CONTENUTO
Gli antefatti della seconda guerra punica
Negli anni precedenti la seconda guerra punica, le due potenze coinvolte cercano di consolidare domini e risorse. Nelle due città si è consapevoli che il primo scontro non chiude le ostilità e si preparano in vista di una nuova guerra. La prima guerra punica si conclude nel 241 a.C. Roma vince e infligge un pesante indennizzo a Cartagine. La città punica deve pagare una somma in dieci anni per un totale di 78 tonnellate di argento e cedere i territori controllati in Sicilia, che diventa da quel momento la prima provincia romana.
Le cause della seconda guerra punica
Cartagine si trova in difficoltà e ad aggravare la situazione economica contribuisce anche la rivolta delle truppe mercenarie, assoldate durante il primo scontro con Roma. La città non ha sufficienti risorse per effettuare i pagamenti concordati. I mercenari provocano e sollevano delle rivolte sia sui territori africani, sia sulle zone controllate da Cartagine in Sardegna.
Mentre le rivolte sul suolo africano sono domate da Amilcare Barca a costi non indifferenti, la città punica non è altrettanto fortunata in Sardegna. I mercenari li presenti invocano il soccorso dei romani, che sfruttano questa occasione per strappare nuovi territori all’avversaria. A Roma si è consapevoli che Cartagine non è pronta per una nuova guerra. Quindi con l’accusa di voler avviare un nuovo conflitto costringono i nemici alla cessione dell’isola. Roma conquista facilmente un nuovo territorio, che insieme alla Corsica trasforma nella seconda provincia romana (237 a.C.).
A questo punto Cartagine sposta la sua attenzione in Spagna, dove sono presenti degli insediamenti punici. L’influenza cartaginese sulla regione è limitata alla costa sud orientale. Da lì in poi la città estende il suo dominio nell’entroterra iberico. La conquista della Spagna è realizzata dalla famiglia Barca, principalmente da Amilcare e Asdrubale. Ad essa contribuisce anche Annibale Barca, figlio di Amilcare.
La conquista dei territori iberici mette in allarme una città alleata di Roma, Marsiglia, che nei territori settentrionali della regione ha importanti interessi commerciali. Roma, su richiesta degli alleati, invia un’ambasceria presso Asdrubale con cui stipula un trattato (226 a.C.). Di questo trattato conosciamo almeno due versioni. Secondo Polibio nel trattato Cartagine si impegna a non superare con i suoi eserciti il fiume Ebro verso nord.

Secondo Livio invece il trattato pone sul fiume Ebro il limite di influenza delle due potenze, quindi in questa versione Roma non potrebbe estendere la sua influenza a sud del fiume. Questo dettaglio è importante perché innesca il nuovo conflitto. Vedremo nel prossimo paragrafo con quale pretesto.
Le azioni di Roma prima della seconda guerra punica
Nel frattempo che Cartagine affronta i suoi problemi con i mercenari prima e poi si dedica alla conquista della Spagna, Roma deve affrontare in parallelo due avversari spinosi: gli Illiri e i Galli. Nella regione balcanica l’Epiro perde la sua influenza dopo la morte di Pirro. Ne approfittano gli Illiri, che estendono la loro influenza su tutta la costa dalmata attraverso azioni di pirateria. Le scorrerie degli Illiri danneggiano i mercanti italici delle coste adriatiche e le città greche della costa orientale adriatica, che chiedono soccorso a Roma.
Il senato invia delle proteste ufficiali alla regina degli Illiri, Teuta, che sono tuttavia ignorate. A questo punto Roma dichiara guerra (229 a.C.) e costringe Teuta a rinunciare alla reggenza, esercitata per conto dell’erede minorenne. La prima guerra illirica si conclude velocemente, anche grazie al tradimento di Demetrio, un collaboratore di Teuta. Demetrio viene ricompensato con l’isola di Faro, sulla costa dalmata. Tuttavia diventa da lì a breve un nuovo problema per gli interessi romani in quella regione.
Demetrio riprende gli attacchi sulla costa e per rafforzare la sua influenza si allea con il re macedone Filippo V. Roma decide di intervenire nuovamente con le armi (219 a.C.) e costringe Demetrio alla fuga presso la corte di Filippo. Anche la seconda guerra illirica si rivela un conflitto di bassa intensità, ma con delle conseguenze importanti per il futuro di quella regione.
Se le guerre con gli Illiri non richiedono sforzi elevati ai romani, quelle condotte in parallelo con i Galli sono di altra entità. Roma ha sempre avuto problemi con le popolazioni galliche, che spesso sconfinano e saccheggiano i suoi territori. In questo periodo l’influenza romana arriva all’altezza di Rimini. Un’incursione dei Galli si era arrestata alle porte della città nel 236 a. C., portando l’attenzione di Roma nuovamente sulla regione.
Nei decenni precedenti i romani strapparono territori importanti alla popolazione gallica dei Senoni, ribattezzati come ager Gallicus. Il tribuno della plebe Caio Flaminio, con la legge Flaminia, vuole concedere i territori dell’ager Gallicus a singoli cittadini romani e raggiungere così due obiettivi. Da un lato fare un’importante mossa politica e sociale, dall’altro mettere dei cittadini romani a guardia del corridoio adriatico da cui i Galli sconfinano nel centro Italia. Questo provvedimento allarma la popolazione dei Galli Boi, stanziati nei territori odierni di Bologna e dà il via ad una guerra vera e propria.
Al conflitto, oltre il popolo dei Boi, partecipa anche, il popolo gallico degli Insubri, stanziato nei territori della Gallia Cisalpina ( grosso modo la pianura Padana), e truppe galliche d’oltralpe, principalmente dal popolo dei Gesati. Si schierano invece con Roma il popolo dei Veneti e i Galli Cenomani. Gli avversari di Roma invadono l’Etruria e riescono ad ottenere diversi successi. Questo fino al 225 a.C. quando vengono annientati a Telamone.
A Roma si decide quindi di attaccare e conquistare l’intera pianura Padana. Da un lato per allontanare per sempre la minaccia del Galli, all’interno della penisola, dall’altro per conquistare un territorio ampio e fertile. La campagna è molto violenta e intensa. Gli Insubri sono sconfitti presso Casteggio (222 a.C.). Dopo questa vittoria i romani conquistano il centro principale delle popolazioni galliche stanziate in Italia, Mediolanum (Milano). Per consolidare il controllo sul territorio sono fondate le colonie latine di Piacenza e Cremona.
Seconda guerra punica: la questione Sagunto e l’inizio delle ostilità
Come annunciato qualche riga fa, il pretesto alla guerra fu trovato nel trattato stipulato nel 226 a.C. tra le due potenze. Infatti la città Iberica di Sagunto, alleata di Roma, si trova nel pieno dell’influenza cartaginese. A Cartagine il sentimento di rivincita è molto forte e i maggiori sostenitori verso un nuovo conflitto sono la famiglia Barca, di cui Annibale è il personaggio più famoso.

Il condottiero cartaginese è cosciente che la superiorità via mare dei cartaginesi è stata persa durante la prima guerra punica. Dato che ha preso parte con i familiari alla conquista della Spagna, aspetta solo il momento migliore da un punto di vista tattico per attaccare Roma via terra, fiducioso nell’enorme potenziale delle truppe presenti sulla penisola iberica.
Quindi sfrutta con abilità la questione di Sagunto, che di fronte alla minaccia della conquista militare chiede il sostegno di Roma. Il senato romano manda presso Annibale e Cartagine delle ambascerie, in protesta alle minacce subite dalla città alleata, ma si prepara al conflitto solo quando Sagunto viene conquistata da Annibale e i saguntini massacrati nella conquista (218 a.C.).
Nello stesso anno, Annibale parte con il suo esercito da Nova Carthago (Cartagena), la principale base cartaginese sulla penisola iberica. Riesce a superare i Pirenei e sfuggire all’esercito romano guidato da Publio Cornelio Scipione, padre del famoso Publio Cornelio Scipione Africano.
L’attraversamento delle Alpi e il fronte italico
Eluse le forze romane, Annibale si dirige a tappe forzate verso l’Italia, con l’intenzione di mettere a ferro e fuoco la penisola. Trova sul suo cammino un grande ostacolo naturale, le Alpi. Anche se a costo di gravi perdite, Annibale e il suo esercito superano le Alpi, compiendo una marcia per quei tempi decisamente folle. Messa a segno questa impresa, il generale cartaginese convince a passare dalla sua parte le popolazioni galliche sottomesse di recente da Roma, tra cui anche i Galli Boi e Insubri.
Quindi sconfigge a più riprese gli eserciti romani. Nel 218 a.C. nelle battaglie combattute presso il Ticino e il Trebbia, poi nel 217 a.C. presso il lago Trasimeno, dove riporta la prima importante vittoria annientando l’esercito guidato da Caio Flaminio. Questa battaglia costò alla repubblica romana circa 15.000 uomini e la vita a Flaminio. A Roma comincia a diffondersi l’idea che il condottiero cartaginese sia impossibile da sconfiggere con uno scontro diretto.
Viene così nominato un dittatore, Quinto Fabio Massimo, che decide di danneggiare il nemico con delle azioni di guerriglia e impedendo l’arrivo di aiuti via mare. Per questa strategia viene soprannominato Temporeggiatore (Cunctator). Sebbene la strategia di Massimo sia efficace sul lungo termine, sul breve significa assistere senza opporre resistenza alla devastazione dell’Italia. Scaduti i sei mesi della dittatura a Roma si decide di passare di nuovo allo scontro diretto.

La sconfitta romana a Canne
Abbandonata la strategia di Quinto Fabio Massimo, la repubblica romana opta per affrontare direttamente il generale cartaginese. E subisce una delle peggiori sconfitte di tutta la sua storia. Nel 216 a.C. Annibale distrugge gli eserciti congiunti dei consoli Caio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo nella piana di Canne, in Puglia. La sconfitta arriva tramite quella che è considerata ad oggi la miglior manovra di accerchiamento da parte di un esercito numericamente inferiore.
Annibale, con un abilissima mossa tattica, fa arretrare la linea della fanteria cartaginese sotto la spinta di quella romana. Non appena la fanteria romana si trova al centro, il generale cartaginese chiude le retrovie con la cavalleria e stringe gli avversari in una mossa a tenaglia tra fanteria e cavalleria. Non si conoscono ad oggi i numeri reali dei caduti, le fonti a questo proposito non sono concordi. Le stime parlano di un rapporto 1:10 (cartaginesi: romani). Roma teme in questo momento per la sua stessa esistenza, ma vedremo da qui a breve che la storia si avvia verso un altro percorso.
La guerra sul fronte iberico
La guerra contro Cartagine si sviluppa su un secondo fronte, quello iberico. Anche qui sembra che la fortuna abbia abbandonato i romani. Dopo la sconfitta subita sul Trebbia, Publio Cornelio Scipione spostò le sue truppe in Spagna, unendo le forze con il fratello Cneo. Qui i generali romani affrontano le forze guidate dal fratello di Annibale, Asdrubale. Riescono per diverso tempo a fronteggiare i nemici e impedire che portino soccorso ad Annibale in Italia. Tuttavia Asdrubale riesce a sconfiggerli e ucciderli nel 211 a. C., affrontandoli in due battaglie separate.
Nel frattempo Annibale ingrossa le sue fila, con uomini che si uniscono alla sua causa provenienti dai popoli e le città precedentemente conquistate da Roma e che non si sentono ancora sottomessi. La vittoria riportata a Canne lo aiuta notevolmente nell’alimentare la sua fama di generale invincibile. Dopo i Galli, si uniscono al condottiero cartaginese, i Sanniti, i Bruzi, i Lucani e i Dauni. Tra le città che abbandonano Roma ci sono Siracusa e Capua nel 215 a.C., Taranto nel 212 a.C.
Roma inoltre si trova a dover fronteggiare un terzo fronte imprevisto nei Balcani. Nel 215 a.C. Annibale stabilisce dei contatti con Filippo V di Macedonia, che ha delle ambizioni di conquista sulle coste dell’Adriatico meridionale, ambizioni alimentate da una vecchia conoscenza di Roma, Demetrio di Faro. La repubblica romana a questo punto teme sinceramente per la sua stessa esistenza. Deve contrastare tutti questi fronti di guerra contemporaneamente, con risorse e sostegno che comincia a mancare.
La svolta per Roma
Nel momento più buio per la repubblica romana arriva la svolta. Come vedremo da qui a breve grazie al contributo di più elementi. A Roma si applicano misure di urgenza. Prima di tutto i cittadini sono sottoposti a tributo doppio, ma non si ribellano visto il grave momento di difficoltà. In più le famiglie ricche fanno ingenti donazioni per aiutare l’esercito e i suoi soldati.
Per quanto riguarda le alleanze la repubblica ha subito gravi perdite nella parte meridionale della penisola, ma riesce a mantenere la fedeltà delle popolazioni centrali, tra cui Etruschi, Latini e Umbri. Questo fattore è cruciale perché bilancia le forze in campo in Italia, che unito alla mancanza di approvvigionamenti impedisce ad Annibale di sferrare un attacco mortale sulla città. Infine un elemento che contribuì alla ripresa delle forze della repubblica è l’arruolamento nell’esercito degli schiavi, cui viene promessa la libertà a fine conflitto. Da qui in poi assistiamo alla riscossa dei romani su tutti i fronti.
Sull’improvviso fronte balcanico, passato alla storia come prima guerra macedonica (215-205 a.C.), Roma riesce a non sprecare energie, opponendo a Filippo un insieme di Stati greci che gli sono ostili, tra cui la Lega Etolica. Inoltre una piccola flotta di 50 quinqueremi basta a impedire lo sbarco delle forze macedoni in Italia. Queste azioni di disturbo paralizzano l’azione del re macedone e nel momento in cui gli etoli manifestano l’intenzione di abbandonare il conflitto, Roma firma una pace con Filippo (205 a.C. pace di Fenice), lasciando di fatto la situazione invariata nella zona.
Sul fronte iberico, dopo la morte di Publio Cornelio Scipione e del fratello Cneo, la situazione passa in mano al figlio. Il giovane Scipione tecnicamente non può prendere il comando, fino a quel momento ha ricoperto solo il ruolo minore di edile. Ma in virtù delle sue eccezionali qualità personali si fa uno strappo alla prassi. La repubblica non si pentirà della scelta fatta.

Infatti già nel 209 a.C. Scipione riesce a espugnare il centro più importante per i cartaginesi, Nova Carthago. L’anno seguente (208 a.C.) affronta e sconfigge Asdrubale nei pressi di Baecula. Non riesce tuttavia a catturare Asdrubale, che ne approfitta e si dirige in Italia per ricongiungersi al fratello, ripetendo l’impresa delle Alpi (207 a.C.). Asdrubale tuttavia ignora quanto velocemente i romani si stessero riprendendo sulla penisola.
Riprese le tattiche di guerriglia e impedendo l’arrivo di aiuti da Africa e Spagna, hanno messo in grave difficoltà Annibale. Con mirate azioni militari riprendono il controllo delle città di Capua (211 a.C.) e di Taranto (209 a.C.). In quest’ultima hanno mantenuto un presidio nella cittadella, impedendo lo sbarco nel porto dei rinforzi provenienti dall’Africa e di cui Annibale ha disperato bisogno. Anche in Sicilia, dove Roma ha perso il supporto di Siracusa, le truppe sotto il comando di Marco Claudio Marcello riescono a espugnare nel 212 a.C. la città, dopo un assedio durato 3 anni. Diventa leggendario il contributo di Archimede alla resistenza portata avanti dai siracusani.
Asdrubale atterra quindi in Italia, ma nei pressi del fiume Metauro in Abruzzo viene sconfitto dagli eserciti uniti dei consoli Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone (207 a.C.). Asdrubale stesso perde la vita in battaglia e secondo la tradizione la sua testa viene lanciata nell’accampamento di Annibale. Infine nel 206 a.C. Scipione annienta nella battaglia di Ilipa quanto resta delle forze cartaginesi in Spagna. Toglie così a Cartagine il controllo della penisola iberica e sferra un colpo decisivo ai nemici.
Il fronte africano e la fine della seconda guerra punica
La conquista della Spagna è considerata da molti storici il momento cruciale per la vittoria di Roma. Nel 205 a.C. Scipione, che nel frattempo è rientrato nella capitale, viene eletto console. In Senato si dibatte sulla linea da seguire per eliminare la minaccia cartaginese. Annibale si trova ancora in Italia in questo momento. Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, propende per concentrare tutta le forze militari nella penisola e eliminare il generale cartaginese. Scipione invece vuole aprire un nuovo fronte in Africa e portare la guerra alle porte di Cartagine.
Non si raggiunge un linea di condotta, ma Scipione ottiene per l’anno seguente il comando della Sicilia e il permesso di poter andare in Africa, con le sole due legioni che gli sono state concesse. L’impresa è rischiosa per il brillante generale romano, due legioni non sono sufficienti per progettare un’aggressione efficace sul suolo africano. Decide quindi di creare un esercito di volontari, cercando sostegno dagli alleati italici e una volta arrivato in Africa (204 a.C.) sfruttando le divisioni interne del popolo dei Numidi, vicini e alleati di Cartagine.
Tradizionalmente il Regno di Numidia supporta l’esercito cartaginese con la sua cavalleria. In questo momento i due principali leader numidi sono Massinissa e Siface. Quest’ultimo è stato alleato dei romani per lungo tempo, per estendere la sua influenza politica sulla regione ai danni di Massinissa. Tuttavia nel momento in cui Scipione arriva in Africa, si sente minacciato e cerca l’appoggio di Cartagine.
Scipione, intuito che l’alleato ha cambiato schieramento, cerca il supporto di Massinissa. Il leader numida capisce che l’alleanza con i romani va a suo vantaggio nelle pretese interne al Regno di Numidia e si schiera con questi ultimi. Affrontano quindi in battaglia un esercito cartaginese presso i Campi Magni (203 a.C.) cogliendo un importante vittoria. Allarmati dalla minaccia concreta delle forze romane e numide al comando di Massinissa, a Cartagine si decide di intavolare una trattativa per la pace e nel frattempo viene dato l’ordine ad Annibale di rientrare.
Scipione, che non contempla più uno scenario dove Cartagine non sia completamente sottomessa a Roma, impone delle condizioni durissime con l’obiettivo di far fallire le trattative e ingaggiare uno scontro definitivo tra le due potenze. L’arrivo di Annibale accende delle speranze a Cartagine, infrante purtroppo dall’esito della Battaglia di Zama (202 a.C.). Sebbene anche in questa occasione Annibale si sia comportato magistralmente nel mettere i nemici in difficoltà, Massinissa consegna la vittoria al generale romano.
Cartagine quindi è sconfitta. Il trattato di pace firmato nel 201 a.C. impone il completo smantellamento della flotta di guerra (eccezione per 10 trireme), il pagamento di 260 tonnellate d’argento in 50 anni e il riconoscimento di Massinissa come unico re del Regno di Numidia. Cartagine, inoltre, da questo momento in poi può dichiarare guerra solo dopo essersi consultata con Roma. Per i meriti ottenuti durante la guerra Scipione ottiene il cognome onorifico di Africano e celebra un trionfo imponente a Roma.
Conclusione
L’articolo è finito. Spero vi sia piaciuta la lettura. Trovate nella sezione “Consigli di lettura” le fonti su cui si basano le informazioni dell’elaborato. Come sempre vi invito a seguire il blog di Fatti per la storia e tutti i loro profili social. A presto.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Sergio Roda, Storia Romana. Roma dallo stato-città all’impero senza fine, Edises, 2015.
- Giovanni Gerace e Arnaldo Marcone, Storia Romana, Quarta Edizione, Mondadori, 2016.