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L’influenza spagnola, così chiamata non perché veniva dalla Spagna ma perché quando l’epidemia arrivò in Europa nel 1918 i primi a diffondere le notizie furono i giornali spagnoli (in quanto la Spagna non partecipò alla prima guerra mondiale), è considerata la più grande pandemia influenzale della storia.
Conosciuta anche come grande influenza o “crudel morbo”, la spagnola infettò 500 milioni di persone in tutto il mondo, uccidendone decine di milioni.
La storia dell’epidemia spagnola: origini e diffusione
L’origine della malattia
Sulle origini dell’influenza spagnola si è molto dibattuto c’è chi, come lo storico Alfred W. Crosby, sostiene che il virus abbia avuto origine nello stato americano del Kansas, chi, come il virologo John Oxford, afferma che l’evento iniziale della pandemia influenzale del 1918 sia stato nel campo militare e ospedale di Étaples, in Francia. Mentre diverse ipotesi precedenti suggerivano come origine della spagnola la Cina (proprio come nel caso del Covid-19 più comunemente chiamato Coronavirus che proprio in questi giorni sta facendo tremare l’Italia in primis e l’Europa intera), dove già nel 1917 si rintracciavano possibili focolai della malattia.
A sostegno dell’ipotesi cinese, lo storico Mark Humphries del Memorial University of Newfoundland in Canada, ha sottolineato che lo studio di alcuni documenti da poco ritrovati indica che l’inizio della pandemia possa essere stato uno degli avvenimenti collaterali della Grande Guerra ovvero la chiamata alle armi di 96mila lavoratori cinesi che prestarono servizio dietro le linee britanniche e francesi sul fronte Occidentale. Humphries ha rintracciato delle prove archivistiche di una malattia respiratoria che si sarebbe diffusa nella Cina settentrionale nel novembre del 1917 e che l’anno successivo fu riconosciuta come identica alla “spagnola” dai funzionari della sanità cinesi.
La diffusione
Come afferma Eugenia Tognotti nel suo La “spagnola” in Italia (Franco Angeli, 2015), la censura attuata dalla guerra provocò sulla stampa dell’epoca un effetto negativo: da una parte infatti i giornali dovevano essere il mezzo principale per comunicare le misure di emergenza per il contenimento dell’epidemia, misure quali la chiusura di cinema e teatri o il divieto di altri tipi di assembramento, compresi i funerali, ma dall’altro non poteva essere menzionato alcun tipo di orrore che si stava vivendo, con famiglie decimate e centinaia di bambini rimasti orfani. Venne proibito addirittura il suono delle campane a morto. Inoltre chiunque provasse a segnalare ciò stava accadendo veniva etichettato come disfattista.
D’altra parte, le due successive ondate della spagnola coincisero con due momenti cruciali della prima guerra mondiale: la prima coincise con l’ultima grande offensiva tedesca; la seconda, devastante, in autunno, fu oscurata dalla fine della guerra. Così assieme alla guerra si archiviò anche la pandemia, che comunque durò fino all’anno successivo, anche se con minore aggressività.
Dell’influenza spagnola si capì poco alla’epoca, attribuita a Haemophilus influenzae, un batterio isolato sul finire dell’Ottocento da Richard Pfeiffer, un biologo tedesco (cosa che alimentò non poco i complottisti del tempo), solo nel 1930 si scoprì che si trattava realmente di un virus. Non c’erano cure alla malattia, se non quelle sintomatiche e improvvisate. Anche le misure preventive, come disinfettare i marciapiedi, non furono particolarmente efficaci.
Contribuirono probabilmente alla diffusione del virus i grandi spostamenti di popolazioni e di truppe legati alla guerra, mentre si è meno sicuri nell’affermare che la mortalità del virus fu accentuata dal fatto di aver colpito popolazioni già dilaniate dalla guerra. Anche perché non si spiegherebbe il contagio e l’alta mortalità in Paesi neutrali e lontani dai campi di battaglia come la Spagna dove le vittime non mancarono.
Peraltro in Spagna le notizie sul virus circolavano liberamente e non erano soggette a censura tanto da far diffondere l’idea che la malattie si fosse diffusa e sviluppata maggiormente proprio in quel paese, ecco perché viene ricordata come influenza “spagnola”.
La mortalità dell’influenza spagnola
Il maggiore centro di controllo delle malattie al mondo, il CDC di Atlanta, ha stimato che il tasso di mortalità globale della pandemia di influenza spagnola è stato di 2,04. L’influenza potrebbe aver causato la morte di 25 milioni di persone solo nelle prime 25 settimane. Le stime più datate affermano che abbia provocato tra i 40 e i 50 milioni di decessi, mentre quelle più recenti sostengono che abbia ucciso tra i 50 e 100 milioni di persone.
L’influenza spagnola è stata descritta come “il più grande olocausto medico della storia” e in numeri assoluti, ma non in percentuale, ha provocato più morti della peste nera a causa dell’aumento della popolazione nel Novecento rispetto al Trecento.
Il virus dell’influenza “spagnola”, denominato A del ceppo H1N1, colpì nel 1918 soprattutto i giovani sani tra i 18 e i 30 anni, una stranezza considerando che di norma i più a rischio contagio sono i bambini e gli anziani. Il dato anomalo si può tentare di spiegare col fatto che i più anziani potrebbero essere stati parzialmente immunizzati avendo affrontato la pandemia influenzale “russa” del 1889-’90, Mentre quelli sotto i 18 anni potrebbero essere stati protetti dopo un’altra influenza analogo da virus avvenuta agli inizi del Novecento. Alcuni scienziati avanzarono l’ipotesi della “tempesta di chitochine” causata da una reazione spropositata del sistema immunitario e che è più efficiente nei giovani.
La “spagnola” in Italia
In Italia, che allora contava 36 milioni di abitanti, vennero colpite dall’influenza spagnola 4,5 milioni di persone e si stimano tra i 375mila e 650mila decessi. Non si conoscevano cure, morivano anche medici, infermieri, necrofori e si arrivò al punto di dover seppellire i morti in fosse comuni senza bara. La malattia dilaniò il Sud della penisola con punte di mortalità del 70%. Le limitate precauzioni che vennero messe in atto per tutto il tempo del contagio, erano evitare gli assembramenti, lavarsi bene le mani e curare l’igiene personale e adottare una buona e sana alimentazione, per quelli che riuscivano a permettersela.
L’influenza spagnola nell’arte e nella letteratura
Tranne il noto quadro di Egon Schiele, il pittore che, prima di morire a sua volta di spagnola, la rappresentò nelle fattezze della moglie Edith (incinta, e morta per mano del virus), l’arte e la letteratura ignorarono completamente la pandemia.
Mentre la peste del Trecento venne raccontata nel contemporaneo Decamerone di Boccaccio e poi nei secoli successivi in Shakespeare e Manzoni, raffigurata in centinaia di quadri in tutta Europa e ricordata nei libri di storia dove assume una posizione di assoluta importanza; l’influenza spagnola è stata oscurata e i primi libri che ne hanno parlato sono usciti soltanto alla fine del secolo scorso. Colpa di un’eterna sottovalutazione della malattia, considerata banale. Nel pensiero comune alla fine un’influenza cos’è: solamente “un abituale malanno di stagione”.