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Quando Pierre Bayle scrive il suo dizionario storico e critico (1697) siamo alle soglie dell’Illuminismo. Ora la storia esce dalla mitologia classica e si fa estrema acribia narrativa fuori dal mito epico e fantastico. Ma la Rivoluzione Industriale incombe. La Rivoluzione Francese e Napoleone Bonaparte trasfigurano i Fatti in Valori. La letteratura romantica contribuisce al mito dell’eroe esule, solitario e combattente.
La dura realtà sociale diventa già per Shelley il mostro industriale da abbattere. La storia economica delle Nazioni più sviluppate tenderà a dare un’ancora di speranza alle masse divenute una mera forza lavoro vittime del profitto. Ecco allora i nuovi eroi e dunque una nuova ideologia della storia. Così Simmel diviene il nuovo storico dello spirito che rompe il materialismo trionfante che consegue alle letture positiviste. Un nuovo mito della storiografia?
La fonte letteraria fra narrazione storica e rappresentazione estetica. Il ruolo dello storico nella storiografia moderna
Nel 1697 esce, a pochi anni dalla morte (1706), un’opera forse poco conosciuta, ma che noi consideriamo la Bibbia dello storico moderno, vale a dire Il dizionario storico e critico di Pierre Bayle. Stretto seguace del metodo cartesiano e unico referente di Giambattista Vico; Bayle codifica l’azione dello storico moderno, ricercatore acribico e imparziale dei fatti, scienziato di stile galileano sulle fonti della storia, separatore scrupoloso dei fatti dai giudizi di valore. Non ammette alcuna lettura personale, meno che mai i pregiudizi mitici e psicologici propri e della società.
Lo storico – a suo dire – è un giudice istruttore, senza genitori, senza favore politico, di fede o di credenze tradizionali. L’unico suo Dio è la verità dei fatti. Vanno quindi banditi le leggende, le superstizioni e i fanatismi, al più tollerati perché romanzi popolari e portatori di insegnamenti validi per le masse, non più considerati dai cultori del Vero. Vico, Muratori e poi Manzoni, ma anche Goethe e Schiller, nonché tutta la scuola storica francese – da Voltaire a Montesquieu – faranno tesoro di questo principio metodologico, con ulteriori varianti romantiche, purché ci si ponga alla ricerca del progresso morale e scientifico dell’uomo.
Lo storico sarà quindi impegnato di materialismo svincolato da ogni pregiudiziale etica ed orientato alla lotta contro i limiti del mondo, magari in relazione ad un’idea assoluta da promuovere, come farà Hegel all’inizio dell’800. Allora la Ragione prevarrà sul Sentimento, campo di azione riservato soltanto all’Artista. Vediamo di seguito, come Shelley abbia mantenuto nei successivi versi un moderato dosaggio di realtà e fantasia.
Tuttavia storia e fiction in modo variegato saranno misurabili nel romanzo popolare di primo ‘900. Pensiamo invero ai Beati Paoli del 1910 di Luigi Natoli, dove il Plot inventivo sembra invadere l’area storica delle origini della mafia siciliana tanto da influenzare le analisi storiche di quel fenomeno fino ai giorni nostri. E’ questa l’epoca della crisi della storiografia moderna. Il rischio di una nuova mitologia dei fatti diventerà estremamente elevato.
Il massacro di Peterloo (16 agosto 1819) nell’Inghilterra di Shelley (1832): un nuovo modello di analisi
A Manchester, il 16.8.1819, avviene la prima manifestazione popolare soffocata nel sangue nel pieno della Rivoluzione Industriale, giunta in Gran Bretagna ad un punto di elevata saturazione. In quasi un ventennio precedente si sono verificati dei tumulti anti-macchine industriali connessi al c.d. Luddismo, una serie di attentati alle nuove infrastrutture mobili, attribuiti ad un tale John Ludd – la cui esistenza è ancora dubbia, se non mitologica – che a capo di una banda di terroristi nell’area costiera del Lancashire, si diletta a mettere fuori uso soprattutto macchine tessili, che in età napoleonica hanno limitato il lavoro a mano dei tessuti senza influire sul profitto capitalista e però rendendo stagnante il mercato del lavoro. Invero, già nel 1733 James Watt brevetta la spoletta volante e poi nel 1769 la macchina tessile a vapore.
Poco dopo, l’imprenditore Edmund Cartwright costruisce il primo telaio meccanico e il predetto Watt pone in essere il prototipo di locomotrice a vapore (1785). Del pari, la produzione capitalista è teorizzata da Adam Smith nel celeberrimo trattato sulla Ricchezza delle nazioni, aprendo le danze dell’economia politica classica. Di più: sorgono i primi capannoni industriali per le fonderie di ferro necessarie per altri macchinari industriali, per armi più sofisticate da fuoco e per le nuove navi a vapore, tanto che la relativa produzione industriale schizza dalle 17.000 tonnellate di coke del 1750 alle 455.000 tonnellate del 1823.
Il trio Smith, Ricardo e Malthus compare dalla fine del ‘700 fino ad oggi nei manuali di storia dell’economia classica come quello di Abramo, Giacobbe e Isacco nel Vecchio Testamento. Nondimeno, oltre agli storici romantici – e poi quelli materialisti da Hegel a Karl Marx – qualificano il primo ventennio dell’800 come l’età del secondo salto di qualità della storia moderna, parlando di una grande trasformazione della economia commerciale del XV° secolo, a sua volta rivoluzionaria della economia curtense agraria fin dall’Impero Romano e fino alle scoperte geografiche del ‘500 e alla coeva Riforma Protestante cristiana.
La Rivoluzione industriale del 1750 – il cui nocciolo starebbe nella scoperta delle macchine a vapore che riducano il lavoro umano – mettono in moto un processo produttivo di beni di consumo per le masse bisognose di beni e servizi mai visto. A noi però qui interessa il riscontro della predetta trasformazione sulla classe dei lavoratori e la sofferenza della nuova classe lavorativa che ben presto levò proteste contro le macchine che sottraevano la loro remunerazione.
Non è un caso che già nel 1799 la teoria del salario operaio in denaro al posto di quello in natura, nonché lo sviluppo dei macchinari ora ora segnalato, provoca nelle campagne e poi nelle città, un movimento insurrezionale contro tale innovazione, causa per le prime organizzazioni sindacali della diminuzione dei salari e della preoccupante disoccupazione. La protesta luddista che incita alla distruzione dei macchinari viene attribuita all’inizio del nuovo secolo alla Francia giacobina, motivazione che spinge i Conservatori a entrare più volte in guerra contro Napoleone primo console.
Il mitico Ned Ludd distrugge telai industriali e capeggia la rivolta popolare operaia nel 1811 a Nottingham, quando una massa di braccianti e disoccupati danneggia sessanta e più telai di nuova generazione. E mentre da Parigi giungono notizie della ripresa delle guerre napoleoniche e poi le successive dell’invasione della Russia, più volte il Parlamento inglese vota le leggi di divieto di sciopero e di coalizione operaia, nonché numerosi atti di polizia militare repressiva contro ampi settori della popolazione delle campagne e della città che sostengono il movimento di John Ludd, spesso un paravento che nasconde associazioni segrete contrarie al alle varie coalizioni militari degli inglesi sia contro Napoleone, sia contro gli Stati Uniti nella guerra del 1812.
Già in quell’anno, viene emanata la Frame breaking bill, una legge che irroga la pena di morte per coloro che distruggono o danneggiano macchinari tessili. E qui per la prima volta gli intellettuali liberali levano la propria voce alla Camera dei Lords a difesa dei luddisti: Io ho visto questi lavoratori, affamati e disperati, sprezzanti per la vita che voi Lords pagate meno di quanto costi un telaio e pensate di gettarli in galera! I giurati che li condanneranno altro non sono che dei macellai e il giudice poco più di un boia …propongo piuttosto un disegno di legge per punire e prevenire le frodi e gli abusi nelle manifatture tessili.
10.000 firme in diverse manifestazioni favorevoli vengono raccolte e si registrano reazioni dei Conservatori e delle leghe imprenditrici e dei militari che temono infiltrazioni francesi in conseguenza del blocco navale francese, mentre in segreto aiutano i Russi a contrastare la spedizione di Napoleone. Circostanza che risulta un terreno di scontro sociale in Gran Bretagna già nel 1812 culminando nell’attentato mortale al Primo Ministro Spencer Perceval, capo dei Tories, responsabile dell’invio di 12.000 soldati per reprimere la rivolta contro l’assalto della fabbrica dell’imprenditore Cartwright di York, inventore proprio del telaio meccanico.
Anzi il 2 gennaio 1813 un processo penale irroga la condanna a morte di 17 rivoltosi a York e l’insurrezione viene domata. Tuttavia, nel 1815, poco prima di Waterloo, il Parlamento inglese, ancora in mano ai Tories, emana le famose leggi sul grano (the corn laws) che introducono dazi al fine di stabilizzare i profitti dei proprietari in tempo di guerra. Di qui non solo l’aggravamento della crisi salariale nelle campagne e il relativo esodo verso le città, ma anche la insicurezza del lavoro, le epidemie nelle città industrializzate, l’aumento della popolazione minorile, la presenza di reduci delle guerre napoleoniche mutilati, delusi e impoveriti, piccoli borghesi nazionalisti, come ve ne sono tanti un secolo dopo nell’Italia liberale dopo la Grande Guerra.
Come si è detto, i limiti alle importazioni di grano straniero, avvantaggiano i proprietari terrieri locali, producendo una carestia che si accompagnerà alle predette difficoltà del dopoguerra. Reduci di guerra, fittavoli, ma anche sarti e tessitori autonomi soffrono la fame per la analoga crisi dell’economia tessile, mentre il Governo versa al Duca di Wellington un risarcimento di 750.000 sterline per le spese militari che esaspera tutta la popolazione. I leader radicali, specialmente l’intellettuale Henry Hunt, anche egli reduce di Waterloo, indicano un raduno di cittadini al campo di S. Pietro a Manchester per reclamare una riforma elettorale che allarghi la base dei votanti aperta a tutti i cittadini inglesi.
E mentre i tribunali condannano donne ree di essersi ribellate alle ingiustizie delle fabbriche; qualche lancio di ortaggi alla carrozza reale del principe Reggente futuro Giorgio IV, dà al governo Castlereagh la scusa per sospendere la Carta dei Diritti del 1689 e quindi l’habeas Corpus, col conseguente divieto di riunione e di manifestazione sindacale. Nondimeno, proseguono senza sosta incontri per sollecitare la riforma elettorale e le riforme sociali a tutela del lavoro minorile e femminile.
Donne e uomini invocano una marcia a Manchester in un giorno lavorativo. Il radicale Hunt ottiene dai colleghi sindacalisti che il 16 agosto senz’armi si partecipi per la pace sociale per ottenere pace, pane e lavoro sicuro ed equamente retribuito. La folla cresce, ma le cronache di stampa liberale notano la presenza di gruppi armati di chiara appartenenza ai sorveglianti padronali nei campi e nelle aree industriali. Persone armate che Verga definirà come campieri e che nei primi anni ’20 del ‘900 formeranno gli squadroni fascisti nel Nord dell’Italia e in Puglia.
I nobili, piuttosto atterriti all’interno dei loro club, sono pronti a dare l’ordine ai mazzieri di battere la folla sempre più stimolata dagli oratori popolari che chiedono soprattutto la riforma elettorale. Intanto, il Governo rispolvera la legge antirivolta del 1813 che lascia mano libera ai procuratori del Re di incarcerare sindacalisti e manifestanti. Infine, la paura ha il sopravvento: poco dopo l’inizio del comizio, le autorità locali temendo dell’ira popolare, comandano di arrestare Hunt e di disperdere la folla. La cavalleria, mai così pronta e mai così decisa – come lo sarà a Milano nel 1898 e nel 1905 a S. Pietroburgo – caricherà le persone a sciabolate, provocando un massacro con almeno 15 morti e almeno 500 feriti, ivi compresi, donne, bambini e mutilati, venuti in città solo per passare un pomeriggio di festa.
La stampa inorridisce, ma è il poeta Shelley a chiamare Peterloo l’evento, vale a dire la Waterloo del campo di S. Pietro. Mentre i giornali di Londra tuonano per lo sdegno, il Parlamento inglese non si vergogna di emanare le sei leggi più illiberali che la Gran Bretagna ha mai espresso, contro la libertà di parola, di pensiero, di riunione, di propaganda e in sostanza contro le libertà personali che hanno come precedente illustrissimo i dibattiti di Putney del 1647, anticipatori della Rivoluzione inglese all’epoca di Oliver Cromwell.
Il poeta esprimerà in modo ironico e fortemente simbolico l’orrore e la disapprovazione morale di quella strage. La sua lunga ode sarcastica antigovernativa e il suo impegno per la Rivoluzione sociale è evidentissimo: a sentire in Italia le tremende notizie di Peterloo, ecco i tuoni lontani della terribile tempesta che sta per scoppiare… I tiranni nostri, simili a quello della Grande Rivoluzione, hanno pure versato sangue…pensano le loro miserande lezioni non siano mai più seguite con pari attenzione … Castlereagh altro non è che una maschera di omicida.
Non solo: nel poema vengono presentati tutti i Ministri del Governo come la maschera dell’ipocrisia, della Frode e dell’ignominia. E nel finale dell’ode – la famosa maschera dell’anarchia del 1832 – la maschera della Speranza che Egli indossa è ora di nuovo risorta. Egli chiama gli Inglesi alla riscossa, a risvegliarsi da leoni dal sonno in cui si erano abbandonati e a rompere le catene dell’oppressione. Popolo inglese, sia vostra la gloria di eroi mai narrati; o Voi figli minori di una madre possente, sperate in loro senza dubitare/orsù alzatevi dal sonno che non vi appartiene, abbandonate un essere a voli lontano/voi non lo meritate!
E così per altre 90 strofe, la Casa Reale viene devastata e più che oltraggiata perché quel massacro sarà per la Nazione una luce viva/eloquente e un messaggio mai spento/come un vulcano sempre in eruzione/E tu, mia patria, scuoti da terra le catene che come rugiada a Te precipitata/Quelle maschere sono per pochi Voi, o vittime di Peterloo/siete come il senape per il contadino/che come un poeta supera mente e cuore per cogliere Ragione e Sentimento!
L’ode fece scalpore. Già nel 1824 viene abrogato il famigerato Combination Act e nel 1836 nasce il potentissimo sindacato delle Trade Unions (1836), dove alcuni operai, scampati al massacro di Peterloo danno vita al nuovo movimento di riforma noto come Cartismo. La nascita del movimento socialista è finalmente spianata, anche per effetto della mediazione estetica dello Shelley.
Il passaggio dal mito alla storia dei valori e alla critica del fatto: la mediazione di George Simmel (1858-1918)
Del resto, la storiografia idealistica sottolinea la differenza fra la storia europea successiva alla rivoluzione liberista di Luigi Filippo in Francia e il ritorno all’ordine proprio del ventennio 1849-1869, anche qui simboleggiato dall’imperialismo industriale di Napoleone III, parallelo all’ideologia colonialista anglosassone della Regina Vittoria; ma anche alla analoga ideologia russa sotto la dinastia Romanov rivolto alla conquista dei territori slavi ai quattro angoli dell’impero, segnata della guerra di Crimea del 1853-1856, unica rottura dell’equilibrio fa le nazioni europee dopo il Congresso di Vienna del 1815.
A partire dal 1873 e fino alla fine dell’800, periodo peraltro caratterizzato dal processo unificativi di Italia e Germania, si assiste al fenomeno comune del sentimento di nazionalità identitaria e ad un variegato processo estensivo dei processi democratici paese per paese, sicuramente derivato dalla coscienza di nuove libertà sorte dalle ceneri del 1848 e dallo scontro fra le due potenze egemoniche sul continente europeo, la guerra lampo fra Prussia e Francia del 1870-1871.
Il riflesso che di tali periodi si avrà nelle letterature europee riguarderà la tendenza fra identità nazionale e realtà popolari. Conflitto dialettico che emerge in un contrapporsi estetico nella scelta di trasferire sul palcoscenico teatrale e musicale irrequietezza ed eroicità, un balletto mitico fra eroi romantici schilleriani tacciati da Giuseppe Mazzini come materialisti ed egoisti a danno delle masse popolari: Renan, Hugo, Manzoni, Dickens, scrivono il nuovo mito dell’uomo che si fa da sé nell’immenso caleidoscopio della società industriale; Hegel e Marx a poco a poco delineano la figura del capitalista, imprenditore e sfruttatore del lavoratore. Intanto la civiltà delle macchine cresce: ferrovie e navi a vapore aprano nuove vie di comunicazione.
Il materialismo dialettico diventa materialismo storico per passare in un periodo culturale di preparazione rapida al socialismo come teorizza Engels. Del pari, Comte, Spencer e l’italiano Ardigò teorizzano una nuova scienza sociale, la Sociologia, fondata sull’idea di progresso che brucia ogni forma di Spiritualismo e di Idea che non sia fondata sulle scienze esatte. E’ l’età del Positivismo, del Realismo sociale e del Determinismo come destino immutabile, ma riducibile a formule che recano la fine del Volontarismo dell’idea astratta che va adeguata dalla coscienza al quotidiano.
La storiografia ne è vittima, come lo è la filosofia della storia. Quest’ultima esce dal regno del caos per aderire all’impero del progresso sociale e della necessità della guerra, un mondo perfetto di pace e di crescita dell’uomo. Del resto il decennio dal 1861 al 1972 è per l’Italia e la Germania quello della costruzione di un nuovo mondo liberale più ricco – ma si dimentica il sud – è più veloce per mari e per terre, mentre prevalgono le conquiste coloniali franco-inglesi.
Droysen e Mommsen, von Wilamowitz-Moellendorff e Burckhardt trionfano come storici per avere abolito l’oscuro provvidenzialismo cristiano che da tempo dà finalità alla storia, da loro ridotta a sociologia, da bonificare di Teismi e Superstizioni. Nondimeno lo stesso marxismo assorbe l’idea di un sole dell’avvenire, dove il socialismo al potere sembra essere gradualmente dietro l’angolo. Eppure dal 1873 e fino al 1896, si contano carestie, emigrazioni, fallimenti industriali e cicliche crisi economiche.
Per esempio lo storico Schumpeter fa il controcanto all’ottimista Spencer secondo cui tutto ciò che è possibile, è moralmente lecito. Frase che deriva dal concetto scientifico della selezione naturale di Charles Darwin esteso al mondo del lavoro e della società civile. Lo storico viennese nel suo studio Business Cycles del 1939, ricorda che il giornale The statist del 1878 ha dimostrato statisticamente la ciclicità delle crisi economiche e perfino il marginalista Jevons ritiene che le carestie derivino dalle macchie solari perfettamente osservabili dai nuovi telescopi.
Tale ulteriore relazione, sorretta dalla statistica, ma chiaramente surreale non viene però suffragata da prove evidenti. Esempio plateale di come la storia fosse meccanicizzata in modo da escludere perfino l’evidenza della ragione. Intanto la scuola economica cui il citato Jevons appartiene – il Marginalismo – rovescia l’ottica interpretativa dell’economia classica privilegiando la figura del consumatore rispetto a quella del produttore: infatti la relazione fra imprenditore e il fruitore del prodotto finito, deve ora tenere conto della domanda legata alla capacità pubblicitaria delle merci prodotte.
Proprio a fine ‘800 l’economia industriale per reggere la nuova società si deve adeguare scientificamente a ciò che gli uomini domandano per tacitare le loro reali necessità, perfino motivate da idee future, magari a valori spirituali come la felicità la passione, il tempo libero e il gioco o il lusso. Considerazione che un ex socio come George Simmel (1858-1918), pensatore berlinese che la con la sua rilettura della filosofia della storia riaggancia la dimensione spirituale della storiografia, staccandola significativamente dalla economia politica imperialista e materialista, utilitarista e tutta orientata al profitto calcolato sulle spalle dei lavoratori e dei piccoli imprenditori.
Simmel diventa ormai neokantiano dopo la conoscenza di Dilthey sui limiti della ricerca scientifica della storia come attività umana derivata dal Vico e riapre la relazione fra fattori esterni e motivi interiori preclusi dal Marx e dal Comte se non in senso unidirezionale. Piuttosto, è la ricerca di un fattore interiore, psicologico e spirituale che va ripreso e che motiva l’agire dell’uomo. Un apriorismo kantiano che deriva dalla constatazione che la storia esterna appare all’interprete molteplice in fatti spesso coevi e per di più opposti. Lati certi e lati oscuri di qualsivoglia evento. Dunque un riandare alle radici per ritrovare quello che si è maturato.
Quasi un regresso biologico e sentimentale, fuori dall’idea di progresso verso l’alto che la storiografia tedesca proclama nella cultura tedesca positivista. Un cammino all’indietro che Herder e Vico hanno intravisto agli albori dell’Illuminismo. La storia è ora una scienza di coloro che la fanno: sia quella dei grandi uomini di Carlyle; sia quella dei piccoli uomini di Hugo e Manzoni. E perciò le passioni, la felicità, il sentimento, generano l’unità finale e visibile dell’evento valido per tutti.
Un fatto unitario che diventa un valore condiviso e certo. Per esempio, la sconfitta di Napoleone a Waterloo, dove è vero che intervengono fatti singoli, ma è anche vero che è la battaglia finale a fare la storia. Di qui, non c’è né trascendenza agostiniana, né causalità caotica, né stretta coesione monotematica. Che fare allora? La scelta di Simmel è chiara: nelle 3 edizioni del suo saggio Sui problemi della filosofia della storia (1892; 1905,1922) aleggiano la crisi sociale di fine secolo, la ripresa dello Spiritualismo filosofico e la crisi morale ed economica successiva alla prima Guerra Mondiale.
Valori unitari fondati sul sentimento, la nostalgia della bella epoque; l’illusione della pace perpetua; la paura di una nuova guerra dopo il tremendo conflitto. Valori che rendono ormai conclamata la nuova natura dello storico, l’essere un artista dotato di quello slancio vitale che Bergson già pone nell’azione esistenziale umana. E lo storico è artista quando coglie il senso della storia come lo coglie Leonardo che dipinge il cenacolo e che raffigura gli apostoli attorno al Cristo.
Un pizzico di sentimento che illumina lo scabro calcolo matematico di Bayle e che limita la relazione meccanica fra Protestantesimo e Capitalismo, già resa famosa con Weber. Un’esperienza di conoscenza storica che tiene conto della testimonianza letteraria che riabilita la poesia dello Shelley. E qui un ulteriore precisazione del Simmel, che gli eviterà l’accusa di essere un artista sostanziale, slegato dalla inevitabile acribia pretesa dallo stesso Bayle e che il Croce gli oppose per aver spiritualizzato troppo la realtà dei fatti. Simmel nel 1922 limita l’arte dello storico alla fase ispirativa della conoscenza storica.
Occorre un altro fattore di mediazione, vale a dire il metodo scientifico del procedere come ogni giudice che deve provare la colpevolezza dell’imputato dichiaralo reo senza badare alle sue convinzioni personali politiche o religiose. Di fronte allo Spengler che in quell’anno pubblica il notissimo Tramonto dell’occidente, apologo sulla fine del mondo fondato sulla quadripartizione della storia, in età corrispondente alla infanzia, alla gioventù, alla maternità e alla vecchia; il Nostro rileva che se la percezione sentimentale ci può affascinare; manca a quel polittico un metodo probatorio sufficiente. I concetti generali, i tipi e le sintesi; vanno seriamente proposti ed esaminati. E’ questa la via che fra poco Bloch, Febvre e la scuola storica francese degli Annales perseguirà.
Bibliografia
- Sul decollo dell’economia industriale vd. LARRY NEAL e RONDO CAMERON, Storia economica del mondo, Bologna, 1993.
- Sulla nascita della storiografia moderna vd. In merito a P. Bayle, LORENZO BIANCHI, Tradizione libertina e critica storica, Milano 1988.
- Sui fatti di Peterloo, cfr. per la parte storiografica, vd. ROBERT POOLE Peterloo, Oxford University Press, 2019. Sulla poesia di Shelley vd. testo originale in The Peterloo Massacre and Shelley, World socialista web site.
- Sulle considerazioni di George Simmel in merito alla filosofia della storia, cfr. MARCO VOZZA, Introduzione a Simmel, Bari, 2002.
I libri consigliati da Fatti per la Storia per approfondire l’argomento!
- Storia economica del mondo, Il Mulino, 2005.
- Marco Vozza, Introduzione a Simmel, Editori Laterza, Bari, 2002.