CONTENUTO
di Giuseppe Esposito, nato a Napoli nel 1955, è laureato in Scienze della Sicurezza (con una tesi sulla “Sindrome di Stoccolma”), in Scienze Internazionali e Diplomatiche (con una tesi sulla “Genealogia delle ideologie terroristiche”) e in Beni Culturali (tesi sui “Rapporti tra Egeo ed Egitto nel Bronzo Tardo”). Appassionato di egittologia e di storia è autore di un romanzo, “Complotti a Tebe”, pubblicato nel 2006, finalista al “Premio Letterario internazionale Archè”, e di molti articoli di storia e storia dell’arte.
Ippolito, Ercole e Oliphant
Chi avesse deciso di leggere i miei articoli, e gli altri passati e futuri che ho pubblicati, e pubblicherò su questo sito, è bene sappia che non sempre quel che sembra, sarà quel che è, perciò permettetemi di suggerirvi, prima di abbandonare la lettura, di lasciarvi trasportare nelle mie “storie” che, spero, siano coinvolgenti e tali da tenervi svegli…e se dovesse essere il contrario, in ogni caso un risultato l’avrò raggiunto. E tanto per chiarire, cominciamo già da quest’articolo e da due nomi.
Ippolito ed Ercole: “Ok, è un articolo di mitologia greca…” penserà il lettore attento, e qui mi vedo già costretto a smentirlo. Per aiutarlo potrei aggiungere un altro nome: Oliphant. E il nostro lettore perciò, cambierà il suo obiettivo: “Ma certo, è un articolo sui paladini di Carlo Magno e su Orlando che suonò il suo corno Olifante per avvertire…”, ma purtroppo, anche in questo caso, debbo deludere il nostro esperto lettore.
L’argomento che intendo trattare è, infatti, molto più recente e si affianca ad un altro articolo, di recente pubblicato, su questo stesso sito da Angelo Rubino, sulle origini della Questione Meridionale e cerca, forse, di chiarire uno dei tanti misteri della neonata Italia unita.
Garibaldi e Oliphant
Fig. 1: “Incontro a Teano” (Pietro Aldi, 1886, affresco, Palazzo Pubblico di Siena)
Ma cominciamo dal principio…o forse dalla fine? È il 26 ottobre 1860 e il buon caro Peppino, al secolo, per gli storici, Giuseppe Garibaldi, è lì a Teano, sperduto paesello dell’agro casertano, a cavallo, su un ponticello che all’epoca si chiamava Caianello[1] e oggi San Nicola. Sta stringendo la mano a colui cui, egli stesso, ha appena elargito il titolo di “Primo Re d’Italia”. Inutile soffermarci, ora, sul vero perché il Re sia andato incontro a Garibaldi, e sulla cocente delusione dell’intellighenzia meridionale che sperava in una Repubblica che avrebbe portato alla conquista di Roma e alla caduta del potere del Papa. Troppi ne hanno già scritto e di certo non basterebbero le poche pagine di quest’articolo per sviscerare una vicenda politica così complessa.
Eppure dobbiamo necessariamente fare un passo storico indietro, fino al luglio 1858, e seguire un altro personaggio alle terme di Plombieres: l’Imperatore di Francia Napoleone III, “ammorbidito” già precedentemente dal suo legame affettivo con una bellissima, e insospettabile, “Mata Hari” ante litteram: Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini[2], per gli amici “Nicchia”, cugina di Camillo Benso Conte di Cavour, più nota, negli ambienti parigini, semplicemente come Contessa di Castiglione[3], o anche “la Divina Contessa”.
Per puro caso (ma politicamente i casi non esistono e, infatti, Cavour aveva detto a tutti che si stava recando in Svizzera) alle stesse terme si trova proprio Camillo. Così, tra un bagno e un altro, tra una passeggiata negli ombrosi viali delle terme francesi, e tra una presa di tabacco e l’altra, tra i due nascono, sia pure informalmente, quelli che sono noti come “accordi di Plombiers”: il Regno Sardo-piemontese e la Francia si accordano per muovere guerra all’Austria e, contemporaneamente, s’impegnano a suddividere l’Italia in sfere d’influenza ripartite tra i due Regni.
Il tutto sarà sancito l’anno seguente, nel gennaio 1859, con un’Alleanza Franco-Piemontese che prevederà, tra l’altro, la cessione alla Francia della Savoia e di Nizza, cessione, quest’ultima, firmata dal partito cavouriano e, tra gli altri, da un nome che sarà bene ricordare poiché ritornerà successivamente nella nostra storia, il deputato di origini siciliane Giuseppe La Farina[4].
E qui possiamo perciò ricollegarci al Generale Garibaldi, nativo proprio di Nizza, che, a capo degli irredentisti nizzardi, di certo male aveva accettato la “svendita” della sua città natale tanto che, per protesta non vi metterà mai più piede per tutta la sua vita! Proprio durante le votazioni che porteranno al “Plebiscito” che sancirà il passaggio di Nizza alla Francia, un Garibaldi particolarmente incollerito accarezzerà l’idea, nel febbraio 1860, di assaltare, con un centinaio di altri patrioti, i seggi elettorali per invalidare l’esito della votazione.
Ma la posizione strategica dell’Italia, ovviamente, non faceva gola solo alla Francia ma anche, e forse più, all’Inghilterra. Così finalmente, direte voi, fa ora la sua comparsa uno dei personaggi di cui sopra, sibillinamente, ho anticipato il nome: Laurence Oliphant[5], inglese, ufficialmente giornalista, che diventerà una vera ombra di Garibaldi. È simpatico, brillante, grande esperto di assetti politici internazionali e, per puro caso, alloggerà negli stessi alberghi di Garibaldi, viaggerà con lui nello stesso scompartimento del treno, o parteciperà alle stesse cene e, per un certo periodo, non lo abbandonerà mai.
Il sedicente giornalista e viaggiatore, suddito di Sua Maestà britannica, ma forse a questo punto più corretto sarebbe dire “al servizio di Sua Maestà”, sarà presente anche durante una cena, il 13 aprile 1860, presso l’Hotel “Raschianino”[6], o “della Felicità”[7], di Genova, cui partecipano una quarantina di ospiti, tutti siciliani. Il motivo della cena è, sostanzialmente, convincere definitivamente l’eroe dei due mondi a soprassedere all’idea “nizzarda” e abbandonarsi a una nuova avventura verso la Sicilia, magari con un migliaio di “patrioti”.
Appare almeno strano, che sia bastata una cena perché un uomo di così forte tempra, come Garibaldi, possa essere stato così facilmente convinto a cambiare un obiettivo che, per il suo amor proprio, doveva essere della massima importanza. Si giunge addirittura a ipotizzare che la ventilata, e sbandierata, azione su Nizza possa essere stata volutamente fatta trapelare, come falso scopo, per nascondere la vera missione verso la Sicilia.
Del resto, per preparare il terreno, quasi un anno prima era sbarcato in Sicilia, proveniente anch’egli dal Regno Unito, uno strano “turista” argentino[8], un commerciante, che i documenti indicavano con il nome di Manuel Pareda. La storiografia ufficiale vorrebbe che l’”argentino” fosse giunto nell’isola per organizzazione della “Giovine Italia” mazziniana, ma, specie in quel particolare momento storico, quell’associazione non aveva certo né la preparazione, né l’organizzazione logistica, né tantomeno il danaro, per una missione così articolata e complessa come quella di infiltrare un proprio agente in piena terra borbonica.
Risorse che aveva, invece, ancora una volta, la terra da cui l’”argentino”, così come Oliphant, proveniva: l’Inghilterra. Anche questo personaggio era, perciò, al “servizio di Sua Maestà” e il suo vero nome, quello con cui sarà poi, successivamente, Presidente del Consiglio dei Ministri del neo costituito Regno d’Italia, era Francesco Crispi (1808-1901).
Ma torniamo a Oliphant e alla missione, tra le altre, che si ipotizza fosse di sua stretta competenza: la consegna, a Garibaldi, di armi e danaro[9] nonché, cosa ancora più importante, i codici di collegamento con le navi britanniche, presenti nel Mediterraneo e segnatamente nei pressi delle coste siciliane, che, al netto dei tradimenti (pagati con quali soldi?) avrebbero garantito, con la loro semplice presenza, l’impossibilità di intervento delle forze borboniche.
Del resto, anche l’armatore Rubattino, vittima del “furto[10]” dei piroscafi “Lombardo” e “Piemonte”, avvenuto a Genova ad opera di Nino Bixio (1821-1873) e di una sparuta ventina di uomini, sarebbe stato di fatto risarcito[11] da fondi provenienti forse proprio da Oliphant, cosa che, come vedremo, è tuttavia impossibile, a oggi, dimostrare.
A tal punto, è forse giunto il momento di conoscere meglio Laurence Oliphant. Nato a Città del Capo, Sud Africa, nel 1829, viene indicato dalle enciclopedie britanniche come autore, viaggiatore, diplomatico, cristiano sionista, membro del Parlamento britannico ma, soprattutto, ed è quello che più ci interessa in questa nostra storia, antenato del moderno “007”. Ebbene si, Oliphant è un agente segreto inglese e la sua presenza viene segnalata, nel mondo, ovunque si ventili lo scoppio di una rivolta, o addirittura di una guerra che possa interessare l’Inghilterra.
Rocambolesca la sua vita, esattamente come quella del suo successore, nato dalla penna di Jan Fleming: lo troviamo in Canada, poi in Giappone. Qui, appena giunto, viene aggredito da un “ronin” –un samurai senza padrone-. La sua pistola è ancora chiusa nel bagaglio con cui è arrivato e deve la salvezza a una provvidenziale trave di legno che rallenta il colpo di katana del samurai. Questo non gli evita, tuttavia, una grave ferita che comporterà danni permanenti a una mano. Ristabilitosi, viene perciò rimpatriato, non prima di scoprire, nell’isola di Tsushima una base segreta russa.
E’ quindi in Polonia, nel 1863, durante l’“Insurrezione di gennaio” contro la Russia. Sarà poi in America, in Galilea, in Turchia, in Russia ma, tornando al nostro racconto, quel che qui ci interessa è che di lui, dopo la cena di Genova, si perderanno le tracce alcuni giorni prima della partenza dei Mille da Quarto, verosimilmente perché raggiunto l’obiettivo del suo incarico.
Potremmo pensare che i contatti di Oliphant con l’Italia si interrompano qui, ma così non sarà. Lo ritroveremo, infatti, un paio d’anni dopo l’unificazione quando, come agente britannico, si troverà nelle aree meridionali in cui si è scatenata la repressione del brigantaggio. Il suo “zampino” viene ipotizzato anche negli avvenimenti che impediranno il ritorno sul trono delle Due Sicilie, del deposto Francesco II di Borbone.
Quasi avesse il dono dell’ubiquità, nell’aprile 1862 Oliphant, che nello stesso periodo risulta partito per il Giappone, relaziona i suoi superiori britannici, da Foggia, sullo stato del brigantaggio in Campania, a Napoli, ad Avellino, in Sicilia, Abruzzo, Capitanata.
Ippolito ed Ercole
Appare chiaro che della presenza di Laurence Oliphant, e della sua missione, non si abbia contezza in nessun atto ufficiale italiano; non è dato di sapere se qualcosa possa esistere presso la nazione di provenienza dell’agente. Ma qui potrebbe innestarsi il secondo personaggio cui ho accennato all’inizio di quest’articolo: Ippolito.
È, dalla prima ora, uno dei Mille garibaldini (1.089, per l’esattezza) che hanno contribuito all’unificazione dell’Italia, tanto da essere riportato al numero 690 nell’elenco; ma non è un “garibaldino” qualsiasi, è Colonnello[12] e il suo incarico è, specificamente, quello di ”Intendente di Prima Classe”, in altre parole di amministratore dei fondi della spedizione e di ufficiale pagatore per tutto ciò che riguarda la missione.
Ma mi accorgo ora di non aver ancora rivelato il cognome del Colonnello Ippolito, si chiama Nievo ed è proprio l’autore del “Le confessioni di un italiano”, libro che Ippolito Nievo, tuttavia, non ebbe il tempo di pubblicare perché impegnato, appunto, nelle vicende garibaldine e che sarà poi edito, nel 1867, con il titolo di “Confessioni di un ottuagenario”[13].
Vi starete chiedendo cosa c’entri uno scrittore, per di più Colonnello, nella nostra storia e cosa possa accomunarlo con l’agente di Sua Maestà britannica Oliphant. Non lo sappiamo per certo, e credo sarà molto difficile, anche in futuro, scoprirlo giacché è arrivato il momento di fare la conoscenza con il terzo misterioso nome con cui ho iniziato quest’articolo e che è, forse, per la nostra storia, il “personaggio” principale.
Avrete di certo notato il virgolettato sulla parola “personaggio”, notazione più che mai necessaria, poiché non di un essere umano si tratta bensì… di una nave: il piroscafo “Ercole”. A conquista della Sicilia avvenuta, l’ala conservatrice del Parlamento Piemontese aveva sollevato non poche perplessità e polemiche anche per le ingentissime spese sostenute. Furono perciò avanzati dubbi sulla correttezza delle spese e su quanto era stato, invece, acquisito e confiscato, specie dalle Banche locali. Per tale motivo fu richiesto che tutta la documentazione raggiungesse Torino, quanto prima, per una verifica contabile.
A chi l’incarico? Ma ovviamente al responsabile amministrativo, all’“Intendente di Prima Classe” della spedizione! Fu così che il Colonnello Nievo, e le sue preziose casse e casseforti contenenti i documenti amministrativi e contabili delle spese sostenute dalla spedizione di Mille, nonché il denaro confiscato nelle banche siciliane e le prove di un finanziamento di diecimila piastre turche donate alla spedizione dalla massoneria inglese, organizzò la partenza per Napoli, per proseguire quindi per Torino.
Con lui sarebbero salpati i Maggiori Majolini e Salvati, il Direttore Generale dell’Intendenza, Serretti, nonché lo scrivano contabile Fontana[14]; la nave prescelta per la prima parte del viaggio, con partenza dal porto di Palermo, è proprio il piroscafo “Ercole”. Nel porto siciliano staziona anche il piroscafo “Pompei”, mentre in rada è all’ancora la “91 cannoni” “HMS Exmouth”[15] della Marina britannica.
Mancano ormai 13 giorni alla proclamazione del Regno d’Italia e, il 4 marzo 1861, alle 13.00 circa, il piroscafo ”Ercole”, al comando del Capitano Michele Mancino, con 18 uomini di equipaggio, 60 passeggeri, tra cui il Colonnello Nievo nonostante il tentativo di dissuaderlo del Console Hennequin[16], e quasi 200 t di carico, tra cui le preziose casse dell’intendenza garibaldina, salpa da Palermo diretto a Napoli con una navigazione prevista di circa 20 ore.
Due o tre ore dopo, dallo stesso porto siciliano, salpano il piroscafo “Pompei[17]” e la “91 cannoni” inglese “HMS Exmouth”, partita da Messina, e diretta a Napoli dopo un breve scalo a Palermo.
Il mare è calmo e la giornata assolata, così come testimonia il Comandante del “Pompei”, che, come abbiamo visto, doveva percorrere la stessa rotta dell’”Ercole” che, infatti, raggiunge nel pomeriggio del 4 marzo; ma, si sa, il cambio meteorologico, specie in mare, può essere improvviso e repentino tanto che, all’alba del 5 marzo, il “Pompei” registra una forte bufera dapprima di tramontana, poi voltata in maestrale.
L’ultimo avvistamento dell’”Ercole”, che sembrerà volatilizzarsi, sarà proprio della “HMS Exmouth”, al comando del Capitano Paynter, che registrerà la presenza di relitti non identificati a circa 140 miglia da Palermo, sulle coste calabresi, senza tuttavia indicarli come provenienti dall’”Ercole”.
Del mancato arrivo a Napoli dell’”Ercole”, tuttavia, non si accorgerà nessuno e saranno solo le insistenze politiche del Parlamento piemontese, di avere a disposizione la documentazione richiesta che spingerà, dopo circa 20 giorni, ad attivare una campagna di ricerca tra le Eolie e Capri. Sarà incaricato di tale compito il brigantino “Generoso” che, dopo 4 giorni di ricerche infruttuose, fece ritorno a Napoli senza aver rinvenuto tracce di naufragio né di naufraghi[18].
Da allora la scomparsa dell’”Ercole” è uno dei tanti misteri che avvolgono non solo il periodo risorgimentale, ma anche la stessa vita politica d’Italia. Molte ipotesi, alcune le più fantasiose[19], sono state avanzate: dall’esplosione delle caldaie (si trattava pur sempre di un piroscafo che aveva quasi 30 anni di navigazione, dirà la versione ufficiale della Marina[20]), al dirottamento, alla cattura da parte di pirati , al volontario cambio di rotta verso l’Albania.
Pochi anni addietro, nel 2020, nelle acque di Amantea, a poca profondità e a circa 140 miglia da Palermo, il che corrisponderebbe alla distanza segnalata dalla “HMS Exmouth”, un sub ha segnalato il ritrovamento di quelli che sembrano i resti di una caldaia a vapore e di una nave affondata. Del ritrovamento sono state informate le autorità marittime competenti ma, a oggi, nulla ancora si sa.
Che sia l’”Ercole”?
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- Cesaremaria Glori, “La tragica morte di Ippolito Nievo – il naufragio doloso del piroscafo Ercole”, Solfanelli ed., 2021, ISBN 978-88-7497-763-5
- Erminio De Biase, “L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie”, Controcorrente;
- Giuseppe Cesare Abba, “Da Quarto al Volturno e noterelle di uno dei Mille”, Sellerio, 2010, EAN 9788876811807;
- Ippolito Nievo, Trecento giorni con il Generale. Lettere dal fronte garibaldino, Osanna Edizioni, 2012;
- Ippolito Nievo, “Lettere garibaldine” Torino, Einaudi, 1961;
- Ippolito Nievo, “Scritti politici e d’attualità”, a cura di Attilio Motta, Marsilio, 2015.
Note:
[1] Il ponte di Cajanello, oggi di San Nicola, si trova a meno di 200 m dal confine tra Teano e Caianello, esattamente in località Borgonuovo (oggi 145 abitanti). Trattandosi di una località in campagna, e poiché Caianello, all’epoca, era costituito da più abitati sparsi, questo ha fatto sorgere la diatriba se l’incontro sia avvenuto a Teano, come ormai storicamente sancito, o, appunto, a Caianello. Secondo altre versioni, l’incontro sarebbe avvenuto al bivio di Taverna della Catena nella frazione di Vairano Scalo. Tale ipotesi verrebbe suffragata dalla presenza, in loco, di stazione di posta, per il cambio cavalli, e di locanda dove il Re potrebbe aver soggiornato prima dell’incontro. Il nome stesso della locanda (costruita nel 1720 dal Duca Domenico Mariconda), deriva dal fatto che, quando il re, del Regno delle Due Sicilie, si recava a caccia nella vicina “Reale tenuta di Torcino e Mastrati” (paesi ormai distrutti), istituita da Carlo III di Borbone, l’accesso all’area veniva intercluso, appunto, da una catena.
[2] Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini, coniugata Verasis Asinari, Contessa di Castiglione (1837-1899), per amici e parenti “Nicchia”, nobildonna e agente segreto piemontese, cugina del Conte Camillo Benso di Cavour, considerata tra le donne più belle della sua epoca (la Principessa di Metternich la definì: “una statua di carne”). Nel novembre 1856 il Generale Giuseppe Cigala, aiutante di campo del re, si fece portatore dell’offerta d’incontro con il Sovrano, offrendo alla Castiglione un prezioso gioiello acquistato a Parigi. Il 23 novembre 1856, a seguito di un incontro segreto, a due, con il Re Vittorio Emanuele II, la nobildonna entrò a far parte del servizio segreto piemontese con il principale incarico, desumibile da quanto poi avvenuto, di “controllare” e “indirizzare” l’Imperatore francese. Costantino Nigra (1828-1907), diplomatico presso la Corte francese, già precedentemente all’arrivo della Castiglione, iniziò a decantarne la bellezza e quando ella si presentò a un ballo alle Tuileries, il Conte Clement de Maugny così scrisse: «[…] Io non dimenticherò mai quel ballo alle Tuileries dove lei apparve seminuda come una dea dell’antichità […]. arrivò alle due del mattino, subito dopo che l’imperatrice si era ritirata, e provocò un tumulto indescrivibile. Tutti i presenti sgomitavano e spingevano per poterla ammirare più da vicino. Le dame eccitatissime dimenticarono le regole dell’etichetta e salirono sulle poltrone e sui divani per poterla meglio osservare. Quanto agli uomini erano tutti letteralmente ipnotizzati.» (da “L’amante dell’imperatore. Amori, intrighi e segreti della contessa di Castiglione”, Arrigo Petacco, Mondadori 2000, p. 70).
Con epiteto non certo elegante, ma che voleva sottolineare l’attività spregiudicata della Contessa, Urbano Rattazzi (1808-1873), la definì: “la vulva d’oro del nostro Risorgimento”. Di se, riferendosi alla dame che la circondavano e la invidiavano, scrisse, su un “dagherrotipo”: «Le uguaglio per nascita; le supero per bellezza; le giudico per intelletto!».
[3] Cavour, a Parigi per il Congresso del febbraio 1856, scriveva a Luigi Cibrario (1802-1870), suo sostituto: «[…] Vi avverto che ho arruolato nelle file della diplomazia la bellissima contessa di *** invitandola a corteggiare ed a sedurre, ove d’uopo, l’imperatore […]» (Petacco, citata, p. 74)
[4] Giuseppe La Farina (Messina 1815- Torino 1863), politico, letterato e saggista, nel 1837 fu accusato di partecipazione a società segrete e fu costretto ad abbandonare Messina per Firenze. Rientrato nell’Isola nel 1848 durante la rivoluzione siciliana, fu deputato al parlamento dell’isola e nell’agosto 1849 nominato Ministro dell’Istruzione, prima, e della Guerra, poi. Restaurata la Monarchia Borbonica, riparò in Francia e, successivamente, in Piemonte. Nel 1856 fondò la “Società Nazionale Italiana” con l’obiettivo di indirizzare l’opinione pubblica verso la politica di Cavour di cui fu sempre fedelissimo collaboratore. Eletto deputato del Regno di Sardegna, nell’aprile 1860 votò a favore della cessione di Nizza alla Francia. Pur avendo contribuito pienamente alla ideazione e realizzazione della spedizione dei Mille, per divergenze sull’annessione della Sicilia al Regno d’Italia (La Farina voleva che questa avvenisse subito, mentre Garibaldi che si annettesse l’isola solo a unificazione avvenuta nella sua interezza), partecipò attivamente alla campagna denigratoria che ventilava una gestione men che corretta dei fondi stanziati per la missione. Per tale motivo si recò in Sicilia il 1° giugno 1860 per controllare l’operato di Garibaldi che, memore anche della sua partecipazione alla cessione della sua città natale alla Francia, lo espulse il 1° luglio successivo.
[5] Laurence Oliphant (Cape Town 1829-Twikhenam 1888), Membro del Parlamento britannico, scrittore, diplomatico viaggiatore, cristiano sionista e mistico, agente dei servizi segreti britannici. Seguì il padre, Attorney General in Sud Africa, quando questi venne trasferito a Ceylon come Chief Justice. Rientrato in Inghilterra nel 1849, nel 1851 partecipò alla spedizione in Nepal di Jung Bahadur che, dopo l’assassinio dell’usurpatore Gagan Singh, assunse il potere nel Paese. Rientrato in Patria nel 1852 partì per la Russia. Tra il 1853 e il 1861 fu segretario di Lord Elgine a Washington con missioni sulle coste della Circassia, nel Caucaso, durante la Guerra di Crimea. Alla fine di giugno 1861 fu trasferito in Giappone, a Edo, come Primo Segretario della Legazione Britannica. Nel 1863 fu in Polonia come “osservatore” durante l’ “Insurrezione di Gennaio” contro la Russia; rientrato in Inghilterra nel 1865, venne eletto al Parlamento. Lasciato il Parlamento nel 1869, nel 1871 divenne corrispondente del “The Times” durante la Guerra Franco-Tedesca per poi stabilirsi a Parigi con lo stesso incarico. Fu a Costantinopoli nel 1879 per contatti con la Sublime Porta; visitò la Romania, l’Austria, la Palestina. Trasferitosi negli Stati Uniti, decise di stabilirsi ad Haifa, in Palestina, ma morì a dicembre 1888 durante il viaggio, a Londra. A caratterizzare questo emblematico personaggio, valga il necrologio del “Times”: “Raramente c’è stata una carriera più romantica o così piena; mai, forse, una personalità estranea o più apparentemente contraddittoria”.
[6] «Ieri sera arrivammo ad ora tarda, e non ci riusciva di trovar posto negli alberghi, zeppi di gioventù venuta da fuori. Sorte che, lungo i portici di Sottoripa, ci si fece vicino un giovane, che indovinando, senza tanti discorsi, ci condusse in questo albergo. La gran sala era tutta occupata. Si mangiava, si beveva, si chiacchierava in tutti i vernacoli d’Italia.» (Giuseppe Cesare Abba, 1838-1901, scrittore e patriota. “Da Quarto al Volturno – Noterelle di uno dei Mille)
[7] Peraltro, proprio all’albergo Raschianino alloggeranno molti dei giovani che, il 5 maggio 1860, raggiungeranno lo scoglio di Quarto per partire per l’avventura garibaldina.
[8] «Un intrepido Patriota moveva da Londra, affrontava lo sguardo scrutatore di antichi commissari e birri, percorrendo nel mese di agosto, notorio della persona, il suolo della propria terra natale, affidata salvezza di sé a pochi cangiamenti dell’abbigliamento e della barba» (Nicolò Fabrizi, 1804-1885, patriota e politico)
[9] Notizie di fonte “massonica” durante un Convegno del 1988 (Garibaldi era affiliato alla Libera Muratoria fin dal 1844, loggia “Asilo de la Vertud” di Montevideo, regolarizzato nella loggia francese “Les Amis de la Patrie”, frequentò, con Antonio Meucci, la loggia “Tompkins” di New York), riferiscono che a Garibaldi erano stati consegnati, a Talamone, tre milioni di franchi francesi, come da notizia di un dispaccio dell’Agenzia “Reuter’s” alla “Garibaldi Italian Fund” istituita, verosimilmente con il sostegno della Corona britannica, per la raccolta di fondi da destinare all’operazione italiana. Nella stessa occasione sarebbero inoltre state consegnate diecimila piastre oro turche (da “La tragica morte di Ippolito Nievo”, di Cesaremaria Glori, Solfanelli ed., 2021, p.144)
[10] Il “furto” dei due piroscafi “lombardo” e “Piemonte” era stato, da Bixio, concordato con l’Amministratore della Società “Rubattino” Giovan Battista Fauché (1815-1884). È dibattuto se Raffaele Rubattino, titolare della società, fosse al corrente del “furto”; il 18 giugno 1860 Fauchè venne licenziato e, raggiunta la Sicilia, venne nominato Segretario di Stato della Marina Dittatoriale Siciliana. Divenuto Capitano di Vascello, con l’unificazione dell’Italia divenne Console di Prima Classe della Marina ad Ancona, poi Capitano di Porto di Prima Classe a Livorno e poi a Genova.
[11] Nel “Resoconto amministrativo della prima spedizione in Sicilia…” datato 14 luglio 1860, a firma dell’Intendente Generale Acerbi, ma di fatto redatto materialmente da Ippolito Nievo (come risulta da articolo di identico stile e tenore apparso, a firma del Nievo, sulla rivista “La Perseveranza” del 23 luglio 1860) si legge: “[…] Noleggiati a gravissimo dispendio dalla società Rubattino due Vapori, il Piemonte ed il Lombardo […]”(da Glori, op. citata, p. 176)
[12] Curriculum di Ippolito Nievo: 17/06/1860: nominato “Commissario di 1ª classe”, con funzioni di “Vice Intendente Generale” con il grado di Capitano;
24/08/1860: promosso Maggiore;
11/09/1860: confermato nelle funzioni di “Vice Intendente Generale dell’Intendenza Militare in Napoli” (ma non poté ottemperare al trasferimento perché impegnato nel riordino delle carte d‘ufficio per il passaggio di consegne al suo successore);
02/11/1860: promosso “Intendente Militare di 1ª Classe” con il grado di Colonnello. (da Glori, op. citata, p. 169)
[13] Scritto tra il dicembre 1857 e l’agosto del 1858, le “Confessioni…” furono rifiutate da alcuni editori per la lunghezza del testo ma, specialmente, per questioni di censura politica. Solo nel 1867, il libro, con il titolo “Confessioni di un ottuagenario”, venne pubblicato dall’editore Le Monnier, grazie alla cura di Erminia Fuà Fusinato, moglie di Arnaldo Fusinato (1817-1888), poeta e scrittore amico di Nievo. Il manoscritto originale si trova, dal 1931, presso la biblioteca comunale di Mantova, a cui venne donato dagli eredi dell’autore.
[14] Il quotidiano “Il Diritto” di Napoli del 6 aprile 1861 dava notizia, subito smentita, del ritrovamento del cadavere di Nievo sulle spiagge di Ischia e riportava un parziale elenco degli scomparsi: Michele Mancino: comandante dell’Ercole; Ippolito Nievo: Colonnello; Luigi Salviati: Maggiore; Achille Majolini: Maggiore; Lorenzo Garassini: Commissario di Guerra; Don Vitale Ferretti: Cappellano della Marina; Salvatore Serretta: Direttore dell’Intendenza; (?) Fontana: Scrivano Contabile; Simone Pietro; Sollima Placido; Carracappa Francesco; Forno Paolo; Ventre Francesco (da Glori, op. citata, p. 134).
[15] L’inizio del cantiere di costruzione della “HMS Exmoouth” risale al 1843, ma per modifiche strutturali, di armamento e di propulsione (la possibilità di usare anche il vapore oltre le vele), la nave fu finalmente varata il 12 luglio 1854. Armata di 91 cannoni, operò nella Guerra di Crimea e contro porti russi del Baltico divenendo l’Ammiraglia del Contrammiraglio Seymour durante il blocco. Rientrata nel novembre 1855 in Patria, a dicembre fu impiegata per una rassegna navale in onore del Re di Sardegna nella baia di Spithead. Tra giugno 1859 e ottobre 1862 la “HMS Exmouth” operò nel Mediterraneo. Da atti dell’Ammiragliato britannico risulta che:
- visitò i porti di La Valletta, Messina, Palermo, Napoli, Corfù, Zante, Cefalonia e Pireo e nell’ottobre 1861 partecipò a manovre ed esercitazioni con altre navi della flotta nel Golfo di Napoli;
- il 27 febbraio 1861 procedette verso il porto di Messina;
- il 4 marzo 1861 proseguì per il porto di Napoli.
(N.d.r.: viene segnalata dal report dell’Ammiragliato che esiste “carta delle tracce di navigazione della HMS Exmouth da Malta, a Messina, a Napoli”, ma non è stato possibile reperirla in rete).
[16] Nel quadro indiziario di un possibile sabotaggio per l’affondamento dell’”Ercole”, appare sintomatica la vicenda del Console della libera città Anseatica di Amburgo a Palermo: Alphonse Hennequin. Fin dal suo arrivo a Palermo, infatti, Nievo aveva stretto amicizia con il Console di Amburgo e con la sua famiglia; è bene chiarire, però, che oltre ad essere Console della cittadina tedesca, Hennequin era, anch’egli, al “Servizio di Sua Maestà” britannica poiché, per non gravare pesantemente sulle casse dell’Impero e per mascherare le sue mire commerciali, il Regno Unito si “appoggiava”, sovente, a funzionari fidati di altri Stati (da Glori, op. citata, p. 127).
Appare molto più verosimile, perciò, che il legame tra Nievo e Hennequin sia stato favorito da questo “agente” per cercare di ottenere notizie di prima mano, e proprio sotto l’aspetto economico che più preoccupava l’Inghilterra. Resta che gli Hennequin, il Console e sua moglie, presero molto a ben volere Ippolito Nievo, che anche la sera precedente l’imbarco si recò da loro a cena. Fu in quell’occasione che Alphonse e sua moglie cercarono in tutti i modi di dissuadere Ippolito dal partire con l’”Ercole”, rimandando la partenza al mattino successivo, il 5 marzo, quando sarebbe salpata dal porto di Palermo la nave “Elettrico”.
Avanzarono dapprima dubbi sulla solidità dell’”Ercole” (che aveva certo 30 anni, ma, si veda la successiva nota 20, era stata di recente rinnovata), poi sulle possibili avverse condizioni del tempo primaverile e, addirittura, facendo leva proprio sull’amicizia che li legava, sulla possibilità di godere ancora per un po’ della loro compagnia. A quest’ultimo tentativo, il Nievo avrebbe risposto: “Cosa fa? Ci staremo 28 ore invece di 18?” (da Glori, op. citata, pp. 75 e 129).
[17] Al contrario di quanto possibile per navigli di altre Nazioni, vedi le notizie ricavate per la “HMS Exmouth”, non esiste unitarietà di archivi navali per l’Italia preunitaria e agli albori dell’Unità poiché si trattò, nell’immediatezza e nei decenni successivi, di unificazioni di varie Marine e vari Ministeri, con le comprensibili difficoltà e/o gelosie, nonché con modifiche anche di nomi delle singole navi che non consentono unitarietà e sicurezza delle informazioni.
[18] L’“Omnibus” di Napoli, rivista settimanale fondata a Napoli nel 1833 e che terminò le sue pubblicazioni nel 1882, segnalò, 25 giorni dopo la scomparsa dell’”Ercole”, il ritrovamento di un naufrago, ma la notizia risultò poi priva di fondamento.
[19] Una pista sui possibili “mandanti” dell’affondamento dell’”Ercole”, spinge verso la massoneria, pesantemente coinvolta nella vicenda siciliana e dell’Unità d’Italia. A sostegno di tale tesi viene portata la lettera di condoglianze alla famiglia di Ippolito Nievo dello stesso “libero muratore” Garibaldi che, pure, doveva conoscerne molto bene Nievo e, soprattutto, il valore e quanto aveva materialmente fatto per la positiva conclusione dell’operazione. La lettera reca la data del 28 settembre 1861, ovvero quasi a sei mesi dal naufragio. In tale ritardo, qualcuno ha voluto vedere una sorta d’imbarazzo di chi sapeva, ma nulla aveva fatto (da Glori, op. citata, p. 130).
[20] L’”Ercole” era una nave a vapore da 230 t, scafo in legno, costruita in Inghilterra nel 1832 e acquistata da armatori napoletani nel 1840. Tra gli armatori che ne vennero in possesso, anche la Rubattino di Genova; varò più volte di nome (“Vesuvio”, “Faro”, “Polifemo”). Nel 1848 fu requisito dal Governo Borbonico e adibito a trasporto truppe. Nel 1856 fu posto in disarmo, completamente rinnovato nei cantieri napoletani, e rientrato in servizio lo stesso anno con il nome di “Ercole”. Requisito dalla Marina Garibaldina, fu impiegato come trasporto per i prigionieri dello sconfitto esercito borbonico, a Ponza, e nei porti liguri per il successivo trasferimento nei campi del Canavese e di Fenestrelle (da Glori, op. citata, p. 130).