La Cina rossa. Storia del Partito Comunista cinese
Per riuscire a comprendere la Cina contemporanea è fondamentale soffermarsi ad analizzare la storia del Partito Comunista cinese (PCC). E’ quello che fanno Guido Samarani e Sofia Graziani, autori del recente volume “La Cina rossa. Storia del Partito Comunista cinese” pubblicato da Editori Laterza, i quali intrecciano sapientemente la storia del PCC a quella della Cina dell’ultimo secolo.
“Nel 2021 il Partito Comunista cinese ha celebrato i suoi cento anni di vita e nell’autunno del 2022 il XX Congresso nazionale del PCC ha segnato uno dei momenti storici chiave nella storia del partito. E’ impossibile conoscere e comprendere la Cina, la sua storia moderna e contemporanea, i grandi successi così come le tragedie, senza conoscere a fondo e in modo documentato la storia del Partito Comunista cinese. Nel luglio del 1921, quando nacque, aveva una cinquantina di membri ed era un soggetto politico marginale; oggi conta circa novantasei milioni di iscritti e dal 1949 è alla guida di un paese immenso quanto diversificato che è diventato la seconda potenza economica mondiale”.
La lunga ricerca dei due storici della Cina, basata su un esame attento di una cospicua documentazione storica elaborata dalla recente storiografia occidentale e cinese, viene sapientemente esposta in questo volume, che già rappresenta uno studio scientifico unico e originale, perlomeno in Italia.
L’opera, di carattere manualistico, si suddivide essenzialmente in tre macro-sezioni: il periodo delle origini del PCC, dal 1921 al 1949, contraddistinto dalla lotta rivoluzionaria del partito per garantirsi la sua stessa sopravvivenza; gli anni fondamentali della fondazione della Repubblica popolare cinese a partire dal 1949 per arrivare alla morte del leader Mao Zedong nel 1976; gli sviluppi del partito nei decenni che seguono la morte di Mao fino ai nostri giorni.
L’esperienza politica del PCC ha inizio in una realtà semicoloniale, poiché il paese è provato da decenni di dominio culturale, politico e militare da parte delle diverse potenze occidentali alle quali si aggiunge il Giappone alla fine dell’Ottocento. Anche per questo motivo l’azione svolta dal partito si connota, sin da subito, per la netta posizione antimperialista che resterà per lo più immutata per tutta la sua centenaria attività.
La prima fase della vita del PCC si caratterizza per le strette relazioni con il Comintern (l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti attiva dal 1919 al 1943) segnate principalmente da due fattori: “Il primo, la supremazia di fatto di Mosca nel definire e far applicare le proprie visioni strategiche e tattiche alle scelte politiche del movimento comunista e rivoluzionario in Cina; il secondo, le spinte e le tendenze da parte del PCC per affermare e consolidare una propria autonomia rispetto a Mosca”.
La via cinese al socialismo
A partire dal 1945 emerge e si afferma la figura del leader Mao Zedong il quale conia, in occasione del ventottesimo anniversario dalla fondazione del partito, l’espressione “dittatura democratica popolare” in riferimento al Nuovo Stato comunista che sorge nel 1949.
“Tale dittatura sarebbe stata basata su di una coalizione tra quattro classi: proletariato, contadini, piccola borghesia urbana e borghesia nazionale; la coalizione tuttavia era posta sotto la guida del proletariato e in quanto tale il PCC era destinato a dirigere una simile alleanza in quanto avanguardia del proletariato. Sul piano internazionale Mao collocò la Cina futura in quanto parte del fronte anti-imperialista guidato dall’Unione Sovietica, dando l’avvio alla politica di pendere da una parte”.
L’idillio tra Cina e URSS non dura a lungo; il periodo di destalinizzazione seguito alla morte di Iosif Stalin coincide con la decisione di Mao di attuare l’ambizioso piano di sviluppo economico passato alla storia come Grande Balzo in avanti e di cercare una via tutta cinese verso il socialismo, prendendo le distanze dalla realtà sovietica.
“Il Grande balzo in avanti si poneva l’obiettivo utopico di realizzare un balzo in avanti nell’economia cinese portando ad una crescita rapida nella produzione agricola e di acciaio che avrebbe consentito alla Cina di competere nel breve medio termine con i paesi avanzati europei, sorpassandoli quanto a capacità di produzione industriale (…) Si fece dunque appello alla volontà del popolo e alla sua capacità di mobilitazione attraverso una massiccia propaganda tesa a sollecitarne il contributo alla costruzione del comunismo”.
I primi anni Sessanta, caratterizzati dall’isolamento internazionale di Pechino e segnati dal Movimento di educazione socialista, inaugurato da Mao nel 1962, sono seguiti dal periodo della Rivoluzione culturale con la quale il leader mira ad eliminare i suoi avversari politici. La rivoluzione, di per sé, viene concepita essenzialmente come un “movimento teso a rigenerare spiritualmente il popolo cinese”. A succedere a Mao nel ruolo di leader è Deng Xiaoping il quale enuncia il 30 marzo 1979 i quattro principi fondamentali della sua azione politica: la riaffermazione del ruolo guida del PCC, la dittatura del proletariato, via socialista cinese e diffusione del pensiero di Mao.
Le profonde riforme promosse da Xiaoping e dai vertici del partito negli anni Ottanta, che alterano sensibilmente il rapporto tra Stato e società, sfociano in un’ampia ondata di proteste studentesche che hanno il loro epilogo con l’intervento dell’esercito in piazza Tienanmen il 4 giugno 1989. Nonostante le tensioni sociali e le innumerevoli difficoltà, il PCC riesce sia a mantenere un solido controllo sullo Stato e sia a portare avanti un valido programma di sviluppo economico del paese. A raccogliere l’eredità politica di Mao e Xiaoping sono Jiang Zemin (1989-2002) e dopo di lui Hu Jintao (2002-2012) e Xi Jinping riconfermato quale Segretario generale del partito per un terzo mandato solo pochi mesi fa.
La ricostruzione dettaglia delle diversificate peculiarità del PCC, realizzata dai due autori in questo volume, rappresenta un utilissimo strumento per capire la Cina attuale e cogliere alcuni aspetti della società cinese che magari possono sfuggire ad una osservazione più superficiale. In un seppur parziale bilancio finale dell’attività del PCC nei cento anni di vita non si può non riconoscere al comunismo cinese il raggiungimento di alcuni risultati positivi nell’azione svolta, alla luce anche dell’importante ruolo geopolitico attuale del paese:
“Successivamente al 1949, nel corso di più di settant’anni di egemonia e di dominio politico, sociale ed ideale, il PCC ha saputo guidare la Cina da una condizione di sottosviluppo e di influenza spesso marginale negli affari mondiali ad una realtà caratterizzata da una straordinaria crescita economico-sociale e da un ruolo sempre più importante negli affari regionali e globali: ciò è stato possibile grazie in particolare ad un ampio e profondo processo di ripensamento delle proprie strategie interne ed internazionali portato avanti in particolare dopo la morte di Mao Zedong”.
Guido Samarani è stato docente di Storia ed Istituzioni dell’Asia presso l’Università Cà Foscari di Venezia. Sofia Graziani è docente di Storia e lingua cinese presso l’Università di Trento.
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