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Ernesto Nathan: il Sindaco venuto da lontano
“É il primo sindaco non romano dopo 37 anni, quanti ne sono corsi dal 1870, anzi nemmeno italiano, perché di origine inglese, nativo di Londra, in ogni caso repubblicano, israelita, massone, la sua presenza a capo del comune romano è misura del livello a cui siamo discesi.”
Così scrive nel 1907 la Civiltà Cattolica, all’indomani dell’elezione di Ernesto Nathan a Sindaco di Roma.
Effettivamente è proprio così: il primo cittadino è un esponente di spicco della Massoneria, nella quale ha ricoperto il ruolo di Gran Maestro ed anche una delle personalità più vicine alle idee mazziniane. Un legame primigenio lega Ernesto Nathan alla persona di Giuseppe Mazzini, esule in quella Londra ruggente e cosmopolita che ha fatto approdare il patriota italiano proprio nella casa di Sara Levi, madre del nostro, di origine ebraica, la quale diviene presto una delle più grandi finanziatrici del patriota italiano.
“Inglese, Ebreo, Massone. Tre affermazioni incontestabili e note a tutti” sottolinea quindi Anna Maria Isastia, curatrice della raccolta organica di scritti politici di Ernesto Nathan, ponendo l’accento sulla grande integrità della figura del Sindaco di Roma, praticamente inattaccabile se non attraverso pregiudizi e ottusità.
Casa Levi-Nathan: democrazia e libertà
Quinto di dodici figli, Nathan respira radicalismo e innovazione fin dai sui primi passi. Nasce il 5 ottobre del 1845 in una Londra che che ribolle, cuore pulsante del progresso e dell’economia mondiale.
La City però non è solamente la prima borsa d’Europa, ben presto essa diventa anche il laboratorio politico più frizzante del tempo: il continente è attraversato da un’ondata di moti rivoluzionari liberali di una portata inaudita. “É successo un ’48” è un’espressione ancora oggi in uso per descrivere eventi degni di nota e portatori di sconvolgimento. Molti fra i protagonisti dei moti liberali trovano asilo a Londra, fra cui ovviamente i rivoluzionari italiani.
Il patriottismo italiano in particolare è visto di buon occhio in terra inglese, che strategicamente parlando ha tutti gli interessi nella nascita di un nuovo attore internazionale capace di infastidire al contempo la Francia e l’Austria. Una posizione che sarà ben esplicitata nel sostanziale “patrocinio” della Corona Britannica, superpotenza dominante del periodo, all’Unità d’Italia.
In questo contesto casa Nathan diviene il punto di riferimento dei mazziniani esuli: oltre a Mazzini stesso, Saffi, Quadrio, Campanella e altre personalità direttamente legate al pensiero democratico e patriottico italiano.
A coordinare le attività è Sara Levi, detta Sarina, madre di Ernesto e fervente attivista di origine ebraica. L’Unità della Penisola è un’eventualità a cui la comunità ebraica italiana guarda con favore, intuendo la possibilità di integrarsi definitivamente e prestando un ingente contributo durante i moti del 48.
Alla morte del marito, agente di cambio, nel 1859, la signora Levi Nathan rileva una cospicua fortuna e decide di tornare in Italia nel 1862, agli albori dell’Unità, così da finanziare i progetti insurrezionali e democratici di ispirazione mazziniana.
L’arrivo a Roma di Ernesto Nathan
Nel 1870 anche Ernesto arriva in Italia, con il compito di dirigere il giornale mazziniano “La Roma del Popolo”. Mazzini è nel paese sotto pseudonimo, a causa delle sue attività politiche e si nasconde a Pisa presso una delle sorelle di Nathan, mentre la madre Sara tornerà soltanto l’anno successivo nella Capitale, anche lei costretta a fuggire a causa delle sue attività in sostegno dei repubblicani.
La formazione egli ideali del giovane Ernesto Nathan non possono essere dunque che di ispirazione squisitamente radicale, mazziniana e repubblicana.
Alla morte di Giuseppe Mazzini, nel 1872, il movimento repubblicano si divide fra chi vuole proseguire l’attività politica in maniera oltranzista e chi invece matura la necessità di agire all’interno del nuovo contesto istituzionale italiano. A questa seconda corrente aderisce Ernesto Nathan, nonostante la profonda e vera propria devozione che la sua famiglia nutre per il pensiero mazziniano.
L’Italia finalmente unita, completa di Roma Capitale, infatti non vede nella Monarchia il proprio punto critico, bensì nel pontefice e nelle frange cattolico-clericali che non riconoscono il governo laico. Meglio il re dunque, che la Chiesa. Quest’ultima sarà, prima e soprattutto durante il mandato da primo cittadino, la grande antagonista ideale di Ernesto Nathan.
Nathan e la Massoneria
Nel 1896 Nathan diventa Gran Maestro della loggia massonica del Grande Oriente d’Italia. La data non è casuale e coincide con la caduta, a seguito di numerosi scandali, fra cui il più celebre quello della Banca Romana, del governo di Crispi e la chiusura della stagione della Sinistra Storica.
La Massoneria è guidata fino a quel momento da Adriano Lemmi e rappresenta uno degli organismi più attivi nella costruzione dello stato nazionale italiano, legata a doppio filo alla politica e soprattutto unica alternativa di pensiero organico sulla costruzione del paese a quello cattolico e all’internazionalismo socialista. Ragione fondamentale che spinse Nathan ad aderire già nel 1887 alla Massoneria.
La rottura fra Nathan e i vertici dell’istituzione massonica arriva però proprio con la stagione Crispina, con lo spostamento del primo ministro verso un modello sempre più “bismarckiano” della gestione dello Stato e sempre più lontano dal pensiero radicale-mazziniano.
È sulla questione dell’integrità morale che Ernesto Nathan costruisce la sua campagna d’opposizione tanto verso Crispi quanto verso Lemmi, oramai compartecipi di una gestione corporativa del potere che vede la Massoneria orfana dei propri principi democratici e impegnata solamente nell’esercizio dell’influenza governativa. Per Nathan la Massoneria deve essere l’agente del rinnovamento dello Stato Italiano, il baluardo dei principi di democrazia e laicismo, non un organismo sotterraneo che mira alla gestione del potere qualsiasi esso sia.
Il Blocco Popolare
Nel 1907 si concretizza l’incubo degli ambienti aristocratici e cattolici della Capitale. Ernesto Nathan, già assessore all’economato e ai beni culturali, viene scelto per guidare una giunta composta laici, radicali e socialisti: il cosiddetto “blocco popolare”. Nathan ha 61 anni, ha maturato esperienza come capo dell’opposizione nel consiglio provinciale di Pesaro ed è conosciuto come uno dei più forti oppositori del clericalismo, d’ispirazione mazziniana e strenuo difensore della laicità dello Stato.
Il nuovo sindaco per molti versi può apparire come un marziano nella Roma del primo novecento: scomposta, aggrovigliata, dominata dal consociativismo della Chiesa Cattolica e dell’aristocrazia e dell’alta borghesia capitalista, fautrici di uno sviluppo predatorio e speculativo dell’Urbe. Distinto, elegante, raffinato, gli occhialini portati sul naso “alla Cavour” ed uno spiccato accento inglese che sottolinea ancor di più una padronanza barocca della lingua italiana, perlopiù imparata sui libri e negli ambienti amministrativi, che nella vita quotidiana.
Nonostante nel suo discorso d’insediamento Nathan legga la scelta della sua persona come elemento di sintesi moderata all’interno del blocco popolare che ha vinto le elezioni egli non può che essere per il suo rigore e per il profondo rispetto del mandato popolare una figura divisiva, soprattutto nei confronti dell’area della destra clericale e conservatrice. Un elemento ancor più evidente nell’Italia dell’epoca giolittiana, caratterizzata da una politica centrista volta ad accomodare di volta in volta i diversi estremi dello scacchiere politico, a cui la figura di Nathan si contrappone per esercitare invece una profonda scelta di campo.
Il dovere di un amministratore
Nathan si ritrova alla guida di una composta da elementi di spicco di cui, fra i tanti, Meuccio Ruini, assessore alla Pubblica Istruzione che nel 1953 diventerà Presidente del Senato della neonata Repubblica Italiana, Ivanoe Bonomi, assessore alle Finanze e futuro Presidente del Consiglio dei Ministri e Giovanni Montemartini, assessore ai servizi tecnologici e fautore insieme al sindaco stesso della politica di municipalizzazioni dei servizi pubblici della città.
La sindacatura si caratterizza fin da subito per una forte operosità, Nathan e i membri della sua squadra di governo seguono da vicino tutte le questioni, anche le più complesse. Per la prima volta nella storia della città, i membri della giunta capitolina affiancano e compensano l’operato dei funzionari pubblici del Comune. Il nuovo sindaco intuisce come le città saranno sempre più travolte dal progresso e lo sviluppo e proprio per questo necessitano di essere organizzate e governate.
Per fare ciò occorre saldare la rappresentanza politica all’azione amministrativa, essere amministratore per Nathan significa procedere sempre verso il bene comune, venendo meno ai dogmi ideologici. Così parla nel giorno del suo insediamento, il 2 dicembre del 1907:
“Siamo amministratori, nei limiti delle leggo e delle istituzioni, ribelli a qualsiasi dominio di partito, di scuola o di fede. Non ha limiti il nostro rispetto, la nostra tolleranza così per ogni convinzione religiosa, quando rinunzi ad usurpazioni di pubblico dominio per esercitare la sua influenza nell’ambito della privata coscienza, come per ogni opinione onestamente professata; non ha del pari limite la nostra incrollabile resistenza a pressioni od imposizioni da qualunque parte dovessero venire”.
Una professione di integrità morale e devozione civile, che ben descrive la passione amministrativa che caratterizza il mandato di Nathan, ma neanche troppo velatamente mette da subito in guardia i potentati abituati a decidere delle sorti della città, leggasi speculatori e clero.
La nuova Roma di Ernesto Nathan
La necessità di gestire e organizzare la Capitale si fa concreta nel 1909, quando viene varato il nuovo piano regolatore di Roma Capitale, il primo ad essere predisposto consultando le piante di Roma redatte dall’Istituto Geografico Militare e a basarsi quindi sulla morfologia reale della città, fino ad allora approcciata in maniera semplicistica.
Il nuovo piano di Nathan colpisce profondamente lo strapotere dei grandi proprietari: vengono stabilite le porzioni di terreno edificabili fuori le mura della città, viene adottato un criterio di costruzione eterogeneo, fissando dei limiti strutturali alle costruzioni e la loro variabilità. Vengono inoltre innalzate le tasse sulle aree edificabili. Il rapporto fra i potentati romani ( il 55% delle aree edificabili è sotto il controllo di soli otto proprietari) e il sindaco di Roma è irrecuperabile.
Nello stesso anno Nathan procede assieme a Giovanni Montemartini, assessore in quota socialista, ad un vasto programma di municipalizzazioni, cioè di passaggio sotto il controllo pubblico del comune di servizi essenziali per la cittadinanza, fino ad allora in mano a grandi gruppi privati.
In verità nella mente del sindaco tale processo non è da iscrivere a tendenze socialisteggianti in economia, anzi. Istituire aziende municipalizzate significa alimentare il regime competitivo dei settori interessati e riportare la libera concorrenza lì dove essa è stata annichilita dai grandi monopolisti.
Nathan è deciso a compiere un’operazione così importante assicurandosi un ampio mandato popolare. Il 20 settembre del 1909, data in cui si celebra la Breccia di Porta Pia, i romani vengono chiamati, in una giornata così significativa, ad esprimersi in un referendum sulla municipalizzazione dei servizi pubblici. A seguito della vittoria, nascono l’Azienda Autonoma Tranvie Municipali e l’Azienda Elettrica Municipale.
Il regime di concorrenza pubblico-privato messo in piedi da Nathan a pochi anni mostrerà già i suoi risultati: se prima del 1909 il costo dell’elettricità si aggirava sui 70 centesimi per kilowattora (kWh), già pochi anni dopo il costo scende a 50, fino a registrare in vent’anni il dimezzamento fino a 30 centesimi per kWH. Anche la gestione delle municipalizzazioni diventa un terreno di scontro con la Santa Sede, in particolare sull’acquisizione comunali degli acquedotti, di proprietà per larga parte del Vaticano.
La Scuola, base della Libertà
Ma la vera battaglia fra Nathan e la Chiesa si consuma sul campo dell’istruzione. L’oscurantismo religioso e la volontà monopolista del clero sull’educazione sono i veri ostacoli da abbattere. L’istruzione per il Sindaco di Roma, massone e mazziniano, svolge un ruolo fondamentale, tanto nella costruzione della coscienza nazionale, quanto nella battaglia per la laicità dello Stato.
“Il bilancio, il suo pareggio sono la legittima preoccupazione di ogni prudente amministratore;ma, sino a quando vi sia un solo scolaro entro la nostra cerchia amministrativa , il quale non possa ricevere istruzione ed educazione civile , in ambiente sano ed adatto, le considerazioni del bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze al bilancio morale ed intellettuale.”
dichiara in Aula Giulio Cesare Nathan e ancora
“Le scuole devono moltiplicarsi, allargarsi, migliorarsi; rapidamente, energicamente, insieme col personale scolastico, né ravvisiamo soverchia difficoltà a provvedervi, grazie alle facilitazioni contemplate nella legge che il Governo ha presentato ed il Parlamento ha approvato per contribuire alla legittima espansione ed al decoroso assetto della Capitale.”
Nathan mette in piedi un grosso piano di moltiplicazione degli edifici scolastici, aumentando considerevolmente non solo le scuole in territorio urbano, ma anche quelle nell’agro romano. Il bilancio a fine mandato conta più di 100 asili comunali per l’infanzia aperti. L’azione del sindaco non si limita però a una politica di quantità, ma anche sulla qualità del servizio scolastico.
Durante il mandato di Nathan nelle scuole romane iniziano a comparire i primi servizi di refezione scolastica, i primi laboratori e i primi cinematografi. A formare le nuove insegnanti viene chiamata Maria Montessori, fautrice di una didattica innovativa e di un modello di apprendimento rivoluzionario per l’epoca.
Sull’istruzione Nathan gioca una battaglia amministrativa, politica e soprattutto culturale, aprire una scuola laica e pubblica significa, nella sua idea, sottrarre terreno all’educazione e all’egemonia culturale del clero. La questione scolastica è anche al centro del discorso che Nathan nel 1910 tiene in occasione dell’anniversario della Breccia di Porta Pia, stessa ricorrenza in cui nell’anno prima egli aveva chiamato i romani a esprimersi sulle municipalizzazioni, e nel quale attacca duramente la Chiesa:
“Nella Roma di un tempo non bastavano mai le Chiese per pregare, mentre invano si chiedevano le Scuole. Oggi le Chiese sovrabbondano, esuberano e le scuole non bastano mai. Ecco il significato della breccia oh cittadini: Nessuna chiesa senza scuola!”.
Ernesto Nathan: la fine di una stagione
L’esperienza politica guidata da Ernesto Nathan, dopo anni pieni di rivoluzioni e innovazioni, si interrompe nel 1914. Nella Penisola il quadro politico, dopo la guerra Italo-turca per il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, appoggiata dallo stesso Nathan con spirito patriottico, e con la Prima Guerra Mondiale alle porte, volge sempre più a destra, con la saldatura fra le forze cattoliche e conservatrice assieme alle nuove correnti nazionaliste e lo spostamento deciso di Giolitti verso questa nuova tendenza.
Nathan si dimette, seppur con una salda maggioranza in consiglio comunale, leggendo l’inizio di una nuova fase politica, diametralmente opposta alla propria attività. Lo stesso nazionalismo che porta al commiato dall’esperienza capitolina avrà una forte presa su Nathan, che nella capacità di espandersi dello Stato Italiano legge l’opportunità di consolidare a livello internazionale il prestigio del paese.
L’ex sindaco di Roma trascorrerà gli ultimi anni della sua vita inquadrato nei ranghi del Regio Esercito, col grado di tenente, sul fronte austriaco, prima di venire a mancare a 76 anni, nel 1921.
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- Scritti Politici di Ernesto Nathan, Anna Maria Isastia (a cura di), Bastogi, 1998.
- Nathan e l’Invenzione di Roma, Fabio Martini, Marsilio, 2021.