CONTENUTO
I protagonisti
Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, sale sul trono di Pietro in un momento di grande cambiamento politico nell’Europa del tardo medioevo, quando le monarchie feudali avviano il processo che le porterà a diventare Stati Nazionali, in un’evoluzione che li rende sempre più indipendenti dal potere temporale della Chiesa e a metterlo costantemente in discussione.
Bonifacio viene dipinto da molti storici come un personaggio dispotico, cinico, avido di potere e ricchezza e molto superstizioso, ma ricordato come una delle più grandi personalità del papato medievale, capace anche di atti magnanimi. Proviente dalla potente famiglia aristocratica romana dei Caetani o Gaetani, storici avversari dei Colonna, nasce ad Anagni nel 1230.
Dal 1260, dopo studi di diritto anche presso l’Università di Bologna, inizia la carriera ecclesiastica. Quando diviene cardinale partecipa ai conclavi precedenti la sua elezione, avvenuta il 23 dicembre 1294. Questo rappresenta un primo momento chiave della sua vita, o meglio del suo pontificato: viene eletto al quarto tentativo dopo soli 5 mesi dall’elezione del suo predecessore, l’anziano monaco benedettino, Celestino V.
La storia tramanda che il monaco chiese aiuto al cardinal giurista Caetani, in quanto si sentiva inadatto a ricoprire quella carica. Leggenda narra e fatalità vuole, che sia proprio Benedetto a consigliare al papa di abdicare (primo della storia a compiere questo atto), cosa che fa solo tre giorni dopo, rinunciando alla carica e alla fine dell’anno viene eletto il Caetani come pontefice di Roma.
Viene incoronato il 23 gennaio 1295 nella Basilica di S. Pietro nella quale erano presenti l’aristocrazia romana, il re di Napoli Carlo II e suo figlio Carlo Martello. Primo atto del suo pontificato è evitare che il suo vecchio predecessore possa “essere usato” contro di lui: lo fa arrestare da Carlo II mentre cerca di raggiungere la Grecia e lo imprigiona nella rocca di Fumone, dove muore pochi mesi dopo, il 19 maggio 1296.
Fin da subito, Bonifacio manifesta la sua idea di papato, in maniera più energica rispetto ai suoi predecessori, come un potere superiore rispetto a tutti gli altri sovrani che, in quanto cristiani, sono e devono essere sottomessi alla Chiesa. All’interno dell’ecumene il pontefice colloca la cosiddetta “Christianitas”, cioè una sorta di comunità socio-politica dei popoli cristiani che devono vivere secondo i dogmi cristiani ed essere sottoposti alla Chiesa e di conseguenza al suo capo, cioè il papa. Questa sua idea di potere andrà presto a scontrarsi con un’altra: quella del Re di Francia.
Filippo IV detto il Bello nasce a Fontainebleau nel 1268, secondogenito di Filippo III l’Ardito e di Isabella d’Aragona. Nominato erede al trono dopo la morte del fratello maggiore Luigi, il 16 agosto 1284 sposa Giovanna I di Navarra. Diventa re nell’ottobre dello stesso a 17 anni a seguito della prematura morte del padre per dissenteria a Perpignan.
È un sovrano che cerca di consolidare e rafforzare la monarchia ed inoltre potenzia anche il sistema burocratico, tant’è che il suo dominio segna una fase fondamentale per il passaggio ad una monarchia burocratizzata. Il suo regno è segnato dal conflitto con re Edoardo I d’Inghilterra, dopo l’invasione dei suoi feudi sul territorio francese, ma soprattutto per lo scontro con il papato, nella figura di Bonifacio VIII.
L’inizio dello scontro
Il rapporto tra papato e regno di Francia inizia ad incrinarsi con l’emanazione del primo atto ufficiale di Bonifacio, la bolla Clericis Laicos, il 24 febbraio 1296, attraverso la quale vieta ai laici di imporre tasse al clero e ad esso di pagare i tributi richiesti, pena la scomunica in entrambe i casi. Il re di Francia risponde emanando un decreto il 17 agosto 1296 con il quale vieta la fuoriuscita dal regno di denaro e metalli preziosi, provvedimento che va ad impedire a Roma la riscossione delle decime e danneggiandola quindi economicamente.
Per evitare che la situazione precipiti ulteriormente, il clero riesce a convincere il papa a concedere a Filippo il diritto di riscuotere le tasse del clero all’interno del suo regno, garantendo una pace momentanea. Nuovi attriti emergono a seguito dell’alleanza tra il re di Francia e l’imperatore Alberto I d’Asburgo, pensando che questi avesse interessi in Italia.
La reazione del papa avviene a seguito della pesante tassazione che Filippo sta imponendo al clero francese e che lo porta ad emanare la bolla Salvator Mundi, il 4 dicembre 1301, con la quale toglie tutti i privilegi concessi al re in precedenza, seguita il giorno successivo da un’altra bolla Ausculta Fili, che contiene l’essenza dell’idea di pontificato di Bonifacio e che impone la convocazione di un sinodo, a cui deve partecipare l’episcopato francese e lo stesso re, a Roma l’anno seguente, dove il sovrano sarebbe stato giudicato. Questi due provvedimenti portano la violenta reazione del re di Francia e alla rottura ormai insanabile fra i due pretendenti.
Lo schiaffo di Anagni
La rapida reazione di Filippo alle bolle di Bonifacio si traduce in una segreta distruzione dei documenti e nella divulgazione nel regno di una versione alterata dell’Ausculta fili, intitolata Deum time (o Scire te volumus) dove viene distorto pesantemente il discorso del papa con lo scopo di scatenare un sentimento d’indignazione nei suoi confronti.
La denigrazione del pontefice si realizza il 10 aprile 1302, quando il re convoca gli Stati Generali a Parigi, al termine dei quali viene stilato un resoconto che respinge la posizione del papa e dichiara troppo offensive e pretenziose le sue volontà verso la Francia proibendo la presenza dei chierici francesi al sinodo.
Il papa reagisce velocemente emanando la ormai famosa bolla Unam Sanctam, una summa della volontà teocratica del pontefice, nella cui parte più celebre, cosiddetta “delle due spade”, vi è scritto:
“… nella potestà della Chiesa, sono distinte due spade, quella spirituale e quella temporale; la prima viene condotta dalla Chiesa, la seconda per la Chiesa, quella per mano del sacerdote, questa per mano del re ma dietro indicazione del sacerdote […], la potestà spirituale deve ordinare e giudicare la potestà temporale […], chi si oppone a questa suprema potestà spirituale, esercitata da un uomo ma derivata da Dio, nella promessa di Pietro, si oppone a Dio stesso. È quindi necessario per ogni uomo che desidera la sua salvezza assoggettarsi al vescovo di Roma.”
Filippo IV agisce questa volta nel tentativo di eliminare definitivamente il papa. Convoca il consiglio di Stato il 12 marzo 1303, dove mette a processo il pontefice accusandolo di ogni nefandezza ed eresia e avvia il percorso per la sua destituzione. Perché i piani del sovrano si realizzino, è necessaria la presenza di Bonifacio e perciò il re invia Guglielmo di Nogaret in Italia per arrestarlo e condurlo in Francia.
Il papa braccato, invia una lettera di scomunica a Filippo e cerca di rompere l’alleanza tra lui e Alberto I d’Asburgo, promettendogli l’incoronazione imperiale in cambio della sua protezione. Il re di Francia convoca immediatamente gli Stati Generali per accelerare i tempi del processo, accusando il papa dell’omicidio del suo predecessore, Celestino V, in aggiunta alle precedenti imputazioni, ottenendo la condanna e la destituzione unanime di Bonifacio.
Il pontefice viene a conoscenza della situazione e stila la bolla Super Petri solio, con la quale scomunica il re e svincola tutti i sudditi dall’obbedienza. Peccato che non fa in tempo ad emanarla, perché arrivano ad Anagni Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna con l’intera famiglia che ordiscono una congiura insieme al popolo, alla borghesia romana e a molti cardinali.
Nel settembre del 1303 Sciarra Colonna e il Nogaret catturano il papa ad Anagni irrompendo nel palazzo pontificio, con il Colonna che insulta pesantemente il pontefice e il Nogaret che lo minaccia di condurlo legato a Lione. È qui che s’inserisce il famoso episodio dello “schiaffo di Anagni”, leggenda che narra lo schiaffo di Sciarra Colonna a Bonifacio, divenuto un racconto quasi mitico, in quanto non si sa come siano andate le cose realmente, anche se nelle Cronache fiorentine di Giovanni Villani, viene riportato un passo che può fare chiarezza:
“come piacque a Dio, per conservare la santa dignità papale, niuno ebbe ardire di toccarlo e porgli le mani addosso […]”;
sembra quindi che sia stato portato in carcere:
“sotto cortese guardia”.
Dopo l’episodio, Bonifacio rimane in prigione per tre giorni, liberato poi dai cittadini di Anagni, ma muore un mese dopo nell’ottobre del 1303, probabilmente per l’aggravamento della gotta e dei calcoli renali, anche se è tramandato che lasciò questo mondo a causa del trauma subito.
Dopo Bonifacio VIII
Filippo IV non si ferma con la morte del pontefice, ma continua il processo post mortem a più riprese nel 1307 e 1310 riuscendo a convincere il nuovo papa Clemente V, al secolo Bertrand de Got (colui che eletto nel 1305, dopo il breve pontificato di Benedetto XI, sposta la sede del papato ad Avignone, la cosiddetta “cattività avignonese”, dal 1309 al 1378).
Al termine del processo, avvenuto nel 1313, il sovrano non riesce ad ottenere la condanna definitiva di Bonifacio, ma in compenso si cancellano tutti i suoi atti verso il re e i Colonna, assolvendo anche i protagonisti dello schiaffo di Anagni. La travagliata lotta tra questi due protagonisti del tardo medioevo, si conclude con la morte il 29 novembre 1314 di Filippo IV a causa di un ictus e conseguente caduta da cavallo.
Al sovrano va il merito o demerito, di aver tenuto testa ad uno dei più grandi pontefici del medioevo, oscurato troppo spesso dai tratti negativi del suo carattere e dalla sua smania di potere. Il re pone le basi di uno stato burocratizzato che avvia in Francia la formazione, come detto, degli Stati Nazionali, anche se poi i suoi figli porteranno alla fine la dinastia Capetingia, a vantaggio dei Valois.
Al pontefice va riconosciuta la rielaborazione di buona parte del diritto canonico, che rimarrà in vigore fino al secolo scorso e di aver istituito nel 1300 il Giubileo, “l’Anno Santo”, da quel momento in poi celebrato regolarmente. Infine va dato il merito di aver fondato il 20 aprile 1303 con la bolla In supremae praeminentia dignitatis, lo Studium Urbis, cioè l’università “La Sapienza” di Roma.
Nell’anno di Dante, non può mancare l’opinione del sommo poeta, contemporaneo del papa. Anzi, più che opinione, lo scontro con lui in occasione della faida a Firenze tra i guelfi bianchi e i guelfi neri, che porta poi alla condanna a morte del poeta e al suo esilio. Il pontefice nell’occasione trattiene con dei cavilli Dante al palazzo papale molto lungo (ove si reca per trovare un accordo con Bonifacio), nel mentre in città trionfano i neri e viene pronunciata la sentenza contro di lui.
Dante perciò, dà tutta la colpa della sua disgrazia al papa e lo “getta” nel suo inferno, scagliandosi sia contro la sua persona, sia contro la supremazia della chiesa, anche se non viene mai preso in causa direttamente in quanto è vivo al momento della stesura dell’opera.
Ecco il papa nell’inferno, canto XIX, vv. 52-57:
Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».
Qui si scaglia contro la sua bramosia di potere e ricchezza che conduce alla distruzione della bella donna, cioè la Chiesa. Oltre alla Commedia, l’Alighieri scrive anche una sua confessione politica, il De monarchia, dove va contro la teocrazia del papato, perché solo a Dio il re deve rispondere (era un testo talmente “eretico” che rimane nell’indice dei libri proibiti fino al 1908). La vicenda di Bonifacio è alla fine l’espressione pratica, se vogliamo, dell’ultima volontà di supremazia di un’epoca ormai al tramonto.
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2017, Roma - L. Sperduti, Storia segreta del Papato, Newton Compton Editori, 2017, Roma
- G.L. Potestà – G. Vian, Storia del Cristianesimo, Il Mulino, 2014, Bologna
- A. Antonioli, I grandi personaggi che hanno cambiato l’Italia del Medioevo, Newtoncompton Editori, 2019, Roma