la “spartizione del bottino”, coadiuvato proprio dallo zar Alessandro, che con la mistica della “Santa Alleanza” e col favore della più grande potenza dei mari, votata al colonialismo extra europeo, vara il progetto imperialista sia per le potenze vincitrici centrali europee, sia dando l’avvio alle nuove potenze che lentamente compariranno nel secolo decimo nono nello scenario mondiale, dagli Stati Uniti al Giappone.
Come si è detto, i Congressi fra Vienna e Verona concessero alla Russia un imprecisato potere di controllo a Sud sui Balcani e ad Ovest nella Polonia fuori dai confini del 1762, all’epoca in condominio con l’Austria e la Prussia. Il principale impero che ne soffre è l’Ottomano che, per bocca del Ministro plenipotenziario a Vienna di Alessandro, Karl Nessel’rode, è il “Grande malato d’Europa”. La Francia è stata contentata nel mediterraneo Occidentale e già guarda al Marocco e all’Algeria col connesso “dividendo” della Spagna da riconvertire al credo legittimista.
La Prussia, invece, baderà alla miriade di Stati del Centro Nord della Germania, specialmente alla ricca sponda destra del Reno e al carbone della Ruhr, oltreché alla Sassonia. L’Austria ha nel Lombardo Veneto, nelle Marche e nel Sud terreni e bastioni da difendere in nome della ricca borghesia bavarese e danubiana. La Gran Bretagna è soddisfatta per la repressione in Sudamerica e si installa in varie basi mediterranee – Gibilterra e Malta, senza contare i porti della Sicilia Orientale, fra cui la strategica Siracusa – nonché in Medio Oriente e in Afganistan, porte aperte per l’India, il suo tesoro insieme all’Egitto.
Alla Russia intanto toccano i Balcani, insieme all’Austria che guarda all’integrazione con le varie popolazioni che costituiscono il suo impero (i tedeschi-croati, poi gli Ungheresi e gli Italiani con Trieste, un porto che va crescendo ….). E gli Slovacchi, i Bulgari, i Serbi, i Rumeni, poco più che schiavi degli austriaci… E il Mar Nero? E i Dardanelli? E la Crimea? E Odessa? Un carciofo da mangiare foglia per foglia, dirà Cavour per l’Italia a metà ‘800. Vero è che Alessandro ha il limite britannico, una certa diffidenza francese che non li vuole nel Mediterraneo, la paura dell’Austria che lo teme come una mina vagante e il terrore Ottomano di perdere tutto, come avviene già per la Grecia.
Di qui un progetto di espansione certo quanto subdolo: si contenta a Nord Est della Finlandia, strappandola alla Svezia ormai neutrale, dopo le lunghe guerre con Pietro il grande e l’avventura napoleonica che ha messo sul trono il suo fido generale e marito della vecchia amante Desirée Clary. Nondimeno acquisisce a Vienna il trio delle città più ricche del Baltico, Riga, Tallin e Vilnius, controllando da vicino la Prussia orientale, dove spiccano per cultura e commercio due città che faranno parlare, Danzica e Königsberg, all’epoca gioielli del Nord più ricco, ma forti bastioni a tutela dell’Europa occidentale.
Ancora: a Sud est ottiene la Bessarabia, un’area oggi della Romania ai confini della Crimea e la città portuale di Odessa. Un cambio non indifferente, che consente ad Alessandro un robusto affaccio sul mar Nero, altra entrata di lusso sul Mediterraneo Orientale e quasi alla porte di Costantinopoli in pieno Impero Ottomano.
E così le rotte mercantili russe sono pronte a collegare la terza Roma con la prima passando per Costantinopoli, la seconda Roma russo\bizantina. La realizzazione del sogno espansionista ad Ovest della “Santa Russia”, nata nella vecchia Kiev ucraina – già ritornata nella federazione imperiale per merito della grande Caterina in pieno illuminismo – ha come obiettivo maturo i fratelli Slavi della Serbia e della Bosnia, oltre ché a Nord i Polacchi e gli Sloveni nell’adriatico, ma anche i Bulgari e poi la Georgia Caucasica che già nel 1801 è stata invasa dallo Zar Paolo I, prima che venisse ucciso dal giovane Alessandro all’epoca un giacobino molto fervente.
Il programma occidentalista ripreso dallo zar Alessandro
In sostanza, per più di un secolo si ha un lento processo di aggregazione sulla base della lingua russa e della religione ortodossa che si riflette in un pensiero nato in età napoleonica e che il giovane erede Alessandro sembra preferire, collaborato da una schiera di intellettuali romantici, nazionalisti e protezionisti dal lato economico.
Alessandro aderisce al programma occidentalista di Pietro il Grande, che ha modernizzato il Regno fra il 1682 al 1725, strada che percorrerà Caterina II nel diminuire il potere dei Nobili, sfruttare le miniere, incrementare le manifatture e il commercio, ricercare la pari svolta industriale anglo-francese, attirando la nobiltà più potente alla Corte di S. Pietroburgo, confinandola alle attività militari e diplomatiche.
In cambio Pietro, Caterina e Alessandro, pur restringendo i poteri politici della nobiltà di campagna e pur accentrando il potere a Corte, tuttavia concedono ai proprietari terrieri mano libera sui contadini e avallano la Servitù della Gleba legata strettamente alla terra, riducendoli a mero mezzo di produzione. Lo stesso avviene per la classe servili di città, ridotte a meri schiavi dei vari nobilotti inseriti nella classe burocratica ministeriale, ovvero nella cerchia dei Popi incardinati nella Chiesa di Stato, non di molto diversa dal Secondo Ordine nella Francia prerivoluzionaria.
Di qui, la situazione di perenne accidia di questa classe di proprietari, tutta dedita al consumo e per nulla produttiva, come Gončarov e Gogol ci hanno narrato nei Racconti di Pietroburgo il secondo e nell’Oblomov il primo, una relazione servo/padrone per niente operativa, più vicino alla schiavo di colore Nordamericano che al servitore fattivo dell’apologo di Hegel presente nelle famose pagine della Fenomenologia dello Spirito. Realtà passiva che altri hanno voluto collegare alla logica produttivistica schiavista che ha caratterizzato la società russa fino alla Rivoluzione del 1917.
Alessandro del resto in politica estera persegue in un primo tempo le proposte di pochi nobili illuminati che non ritengono necessario persistere nella politica di servilismo della Gleba e di dare invece alle regioni di confine, inglobate a seguito del Congresso di Vienna, qualche forma di libertà parlamentare, cosa che avviene con i territorio polacchi. Invero, Napoleone in via preliminare all’invasione delle Russia nel 1812, favorisce la ricostituzione della Polonia, smembrata nel 1762 a favore della Prussia, dell’Austria e della Russia.
Polonia che partecipa con migliaia di morti a fianco di Kutuzov durante la ritirata disastrosa di Napoleone. Sebbene a Vienna si sia ritornato alla divisione della nazione polacca, Alessandro si proclama colà come Re e accetti un Governo di Ministri per l’amministrazione locale e favorisca anche la istituzione a Varsavia e a Cracovia di Università dove la Dieta polacca inserisce molti insegnanti liberali e democratici, sperando in una compensazione politica più liberale.
Il suo viceré Costantino però sospetta complotti rivoluzionari e Alessandro nel 1818 sopprime la costituente liberale, censura la libera stampa e introduce tribunali speciali. La nobiltà polacca viene ridimensionata e l’illusione liberale di una Costituzione su modello spagnolo nel 1822 viene definitivamente cancellata. Progressivamente, ma inesorabilmente, nel dibattito culturale interno della Russia, fra il 1815 e il 1825, la chimera di una nazione democratica sul modello anglosassone cede alla dura realtà di un Sovrano assoluto e di un classe dirigente ancora retrograda, dove l’equazione cultura =spiritualità, va tutto a vantaggio della seconda e il profilo laico/occidentale liberale non ottiene lo spazio richiesto.
Considerazioni che vanno a rafforzare il senso di malinconia che invade la nobiltà illuminata, quando il liberale Alexander Labzin nel 1825 – ma già dal 1810 – muore in esilio, gridando Russi svegliatevi! come lo gridano i tedeschi nella guerra contro Napoleone. Scrive il poeta Žukovskij (1783-1852), che diffondendo Schiller, declama: Quando Napoleone invade la Russia, è come se Dio stia nei santi sogni della terra. E il giovane zar Alessandro sembra emulare il Re di Prussia Federico Guglielmo quando istituirà tante università da Karan a San Pietroburgo (1804), mostrandosi un sovrano liberale. Ma si è rilevata la svolta conservatrice del 1815, quando l’idea di espansione territoriale ai quattro lati dell’Impero lo attrae molto di più.
Allora un altro intellettuale Alksander Puskin (1799-1837), guarda alla storia del suo Paese di fronte agli eventi della rivolta decabrista del 1825 – la famosa rivolta degli ufficiali che hanno sconfitto Napoleone e che chiedono le riforme sociali e istituzionali per il Paese – e alla brutale repressione del nuovo zar Nicola I. Puskin compone un dramma – Boris Godunov – che ritrova fra le pieghe del passato. E’ la storia di quel lontano Zar, presentato sul modello delle tragedie di Shakespeare e Byron.
Leggendo La storia dello stato russo dello storico Karamzin, Puskin rievoca il regno di un tiranno in un periodo di sommovimenti europei, quando la borghesia all’epoca emergente si allea al popolo per il cambiamento da società feudale in una società più moderna (1600-1606). Il metodo è prettamente romantico: forme shakesperiane, contenuto storico e linguaggio quotidiano. L’azione teatrale è di stampo popolare, una rappresentazione non lontana dal realismo manzoniano e goethiano. Il tono religioso appare subito legato sia al patriottismo slavofilo sia alla ideologia democratica. E non è un caso che la tragedia sia stata scritta quando Puskin è punito dalla polizia segreta di Alessandro per aver dato prove di ateismo, confinato a Odessa nella tenuta materna di Michajlovskoe.
Proprio alla fine del 1825 scoppia la rivolta Decabrista contro il nuovo zar Nicola I, che la soffoca nel sangue. Fra essi c’è A. Bestužev, discepolo di Puskin, condannato a 20 anni di fortezza nel Caucaso. Sarà da quella classe dirigente stroncata per la sua originale idea di democrazia liberale che nascerà il futuro della Russia moderna, come si vedrà sotto il regno di Alessandro II, quando finalmente verrà soppressa la Servitù della Gleba auspicata principalmente dai romantici decabristi (3.3.1861).
Bibliografia
- Sulla Storia della Russia Zarista, vd. il fondamentale saggio di ETTORE LO GATTO, Russia, letteratura, arte, storia, Roma, 1945.
- Sul metodo di accertamento dei fatti storici dal piano “alto” al piano “basso”, va considerata la letteratura quale strumento di propaganda del Panslavismo. Al riguardo vd. CARLO ANTONI, Germanesimo e slavismo, in Aretusa, anno I nr. 4, 1944 su https://www.bibliotecaginobianco.it
- Per quello che riguarda la storia sociale, vd. PAOLO SORCINELLI, Il quotidiano e i sentimenti, viaggio nella storia sociale, ed. Bruno Mondadori, Milano, 2002, pagg. 29 ess., nonché MARC BLOCH, Che cosa chiedere alla storia, a cura di GIOVANNI MERLO e FRANCESCO MERLO, ed. Castelvecchi, Roma, 2014.
- Per le prime idee panslaviste, vd. NIKOLAJ J. DANILEVSKIJ, (1822-1885) esposte in modo organico nel volume La Russia e l’Europa, 1869, riprese da GIOVANNI BENSI in Nazionalità in URSS, ed. Xenia, 1991, pagg. 29 e ss.
- Sul mito russo della “terza Roma” e la fine del potere religioso di Kiev, cfr. GIOVANNI VITOLO, Il medioevo, ed. Sansoni, 2000, pagg. 460-461.
- Sugli architetti italiani chiamati alla costruzione del Cremlino, si veda per esempio la figura di Aristotele Fioravanti che nel 1475 diresse i lavori della Cattedrale della Dormizione.
- Su un seguace di Napoleone alla Corte di Alessandro I – il prussiano August Franz von Haxthausen, esperto di storia ed economia agraria, vd. FRANCO VENTURI, Il populismo russo, 3 volumi, ed . Mimesis, 2021.
- Sulla spedizione Napoleonica in Russia, vd. E.V. TARLE, 1812: la campagna di Napoleone in Russia, Milano, Corticelli,1950.
- Sulle guerre russo/turche fra il Congresso di Vienna (1815) e quello di Berlino del 1878, cfr. INDRO MONTANELLI, Le guerre imperialistiche, Editoriale Nuova, Novara, 1982.
- Sulla Campagne d’Italia del 1798-1799 vd. INDRO MONTANELLI e MARIO CERVI, Due secoli di guerre, vol. II, la Francia contro l’Europa, Novara, Editoriale Nuova, 1981.
- Su Metternich e sullo scontro politico con Alessandro I vd. FRANZ HERRE, Metternich, in biblioteca storica, Il giornale, 2001. pagg. 187 e ss. (1° ed. 1983).