CONTENUTO
Negli anni Sessanta, l’economia italiana attraversa un periodo particolarmente florido grazie anche al Piano Marshall e agli aiuti americani. Questo boom economico porta allo sviluppo di una società del benessere che viene ben presto criticata dai giovani. Nella seconda metà degli anni Sessanta scoppia così, a livello mondiale, una contestazione giovanile che nasce nelle università ma successivamente si diffonde in tutta la società trovando un ottimo alleato negli operai.
La società del benessere e il sorgere dei movimenti di contestazione giovanile
Negli anni Sessanta si registra in Italia un boom economico che porta ad un aumento dei consumi e all’affermarsi di una società del benessere oggetto ben presto di critiche da parte di quei giovani che in essa sono cresciuti. La principale accusa è quella di sostituire allo sfruttamento economico tradizionale una forma di dominio più subdola e raffinata, e di sopire i conflitti sociali con la diffusione di un benessere che si ritiene illusorio ed ottenuto a spese dei popoli poveri del Terzo Mondo.
I giovani iniziano a ricercare delle modalità di vita differenti con un cambiamento nelle relazioni familiari, una maggiore libertà sessuale e un miglior rapporto con la natura. In questi anni vengono così costituite numerose comunità hippies che ambiscono alla creazione di una cultura alternativa basata sulla non-violenza e sul consumo di droghe leggere.
I movimenti di protesta si sviluppano contemporaneamente in diversi Paesi europei e sono la conseguenza di vari fattori:
- l’incremento demografico degli anni Cinquanta frutto dello sviluppo economico del dopoguerra;
- l’aumento degli iscritti all’università;
- la riforma della scuola media che ha creato le basi per un’espansione anche della domanda di istruzione superiore;
- una società sempre più complessa che aumenta le esigenze di sapere scientifico e tecnologico.
Il boom economico sul piano sociale porta quindi all’affermarsi di una cittadinanza molto più istruita di quella del decennio precedente.
I modelli di riferimento: Herbert Marcuse
Il movimento di contestazione giovanile rifiuta il modello imperialistico statunitense, così come quello sovietico e non accetta la divisione bipolare della Guerra Fredda. Gli studenti ricercano vie nuove e adottano come modelli di riferimento: la rivoluzione cubana del 1959 con le figure di Fidel Castro e del Che; la rivoluzione culturale cinese degli anni 1966-68; la guerra di liberazione anti-coloniale algerina del 1966.
Tra i giovani si registra, perciò, una consistente ripresa delle ideologie rivoluzionarie di matrice marxista. Significativa è la fortuna incontrata, in questo periodo, da quel filone di pensiero che aveva il suo nucleo nella Scuola di Francoforte. Quest’ultima formatasi nella Germania di Weimar e poi trapiantata negli Stati Uniti dopo l’avvento del nazismo, fin dall’inizio rifiuta la società di massa. Tra i suoi esponenti ricordiamo il filosofo Herbert Marcuse, le cui opere hanno un particolare successo fra i giovani della seconda metà degli anni ’60.
Nelle opere marcusiane la critica della società opulenta, del consumismo e dell’etica borghese si unisce ad un giudizio pessimistico sulle capacità rivoluzionarie di una classe operaia ormai ritenuta integrata nel sistema. Nel pensiero di Marcuse le residue speranze di trasformazione sono affidate agli emarginati delle metropoli moderne e soprattutto ai popoli del Terzo Mondo non ancora toccati dall’industrializzazione.
La protesta universitaria: verso il sessantotto
La rivolta giovanile assume successivamente forme più politicizzate e trova i suoi centri propulsori nelle università, dove la scolarizzazione di massa ha concentrato un ceto studentesco numeroso e socialmente articolato e di estrazione in prevalenza più borghese di quanto non sia mai stato in passato.
Gli studenti criticano la struttura accademica, la sua organizzazione, l’educazione ritenuta autoritaria e non stimolante perché caratterizzata da un approccio passivo da parte dello studente e chiedono, invece, lezioni collettive e letture di gruppo così da creare situazioni in cui si possa sviluppare un continuo confronto tra i più. L’obiettivo è quello di giungere ad un sapere che non sia inquadrato nelle strutture sociali borghesi esistenti ma invece stimoli la trasformazione della società e porti l’individuo alla maturazione di un proprio pensiero critico.
Ben presto iniziano le occupazioni nelle università: nel 1965 viene occupata la sede dell’Ateneo pisano, la Sapienza; nel 1966 la facoltà di sociologia dell’Università di Trento, fiore all’occhiello dei notabili locali; nel 1967, per quasi un mese, la sede centrale dell’Università di Torino, Palazzo Campana.
Nella primavera del 1968, prima del maggio francese, l’ondata di protesta si estende a tutti gli Atenei, radicalizzandosi nei lunghi bracci di ferro con le autorità accademiche e nei primi scontri con la polizia chiamata a sgomberare le sedi occupate.
La mobilitazione giovanile non investe però la società in modo omogeneo, essa si sviluppa infatti soprattutto tra i ceti intellettuali e urbani, in alcune aree geografiche in modo maggiore rispetto ad altre, e in determinate fasce d’età. Uno dei motivi di ciò è l’atteggiamento del governo che risponde alle agitazioni con l’intervento della polizia.
Le prime forme organizzative del movimento studentesco del sessantotto
Le prime forme organizzative del movimento studentesco provengono dall’Unione Nazionale Universitaria Rappresentativa Italiana (UNURI), ovvero il parlamentino studentesco a cui partecipano gruppi con differenti orientamenti politici. All’interno del contesto accademico, infatti, sono presenti organizzazioni studentesche che risultano strettamente dipendenti e coordinate dai partiti a cui fanno riferimento, un piccolo parlamento universitario nel quale i CUDI (Centri universitari democristiani italiana) sono legati alla DC, l’UGI (Unione goliardica italiana) alla sinistra socialista e comunista, e il FUAN (Fronte universitario di azione nazionale) al MSI. Questi partitini studenteschi costituiscono delle riserve di giovani leader per i partiti politici, ai quali i vari gruppi sono affiliati.
Negli anni Sessanta la crescente protesta degli studenti rispetto al mal funzionamento del sistema accademico, porta l’UNURI e alcuni partitini studenteschi a radicalizzarsi. Queste organizzazioni vengono però ben presto criticate dal movimento per la loro mancanza di democrazia interna e il loro rapporto con i partiti tradizionali.
Il modello organizzativo del movimento studentesco si fonda infatti sul principio della democrazia partecipativa e diretta portata avanti con le assemblee generali di studenti di una facoltà o di una università, i Comitati di facoltà, i gruppi di studio o contro-corsi. Le decisioni vengono prese in riunioni generali aperte a chiunque voglia partecipare; l’obiettivo è elaborare un nuovo modello di democrazia che si contrapponga a quella maggioritaria e delegata.
Le contestazioni iniziano nelle università ma coinvolgono presto anche gli istituti superiori in cui appaiono più traumatiche e dirompenti per il maggior numero di giovani che interessano e per le implicazioni sociali che ne derivano, in primo luogo il rapporto con l’autorità e la famiglia.
Il movimento del sessantotto esce dalle università
Dall’autunno 1967 fino alla primavera 1968, il movimento studentesco si concentra sui temi legati alla vita accademica, ma successivamente la contestazione si estende passando ad una critica della società nel suo complesso. Vengono messi in discussione i ruoli professionali che l’università prefigura e si apre la via ad una riflessione sugli assetti generali della società.
Sono posti sotto accusa: i conformismi diffusi; le ideologie di promozione sociale così come la famiglia e la concezione tradizionale che di essa si aveva; gli antichi tabù e le ipocrisie presenti nel rapporto fra i sessi. Le critiche si estendono anche:
- agli ospedali e al servizio sanitario di cui si denuncia l’assenza di un’attenta analisi nelle cause delle malattie le quali sono spesso legate, per quanto riguarda la classe operaia, alle condizioni di vita e di lavoro inumane;
- al sistema carcerario in cui persiste una mancanza di protezione legale del cittadino;
- all’esercito dove alla fine degli anni Sessanta vige ancora una generale assenza di diritti.
La riflessione sugli assetti generali della società che ha caratterizzato il movimento di contestazione sin dalla sua nascita lo porta ad uscire dalle università ed erompere all’esterno per unirsi con altri strati sociali, dare voce agli emarginati e ai più deboli e mettere in discussione la spersonalizzazione del lavoro o l’eccessiva presenza della burocrazia. Dal marzo 1968 fino all’autunno 1969, si sviluppa così l’unione tra operai e studenti che iniziano a lottare insieme.
L’unione delle lotte tra studenti e operai
Il movimento di protesta giovanile degli anni Sessanta, benché inizialmente ha come attori principali gli studenti, non è solo studentesco. L’obiettivo della mobilitazione è, infatti, quello di interessare altri gruppi sociali in modo tale che si sviluppino lotte simili. Ciò avviene in particolar modo relativamente ai temi urbani (il diritto alla casa, la lotta al carovita, l’assenza di infrastrutture nei quartieri popolari, la disoccupazione, il lavoro in nero, la mancanza di luoghi di cultura e la diffusione delle droghe pesanti), ecologisti, e femminili.
L’esperienza del maggio francese del 1968 mostra come un legame tra operai e studenti sia percorribile. Essendo quest’ultimi una forza lavoro potenziale, entrambi insieme rappresentano gli sfruttati del modello economico-produttivo della società.
In Italia, nei primi sette mesi del ’68 le lotte della Fiat, della Marzotto di Valdagno, della Pirelli, di Portomarghera segnano l’apertura di un nuovo ciclo di conflittualità operaia. Le maggiori manifestazioni si hanno nel ’69 e culminano con l’autunno caldo, quando una grande massa di operai scende spontaneamente in piazza.
Inizialmente, quello tra studenti e operai, è un rapporto diretto, non mediato dai sindacati o da rappresentanze studentesche. Gruppi di studenti si presentano regolarmente davanti alle porte degli impianti industriali dove più intenso è il conflitto (Fiat, Pirelli, Montedison); prendono parte ai picchetti, agli scioperi e alle manifestazioni operaie; redigono e distribuiscono volantini insieme; partecipano ad assemblee operaie e li invitano alle loro.
Le rivendicazioni riguardano:
- la difesa del posto di lavoro;
- la critica nei confronti dell’esistenza di salari diversi nelle differenti aree italiane;
- il permanere di pensioni inadeguate e quasi umilianti;
- la richiesta di forti aumenti salariali uguali per tutti e adeguati alla ripresa produttiva;
- il passaggio, per tutti, alla seconda categoria;
- lo sganciamento del salario dalla produttività, cioè l’abolizione del cottimo.
Il legame tra operai e studenti si attua grazie anche all’ampia presenza di operai comuni non specializzati che sono numerosi specialmente nelle fabbriche automobilistiche e di elettrodomestici che basano la produzione sulle catene di montaggio. Questi risultano dotati di una cultura superiore rispetto a quella dell’operaio altamente specializzato di vent’anni che non ha goduto della scolarizzazione di massa e dell’apporto dei mass media.
Il boom economico e lo sviluppo industriale iniziato negli anni Cinquanta, in Italia, raggiunge il suo apice tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta e porta ad un’elevata quantità di manodopera a basso costo che fornisce un enorme potere contrattuale agli industriali i quali tengono salari bassi rispetto ai livelli medi di altri Paesi europei, non interessandosi di effettuare investimenti in costose tecnologie produttive.
Il ruolo dei sindacati nella protesta operaia
Nella loro protesta gli operai non sempre trovano l’appoggio dei sindacati poiché nelle fabbriche la rappresentanza sindacale risulta essere unicamente formale in quanto nelle Commissioni interne essa ha uno limitato potere nei confronti del capitale. Ciò deriva anche dalla scarsa coesione e dai rapporti conflittuali e concorrenziali presenti tra i sindacati in particolare quelli più importanti: CGIL, CSIL, UIL, e a ciò si aggiunge il fatto che molti operai sono giovani immigrati meridionali privi o quasi di qualsiasi esperienza sindacale.
Per questi motivi il numero degli iscritti ai sindacati risulta esiguo. La ripresa dell’iniziativa sindacale si consolida nel corso del 1970 con la diffusione dei Consigli di fabbrica e lo sviluppo della contrattazione aziendale. La protesta operaia viene guidata dai tre maggiori sindacati solo successivamente, quando prendono in mano la situazione e pilotano questo imponente movimento di massa verso una serie di accordi volti a garantire maggiori vantaggi salariali.
Nel 1970 si arriva alla firma dello Statuto dei Lavoratori ovvero una serie di norme che stabilisce le libertà sindacali ed i diritti dei lavoratori. Il legame col movimento operaio se da una parte è positivo per il movimento studentesco perché gli permette di superare il limite locale ampliando il suo campo d’azione, dall’altra però lo porta alla sua morte. Le problematiche operaie si impongono, infatti, a scapito degli altri assi tematici e la contestazione studentesca perde la propria autonomia fino al suo lento ma definitivo dissolvimento tra il 1968 e il 1969.
I 6 libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i 6 libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia sul “Sessantotto”, clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
- Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Virgolette, L’Italia contemporanea, Donzelli Editore, Roma, 2005.
- Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia. 1960-1995, Libri del tempo, Laterza, Roma-Bari, 1996.
- Marica Tolomelli, L’Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima repubblica, Carocci editore, Roma, 2015.
- Sidney Tarrow, Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia. 1965-1975, Laterza, Roma-Bari, 1990.
- Agostino Giovagnoli, Sessantotto. La festa della contestazione, San Paolo Edizioni, 2018.
- Francesca Socrate, Sessantotto. Due generazioni, Laterza, 2018.