CONTENUTO
Alle origini della spedizione
Nel 1848 Carlo Pisacane è tra i protagonisti della Prima guerra d’indipendenza e, dopo aver partecipato attivamente all’impresa della Repubblica Romana (febbraio-luglio 1849) insieme a Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Goffredo Mameli e Giuseppe Garibaldi, rimane un convinto sostenitore del mazzinianesimo, seppur criticandone alcuni aspetti. Pisacane crede che, prima ancora dell’istruzione e della formazione del popolo, come invece predica la dottrina mazziniana, occorresse risolvere la questione sociale (o questione contadina), attraverso la riforma agraria.
Altro motivo di contrasto con l’ideologia mazziniana era la questione religiosa. Mentre Mazzini si considera l’apostolo di una nuova religione con un personale concetto di Dio – per alcuni tratti avvicinabile al deismo settecentesco – Carlo Pisacane si dichiara apertamente ateo. Va inoltre ricordato che Pisacane è, in Italia, il teorico di quella che poi diventerà la “propaganda del fatto”, ovvero l’azione avanguardista che genera l’insurrezione.
Secondo questa visione è necessaria la rivoluzione sociale e, per tale motivo, bisogna impegnarsi fisicamente e attivamente nell’impresa rivoluzionaria. Solo dopo aver liberato il popolo dalle sue necessità materiali lo si potrà istruire ed educare per condurlo alla rivoluzione. Nel suo testamento politico, posto in appendice al Saggio sulla rivoluzione, afferma:
profonda mia convinzione di essere la propaganda dell’idea una chimera e l’istruzione popolare un’assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, e il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero.
Questo è il senso del suo affermare che “l’Italia trionferà quando il contadino cangerà spontaneamente la marra con il fucile”. È chiaro che tali espressioni sono da considerare a sostegno di un socialismo radicale e avverso sia a ogni riformismo sia alle soluzioni della questione sociale in senso interclassista, come auspica lo stesso Mazzini. Per questo motivo Carlo Pisacane è da molti considerato non solo un patriota e rivoluzionario, ma anche un precursore dell’anarchismo, se non un vero e proprio anarchico.
Dopo l’esito negativo dell’insurrezione di Milano (1853) Mazzini rimane convinto che il fallimento del moto sia dovuto alle scarse capacità organizzative e continua a considerare necessario il processo rivoluzionario per giungere all’unità. Nel frattempo tra i democratici italiani si vanno delineando nuovi orientamenti che tendono a mettere in discussione la guida di Mazzini e a contestare la sua strategia.
Da un lato vi è chi ritiene la strategia troppo intransigente e spera in una più ampia collaborazione con tutte le forze interessate al raggiungimento dell’unità, dall’altro vi è chi, collocandosi in una posizione più radicale, essenzialmente socialista, critica da sinistra l’impostazione mazziniana e la considera disinteressata ai problemi sociali e alle esigenze delle classi subalterne.
Con il testo Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 Pisacane introduce il tema del socialismo all’interno al dibattito risorgimentale. Egli è fortemente persuaso del fatto che l’Italia meridionale offra il terreno più adatto per la rivoluzione, per le sue caratteristiche di paese arretrato e con una borghesia ancora debole. Bisogna dunque fare leva sulle misere condizioni dei contadini, soprattutto del sud, per avviare il processo rivoluzionario.
Nonostante le divergenze ideologiche, Pisacane e Mazzini trovano un terreno di collaborazione nella preparazione di un nuovo progetto insurrezionale da attuarsi, questa volta, nell’Italia meridionale. Il lavoro di preparazione viene avviato nel febbraio 1857, mentre il piano della spedizione è fissato definitivamente in una riunione tenuta a Genova il 4 giugno dello stesso anno.
Il progetto e il fallimento della spedizione
Il 10 giugno 1857 Pisacane, insieme ad una ventina di compagni, dovrà imbarcarsi come passeggero su un piroscafo della linea Genova-Cagliari-Tunisi, impadronirsene ed incontrarsi al largo dell’isola di Montecristo con una goletta che, alcuni giorni prima, il mazziniano Rosolino Pilo di Palermo dovrà caricare di armi e munizioni nei pressi di Genova. Dopo aver liberato i detenuti di Ponza e Ventotene, la schiera dovrà poi sbarcare a Sapri, unirsi ai patrioti della Basilicata e di Salerno, e marciare su Napoli.
La spedizione vera e propria è preceduta da un primo tentativo, il 6 giugno 1857: mentre Pisacane si reca a Napoli, travestito da prete per raccogliere adesioni, Rosolino Pilo deve occuparsi delle armi. Il siciliano le perde durante una tempesta. L’esito è molto deludente, ma Pisacane non si lascia scoraggiare e persiste nei suoi intenti.
Il 25 giugno 1857, a Genova, Pisacane s’imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, su un piroscafo di linea (il Cagliari), della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Pilo si occupa nuovamente del trasporto delle armi e parte il giorno dopo su alcuni pescherecci. Egli anche questa volta fallisce nel compito assegnatogli e lascia Pisacane senza le armi e i rinforzi che gli sono necessari.
Pisacane continua senza cambiare i piani e, impadronitosi della nave durante la notte con la complicità di due macchinisti inglesi, si deve accontentare delle poche armi che sono imbarcate sul Cagliari. Quindi, dopo aver assunto il controllo della nave, i patrioti riescono ad avere la meglio sul presidio borbonico di Ponza. Bisogna precisare che Pisacane il 26 giugno, quando sbarca sull’isola di Ponza sventolando il tricolore, riesce agevolmente a liberare circa 320 detenuti dal carcere, di cui solamente pochi sono in carcere per reati politici, mentre il resto sono delinquenti e criminali comuni che vanno ad ingrandire le sue fila poiché si aggregano quasi tutti alla spedizione.
Il 28 giugno, il Cagliari riparte carico di ex detenuti e delle armi sottratte al presidio borbonico. Sbarcati dunque la sera stessa a Sapri, invece di trovare il tanto sperato appoggio del popolo, si ritrovano circondati da contadini armati di falci e zappe. La popolazione, infatti, è stata informata dai soldati borbonici che a sbarcare non saranno patrioti, ma comuni criminali ed ergastolani evasi dall’isola di Ponza. Le autorità borboniche, dopo aver annunciato l’imminente sbarco di un gruppo di evasi da Ponza pronti al saccheggio, provvedono inoltre all’invio di truppe da Salerno verso Sala Consilina e, via mare, da Gaeta verso Sapri.
Convinto della necessità di proseguire per Padula, dove gli insorti avrebbero dovranno incontrare altri patrioti, Pisacane rifiuta la proposta di Nicotera, che consiglia di dirigersi verso la Basilicata ed eventualmente verso la Calabria. L’impresa si tramuta in tragedia. L’1 luglio a Padula, Pisacane e i suoi uomini vengono circondati e 25 di loro vengono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, dopo essere stati catturati e consegnati ai gendarmi, vengono fucilati, altri ancora muoiono negli scontri.
Pisacane, Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti riescono ancora una volta a fuggire, rimandando l’inevitabile al giorno dopo, il 2 luglio. A Sanza (Salerno), sono nuovamente aggrediti dalla popolazione e altre 83 persone sono uccise. Pisacane esorta i compagni a non colpire il popolo ingannato dalla propaganda, ma neanche la disperata difesa opposta serve a nulla. Tuttavia qui Pisacane stesso muore – a seguito di uno scontro a fuoco o si suicida, non è chiaro – e Falcone si spara alla testa.
Quelli scampati all’ira popolare sono processati in un secondo momento: nel gennaio del 1858. Condannati a morte, sono graziati dal re delle Due Sicilie, Ferdinando II, che tramuta la pena in ergastolo. Nicotera, gravemente ferito, è portato in catene a Salerno dove viene processato e condannato a morte. Anche per lui la pena è tramutata in ergastolo.
La spedizione di Sapri per i posteri
La spedizione di Sapri, pur essendo un’impresa tipicamente mazziniana, condotta senza speranza di premio, risulterà ugualmente densa di valore per i posteri. In effetti Pisacane, come si è visto, si è allontanato dal credo politico del maestro Mazzini per accostarsi ad un socialismo libertario espresso dalla formula “libertà e associazione”. Pisacane afferma infatti nel suo scritto Saggio sulla rivoluzione che, quand’anche la rivolta fallirà
ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell’animo di questi cari e generosi amici […] che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all’Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire.
Ciò che conta è dare l’esempio per stimolare gli animi all’azione, un’azione volta non alla mera sostituzione di un potere con un altro, bensì alla rivoluzionaria ricostruzione di una società più equa e libera.
Alla fallita spedizione è inoltre dedicata una celebre poesia, composta da Luigi Mercantini, intitolata La spigolatrice di Sapri. Carlo Pisacane non si lascia dietro nessun movimento. Esercita tuttavia una profonda influenza sui repubblicani più giovani, sia attraverso i suoi personali collaboratori, sia, dopo la sua morte, attraverso i suoi scritti. La figura di Pisacane rimane ancora oggi fra le più importanti del Risorgimento italiano. Sarà fonte di ispirazione nel Novecento anche per i fratelli Carlo e Nello Rosselli, entrambi militanti antifascisti e liberalsocialisti, fondatori del movimento politico Giustizia e Libertà.
Il libro consigliato da Fatti per la Storia
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- C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, 1951
- C. Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, a cura di Avanti, 1961
- C. Pisacane, L’altro Risorgimento, a cura di Alessandro Leogrande, Edizioni dell’Asino, 2017
- Nello Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, a cura di D. Bidussa, 2010
- L. Melillo, Il pensiero politico di Carlo Pisacane tra nazionalismo, fascismo ed antifascismo, Officina Trinacria, 2018.