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Home Storia Contemporanea

Sacco e Vanzetti: il caso dei due emigrati condannati a morte

È trascorso più di un secolo dal giorno in cui Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono arrestati su un tram a South Bridgewater, vicino Boston, accusati di una rapina e un duplice omicidio. E condannati a morte sulla sedia elettrica. Ma non fu un processo equo.

di Francesco Caldari
8 Giugno 2025
TEMPO DI LETTURA: 16 MIN
Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco in manette nel 1923

Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco in manette nel 1923

CONTENUTO

  • Sacco e Vanzetti. Il prezzo del pregiudizio e il volto nascosto dell’America Anni Venti
  • La Red Scare
  • Chi erano Sacco e Vanzetti?
  • Il rientro negli Stati Uniti
  • Il crimine di South Braintree
  • Come si arrivò all’arresto ed all’accusa nei confronti di due italiani
  • Sacco e Vanzetti: un processo controverso
  • Ed in Italia? La posizione ambigua di Mussolini
  • Le richieste di revisione
  • La condanna a morte di Sacco e Vanzetti sulla sedia elettrica
  • Sacco e Vanzetti nella cultura di massa

Sacco e Vanzetti. Il prezzo del pregiudizio e il volto nascosto dell’America Anni Venti

Mike Dukakis si schiarì la voce. Era giunto al passo più importante del suo discorso. Prese fiato e scandì bene: “io dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”. A Boston quel 23 agosto 1977, a 50 anni dalla esecuzione sulla sedia elettrica dei due italiani accusati di rapina e duplice omicidio, il Governatore del Massachusetts riabilitava la loro figura, seppure -non avendone invero la facoltà – non riconoscesse pienamente la loro innocenza. Vincenzina Vanzetti, la sorella di Bartolomeo, accolse con sollievo la dichiarazione di Dukakis. Aveva 5 anni quando il suo Trômlin – come lo chiamavano in casa – era partito dalla provincia di Cuneo per “la Merica”. Dopo anni di lotta per dimostrare l’innocenza del fratello e del suo compagno di sventura, condotta per il tramite del da lei costituito “Comitato per la Riabilitazione”, affermò: “adesso posso anche morire in pace!”. Ma come molti sottolineò che quel proclama arrivava troppo tardi. Nessuna dichiarazione ufficiale avrebbe potuto loro restituire la vita e aiutarli a dimostrare la non colpevolezza.

Da sinistra, Vanzetti e Sacco (pubblico dominio)

Già negli anni Venti, in un’America attraversata dalla paura del comunismo e dal crescente sentimento anti-mmigrati, il caso di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti era esploso come simbolo di ingiustizia e pregiudizio sociale. I due anarchici italiani, emigrati negli Stati Uniti in cerca di una vita migliore, furono arrestati e accusati di rapina e duplice omicidio per un episodio avvenuto a South Braintree, nel Massachusetts. Il processo che ne seguì, da molti ritenuto non equo, non si limitò ad una questione giudiziaria, ma divenne un evento di rilevanza internazionale, sì da generare sdegno e proteste in tutto il mondo. Intellettuali, attivisti, comuni cittadini iniziarono a dubitare della correttezza di un verdetto che pareva influenzato, più che da prove reali, dall’origine etnica e dalle idee politiche degli imputati. Secondo alcuni si trattò di una “montatura”, volta a dare il colpo di grazia al movimento anarchico negli USA. È indubbio che il caso di Sacco e Vanzetti per molti rappresenta tutt’oggi un monito contro il potere del pregiudizio e dell’intolleranza.

La Red Scare

Dopo la Rivoluzione Russa del 1917, non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti sorse la paura che il comunismo potesse diffondersi. Non erano passati molti anni dal settembre 1901, quando l’anarchico statunitense di origine polacca Leon Czolgosz aveva ucciso il presidente William McKinley. Una serie di attentati attribuiti ai radicali e l’ondata di scioperi e proteste sindacali nel primo dopoguerra alimentarono tale sentimento, così come i “Raids di Palmer”: in quello che gli storici hanno definito il primo periodo “populista” nella storia degli Stati Uniti, nella notte del 7 novembre 1919, migliaia di agenti di polizia attuarono una serie di operazioni violente durante le quali centinaia di cittadini stranieri e americani che erano membri o sostenitori del movimento dei lavoratori furono arrestati.

Nel corso dei tre mesi successivi, dopo che il capo del Dipartimento di Giustizia americano Palmer aveva ordinati i “raids” che avevano preso il suo nome, migliaia di persone furono rimpatriate nei loro paesi di origine. Anche se alla fine la strategia fu abbandonata, quelle incursioni segnarono un punto di svolta nella storia degli Stati Uniti. Se non bastasse, ci furono anche attacchi violenti contro sospetti comunisti e sindacalisti da parte di gruppi paramilitari e milizie private. Questo clima di panico e diffidenza caratterizzato da un forte sentimento anti-anarchico e antimmigrati ebbe un impatto negativo sulla vita politica e sociale americana per tutti gli anni ’20. Per certi versi, la Red Scare (la Paura Rossa) gettò le basi per il maccartismo degli anni ’50, un’altra ondata di caccia alle streghe anticomunista.

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Gli Stati Uniti uscivano dal Primo Conflitto Mondiale e dovevano affrontare la riconversione dell’economia di guerra e l’inflazione. In questo clima di instabilità, si erano verificati numerosi attentati anarchici, alcuni dei quali diretti contro figure politiche di spicco, come i sindaci di Seattle e Cleveland. Un attentato alla banca Morgan a Wall Street nel settembre del 1920, che causò 38 morti e oltre 200 feriti, contribuì ad enfatizzare ulteriormente la paura del “terrore rosso“. Ne torneremo a parlare, poiché avvenne cinque giorni dopo l’arresto di Sacco e Vanzetti, forse per vendicarli e intimidire il mondo della finanza americana, a sospetta opera dell’italiano Mario Buda, pure indicato come coinvolto nella rapina e nel duplice omicidio che costò la condanna ai suoi due connazionali.

Le autorità risposero dunque con una repressione che non faceva distinzione tra anarchici, comunisti e socialisti, mediante leggi ad hoc (Espionage Act, Sediction Act, Immigration Act). E l’opinione pubblica amalgamava gli immigrati italiani con i “rossi”. Un clima di xenofobia che portò all’inasprimento delle leggi sull’immigrazione, limitando l’ingresso di italiani e altri gruppi etnici.

Chi erano Sacco e Vanzetti?

Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo “Trômlin” Vanzetti erano emigrati negli Stati Uniti rispettivamente nel 1908 (da Torremaggiore, in provincia di Foggia) e 1909 (da Villafalletto, in provincia di Cuneo). Entrambi provenivano da famiglie contadine, ed erano parte del numeroso esodo nazionale verso il “sogno mericano” che riempiva i bastimenti. Tra il 1876 e il 1915, circa 14 milioni di italiani lasciarono il nostro Paese, la maggior parte diretti negli Stati Uniti. Una volta negli USA, i due si inserirono nel contesto operaio: il pugliese Sacco lavorava come calzolaio, mentre il piemontese Vanzetti, dopo diversi lavori umili, divenne un venditore ambulante di pesce.

I due si conobbero nel maggio 1917 a una riunione di anarchici ad East Boston. Il loro attivismo si concentrava sui diritti dei lavoratori, con la partecipazione a scioperi e manifestazioni. Entrambi vicini alle idee rivoluzionarie di Errico Malatesta, che ad un certo punto della sua vita venne acclamato dai suoi seguaci come il Lenin italiano, entrarono a far parte del gruppo anarchico italiano del vercellese Luigi Galleani, che stampava il giornale Cronaca Sovversiva, cui collaborarono, poi chiuso dalle autorità. Galleani era un anarchico realmente “internazionalista”, poiché portò le sue idee – anche perché braccato dalle polizie delle varie nazioni nelle quali le professava e costretto a lasciare i Paesi – in Francia, Svizzera, Egitto, Londra, Canada, Stati Uniti dove visse dal 1901 al 1919.

Coloro che erano inseriti nel suo gruppo furono denominati “galleanisti”, seguaci della così detta “propaganda dell’atto”, ovvero l’esercizio della violenza per uccidere coloro che erano visti come “tiranni” e “oppressori”, e compiere attentati, comprese le rapine, come strumenti legittimi nella lotta contro il capitalismo e lo stato, per portare al rovesciamento delle istituzioni governative. Fu lui che nel giugno 1917, termine ultimo per la presentazione alla visita militare, spinse numerosi compagni, ivi compresi Sacco e Vanzetti, a fuggire in Messico, per evitare la chiamata alle armi. Il 6 aprile 1917 infatti anche gli Stati Uniti erano divenuti protagonisti del Primo conflitto mondiale dichiarando guerra alla Germania. Il Congresso il 18 maggio 1917 aveva promulgato il Selective Service Act, per chiamare migliaia di giovani a fronteggiare il fabbisogno militare. Numerosi disertori da Boston, Chicago ed altre località si diressero verso la messicana Monterrey e lì diedero origine ad una comune anarchica. Tra loro, oltre i due nostri, anche Mario Buda.

Il rientro negli Stati Uniti

La loro esperienza in Messico fu difficile. Sacco rientrò negli Stati Uniti alla fine dell’estate del 1917, usando fino alla fine della guerra lo pseudonimo di Nicola (nome che scelse in omaggio al fratello, deceduto durante la sua permanenza in Messico) Mosmacotelli. Vanzetti si trattenne in Messico più a lungo di Sacco, fermandosi poi in Ohio, per circa sei mesi. Tuttavia, anche lui tornò nel Massachusetts entro la fine del 1918. Al loro rientro trovarono I ‘organizzazione della quale facevano parte smembrata dai “Raids di Palmer”. Il leader Galleani venne espulso, al pari di molti altri italiani, e “Cronaca Sovversiva” di conseguenza venne chiuso.

Il crimine di South Braintree

Fu il 15 aprile 1920 che avvenne una rapina a mano armata a South Braintree, una località non distante da Boston, durante la quale vennero uccisi il cassiere Frederick Parmenter del calzaturificio Slater & Morrill e la guardia Alessandro Berardelli che lo accompagnava. Verso le tre del pomeriggio, Parmenter e Berardelli uscirono dalla fabbrica con due cassette contenenti il salario degli operai, per un totale di 15.776 dollari. Vennero avvicinati da due uomini armati, uno dei quali indossava un cappello calato sugli occhi. Parmenter tentò la fuga, ma venne raggiunto da due colpi di pistola, uno dei quali alla schiena. Anche Berardelli fu colpito da quattro proiettili, due Peters, un Remington e un Winchester.

L’uomo con il cappello raccolse le due cassette con i soldi, mentre il complice sparò altri due colpi contro il meccanico Jimmy Bostock, che passava casualmente e stava cercando di intervenire in aiuto delle vittime. Saliti a bordo di un’auto, i due rapinatori fuggirono, sparando ancora contro le finestre della fabbrica. Durante la partenza precipitosa, i rapinatori dovettero attraversare un passaggio a livello chiuso per il transito di un treno. Costrinsero il casellante ad alzare le sbarre, sicché questi si trovò a pochi metri dalla vettura dei fuggitivi. I rapinatori spararono poi un altro colpo, ferendo di striscio Roy Gould, un venditore ambulante. Parmenter venne accompagnato all’ospedale, ove morì per la perforazione della vena cava.

Numerosi furono i testimoni della scena: diversi operai italiani erano impegnati in lavori di scavo per un ristorante nei pressi della fabbrica, mentre la vettura utilizzata dai rapinatori, descritta come una Buick, venne indicata come parcheggiata prima dell’agguato davanti alla fabbrica con a bordo due uomini. Immediatamente dopo la rapina e gli omicidi, la polizia di South Braintree avviò le indagini, interrogando testimoni e raccogliendo prove sulla scena del crimine. I bossoli dei proiettili sparati furono acquisiti dal capitano William Proctor, capo della polizia dello Stato del Massachusetts. Tra i reperti (come vengono definiti in termini criminalistici) il giorno dopo fu trovato un berretto di stoffa grigio con la fodera strappata, vicino a dove era caduto il corpo di Berardelli. La notizia della rapina venne riportata dalle cronache locali dei quotidiani con un certo rilievo a causa delle due vittime. Fatti criminosi del genere erano consuetudine giornaliera in quel periodo.

Manifestazione a favore di Sacco e Vanzetti (pubblico dominio)

Come si arrivò all’arresto ed all’accusa nei confronti di due italiani

Il periodo tra aprile e maggio fu particolarmente intenso per gli italiani appartenenti al movimento anarchico. Il 3 maggio Andrea Salsedo era precipitato dal quattordicesimo piano del Park Row Building, a New York, dove erano siti i locali del Bureau of Investigation, che dichiarò trattarsi di suicidio. Egli era stato fermato qualche giorno prima per diffusione di stampa clandestina. La sua vita era legata a Galleani: questi si trovava confinato a Pantelleria quando l’adolescente Salsedo, del posto, lo conobbe e si infatuò dell’ideologia anarchica. Poi anni dopo lo raggiunse a New York, collaborando con “Cronache sovversive”. La morte di Salsedo colpì particolarmente Vanzetti, che era suo buon amico.

Due giorni più tardi, il 5 maggio, Sacco e Vanzetti vennero arrestati. Dopo la rapina, un investigatore privato dell’agenzia Pinkerton che collaborava alle indagini, assunto probabilmente dai proprietari della fabbrica o dalle autorità per contribuire alla ricerca dei colpevoli, suggerì che gli autori del colpo fossero anarchici italiani e che l’auto Buick fosse stata rubata a un certo Murphy il mese precedente. La polizia collegò la rapina ed altri recenti crimini al movimento galleanista, ipotizzando che i ladri fossero motivati dalla necessità di finanziare le loro attività. Venne prima sospettato Ferruccio Coacci, un operaio nella cui abitazione vennero trovate cartucce Browning 7,65×17 mm, e quindi il suo compagno di abitazione Mario Buda, proprietario di un’auto.

Quando un meccanico allertò la polizia, accorgendosi della targa falsa di una Buick che gli era stata portata in riparazione, la polizia tentò di arrestare Buda e altri tre uomini (successivamente identificati come Sacco, Vanzetti e tale Riccardo Orciani) mentre venivano a ritirare l’auto. I quattro si allontanarono quando il meccanico disse loro che il garage era chiuso e non poteva restituire la vettura, e la polizia riuscì a raggiungere Sacco e Vanzetti mentre si trovavano a bordo di un tram. Entrambi erano armati. Sacco, dotato di una Colt .32, aveva con sé un volantino che promuoveva un avviso di un’imminente manifestazione anarchica.

Vanzetti aveva un revolver .38 Harrington e Richardson. Al momento del suo arresto, Sacco e sua moglie Rosina avevano un figlio, Dante, e ne aspettavano un secondo. L’interrogatorio che seguì si concentrò sulle loro idee politiche: i due caddero in contraddizione, negando di associarsi con l’anarchico Buda e di essere andati al garage per ritirare l’auto. Incarcerati, l’11 settembre furono formalmente accusati di essere gli autori della rapina a mano armata di South Braintree e degli omicidi. Entrambi furono gravati ed inizialmente processati anche per un precedente tentativo di rapina, avvenuto il 24 dicembre 1919 a Bridgewater, che il capo della polizia Michael Stewart credeva collegato al secondo, ma un alibi convincente (si trovava al lavoro quel giorno) scagionò Sacco, mentre Vanzetti fu condannato, sulla base di prove che alcuni studiosi hanno giudicato “risibili”.

Tornando a South Braintree, l’auto che avrebbero dovuto recuperare nell’officina secondo gli inquirenti era il mezzo che era stato utilizzato per il crimine. Il 16 settembre 1920 avvenne l’attentato a Wall Street di cui abbiamo detto in apertura. Gli autori non furono mai identificati, ma vi sono pochi dubbi sulla matrice anarchica. Alcuni, per via di testimonianze, ritengono che il responsabile fosse Mario Buda, desideroso di vendicare l’arresto dei suoi compagni. In ogni caso, la strage peggiorò ulteriormente il clima.

Sacco e Vanzetti: un processo controverso

Un volantino a favore dei due condannati (pubblico dominio)

Il processo ebbe inizio il 31 maggio 1921 e fu segnato da gravi lacune e incongruenze nelle prove presentate, testimonianze inaffidabili e accuse di pregiudizi razziali e politici da parte del giudice e della giuria. Molti, sia all’epoca che in seguito, hanno sostenuto che i due anarchici erano innocenti e che la loro condanna fu motivata dal clima di paura e repressione della “Red Scare” e dal pregiudizio antitaliano e anti-anarchico. Il governatore del Massachusetts, Alvan T. Fuller, espresse apertamente la sua diffidenza verso i due imputati e quanti si presentarono a testimoniare a loro favore, affermando: “sono italiani, non si può credere alle loro parole“.

Diversi testimoni oculari fornirono descrizioni contrastanti dei rapinatori, e alcuni di loro cambiarono le loro versioni dei fatti nel corso del processo. La difesa di Sacco e Vanzetti presentò testimoni italiani a sostegno del loro alibi, ma questi vennero ridicolizzati e umiliati per il loro inglese stentato. La squadra difensiva era guidata dall’avvocato californiano Fred Moore, che aveva rappresentato molti radicali politici nelle aule di tribunale. Si trattava di un legale progressista della California, suggerito a Sacco e Vanzetti da Carlo Tresca, un importante esponente del movimento anarchico. Era considerato più di un semplice avvocato, in grado di mobilitare forze politiche, sindacali e culturali e di mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica sui comportamenti e le decisioni della polizia e della magistratura. Egli cercò per quanto gli era possibile di fronteggiare il giudice Thayer, e diede molta enfasi, con successo, al processo, sia a livello nazionale che internazionale. Per sostenere le spese fu organizzato un Comitato di difesa per la raccolta di fondi dalla comunità italo-americana, organizzazioni radicali, alcuni sindacati e altri simpatizzanti.

L’accusa si basò sui reperti. Il berretto di stoffa di cui abbiamo parlato venne attribuito a Sacco. Un testimone indicò che questi aveva appeso un berretto su un chiodo mentre era al lavoro e che questo aveva strappato la fodera. Seppure il berretto non avesse le stesse dimensioni degli altri trovati a casa e nel misurarlo nel processo appariva piccolo per il capo dell’italiano, l’accusa sostenne che la misura si adattava. Nel 1927, prima delle esecuzioni, Jeremiah Gallivan, capo della polizia di Braintree dal 1905 al 1926, dichiarò di essere stato lui ad aver strappato la fodera, per vedere se riusciva a trovare all’interno di segni di identificazione.

Anche le prove balistiche – che come è evidente, in un caso del genere risultano fondamentali – per collegare le armi trovate indosso a Sacco e Vanzetti al momento dell’arresto all’omicidio di Berardelli apparvero fragili. In particolare, fu sostenuto che il proiettile fatale per la morte della guardia (passato alle cronache come “Bullet Numero 3”) proveniva dalla pistola Colt di Sacco. Il capitano della polizia di stato William H. Proctor testimoniò che era “coerente con l’essere stato esploso” con quell’arma, seppure due anni più tardi egli firmò una dichiarazione giurata contraddittoria di cui daremo conto a breve.

Nonostante le analisi balistiche condotte negli anni successivi, la questione della corrispondenza tra l’arma di Sacco e i proiettili ritrovati sulla scena del crimine è rimasta controversa. Nel tempo sono state formulate ipotesi con riguardo alla sostituzione delle cartucce sequestrate a Vanzetti con altre di diverso tipo, e l’alterazione della pistola di Sacco con la sostituzione della canna. Va detto che negli anni ’60, lo scrittore Francis Russell incaricò due esperti di armi da fuoco di esaminare le pistole. Tuttavia, le armi furono reperite a seguito di lunghe ricerche in pessimo stato di conservazione, sì da rendere impossibile effettuare analisi accurate e definitive sulla corrispondenza tra le armi e i proiettili.

In buona sostanza, le analisi dei proiettili cento anni orsono si basavano sul solo confronto visivo diretto e con fotografie poco chiare, e la loro affidabilità era basata sull’esperienza personale del perito, sì da essere – come in maniera lampante il caso Sacco e Vanzetti dimostra – di difficile contestazione, con poche o punte possibilità di contro-perizia e di conseguenza risultati spesso definitivi. Una situazione (per fortuna) del tutto ribaltata al giorno d’oggi. Pure di rilevante importanza era naturalmente la verifica degli alibi dei due: Sacco attestò che il 15 aprile 1920 aveva preso un giorno libero dal lavoro per recarsi a Boston per richiedere un passaporto al consolato italiano.

Diversi testimoni confermarono di aver visto Sacco nel viaggio verso Boston ovvero in città. Egli consegnò al tribunale la foto che aveva tentato di utilizzare per ottenere il passaporto e che era stata respinta a causa delle sue eccessive dimensioni, mentre un funzionario avvalorò quanto detto, sottolineando che ricordava la data poiché mentre discuteva sulla inutilizzazione della foto con altri membri del consolato, aveva di fonte a sé un grande calendario. Vanzetti testimoniò che stava vendendo pesce a Plymouth e numerosi testimoni lo convalidarono.

Con riguardo alle dichiarazioni reticenti subito dopo l’arresto, la posizione dei due poteva ben giustificarsi con la recente morte di Andrea Salsedo ed il timore che questi avesse divulgato i nomi dei compagni anarchici, poiché gli imputati ritenevano di essere stati fermati per le loro idee politiche e non per la rapina. La corretta ed ordinata presentazione delle fonti di prova gravava sul giudice Webster Thayer, che presiedeva il processo, il quale si mostrò apertamente ostile nei confronti dei due imputati, definendoli in una circostanza “anarchici bastardi“. Thayer puntava alla carica di governatore del Massachusetts, e molti ritengono che la sua condotta nel processo fosse influenzata da questa ambizione politica. La sua parzialità fu successivamente evidente anche nel suo rifiuto di concedere un nuovo processo, nonostante le numerose irregolarità emerse durante il dibattimento.

Il clima di palese intolleranza influenzò il verdetto della giuria, composta da soli maschi anglosassoni, ostile nei confronti degli imputati fin dall’inizio. Il portavoce della giuria, prima ancora dell’inizio del processo, dichiarò che gli imputati “anche se fossero innocenti, dovrebbero essere impiccati”. Il 14 luglio 1921, la giuria ritenne Sacco e Vanzetti colpevoli di rapina e duplice omicidio. In sostanza le lacune nelle prove, le testimonianze inaffidabili (leggasi la dichiarazione successiva del capitano Proctor sulla compatibilità tra il Bullet numero 3 e la pistola di Sacco: “non intendevo con quella risposta implicare che avevo trovato prove del fatto che il cosiddetto proiettile mortale fosse passato attraverso questa particolare pistola automatica Colt”) e il clima di pregiudizio contribuirono a creare un processo iniquo e a condannare due uomini la cui colpevolezza non fu mai dimostrata “al di là di ogni ragionevole dubbio”, locuzione entrata piuttosto di recente a far parte anche del sistema giuridico italiano.

Seppure il concetto di “beyond a reasonable doubt” negli Stati Uniti accetti un dubbio sulla colpevolezza di un imputato basato non su ipotesi fantasiose o improbabili ma sulla ragione e sul buon senso, nel caso in ispecie ragione e buon senso autorizzavano più di un dubbio. Dal 1921 al 1926, la difesa presentò numerose istanze per un nuovo processo. Il giudice Thayer le respinse. I due condannati furono rappresentati da William G. Thompson, indicato come un rispettato avvocato di Boston, e dal suo socio, Herbert B. Ehrmann.

Altre possibili piste investigative sottoposte da Thompson non furono esplorate da Thayer. La confessione di Celestino Madeiros, un detenuto nella prigione di Dedham che nel novembre 1925 ammise di aver partecipato al crimine con una banda che lui non volle indicare ma che facilmente era da identificarsi con quella nota dell’italo-americano Joe Morelli, non fu ritenuta sufficiente a riaprire il caso. Madeiros, in custodia nella stessa prigione ove si trovava Sacco, era stato condannato per l’omicidio di un cassiere di banca e aveva in corso il processo di appello. Egli era all’interno di una banda di italiani, il cui capo Morelli era peraltro piuttosto somigliante a Sacco, impegnata nei furti di vagoni merci.

Madeiros rifiutò di identificare i suoi associati o l’ubicazione del denaro asseritamente rubato nella rapina di South Braintree, e fu reticente quando rappresentò all’avvocato Thompson che aveva compiuto il colpo con degli italiani conosciuti occasionalmente, di cui conosceva a stento i nomi di battesimo (uno si chiamava Mike, un altro William o Bill, e un terzo era forse polacco) e che si erano dileguati dopo la fuga. Si deve doverosamente tenere in considerazione la posizione di Carlo Tresca, noto anarchico italoamericano ed uno dei fondatori ed attivista del comitato di difesa, cui abbiamo fatto cenno in precedenza. Negli anni successivi all’esecuzione, circolò una voce secondo cui Tresca, poco prima di essere assassinato nel 1943, avrebbe confidato a più persone che Sacco era colpevole, mentre Vanzetti no, senza ulteriori dettagli. Va pure detto che persone vicine a Tresca, inclusa sua figlia, negarono che avesse mai dubitato dell’innocenza di entrambi gli imputati, almeno durante gli anni del processo e della campagna per la loro liberazione.

Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco in manette nel 1923

Ed in Italia? La posizione ambigua di Mussolini

Nel 1922 Benito Mussolini era salito al potere. Nonostante la sua ideologia politica lo allontanasse completamente da Sacco e Vanzetti, cercò di intervenire a loro favore, seppur in modo ambiguo e contraddittorio. Egli era consapevole del forte impatto emotivo che il caso aveva sulla comunità italo-americana e su parte dell’opinione pubblica italiana. Intervenire in loro favore avrebbe potuto rafforzare il suo potere e presentarlo come un protettore degli italiani all’estero, in linea con la retorica fascista. Tuttavia, il Duce era anche preoccupato di non compromettere i rapporti con gli Stati Uniti, che considerava fondamentali per i suoi piani politici ed economici.

Così si mosse su un doppio binario: pubblicamente, espresse un certo interesse per la sorte dei due anarchici, inviando telegrammi e lettere alle autorità americane e ricevendo delegazioni di cittadini italiani che chiedevano il suo intervento; privatamente, si mostrò più cauto e pragmatico, consigliando ai diplomatici italiani di non insistere troppo sul caso per non creare tensioni con gli Stati Uniti. Egli chiese comunque clemenza per Sacco e Vanzetti, seppur motivando la sua richiesta con la volontà di differenziare l’Italia fascista dal bolscevismo sovietico.

Le richieste di revisione

La Corte suprema non riscontrò alcun errore nelle sentenze legali del giudice Thayer e concluse che non aveva abusato della sua discrezione giudiziaria nel rifiutare di concedere un nuovo processo. La sentenza di condanna fu confermata, nell’ultimo grado di giudizio, il 9 aprile 1927. Il 3 maggio 1927 Vanzetti scrisse al governatore Alvan T. Fuller un appello a nome di entrambi perché i fatti fossero meglio investigati, che Sacco si rifiutò di firmare. Il 9 aprile 1927, il giudice Thayer condannò a morte Sacco e Vanzetti per elettrocuzione. Egli programmò le esecuzioni per la settimana del 10 luglio 1927, ma il governatore Alvan T. Fuller le ritardò.

In molti – anche accademici – gli chiedevano di designare una commissione imparziale per rivedere il caso. Egli nominò quindi un comitato di tre “saggi” per riesaminare le prove e lo svolgimento del processo, formato dal Presidente dell’Università di Harvard, da quello del Massachusetts Institute of Technology e da un giudice in pensione. La relazione del Comitato, datata 27 luglio 1927, fu resa pubblica dal Governatore il 6 agosto 1927. Il rapporto concludeva che il processo era stato condotto in modo equo e che Sacco e Vanzetti erano colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio. Il 3 agosto 1927, il governatore Fuller aveva negato l’appello per la clemenza. A nulla valse un nuovo collegio difensivo ed il tentativo di ricusare Thayer per il suo pregiudizio.

L’opinione pubblica internazionale si mobilitò: scrittori di spicco, artisti e molti altri si erano uniti ad anarchici, comunisti, socialisti, sindacalisti e italiani nel sostenere i condannati. Rilevante la figura di Aldino Felicani, che inizialmente agì come amico e sostenitore di Bartolomeo Vanzetti e che divenne poi una figura chiave nel movimento per la riabilitazione dei due anarchici, sia negli Stati Uniti che a livello internazionale.

La condanna a morte di Sacco e Vanzetti sulla sedia elettrica

Sacco e Vanzetti morirono sulla sedia elettrica nella prigione di stato di Charlestown il 23 agosto 1927. Il destino volle che anche l’auto-accusatosi Madeiros fosse sottoposto alla stessa pena in quel luogo e quella stessa notte per l’omicidio di un cassiere di banca, un crimine totalmente estraneo alla rapina e agli omicidi di South Braintree. La processione funebre si tenne il 28 agosto. Il caso Sacco e Vanzetti è divenuto un emblema delle iniquità del sistema giudiziario e dell’intolleranza verso gli immigrati e i movimenti radicali ed ha messo in luce le contraddizioni della società americana, che si proclamava paladina della democrazia e della libertà, ma che al suo interno mostrava un volto reazionario ed intollerante.

Il 23 agosto 1977 il governatore del Massachusetts Michael Dukakis, dopo che la revisione del caso che aveva appositamente ordinato lo aveva convinto che Sacco e Vanzetti non avevano ricevuto un processo equo, bevve un sorso d’acqua. Inspirò forte e concluse il suo discorso, invitando tutti a “riflettere su questi tragici eventi e trarre dalle loro lezioni storiche la determinazione di fare in modo che le forze dell’intolleranza, della paura e dell’odio non si uniscano mai più per sconfiggere la razionalità, la saggezza e l’equità a cui aspira il nostro sistema giuridico“.

Sacco e Vanzetti nella cultura di massa

Questa vicenda ha profondamente colpito l’immaginario collettivo, ispirando numerose opere artistiche in diversi ambiti: da quello letterario alla musica, dal cinema (Il film diretto da Giuliano Montaldo nel 1971, con Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla nei ruoli dei protagonisti, è una delle opere più celebri) al teatro, ma anche poesia, pittura, scultura e fotografia.

Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!

  • Philip V. Cannistraro, Lorenzo Tibaldo, Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti, Claudiana, 2017;
  • Remo Fuiano, Andrea Matteo Pacilli, La storia di Sacco e Vanzetti, Andrea Pacilli Editore, 2022;
  • Lorenzo Tibaldo, con la prefazione di Giuliano Montaldo, Sacco e Vanzetti. Innocenti!, Claudiana, 2019;
  • Paolo Pasi, Sacco e Vanzetti la salvezza è altrove, Elèuthera, 2023.
Letture consigliate
Francesco Caldari

Francesco Caldari

Concluso il servizio attivo in una forza di polizia, si dedica alla sua passione per la storia, convinto che personaggi definiti "minori" meritino le giuste attenzioni, poichè spesso hanno fornito il proprio contribuito al pari di quelli più noti. Ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Sicurezza (Roma-Tor Vergata) e quella magistrale in Relazioni Internazionali (Genova), qui con una tesi sulla "cooperazione internazionale di polizia", argomento anche a carattere storico sul quale cura un blog ed un podcast.

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