CONTENUTO
“La Commissione, a conclusione delle indagini fatte, ritiene concordemente che v’è una precisa responsabilità del Comandante per errata manovra […] In tutta la condotta della spedizione fino alla catastrofe, ed anche dopo, il Generale Nobile ha dimostrato di avere limitate qualità tecniche di pilota e negativa capacità di comando” “[…] questo atto [di fruire per primo del soccorso di un aereo che poteva portare a bordo un solo sopravvissuto] del Generale Nobile, contrario alle tradizioni ed alle leggi dell’onore militare, non trova nessuna giustificazione plausibile […]” (estratto dalla Relazione della Commissione d’indagini per spedizione polare dell’aeronave “Italia”, 27 febbraio 1929).
Dirigibile versus aereo
Umberto Nobile, figura di spicco e controversa nella storia dell’aviazione italiana, è stato un ingegnere, progettista e comandante di dirigibile. Nato nel 1885 a Lauro, in provincia di Avellino, dopo gli studi classici si laureò con lode a Napoli nel 1908 in ingegneria industriale meccanica. La famiglia paterna, Delle Piane, era nobile, ma fu privata del titolo e mutò il cognome dopo l’annessione del regno borbonico a quello d’Italia per aver rifiutato l’omaggio ai Savoia.
Come è noto, il primo aereo ad alzarsi in volo fu quello progettato da Orville e Wilbur Wright, il 17 dicembre 1903, allorquando i due fratelli testarono con successo a Kitty Hawk una “macchina volante” pilotata da un uomo (il Flyer, primo velivolo a motore), che decollò con la propria potenza e rimase nell’aria al primo tentativo per 12 secondi e, dopo aver percorso 36 metri, atterrò senza troppe scosse.
Prima dei Wright, altri inventori avevano esplorato la possibilità di librarsi nel cielo, per mezzo di mongolfiere, dirigibili, alianti. Si trattava di mezzi idonei anche per uso militare, e l’Italia non restò insensibile alla possibilità di sfruttarli. Già negli anni Ottanta dell’Ottocento nell’ambito dell’Esercito fu costituito il Servizio Aeronautico, e furono sviluppati gli aerostati, un involucro contenente un gas più leggero dell’aria e che si solleva e si sofferma a seconda della sua forza ascensionale.
In ambito mondiale i primi dirigibili di grandi dimensioni (aerostati che erano delle vere e proprie navi aeree o, come si diceva in Italia al tempo, “aeronavi”) furono sviluppati a partire dalla fine del XIX secolo. Gli Zeppelin – che prendevano il nome dal loro inventore tedesco Ferdinand von Zeppelin che nel 1899 iniziò la costruzione del suo primo dirigibile rigido – cominciarono a volare regolarmente a partire dal 1900 e furono utilizzati per voli passeggeri, trasporto merci e, naturalmente, anche per scopi militari. Si pensi a che rivoluzione nelle tattiche militari poteva essere quella di avere dall’alto la visione del campo di battaglia.
In quel periodo si aprì un dibattito sulla superiorità tra le due tecnologie di trasporto. I dirigibili erano visti come più avanzati e affidabili rispetto agli aerei, che all’epoca erano sperimentali e poco sviluppati. In più, i primi offrivano una maggiore capacità di carico e autonomia di volo, rendendoli adatti per il trasporto passeggeri e merci. Certo, in molti credevano che gli aerei avrebbero a lungo termine soppiantato i dirigibili, grazie alla loro maggiore manovrabilità e per fattori di sicurezza.
Nel 1911, mentre il dibattito ferveva, Nobile frequentò, da civile, uno dei primi corsi universitari di aeronautica a Roma, presso la Caserma Cavour, nel quartiere Prati. Si trattava di attività formativa impartita in special modo ai componenti il battaglione di specialisti del Genio, la prima Unità militare dedicata al volo. Dietro la cattedra un illustre pioniere della tecnologia aeronautica, Gaetano Arturo Crocco, precursore anche nel settore spaziale, che sarà un maestro e mentore di Nobile ma, anni più tardi, non mancherà di segnalarne gli errori nella conduzione della missione del dirigibile Italia.
Crocco nel 1904 aveva scritto una nota sulla stabilità dei dirigibili che gli era valsa la medaglia d’oro dall’Académie des sciences di Parigi, e nel 1907 aveva progettato, in collaborazione con Ottavio Ricaldoni (a sua volta ufficiale ingegnere), il N1, il primo dirigibile militare in Italia, caratterizzato da una rivoluzionaria struttura semirigida snodata nella parte inferiore dell’aeromobile, da 2.700 mc, che un paio di anni più tardi aveva compiuto parecchi voli, tra cui quello storico da Vigna di Valle (base di partenza) a Roma, il primo aeromobile a sorvolare la Capitale, a 500 metri di quota. Essendo i dirigibili particolarmente suscettibili ai fattori atmosferici, ed avendo una struttura rigida, quelli tradizionali erano vulnerabili alle sollecitazioni e presentavano il fattore di rischio della rottura. La formula semirigida di Crocco e Ricaldoni consentiva di volare su distanze più lunghe rispetto a quelli tradizionali e risultava più sicura.
Nel maggio 1912 proprio nella caserma Cavour fu costituito lo Stabilimento Costruzioni Aeronautiche (S.C.A.) per la produzione di dirigibili e aerostati militari, che sarebbero stati utilizzati durante la Prima guerra mondiale. L’Italia si fece trovare pronta, e giocò un ruolo significativo nel settore. L’attività industriale veniva completata presso i vicini aeroporti di Vigna di Valle e Ciampino, utilizzando componenti prodotti dalla stessa industria, comprese parti metalliche come l’elica, la navicella, la coda e il remo.
Il dirigibile utilizzato durante la guerra era di medie dimensioni, da 12.000 m³, e poteva operare a velocità relativamente elevate, comprese tra 3.000 e 6.000 metri, seppure fosse preferibile rimanere a quote alte, intorno ai 5.600 metri, per sottrarsi alla primordiale “contraerea” ed ai velivoli nemici. I dirigibili incontrarono comunque numerose difficoltà nel loro impiego militare, poiché per le loro dimensioni entravano facilmente in collisione con il fuoco avverso, venendone abbattuti, e necessitavano di grandi strutture logistiche per il loro recupero.
Fu un periodo intenso per Gaetano Arturo Crocco, che nell’ambito dello S.C.A. si avvalse anche di uno dei suoi migliori allievi, Nobile. Quest’ultimo nel 1916 progettò con l’ingegnere Ugo Pesce un dirigibile per l’esplorazione del mare, battezzato “O”, del quale furono costruiti 15 esemplari, per la maggior parte destinati alla Marina italiana. Inoltre, nel 1918 ideò il nostro primo paracadute, quindi realizzò con l’ingegnere Gianni Caproni il primo aeroplano metallico italiano (Ca 73), con strutture tubolari in acciaio ispirate a quelle in uso nei dirigibili. Su proposta della Goodyear Tire and Rubber Company si trasferì per due mesi in Ohio, negli USA, per collaborare alla costruzione di un’aeronave militare.
La guerra aveva portato con sé la vittoria ma anche problemi economici per lo Stato, che indussero ad un vasto programma di smobilitazione delle strutture aeronautiche. Nobile, entrato come dipendente civile nell’esercito italiano, era intanto divenuto direttore dello Stabilimento nel 1919 (carica che manterrà sino al 1927) e si impegnò per conservarlo, assieme alle posizioni lavorative e all’esperienza acquisita. Intanto il partito fascista era salito al potere, esprimendo il Capo del Governo.
È opportuno ricordare che Benito Mussolini stesso era da anni affascinato dal volo in aereo, che provò sin dal 1913. Inoltre, i Futuristi di Marinetti, che a loro volta esaltavano la modernità ed il progresso tecnologico, erano una componente non secondaria del movimento fascista. Appare quindi conseguenziale che nel 1922 nel suo primo Gabinetto Mussolini istituisse un Commissariato generale per l’Aeronautica, che sarebbe presto evoluto in un ministero autonomo, e formasse l’Arma Aeronautica accanto al Regio Esercito ed alla Regia Marina.
Creare una nuova Forza Armata significava realizzarne la struttura, l’organizzazione, il personale. Furono indetti dei concorsi, cui partecipò lo stesso Nobile, che, risultato vincitore, entrò nel Corpo ingegneri – paradossalmente senza aver neanche prestato il servizio militare obbligatorio, essendo impegnato durante la Grande guerra nello Stabilimento Costruzioni Aeronautiche – vestendo da subito il grado di tenente colonnello. La sua attività non si fermava: nel 1924 collaborò col generale Alessandro Guidoni, ingegnere nel genio navale della Regia Marina, allo studio e alla costruzione di un elicottero.
Amundsen, il Norge e la prima missione al Polo Nord
Fu nel 1925 che ottenne il brevetto per pilota di dirigibile in collaudo e venne in contatto con l’esploratore norvegese Roald Amundsen. Questi il 14 dicembre del 1911 aveva piantato la propria bandiera al Polo Sud ed ora aveva intenzione di sorvolare il Polo Nord, inizialmente contando sugli idrovolanti, per poi – dopo un’avventura fallimentare – rendersi conto che sarebbe stato più opportuno affidarsi ad un dirigibile, cosa che fece acquistando (formalmente sotto “bandiera” dell’Aero Club Norvegese grazie al finanziamento del miliardario americano Lincoln Ellsworth) l’aeronave italiana N1, che fu opportunamente ribattezzata Norge.
Nell’equipaggio, oltre lo sponsor americano e naturalmente lo stesso Amundsen, anche Nobile che curiosamente portò con sé la sua cagnetta Titina (cosa che pare non fu molto gradita dal norvegese), ed altri cinque italiani, sette norvegesi, ed un meteorologo svedese, Finn Malmgren, peraltro il solo scienziato presente, che parteciperà anche alla tragica avventura del dirigibile Italia. Partito da Ciampino il 10 aprile 1926, l’N1/Norge effettuò la storica prima traversata della calotta glaciale artica.
Il suo percorso fu segnato da tappe a Pulham Market in Inghilterra, Oslo e Leningrado (dove fu costretto a una lunga sosta a causa del maltempo), per riprendere il volo il 5 maggio da Vadsø, raggiungere le Isole Svalbard – la parte più remota della Norvegia – e sorvolare il Polo alle 1:30 del 25 maggio 1926, proseguendo lungo il 150° meridiano di Greenwich, con atterraggio finale in Alaska. Il Norge aveva volato per 171 ore, di cui 72 attraverso l’Oceano Artico. Aveva effettuato il primo volo transpolare della storia, che ebbe qualche risultato scientifico, ma fu soprattutto un precursore per ricerche future, fornendo osservazioni meteorologiche in una regione fino ad allora sconosciuta.
La missione ebbe quindi successo, premiando l’industria italiana di ideazione e costruzione di dirigibili, ma generò contrasti tra i due protagonisti che scrissero rapporti separati e discrepanti. In Italia Nobile venne salutato come un eroe, con un ruolo superiore rispetto agli altri componenti la missione. Il governo fascista apprezzò particolarmente l’impresa ed al nostro fu conferito il grado di generale, a soli 41 anni, nonché l’Ordine militare di Savoia. Nell’ottobre 1926, l’Università di Genova gli concesse la laurea in Scienze nautiche, e quella di Napoli lo nominò professore ordinario di Costruzioni aeronautiche.
Ma se l’Italia era stata in grado di fornire un contributo tanto importante ad una missione altrui, perché non organizzarne ed effettuarne una in proprio? Via via che l’idea maturava, si alzavano voci dissenzienti. La più importante quella di Italo Balbo, sottosegretario all’Aeronautica, che vedeva il futuro nello spazio con gli aeromobili, e quello dell’aeronave solo nella esplorazione sul mare, e criticava gli alti costi da sostenere per la spedizione.
La missione del dirigibile Italia
Nobile come abbiamo accennato aveva acquisito il titolo di collaudatore nel 1925, ma non quello di comandante di dirigibile. Era indubbiamente una figura eminente nel campo dell’ingegneria, della costruzione e della progettazione, non del pilotaggio. Egli, che di questa missione era il fautore e che dell’aeronave sarà il Comandante, risolse la questione da una parte ricercando ed ottenendo l’appoggio diretto di Mussolini e dall’altra, per coprire le spese ingenti, trovando una serie di sponsor privati raccolti nel Comitato Finanziatore, con un innovativo accordo di esclusiva per la fornitura delle notizie stampa sull’andamento della missione.
Italo Balbo a quel punto dovette piegarsi alla volontà del Capo del Governo e concedere l’uso del dirigibile, con convenzione del 6 dicembre 1927, alla Reale Società Geografica Italiana, sicché formalmente la spedizione non ebbe i crismi di una missione ufficiale dell’Aeronautica, ma di una partecipazione di questa e della Regia Marina, che pose a sua volta a disposizione proprio personale , nonché la nave appoggio Città di Milano, una posacavi adattata per l’esigenza, per la effettuazione di studi di fisica terrestre e mappatura dei fondali e delle coste, sviluppate dal proprio Istituto Idrografico di Genova.
L’aeronave prescelta fu assai simile all’N1/Norge, seppure il modello fosse l’N4 che presentava alcune migliorie, e venne battezzata “Italia”. Il dirigibile, lungo 105 metri, aveva un diametro massimo di 19,4 metri. Nella parte inferiore vi era una navicella di comando, dove sostava l’equipaggio, e utilizzava tre motori a elica per spostarsi. La velocità massima era di poco superiore ai 100 chilometri orari. La caratteristica della spedizione era di essere peculiarmente scientifica, con il fine di raccogliere una vasta serie di dati, svolgendo numerosi voli, e non un unico sorvolo.
L’ambizioso obiettivo era quello di ancorarsi e sbarcare tre uomini al Polo Nord geografico con una speciale piattaforma calata sul pack, per effettuare una serie di rilievi e prelievi. Doveva essere montata una tenda rifornita di razioni alimentari, al cui interno sarebbe stata installata una stazione radio e in seguito effettuare osservazioni, campionature e misurazioni. L’equipaggio di partenza comprendeva Umberto Nobile, come abbiano accennato quale comandante, altri 17 uomini (due stranieri), tra tecnici, scienziati, due giornalisti (uno del Corriere della Sera e l’altro del Popolo d’Italia, il quotidiano fondato da Mussolini ed ora diretto da suo fratello Arnaldo), personale di terra e di bordo (alpini comandati dal capitano Gennaro Sora, ufficiali e sottufficiali di Marina e di Aeronautica) e un animale: l’immancabile cagnetta Titina, come mascotte.
Da segnalare che a bordo del dirigibile fu caricata una trasmittente radio sperimentale, alleggerita e funzionante esclusivamente ad onde corte, invece del tradizionale sistema di soccorso operante su onde medio-lunghe secondo le convenzioni in vigore a quel tempo. Tale stazione radio doveva servire per il campo di osservazioni scientifiche sulla superficie polare. Il dirigibile partì da Ciampino il 19 marzo 1928. Dopo una sosta a Baggio, Milano, il 15 aprile riprese il viaggio e dopo due tappe intermedie diresse verso la Baia del Re, Kings Bay, sul Kongsfjorden, un fiordo situato nell’isola di Spitsbergen, una delle isole Svalbard, trovando riparo nello stesso hangar utilizzato a suo tempo per il Norge.
La tragedia del Dirigibile Italia. Cosa accade?
Era stato previsto di effettuare dei voli esplorativi. Per quello che fu il terzo ed ultimo volo, persistevano cattive previsioni meteo. Si decise la partenza da Ny-Ålesund alle 04:28 del 23 maggio. A bordo sedici persone. Fu in effetti raggiunto il Polo Nord alle ore 00.24 del giorno seguente, e sulla verticale furono lanciate una croce di quercia benedetta da Pio XI, la bandiera italiana e il gonfalone della città di Milano. Non vi fu la possibilità di far scendere alcuno sul pack. Il dirigibile stazionò lentamente e a bassa quota sul Polo per un paio d’ore, con relativo appesantimento di ghiaccio sulla superficie telata (una copertura esterna in triplo strato di cotone rinforzato in gomma), e indi si dispose al ritorno. Lo colpì una tempesta di neve, talché alle 10.33 del 25 maggio si schiantò sulla banchisa dell’Oceano Artico, a nord-est delle Spitzbergen, a circa 81°14’ di latitudine nord, un centinaio di chilometri dalla Terra di Nord-Est.
Il fondo della cabina di comando si ruppe, sì che precipitarono sul ghiaccio dieci uomini (Behounek, fisico cecoslovacco; Biagi, sottufficiale della R. Marina che aveva l’importante funzione di radiotelegrafista; Cecioni, tecnico dello Stabilimento Costruzioni Aeronautiche; Malmgren, meteorologo svedese; Trojani, ingegnere; Mariano, Viglieri, Zappi, ufficiali della R. Marina; lo stesso Nobile, che riportò alcune fratture a un braccio e una gamba; Pomella, motorista meccanico che morì nell’impatto). In sei (Alessandrini, tecnico attrezzatore; Arduino e Caratti, sottufficiali meccanici della R. Aeronautica; Ciocca, meccanico dello Stabilimento Costruzioni Aeronautiche; Lago, giornalista e Pontremoli, fisico dell’Università di Milano), all’interno dell’involucro che riprese quota e delle navicelle motrici laterali, scomparvero.
Le ricerche non consentirono di rinvenire né il dirigibile né gli uomini. Fu avvistata dai sopravvissuti, nella direzione in cui l’involucro era scomparso, una colonna di fumo alta e nera, che diede la quasi certezza che l’involucro fosse stato distrutto dal fuoco. Tra i materiali caduti sul pack o lanciati da Arduino in un ultimo disperato sforzo vi era fortunatamente cibo, la stazione radiotelegrafica di cui abbiamo parlato sopra e la Tenda Rossa, due metri e ottanta per due e ottanta, che rimarrà famosa poiché consentì il successivo avvistamento e diede il titolo ad un film del 1969 di Michail Kalatozov, basato sul romanzo omonimo dello scrittore Yuri Nagibin. In realtà fu così colorata con l’anilina, una sostanza usata per le rivelazioni altimetriche, proprio per renderla visibile.
Malgrem (che aveva pure ucciso con un colpo di pistola un orso le cui carni approvvigionarono ulteriormente i viveri), Mariano e Zappi decisero di avventurarsi verso Capo Nord per incontrare le spedizioni di soccorso. Il telegrafista Biagi, con la radio Ondina 33, lanciava gli SOS, finalmente captati il 3 giugno ad oltre 1200 km da un contadino e radioamatore dilettante sovietico, Nicolaj Schmith. L’8 giugno vi fu un contatto radio tra i naufraghi e la nave-appoggio Città di Milano, mentre missioni di salvataggio erano state avviate da parte di Italia, Svezia, Norvegia, Russia, Francia e Finlandia. Il 19 un idrovolante Savoia-Marchetti S.55A pilotato dal mitico ufficiale dell’Aeronautica Umberto Maddalena, li individuò, ma non potendo atterrare, compiendo più viaggi, li rifornì di viveri e medicinali.
Il 24 un piccolo aereo svedese dotato di pattini, comandato dal tenente Einar Lundborg, riuscì ad atterrare, portando intanto in salvo un solo passeggero come il suo piccolo aereo gli consentiva: Nobile, e la inseparabile cagnetta. Si mormorò che le insistenze di Lundborg perché Nobile salisse a bordo nascondessero l’interesse di alcune compagnie di assicurazione al primario salvataggio del Comandante la missione. La decisione di Nobile di partire fu in seguito oggetto di furiose polemiche. Egli si giustificò asserendo che sarebbe stato utile per coordinare i soccorsi e che voleva che fosse inizialmente salvato Cecioni, pure lui con una gamba fratturata. Si fece promettere da Lundborg di effettuare subito un altro volo, per recuperare almeno un altro membro della spedizione. Questi mantenne la promessa, ma durante la manovra di atterraggio il Fokker cappottò, talché lo svedese fu costretto ad unirsi per qualche giorno agli altri naufraghi della Tenda Rossa.
Finalmente i superstiti furono raggiunti il 12 luglio (la loro incredibile avventura durò 49 giorni) dal più potente rompighiaccio sovietico del tempo, il Krassin, che partito il 15 giugno da Leningrado aveva circumnavigato la penisola scandinava, comandato da Rodolfo Samoilovich, che – come emergerà da successive ricerche storiche – era stato inviato dall’URSS su richiesta italiana, previo pagamento delle spese. Il meteorologo svedese Malmgren che si era allontanato con Mariano e Zappi fu colto da un collasso e chiese ai suoi compagni di essere lasciato indietro. Il 10 luglio il pilota sovietico Boris Chukhnovsky aveva avvistato durante un volo di perlustrazione lanciato dal Krassin i due uomini sopravvissuti, e la nave recuperò anche loro. Il corpo dello svedese non fu più ritrovato. Se i membri dell’equipaggio periti furono otto, le operazioni di soccorso avevano portato alla scomparsa anche del 56enne e prossimo al matrimonio Amundsen, il 18 giugno nel mare di Barents, mentre a bordo di un aereo inviato dalla Francia, si dirigeva sui luoghi per prendere parte alla ricerca dei dispersi.
Il rientro di Nobile fu salutato da violente polemiche, ma anche da una folla numerosa in attesa alla stazione ferroviaria di Roma. Ma non era certo un evento ufficiale. Il regime non poteva sopportare quello che ravvisava come un duro colpo per il prestigio dell’Italia. Balbo non perse l’occasione per criticare aspramente Nobile, accusandolo di incompetenza e negligenza. Lo stesso Mussolini ebbe con lui un incontro freddo e formale. Alla fine dell’autunno 1928 fu costituita una commissione d’inchiesta, presieduta dall’ammiraglio di armata Umberto Cagni, composta da altri quattro militari (De Pinedo, Generale di Brigata Aerea, avente funzioni di Capo di Stato Maggiore della R. Aeronautica; Vacchelli, Generale di Brigata; Denti Di Pirajno, Ammiraglio di Divisione; Cavalli, Tenente Generale Medico della R. Marina) e un magistrato (Pujia, Presidente di Sezione di Corte di Cassazione), che si avvalse della collaborazione di Gaetano Arturo Crocco.
Le risultanze della commissione, rese note il 4 marzo 1929, come abbiamo riportato in uno stralcio in apertura, furono del tutto sfavorevoli a Nobile. In effetti aspetti che sarebbero inaccettabili in tempi attuali, pure allora parvero gravi. Egli fu accusato di aver male organizzato la spedizione sotto l’aspetto del reclutamento del personale, non specificatamente preparato (tra gli altri prescelse il suo autista presso lo Stabilimento Costruzioni Aeronautiche, che perì nell’incidente) e quello dei soccorsi (che coinvolsero sei paesi, 18 navi, 21 aerei e 1.500 uomini); compiuto un errore di manovra all’altezza del Polo (contraddittoriamente dando velocità all’aerostato in caduta e nel contempo lanciando una ancora sui ghiacci); abbandonato il posto di comando e i suoi uomini (sebbene come abbiamo detto il pilota del primo mezzo di soccorso giunto avesse insistito nel prenderlo a bordo, avendo a suo dire ricevuto ordini tassativi nel senso). Il giorno 5 Nobile si dimise dall’ Aeronautica e, poco dopo, anche dall’insegnamento universitario.
L’ “esilio”. Il periodo in Unione Sovietica e la II Guerra mondiale
Nell’estate del 1931 Nobile sul rompighiaccio sovietico Malyghin compì un viaggio per svolgere ricerche sulla scomparsa del dirigibile, senza esito. Il suo genio costruttivo non poteva però lasciare indifferenti. I russi gli affidarono la guida per cinque anni di un programma di dirigibili, tanto che nel gennaio 1932 si trasferì in Unione Sovietica, a Dirizhablestroi (“Fabbrica per Dirigibili”) vicino Mosca, per sovrintendere alla progettazione e costruzione di tre semirigidi.
Tornò in Italia nel dicembre 1936, e collaborò informalmente per alcuni mesi con l’ingegner Caproni. Il regime non gradiva però la sua presenza sul suolo patrio, talché verso la fine del 1939, si recò negli Stati Uniti per dirigere e sviluppare una fondazione di ingegneria aeronautica ed insegnare a Chicago; quindi, guerra durante, nel 1943, tenne una serie di conferenze in Spagna. Intanto, nonostante i progressi, i dirigibili rimasero vulnerabili agli incidenti, come indica la tragedia del Hindenburg nel 1937, che segnò il declino definitivo di questa tecnologia a favore degli aerei.
Il rientro in Italia di Nobile
La caduta del fascismo consentì il rientro di Nobile. Fu reintegrato nei ranghi dell’Aeronautica, col grado di maggior generale del genio aeronautico, e nel 1946 – in coerenza con simpatie socialiste che gli venivano attribuite in gioventù – fu eletto come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano, per l’Assemblea costituente. Chiusa la parentesi politica, riprese a insegnare all’Università di Napoli e a studiare aerodinamica, aeronautica e astronautica. Non smise mai di dar voce alla propria difesa per i fatti del dirigibile Italia, ed ebbe la soddisfazione di essere scagionato da una nuova commissione militare e di ottenere nel 1966 la nomina a Grande Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana. Morì 93enne a Roma il 30 luglio 1978.
La Tenda Rossa, nella quale trovarono riparo i superstiti della tragica missione in attesa dei soccorsi, rimane nel ricordo collettivo il simbolo di quel disastro. Essa è ora dopo un lungo restauro esposta al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Il sogno di Nobile di “sbarcare” sul Polo Nord, sponsorizzato dal regime fascista, si schiantò sulla banchisa, assieme al dirigibile Italia da lui progettato e comandato. Una ambizione – sostenuta però da carente organizzazione e scarsa capacità di comando – che accomuna il funesto destino di molti a lui affidati a quello di Icaro, figura della mitologia greca che, dotato di ali di cera, volle accostarsi troppo al sole.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Umberto Nobile, L’Italia al Polo Nord. 1928: l’ultima epopea del dirigibile, Marsilio, 1987.
- Giuseppe Gianfranceschi, Diario verso il Polo Nord. Diario inedito tenuto durante la spedizione del gen. Umberto Nobile col dirigibile «Italia» del 1928, Sandit Libri, 2020.