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A Washington, nel gennaio 1973, iniziò un processo a 7 imputati, di cui 5 erano stati arrestati nel giugno precedente (la notte del 17 giugno), in piena campagna elettorale, mentre operavano un furto con scasso in un condominio residenziale della capitale di nome Watergate, sede del comitato elettorale democratico; gli altri 2 erano stati assicurati alla giustizia in seguito, essendo risultati complici nella progettazione.
Grazie alle indagini di due giornalisti del Washington Post, si era poi scoperto che tra i 7 arrestati c’erano alcuni ex membri del CREEP, il comitato elettorale nixoniano, i quali facevano parte di una squadra di dipendenti della Casa Bianca detta degli idraulici perché specializzata in operazioni volte ufficialmente a scoprire le fughe di notizie, ma in realtà incaricata di raccogliere a qualunque prezzo informazioni compromettenti contro gli avversari politici del presidente.
Le dimissioni di Richard Nixon
Soffocato nelle ultime settimane della campagna elettorale da un efficace fuoco di sbarramento mediatico orchestrato dalla Casa Bianca, il caso esplose nel marzo 1973, quando, durante il processo, uno degli imputati ammise che l’operazione Watergate era stata organizzata dal presidente del CREEP alla ricerca di elementi contro McGovern.
Nei mesi che seguirono, le rivelazioni sul caso indussero il Senato a creare una commissione d’inchiesta e a sollecitare la nomina di uno special prosecutor, scelto dal ministro della Giustizia. I tentativi di insabbiare l’inchiesta da parte di Nixon fallirono. Mentre la situazione precipitava per il presidente, il paese fu esposto allo squallido spettacolo di un primo cittadino che invocava il “privilegio esecutivo” in maniera indebita per non consegnare alle autorità i nastri registrati contenenti le prove dei suoi atti illegali; oppure ne consegnava alcuni espurgati, che comunque contenevano materia sufficiente per incriminarlo sia per le operazioni che aveva istigato prima dello scoppio del Watergate, sia per le illegalità che aveva commesso per coprire il Watergate stesso.
Il Vicepresidente Agnew si dimise, costretto a lasciare la Casa Bianca per pesanti addebiti di peculato e corruzione (le sue dimissioni coincisero con lo scoppio dell’offensiva israeliana dello Yom Kippur, da cui sarebbero venuti l’embargo aravo e la crisi petrolifera). Dinanzi alla quasi certa approvazione dell’impeachment, nell’agosto 1974 Nixon decise di seguire l’esempio di Agnew e divenne così il primo e unico presidente della storia americana a uscire anzitempo di scena mediante dimissioni.
Come funziona la procedura di impeachment?
L’impeachment, ovvero la messa in stato d’accusa, è una procedura per rimuovere il presidente dalla propria carica, e funziona come un vero e proprio processo.
“Il potere di impeachment è dato da questa costituzione per punire i grandi criminali”.
James Iredell, giudice della Corte Suprema ai tempi di George Washington, così descrisse la facoltà esercitata dal Congresso americano di procedere all’impeachment dei presidenti, vice presidenti, ministri e giudici.
I padri fondatori, che il 2 giugno 1787 scrissero la costituzione degli Stati Uniti, formalizzarono il diritto di mettere sotto stato d’accusa un presidente per “negligenza o mancato rispetto dei propri doveri”. Andando più a fondo nella questione, la Camera può richiedere l’impeachment per un’alta carica dello Stato per “tradimento, corruzione o altri reati gravi” con un voto a maggioranza semplice, mentre il Senato può di accogliere o respingere la mozione con una maggioranza di due terzi.
Senza esprimere giudizi di merito e considerazioni che sfociano nell’ambito politico, Donald Trump è diventato il terzo presidente degli Stati Uniti a subire un impeachment, dopo Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998. L’unico presidente americano a dimettersi invece, come già detto in precedenza, fu proprio Richard Nixon.
La “presidenza imperiale” e i limiti del war power
Lo storico della Casa Bianca Arthur Schlesinger coniò l’espressione “presidenza imperiale” per denunciare la degenerazione dispotica del primo cittadino, iniziata con Johnson e portata all’estremo da Nixon, rispetto alla presidenza costituzionale. Nel Watergate venivano al pettine i nodi irrisolti del potere accumulato dall’esecutivo dalla Grande crisi in poi, le forzatura del war power e del privilegio esecutivo favorite dal clima di emergenza permanente e dalla sovraesposizione imperiale statunitense della guerra fredda, le gravi debolezze personali e di stile di leadership di un politico del quale sarebbe ingiusto tacere l’indubbia abilità tattica, la prontezza decisionale e la capacità di mobilitazione delle risorse, ma che aveva fatto del sotterfugio, dell’intimidazione e dell’illegalità la cifra del proprio governo.
Il Watergate era il risultato del rapporto del presidente con un Congresso ostile, come testimoniavano le leggi del 1973-74 che limitavano il war power, vincolando l’azione del presidente a una tempestiva informativa del Congresso, e la prassi dell’impoundment. Il presidenzialismo ne uscì fortemente delegittimato, ma invero la crisi costituzionale provocata dal Watergate investì l’intera polity, gettandovi un’ombra inquietante che accentuò la disaffezione elettorale.